SEGUITO DELLA RIFORMA COSTITUZIONALE
4. L’attuazione della normativa europea da parte di Regioni e Province autonome: le deroghe al riparto di
competenze interno.
Le attività di “trasposizione” delle direttive da parte degli organi dello Stato (complessivamente inteso e comprensivo di tutti gli enti titolari di autonomia costituzionale ai sensi dell’art. 114 Cost.), attiene non all’esigenza di fornire tali atti di un fondamento di “rilevanza interna”, ma a quella di predisporre gli ulteriori adempimenti normativi ed amministrativi necessari a dare attuazione agli obiettivi previsti dalla normativa sovranazionale. Com’è stato da tempo messo in luce, le norme predisposte dalle direttive dell’Unione europea (anche non ancora concretamente attuate) godono dello stesso regime assegnato alle norme programmatiche (D’Atena).
L’attuazione delle direttive comunitarie nel nostro ordinamento, dopo la riforma del Titolo V, trova conferma nel quinto comma dell’art. 117 Cost. che sancisce il diritto-dovere delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano di dare attuazione ed esecuzione alla normativa comunitaria e agli accordi internazionali nelle materie di propria competenza “nel rispetto delle
norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”. Secondo il
disposto costituzionale, dunque, la Regione ha competenza ad attuare la normativa comunitaria che vada a regolare gli ambiti materiali di propria competenza, ma deve farlo secondo le modalità procedimentali che lo Stato decida di adottare con legge, prescindendo dalla valutazione di strumentalità delle soluzioni legislative rispetto al perseguimento dell’obiettivo della migliore attuazione possibile del diritto comunitario e, tanto meno, della previa valutazione della sufficienza dei mezzi ordinari che la Regione ha a sua disposizione per il conseguimento di siffatto obiettivo324.
Ebbene, il predetto comma quinto vuole confermare quanto affermato nel primo comma dell’art. 117 in quanto sottolinea che i vincoli derivanti dall’Unione europea e dagli obblighi internazionali diventano maggiormente incisivi e stringenti per le Regioni e le Province autonome, chiamate a dare attuazione ad una quantità maggiore di atti europei, in presenza di un numero di settori di competenza più elevato.
Sul punto, è necessario soffermarsi, nel proseguimento della trattazione, al fine di verificare quanto la regola del rispetto dell’ordine interno della distribuzione delle competenze fra lo Stato e le Regioni possa valere anche nel momento in cui nel nostro ordinamento si dia attuazione alle norme comunitarie (come abbiamo visto nel capitolo 1 del presente lavoro, il parallelismo delle competenze tra affari interni e comunitari costituisce regola acquisita negli altri Stati membri a struttura regionale o federale).
Tuttavia, si osservi, e proveremo a darne conferma, che il nuovo quadro costituzionale è caratterizzato dalla presenza di
324 CARAVITA B., La Costituzione dopo la riforma del Titolo V, Torino, 2002; MANFRELLOTTI R., La partecipazione delle
Regioni all’attuazione del diritto comunitario alla luce delle riforme costituzionali, in Regioni e dinamiche di integrazione europea, CHIEFFI L.,
norme e istituti che circoscrivono la portata della garanzia costituzionale dell’autonomia. Permangono, infatti, in capo allo Stato, poteri di intervento325 paragonabili a quelli consentiti dalla disciplina costituzionale originaria di cui appare necessario individuare l’effettiva consistenza al fine di indicare la reale portata del principio dell’esclusiva responsabilità delle regioni nell’attuazione del diritto comunitario nelle materie di propria competenza.
Se da un lato, infatti, il testo costituzionale riconosce maggiori poteri alle Regioni nel processo di attuazione del diritto europeo e del diritto internazionale, dall’altra, il medesimo testo non delinea in modo compiuto le soluzioni da assumere demandando al legislatore ordinario il compito di operare scelte più delicate che possono incidere fortemente sulla consistenza delle attribuzioni regionali nei confronti dell’Unione europea326. In buona sostanza, l’art. 117. co. 5, Cost. delinea una forte asimmetria tra le materie di competenza regionale di rilievo meramente interno rispetto a quelle che sono interessate, invece, da interventi dell’Unione europea; ci si discosta, così, dal suesposto principio del parallelismo tra affari interni ed esterni caratteristico degli altri Stati membri. L’autonomia legislativa regionale è potenzialmente libera, infatti, soltanto nel primo caso, dovendo, nel secondo, soggiacere alle norme di procedura adottate con legge ordinaria.
