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LO STROOP TEST E L’INTERFERENZA TRA COMPITI

1 L’ATTENZIONE COME PROCESSO COGNITIVO

1.4 LO STROOP TEST E L’INTERFERENZA TRA COMPITI

Tra le tecniche più citate nell'ambito della letteratura psicologica sperimentale vi è sicuramente lo Stroop test, inizialmente utilizzato per esaminare l’interferenza nei tempi di reazione durante lo svolgimento di un determinato compito, e in seguito ampiamente adoperato in diversi campi di ricerca, come, ad esempio, quello sull'attenzione selettiva. L'effetto in questione prende il nome da John Ridley Stroop, il quale pubblicò un articolo nel 1935 intitolato «Studies of interference in serial verbal reactions»56 in cui vengono vengono riportati degli esperimenti che, come dichiarato dall'autore, prendono ispirazione sia dagli studi sull'interferenza e l'inibizione sia da quelli riguardanti la maggiore facilità del compito di lettura di nomi colorati piuttosto che del compito di nominare il colore.

Il primo esperimento venne chiamato da Stroop «The effect of interfering color stimuli upon reading names of colors serially»57 ed era strutturato in due test differenti: nel primo veniva sottoposta ai soggetti una serie di parole indicanti nomi di colori; ogni parola poteva essere colorata di rosso, blu, verde, marrone o viola ma mai del colore che

55 Ivi, p. 68.

56 Stroop, J.R. (1935) Studies of interference in serial verbal reactions, Journal of Experimental

Psychology: General, 1992. 121(1), pp. 15-23. First published in Journal of Experimental Psychology, 18, pp. 643-662.

essa nominava. Nel secondo test, invece, era presentata la stessa serie di parole ma scritte con inchiostro nero, il quale veniva utilizzato come stimolo neutrale. In entrambi i casi, ai soggetti era richiesto di leggere l'intera serie di parole nel modo più veloce possibile. Lo scopo di Stroop era, quindi, quello di verificare l'esistenza e l’entità dell'interferenza provocata dallo stimolo colore sul compito di lettura delle parole, e venne misurata attraverso la differenza nel tempo impiegato dai soggetti a leggere le parole scritte di nero (stimolo neutrale) rispetto a quelle colorate (stimolo incongruente). I risultati di questo esperimento rilevarono un aumento di circa 2-3 secondi nel completamento del primo test rispetto al secondo e, quindi, mostrarono l'effettiva presenza di un'interferenza causata dallo stimolo colore sul compito di lettura, sebbene molto lieve.

Il secondo esperimento venne chiamato da Stroop «The effect of interfering word stimuli upon naming colors serially»58: rispetto all'esperimento precedente, nel primo test lo stimolo colore non era più presentato sotto forma di parole ma sotto quella di quadrati colorati ed il compito dei soggetti consisteva nel nominare i colori dei quadrati. Il secondo, invece, riprendeva la forma del primo test dell'esperimento precedente (ossia una serie di parole colorate in modo che lo stimolo colore e lo stimolo parola fossero incongruenti), ma con il compito di denominazione del colore al posto della lettura della parola: «Thus color of the print was to be the controlling stimulus and not the name of the color spelled by the word»59. I risultati di questo esperimento rilevarono la presenza di una forte interferenza causata dallo stimolo parola sul compito di nominare il colore; infatti, il completamento del secondo test, in cui lo stimolo colore veniva affiancato alle

58 Ivi, p. 17. 59 Ibidem.

parole, richiedeva circa il 74% in più di tempo rispetto al primo test.

La spiegazione fornita da Stroop dei risultati ottenuti riguarda la forza della relazione tra lo stimolo parola ed il compito di lettura: «[...] the associations that have been formed between the word stimuli and the reading response are evidently more effective than those that have been formed between the color stimuli and the naming response»60. Poiché tali associazioni non sono innate, ma sono il prodotto dell'allenamento e dell'abitudine, la loro forza dipende esclusivamente dal tempo che impieghiamo per svilupparle e consolidarle. Dunque, secondo Stroop, siamo più abituati e allenati a leggere una parola nel momento in cui ce la troviamo davanti (e ciò renderebbe il compito di lettura automatico) piuttosto che a nominare un colore: «The word stimulus has been associated with the specific response 'to read', while the color stimulus has been associated with various responses: 'to admire,', 'to name,', 'to reach for,' 'to avoid,' etc»61.

