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1 L’ATTENZIONE COME PROCESSO COGNITIVO

1.3 IL PARADIGMA DI SPERLING

Parecchie analogie con le teorie del filtro precedentemente analizzate possono essere rinvenute nei primi esperimenti e lavori condotti in ambito visivo sulla memoria iconica. I risultati delle ricerche svolte in questo campo dallo psicologo americano George Sperling nel 1960 e riportati nell’articolo «The information available in brief

visual presentations»50, ad esempio, possono essere interpretati postulando l'esistenza di un filtro che permette solo a determinati input di entrare nella memoria a breve termine.

48 Ivi, p. 39. 49 Ivi, p. 111.

50 Sperling, G. (1960) The information available in brief visual presentations, Psychological

Tali ricerche, infatti, mostrano chiaramente che i soggetti testati generalmente vedono più di quanto riescono poi a riportare verbalmente: «more is seen than can be remembered»51. Questo indicherebbe la presenza di un registro sensoriale capace di mantenere, seppure per un brevissimo lasso di tempo, un'elevata quantità di stimoli; non tutti, però, possono essere mantenuti nella memoria a breve termine, caratterizzata da una capacità più limitata e una durata maggiore. Il concetto di span della memoria fa riferimento, infatti, alla quantità di stimoli che la mente umana può contenere nella memoria a breve termine.

L'obiettivo di Sperling è quello di indicare quanti stimoli possono essere visti in una sola breve esposizione visiva. Gli esperimenti furono condotti presentando, tramite tachistoscopio, dodici lettere dell'alfabeto suddivise in tre righe da quattro lettere ciascuna e chiedendo ai soggetti di riportare o tutte le lettere viste durante la breve esposizione (resoconto totale), o solamente quelle di una determinata riga, suggerita dalla presentazione di un segnale acustico di bassa, media o alta frequenza (indicante rispettivamente la prima, seconda e terza riga) dopo 150 millisecondi dall'esposizione (resoconto parziale). I risultati indicarono che, non solo i resoconti parziali erano generalmente più accurati di quelli totali, ma anche che l'esattezza dei primi diminuiva se la presentazione del segnale acustico veniva ritardata anche di un solo secondo. La spiegazione offerta da Sperling a questi dati consiste nel sostenere che l'immagine presentata al tachistoscopio permane nella memoria del soggetto fino, almeno, alla presentazione del segnale acustico: «[...] information is initially stored as a visual image and that the Ss can effectively utilize this information in their partial reports»52. Il

51 Ivi, p. 1. 52 Ivi, p. 21.

termine “memoria iconica”, indicante il persistere nella nostra mente dell'immagine visiva nei momenti immediatamente successivi alla sua scomparsa, fu coniato da Neisser in «Cognitive Psychology» nel 1967: «There seems no alternative but to introduce a new term for the transient visual memory in question. I will call it “the icon” or “iconic memory”»53.

Quando l'immagine sbiadisce, anche l'informazione in essa contenuta diventa meno accurata; in questo modo è possibile spiegare l'aumento degli errori commessi dai soggetti se viene ritardato il segnale acustico. È possibile, inoltre, comprendere perché, nel momento immediatamente successivo all'esposizione, il soggetto ritiene un maggior numero di informazioni rispetto ai secondi successivi. A questo punto entra in gioco l'idea di un filtro selettivo: se, infatti, il soggetto ha a disposizione una quantità maggiore di informazioni rispetto a quelle che vengono poi mantenute nella capacità limitata della memoria, significa che deve essere stata operata una discriminazione sugli stimoli da ritenere e quelli da scartare, soprattutto sulla base delle istruzioni che sono state fornite durante l'esperimento. La selezione avviene, infatti, anche all'interno del procedimento di resoconto parziale; in questi casi, il soggetto deve scegliere, sulla base del segnale acustico, la corretta riga di lettere da riportare. Nella maggior parte dei casi, dunque, la selezione avverrà sulla base della posizione delle lettere sullo schermo.

Alcuni test sono stati condotti successivamente alla pubblicazione dell'articolo di Sperling per verificare le modalità ed i limiti con cui avviene il processo di selezione in quella che viene definita “memoria visiva immediata”. Tra questi, quelli condotti da J.M. Von Wright54 mirano a mostrare come la selezione avvenga con successo quando 53 Neisser, U., Cognitive Psychology, cit. p. 19.

54 Von Wright, J.M. (1968) Selection in visual immediate memory, The Quarterly Journal of

viene operata sulla base della posizione, del colore o della dimensione delle lettere. Tali risultati, afferma Wright, concorderebbero con le teorie del filtro, come quella di Broadbent, che pongono la selezione ad uno stadio iniziale dell'elaborazione percettiva, fondatosi sulle caratteristiche fisiche degli stimoli analizzati. Una tale modalità di selezione sarebbe favorita quando gli stimoli da scegliere e quelli da scartare si differenziano in maniera sostanziale; se invece la distinzione è sottile, è necessario effettuare un'elaborazione preliminare più accurata.

Questa considerazione permetterebbe di spiegare i risultati ottenuti nell'esperimento numero sei di Sperling: in quest'ultimo, infatti, l'immagine mostrata al tachistoscopio era organizzata in modo tale che ogni riga contenesse due lettere e due numeri; al soggetto veniva richiesto di riportare o solo le lettere, o solo i numeri della riga indicata. In questo caso, dunque, al criterio per la selezione basato sulla posizione, doveva aggiungersene uno che riuscisse a discriminare, in qualche modo, il segno grafico rappresentante le lettere da quello rappresentante le cifre numeriche. I risultati mostrarono che, seguendo questa modalità, i resoconti parziali erano di poco più accurati di quelli totali. Secondo Wright, ciò può essere spiegato osservando come la differenza tra lettere e numeri, dal punto di vista delle caratteristiche fisiche, è piuttosto sottile; per il soggetto, dunque, risulta più difficile percepirla in maniera immediata. Nelle sue conclusioni, Wright afferma:

[…] This could be accounted for by the fact that it is difficult to distinguish between (written) capital letters and numbers on the basis of their general physical characteristics; thus each item in the array might have to be identified – analysed in full – before categorizing can occur. […] The results are in some respects similar to

those obtained in studies on selective listening. In both types of experiment subjects are able to select or to ignore items efficiently on the basis of their general physical characteristics, whereas selection appears to be difficult when it requires a more detailed identification of the items presented55.