Sarebbe troppo facile affermare che le Regioni abbiano acquisito un vero potere all’interno del processo comunitario a seguito della riforma costituzionale. Nel sistema costituzionale precedente, come abbiamo visto, il riconoscimento della potestà regionale di attuare il diritto comunitario risultava circoscritto dalla stessa limitatezza delle competenze regionali e dalla loro continua interazione con le competenze statali in ciascuna materia. Una volta che le competenze regionali sono state estese dal rinnovato testo costituzionale (ad un livello più approfondito dell’esame è da verificare quanto effettivamente tali competenze siano aumentate) si pone il problema della misura in cui l’attuazione del diritto comunitario debba essere differenziato a seconda delle caratteristiche specifiche delle Regioni o uniformato su tutto il territorio nazionale e se la scelta a favore della differenziazione possa risolversi in un inadempimento agli obblighi comunitari oppure in un mancato rispetto della normativa comunitaria che legittimi l’art. 120 Cost.
Dalla disposizione costituzionale del comma quinto dell’art. 117 Cost. si ricava un vero e proprio obbligo di attuazione per le Regioni, sia a statuto ordinario sia speciale, e per le Province
325 Ricordiamo, come menzionato nel capitolo precedente, che tali poteri, nel sistema pre-riforma, consistevano nell’esercizio dei poteri sostitutivi in capo allo Stato nell’ipotesi di inerzia della Regione, pur nel silensio della Costituzione sul punto, nell’esercizio della funzione statale di indirizzo e coordinamento, pur in assenza di autorizzazione da parte di norme primarie interne, sulla sola base giuridica costituita dall’atto comunitario, nonché l’intervento preventivo attraverso norme legislative statali di dettaglio in attuazione del diritto dell’Unione nelle materie di competenza regionale.
326 TRIPODI S., La fase indiretta della partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari: alcune osservazioni sul ddl di
riforma della legge “La Pergola”, in www.federalismi.it, n. 4 del 2001; perplessità analoghe circa l’estrema genericità della norma costituzionale, sono state espresse da D’ATENA A., Regioni e processi comunitari di decisione, in L’Italia verso il federalismo, Milano, 2001; RUGGERI A., Le fonti del diritto regionale: ieri, oggi e domani, Torino, 2001.
autonome, che incombe con riguardo ad ogni tipo di competenza, concorrente o residuale, che si deduce dalla Carta costituzionale.
E’, dunque, l’assetto di ripartizione interna delle competenze che si pone come cartina di tornasole per la verifica di un effettivo ruolo delle regioni nell’attuazione del diritto comunitario. La definizione dei rispettivi ambiti di competenza tra Stato e regioni si configura, perciò, essenziale alla determinazione in concreto dell’obbligo costituzionale in capo a Regioni e Province autonome.
Il sistema delle competenze legislative tra Stato e Regioni si costruisce dalla lettura combinata dei commi 1, 2, 3, 4, 6 dell’art. 117, da cui ne deriva, in primo luogo, l’obbligo, in capo al legislatore statale e regionale, di dare compimento ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (art. 117, comma 1); il diritto-dovere delle Regioni di dare direttamente attuazione alla normativa comunitaria nelle materie di propria competenza e quindi, anche senza il previo intervento statale di recepimento (comma 5, art. 117); il riparto di competenze, legislative e regolamentari, concretamente definito in base agli elenchi di materie previsti dai commi 2 e 3 dell’art. 117 e dalla clausola residuale per la competenza esclusiva delle regioni, di cui al successivo comma quattro, nonché dal riparto della potestà regolamentare previsto dal sesto comma; il rispetto delle norme delle direttive comunitarie valevoli quali principi per la legislazione regionale di attuazione nelle materie di potestà concorrente.