La differenza che emerge dagli esperimenti di Stroop tra il compito di lettura e quello del riconoscimento del colore è stata interpretata in vari modi dagli autori che successivamente hanno analizzato il fenomeno; quella che può rivelarsi maggiormente utile ai fine dello studio dei processi attentivi si concentra sulla dicotomia tra processi automatici e processi controllati, per la quale l'effetto potrebbe essere interpretato come l'interferenza causata dall'automaticità del processo di lettura sul processo controllato di nomina del colore. Nonostante la terminologia utilizzata sia differente, tale interpretazione non si discosta particolarmente da quella fornita da Stroop: come abbiamo già visto, infatti, l'automaticità può essere considerata una conseguenza della

60 Ivi, p. 22. 61 Ibidem.

pratica nell'adempimento di un compito e, quindi, del consolidarsi dell'associazione tra stimolo e compito; dall'altro lato, come vedremo, i processi controllati si dimostrano necessari di fronte a situazioni non abituali che presentano una relazione tra stimolo e compito più o meno debole.

Oltre al fenomeno appena descritto, vorrei presentare altri due importanti effetti riconducibili al tema dell'interferenza provocata dalle informazioni irrilevanti all'interno di situazioni sperimentali, ossia l'effetto Simon e l'effetto Navon. L'effetto Simon, infatti, mette in luce come certe informazioni a cui il soggetto non sta prestando attenzione, in quanto non rilevanti per il compito da svolgere, vengano ugualmente processate. L'effetto prende il nome da Richard Simon che lo presentò alla fine degli anni '60 e viene spesso associato all'effetto Stroop; entrambi, infatti, presentano una forma di interferenza causata da un aspetto non rilevante dello stimolo nello stadio di selezione di una risposta. L'esperimento elaborato da Simon consisteva nella presentazione di due stimoli differenti nella forma (un quadrato o un rettangolo) che potevano comparire nella parte sinistra o destra di uno schermo; il compito dei soggetti era quello di premere un pulsante posto alla loro sinistra nel caso che lo stimolo fosse un quadrato e premere quello alla loro destra nel caso del rettangolo. In questo modo lo stimolo era caratterizzato da due aspetti differenti: la forma, ossia l'aspetto a cui rivolgere l'attenzione poiché rilevante per il soggetto, e la posizione spaziale, non rilevante ai fini del compito da svolgere.

I risultati indicarono dei tempi di reazione più elevati quando la posizione dello stimolo e quello della risposta non coincidevano (ad esempio quando veniva presentato un rettangolo nella parte sinistra dello schermo) rispetto ai casi in cui le due posizioni

combaciavano. Un tale risultato dimostra che, nonostante la sua irrilevanza, lo stimolo spaziale veniva elaborato dai soggetti e, nei casi di non coincidenza, provocava un'interferenza nello stadio di selezione di una risposta. Risultati simili furono raggiunti in un esperimento pubblicato nel 1969 in «Reactions toward the source of stimulation»62. In questo caso lo stimolo sottoposto ai soggetti era di tipo uditivo e non visivo, e consisteva in un semplice suono che poteva essere presentato all'orecchio sinistro o a quello destro. Inoltre l'esperimento era suddiviso in due test: nel primo il compito richiesto prevedeva di muovere una manovella con la mano dominante (tutti i soggetti era destrimani) lontano dall'orecchio in cui era presentato il suono; nel secondo, invece, il movimento da compiere era quello contrario, ossia portare la manovella verso la fonte del suono. In maniera analoga all'esperimento precedente, i dati indicarono dei tempi di reazione più veloci nel compimento del secondo test e, in modo particolare, nei casi in cui il suono veniva presentato all'orecchio destro. Le conclusioni a cui giunse Simon in entrambi gli esperimenti constatavano «a “natural” tendency to react toward the source of stimulation»63.

Come abbiamo già detto, il fenomeno più importante che emerge dagli esperimenti di Simon è l'incapacità da parte dell'attenzione di ignorare la posizione spaziale di uno stimolo, anche quando essa risulta irrilevante ai fini della risposta. Vi sarebbe anche una maggiore velocità nell'elaborare la posizione spaziale dello stimolo rispetto alle altre caratteristiche dello stesso; tale localizzazione spaziale influenzerebbe la selezione della risposta nelle modalità che abbiamo descritto. Si verrebbe così a creare un'interferenza nei casi in cui le caratteristiche rilevanti dello stimolo richiedano 62 Simon, J. R. (1969) Reactions towards the source of stimulation, Journal of experimental

psychology, 81, pp. 174–176.

una risposta non congruente con la sua posizione sullo schermo. Per questo motivo l'effetto Simon è stato spesso paragonato all'effetto Stroop: in entrambi i casi è presente un aspetto non rilevante dello stimolo che influisce sui tempi di reazione del soggetto interferendo nel processo di selezione della risposta.

Un altro caso di interferenza nei tempi di reazione ad un compito da parte di uno stimolo irrilevante è rappresentato dall'effetto Navon, descritto per la prima volta nel 1977 da David Navon in «Forest before trees: the precedence of global features in visual perception»64. Il fenomeno che emerge dagli esperimenti di Navon si inserisce anche all'interno del dibattito circa le modalità con cui viene percepita la scena visiva: essa viene costruita a partire dalle singole caratteristiche o se ne ha una percezione immediata completa? Il punto di vista di Navon si inserisce all'interno di quest'ultima scuola di pensiero: «The idea put forward in this paper is that perceptual processes are temporally organized so that they proceed from global structuring towards more and more fine-grained analysis. In other words, a scene is decomposed rather than built up. Thus the perceptual system treats every scene as if it were in a process of being focused or zoomed in on, where at first it is relatively indistinct and then it gets clearer and sharper»65. Questo tipo di impostazione percettiva ha il vantaggio di garantire al soggetto una visione d'insieme della scena o dello stimolo a cui è sottoposto che, nonostante la bassa risoluzione, permette una valutazione su ciò che è importante e meritevole di attenzione e di elaborazione più approfondita. Egli, infatti, sostiene che: «That is, the activity in the system is triggered by the sensory input but is guided by

64 Navon, D. (1977) Forest before trees: The precedence of global features in visual perception.

Cognitive Psychology, 9(3), pp. 353-383.

expectancies formed by context and early indications from sensory data»66.

Quello che andrò ad esaminare è l'esperimento numero tre nella trattazione di Navon: gli stimoli presentati ai soggetti erano di tipo visivo e il loro riconoscimento doveva basarsi sul livello globale o su quello locale. A livello globale lo stimolo poteva rappresentare la lettera “H” o una “S” ed era composto dagli stessi caratteri a livello locale. Potevano, dunque, crearsi situazioni consistenti, in cui i due livelli coincidevano (ad esempio, una “H” formata da tante piccole “H”) o conflittuali (una “H” formata da “S”). Erano gli sperimentatori ad istruire verso quale livello dirigere l’attenzione ed i soggetti dovevano rispondere premendo il pulsante per la lettera “H” o quello per la lettera “S”. I risultati fecero emergere due risultati: in primo luogo, una maggiore velocità nei tempi di reazione nei casi in cui l'attenzione dei soggetti era diretta verso il livello globale rispetto a quello locale. Oltre a ciò, fu rilevato che, in condizioni conflittuali, i tempi di reazione aumentavano maggiormente quando lo stimolo rilevante era quello locale rispetto a quello globale.

Dall'esperimento di Navon appena descritto emerge, dunque, una maggiore velocità nell'elaborazione del livello globale di uno stimolo rispetto a quella delle sue caratteristiche locali. Tuttavia, ancora più significativo per Navon è la dimostrazione che l'elaborazione del livello globale è necessaria e prioritaria rispetto a quella locale: infatti, nei casi di rilevanza delle caratteristiche locali il livello globale provocava un'interferenza nella fase di selezione della risposta, sintomo del fatto che esso è ugualmente elaborato; tale fenomeno non si verificava, invece, quando l'attenzione era diretta sul livello globale. I risultati furono così commentati da Navon:

The subjects' ability to restrict their attention to the whole suggests either that they can “turn off” recognition processes after the categorization of the global pattern has been completed, or that perceptual processes proceed but have no effect on the response based on the results of global analysis, or that the subjects can voluntarily degrade the quality of the local sensory data (for example, by changing the focus of the eye lense). Either way, the finding that attention cannot be efficiently diverted from the whole may be interpreted as a support to the notion that global processing is a necessary stage of perception prior to more fine-grained analysis67.

Alla luce dell'effetto Stroop precedentemente descritto, l'esperimento di Navon può essere interpretato come il rilevamento di un'interferenza tra due caratterische differenti di uno stimolo, in questo caso quelle globali e locali, derivante dall'automaticità e dalla velocità con cui il soggetto elabora quelle globali. Come conseguenza di tale automaticità si ha una difficoltà a reprimerne l'elaborazione anche quando esse non sono rilevanti per il soggetto. In tal modo, quando si trovano in una situazione conflittuale rispetto alle caratterische locali, viene a crearsi un'interferenza ed un rallentamento nella selezione della risposta.