Teoricamente parlando, l’adozione di una direttiva comunitaria, la cui attuazione tocchi una materia attribuita alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, legittimerebbe il diretto intervento del livello regionale. In tale evenienza, la Regione sarebbe tenuta ad intervenire senza doversi attendere dallo Stato la previa adozione della legge cornice (o senza che debba preoccuparsi di dedurre dalla legislazione statale preesistente i principi fondamentali). Questo perché l’adozione della direttiva e l’attuazione da parte regionale sono in condizione di esaurire, almeno in via di principio, la disciplina richiesta da una specifica materia. Di conseguenza, la competenza dello Stato a porre i principi fondamentali risulterà “congelata”327, nel caso in cui non fosse stata ancora esercitata o sospesa nella sua efficacia; in questo modo, avallando l’ipotesi che la Regione, in assenza di una legge cornice statale, debba ricavare i principi fondamentali dalla legislazione statale già in vigore.
Sul punto, la Corte costituzionale328 assume come legittima l’attuazione regionale di una direttiva che intervenga in un ambito di potestà legislativa concorrente, anche in mancanza di legge statale che stabilisca i principi fondamentali cui la Regione si dovrebbe attenere. Secondo la Corte, infatti, la Regione, nel caso di specie, ha rispettato i “principi generali desumibili dalla direttiva, nonché i
principi e i criteri direttivi contenuti nella normativa statale”. Le Regioni
potranno, pertanto, recepire direttamente gli atti comunitari non
327 DI SALVATORE E., Le relazioni delle Regioni italiane con l’Unione europea: fondamento costituzionale, normativa statale e disciplina
statutaria, in (a cura di) D’ATENA A., Regionalismo e sopranazionalità, op. cit., p. 114.
solo nei propri ambiti di competenza residuale, ma anche, pur in assenza dei principi fondamentali, in ambiti di competenza concorrente, laddove rispettino le disposizioni delle direttive comunitarie che abbiano valore di principi fondamentali della materia.
Ragionando in tal senso, sarebbe, peraltro, destituita di ogni rilevanza la presenza, all’interno della legge comunitaria regionale, della clausola di cedevolezza inversa, con la quale la regione dichiara che le disposizioni della legge comunitaria regionale “sono adeguate agli eventuali principi generali successivi individuati
dallo Stato nelle proprie materie di competenza esclusiva e concorrente” con
riferimento alle direttive recepite dalla Regione.
Molto più ovvia sarebbe potenzialmente l’attuazione della normativa comunitaria nelle materie di legislazione regionale esclusiva che trova giusta delimitazione solo nella cornice ben definita delle direttive comunitarie che sono sempre più spesso direttive specifiche e dettagliate. Tali direttive, appunto, possono essere direttamente applicate e fare corpo con la legge regionale senza bisogno del loro recepimento ad opera della legge statale. Diversamente, lo Stato potrà comunque attivare la propria competenza a fronte di una direttiva “facoltizzante” oppure qualora questa si prestasse ad essere ancora integrata nella disciplina che reca e quindi richieda un’uniformità a livello di determinazione dei principi.
E’ proprio l’incontro, sul terreno del diritto interno, tra norme statali e norme comunitarie, che causa alcune delle problematiche più dibattute, in quanto è noto come l’Unione europea e il relativo diritto abbiano causato una trasformazione rilevante del diritto nazionale e delle sue fonti.
L’incidenza della normativa europea329 sul riparto costituzionale delle competenze tra enti territoriali trova il proprio fondamento nell’idoneità del diritto comunitario a derogare al regime costituzionale della produzione del diritto. Tuttavia, la convergenza del diritto comunitario sul sistema delle competenze interno ha raggiunto un così alto livello da essere in condizione di poter introdurre deroghe rilevanti al disegno costituzionale.
Come rilevato ampiamente dalla letteratura330, vi sono tre differenti possibili modalità di ingerenza dello Stato nelle materie di competenza regionale interessate dalla normativa comunitaria.
In primo luogo, si può verificare l’ipotesi in cui la normativa comunitaria, incidente su una materia regionale, viene attuata dallo Stato, e non invece dalla Regione, quando occorra perseguire interessi nazionali territorialmente non frazionabili o per esigenze unitarie che impongono l’attuazione uniforme delle norme europee; nel secondo caso, quando occorra dare tempestiva attuazione alle norme comunitarie dinanzi all’inerzia delle Regioni; il terzo caso riguarda l’ipotesi in cui sono le stesse norme comunitarie ad imporre espressamente per “esigenze organizzative” facenti capo all’Unione Europea.