Per concludere, in questo paragrafo ho fatto spesso riferimento ai tempi di reazione, ossia alla variabile utilizzata dagli sperimentatori per misurare il tempo di elaborazione degli stimoli e per valutare i processi cognitivi che entrano in gioco nei soggetti testati. Il tempo di reazione, definibile come la durata dell’intervallo tra la

presentazione di uno stimolo e la relativa risposta, è un metodo di misurazione molto diffuso in psicologia cognitiva. Nell’articolo «The interpretation of reaction time in

information processing research68», Robert Pachella identifica nella transizione dal

comportamentismo al cognitivismo e, dunque, nella necessità di mantenere un approccio oggettivo nella descrizione dei fenomeni mentali, il motivo della diffusione del metodo del tempo di reazione:

In contrast to earlier, more behavioristic approaches, modern cognitive psychology can be characterized as the study of events which cannot be directly observed. The events of interest to a cognitive psychologist usually take place when the subject is not engaged in any overt activity. They are events which often do not have any overt behavioral component. Thus, reaction times often chosen as a dipendent variable by default: there simply isn’t much else that can be measured. […] The only property of mental events can be studied directly, in the intact organism, while the events are taking place, is their duration69.

I tempi di reazione sono stati usati da Sternberg negli esperimenti sulla memoria condotto alla fine degli anni '60 con il metodo dei fattori additivi. Nell’articolo «Memory-scanning: mental-processes revealed by reaction-time experiments70»,

Sternberg prende le mosse dagli studi portati avanti da Franciscus Donders nel 1868 ed, in particolare, dalla teoria degli stadi, per cui le operazioni mentali si suddividono in fasi

68 Pachella, R.G. (1973) The interpretation of reaction time in information processing research, Human

performance center, Department of Psychology of the University of Michigan, 45, pp. 1-87.

69 Ivi, pp. 5-6.

70 Sternberg, S. (1969) Memory-scanning: mental-processes revealed by reaction-time experiment,

che si susseguono serialmente. Questa teoria comporterebbe che, conoscendo il tempo di reazione totale usato per svolgere un’operazione, è possibile, tramite il metodo della sottrazione, isolare e calcolare il tempo utilizzato per ogni singolo processo mentale71.

L’obiettivo di Sternberg era riutilizzare le teorie di Donders, modificandole e perfezionandole nel metodo dei fattori additivi tramite la sostituzione dell’assunzione del puro inserimento con quella dell’influenza selettiva. L’assunzione di puro inserimento prevedeva che un certo cambiamento nel compito affidato ad un soggetto comportasse l’inserimento di uno stadio, ossia di un processo mentale addizionale senza che, tuttavia, gli altri stadi venissero modificati. Secondo Sternberg, tale assunzione doveva essere sostituita da una più debole, ma la cui validità era stata provata dai suoi esperimenti sulla memoria, ossia l’assunzione dell’influenza selettiva: «Instead of requiring that a change in the task insert or delete an entire processing stage without altering others, the weaker assumption requires only that it influences the duration of some stage without altering others»72. Lo psicologo aveva dimostrato, infatti, che aggiungendo dei fattori in un esperimento visivo era possibile o meno riscontrare un’influenza sull’aumento dei tempi di reazione, a seconda del fattore in questione. L’impiego da parte di Sternberg dei tempi di reazione per studiare i processi mnemonici costituisce solo un esempio di come questo metodo venne utilizzato per sezionare una certa operazione mentale ed individuarne gli stadi. Infatti, la misurazione dei tempi di reazione è utilizzata in quasi tutti gli esperimenti esposti in questa tesi: nel caso di due

71 «To use the subtraction method one contructs two different tasks in which RT can be measured, where the second task is thought to require all the mental operations of the first, plus an additional inserted operation.The difference between mean Rts in the two tasks is interpreted as an estimate of the duration of the inserted stage. This interpretation depends on the validity of both the stage theory and an assumption of pure insertion which states that changing from Task 1 to Task 2 merely insert a new processing stage without altering the others». Ivi. p. 421.

compiti simili che differiscono per una sola variabile, essa fornisce una prova evidente del fatto che il cambiamento di quella variabile comporta una modifica dei processi mentali impiegati.