329 Diciamo normativa europea, in quanto il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, elimina ogni riferimento alla Comunità europea, e, dunque, al diritto comunitario, in favore dell’Unione europea.
Quest’ultima ipotesi trova concreta cittadinanza nella sentenza della Corte Costituzionale n. 126 del 1996 in cui si accenna all’eventualità che norme comunitarie - in ragione di “esigenze organizzative” proprie della UE – fondino norme statali di attuazione derogatrici del riparto costituzionale.
La predetta fattispecie di deroga si aggiungerebbe, dunque, alle tradizionali esigenze “interne” poste a fondamento di norme statali, attuative di fonti comunitarie, incidenti su competenze regionali – e cioè il principio di unità della Repubblica di cui all’art. 5 Cost. e il rispetto degli obblighi internazionali dello Stato di cui all’art. 11 Cost. – quale esigenza “esterna” all’ordinamento.
Sul punto, la dottrina si è accesa con posizioni differenti. Infatti, l’ipotesi che le esigenze organizzative comunitarie possano farsi valere in via diretta, alterando volontariamente l’assetto costituzionale delle competenze, è stata criticata da coloro che individuano esclusivamente in limiti costituzionali interni il presupposto di modifiche alla distribuzione delle competenze indotte dalla normativa comunitaria331.
Peraltro, l’ipotesi che l’Unione europea faccia valere esplicitamente esigenze organizzative proprie, interferendo in via diretta e volontaria sull’assetto delle competenze interno agli Stati membri, si legge in contraddizione con il principio di indifferenza che caratterizza tale ordinamento nei confronti delle realtà territoriali: in tal senso, l’Unione imporrebbe scelte organizzative alle quali si sarebbe dichiarata indifferente.
Tale indirizzo della Corte ha trovato conferma nella sentenza n. 398 del 2006 della Corte Costituzionale332, in cui, chiamata a decidere sulla legittimità della prima legge comunitaria regionale333, ha infatti dettato alcuni principi rilevanti in relazione all’attuazione della normativa comunitaria da parte dello Stato e delle Regioni.
In particolare, essa ha statuito che “le esigenze unitarie poste a
base di un eventuale accentramento nello Stato della competenza ad attuare una direttiva comunitaria – in deroga al quadro costituzionale interno di ripartizione della funzione legislativa – devono discendere con evidenza dalla stessa normativa comunitaria, sulla base di esigenze organizzative che ragionevolmente facciano capo all’Unione europea”. Se ciò fosse vero,
sembrerebbe conseguire che, in mancanza di tale indicazione nelle direttive, il quadro costituzionale di riparto delle competenze statale e regionali deve restare impregiudicato e, dunque, l’attuazione della normativa dovrà conformarsi alle norme interne dello Stato. Ma non è così: questa, infatti, è solo un’ipotesi di deroga aggiuntiva che si va ad affiancare a quelle, decise
331 Così appunto, ANZON A., L’attuazione degli obblighi comunitari: la legge comunitaria e il ruolo delle Regioni (30 marzo 2001), in
Seminario sui mutamenti costituzionali in Italia nel quadro dell’integrazione europea (svoltosi alla LUISS a cura si S. PANUNZIO), in
www.luiss.it., la quale afferma che i richiamati poteri di ingerenza statale trovano il loro fondamento in “precisi limiti costituzionali interni imposti in via generale dalle norme costituzionali all’esercizio di tutte le attribuzioni regionali”: circostanza che l’A. ricollega alla sussistenza di una regola generale per la quale “ogni limite alla competenza regionale proveniente dalla normativa comunitaria è filtrata da limiti di carattere costituzionale interno”.
332 TRIPODI S., L’attuazione regionale delle direttive e le clausole di cedevolezza, in www.federalismi.it, n. 9/2007.
333 Si tratta della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 6 maggio 2005, recante disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione Friuli-Venezia Giulia derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità europea (Legge comunitaria 2004).
dell’ordinamento interno, che comportano un’arbitraria invasione nelle competenze dell’autonomia.