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Il recupero “pretorio” del potere sostitutivo. La

SISTEMA PRERIFORMA

2. L’ago della bilancia a favore dell’intervento statale

2.1 Il recupero “pretorio” del potere sostitutivo. La

posizione della giurisprudenza costituzionale.

L’impostazione seguita dal legislatore statale col decreto di trasferimento veniva fatta salva e ritenuta conforme a Costituzione

143 CONDORELLI e STROZZI, L’agricoltura fra Comunità economica europea, Stato e Regioni, Bologna, 1973, p. 33 ss.

144 Così, testualmente, l’art. 4 lett. a) D.P.R. n. 11 del 1972 afferma che resta ferma la competenza degli organi statali in ordine “ai rapporti internazionali e con la Comunità economica europea”; lett. b) che analoga riserva vale per quanto attiene “all’applicazione di regolamenti e direttive e altri atti della Comunità economica europea concernente la politica dei prezzi e dei mercati, il commercio dei prodotti agricoli e gli interventi sulle strutture agricole” e ribadisce il medesimo principio alla lett. m) in relazione “agli interventi, a favore degli organismi associativi dei produttori agricoli, previsti dai regolamenti della Comunità economica europea”.

145 In particolare l’art. 13 lett. a) D.P.R. n. 11 del 1972 delegava alle Regioni la “formulazione di programmi regionali di intervento da proporre al Ministero dell’agricoltura e delle foreste in applicazione dei regolamenti della Comunità europea relativi alle strutture agricole ad attuazione degli interventi conseguenti alle decisioni comunitarie, fatti salvi i rapporti finanziari, anche ai fini delle certificazioni di spesa, con la Comunità economica europea”. v. ELIA L., Decreto e funzioni

internazionali, in Il trasferimento dell’agricoltura alle Regioni, INEA-ISAP, Bologna, 1972. BASSANINI F., Le Regioni tra Stato e comunità locali, Bologna, 1976, p. 149.

146 LA PERGOLA A., op. cit., p. 1080; MAZZIOTTI M., op. cit.

dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 142 del 1972148

adottata a seguito del giudizio di legittimità costituzionale assunto in via principale in relazione, appunto, al summenzionato DPR. Le censure, proposte da alcune Regioni e rivolte contro gran parte delle disposizioni del DPR per il contrasto con l’art. 117 e 118, nonché con l’art. 76 Cost., per l’inosservanza dei principi contenuti nell’art. 17 della legge di delega 16 maggio 1970, n. 281149, lamentavano, appunto, la competenza riservata agli organi statali in ordine ai rapporti internazionali e con la Comunità economica europea, affermandone la illegittimità in ordine a materie, come l’agricoltura, attribuite dalla Costituzione alla competenza delle Regioni. Attribuendo, infatti, allo Stato questi poteri, le Regioni avrebbero subito una doppia compressione delle competenze, condizionate sia dalla normativa comunitaria sia dalla normativa nazionale di recepimento.

In precedenza150 la Consulta si era pronunciata sull’attrazione di poteri e funzioni nell’orbita statale deducendola dalla esclusiva responsabilità dello Stato nei confronti delle istituzioni internazionali e comunitarie, a esclusivo detrimento delle competenze regionali.

Tuttavia, la sentenza de qua aggiungeva un quid pluris allo stato dell’arte sulla materia di esecuzione degli obblighi comunitari. La Corte, nonostante il tenore del dispositivo, esprimeva delle considerazioni innovative, quasi contraddicendo implicitamente l’operato del Governo e facendo derivare la affermata “riserva statale” in materia comunitaria non dalla logica del riparto di competenze tra Stato e Regioni bensì dalla mancanza, nel nostro ordinamento, di strumenti idonei a fare fronte ad una eventuale inerzia151 delle Regioni152, nonostante la fitta trama di controlli definita in Costituzione.

Specificamente, l’attribuzione del potere di attuazione alle Regioni avrebbe dovuto considerare, sulla scorta delle considerazioni della Corte, l’eventuale violazione o mancata attuazione delle norme comunitarie in cui avrebbero potuto incorrere le Regioni medesime. Nel qual caso la responsabilità sarebbe stata sic et simpliciter imputabile allo Stato, che, come detto, è il solo soggetto responsabile di eventuali inadempimenti davanti alle istituzioni comunitarie, in quanto in caso di inadempimento, si

148 Corte Costituzionale, sentenza 6 luglio 1972, n. 142, Presidente Chiarelli – Rel. Mortati;

149 La dizione letterale dell’art. 17 della legge di delega 281/1970 ha disposto il trasferimento alle Regioni solo di quelle funzioni amministrative che, per una parte, risultino inerenti alle materie elencate nell’art. 117 Cost., e siano contenute nel limite degli interessi connessi alle esigenze delle singole Regioni senza travalicare in quelli propri dello Stato e di altre Regioni.

150 Corte Costituzionale, sentenza 11 luglio 1961, n. 46, in www.giurcost.org, ove si afferma testualmente che “…è

incontrovertibile il potere che affida allo Stato, e solo ad esso, l’esecuzione all’interno degli obblighi assunti in rapporti internazionali con altri Stati”; sentenza n. 32 del 1960 e n. 21 del 1968, in cui si afferma che tutto ciò che attiene “a quello che si suol designare

potere estero” costituisce una “sfera nella quale le Regioni non hanno ingerenza”, in quanto costituisce materia di “spettanza esclusiva dello Stato”.

151 Si è osservato come l’inerzia regionale costituisca un passaggio strumentale all’adozione del provvedimento sostitutivo. L’inerzia viene definita in dottrina come inattività contraria ad un precetto positivo che impone all’amministrazione il compimento di un’attività o l’adozione di un provvedimento. Il presupposto è quello di una previsione normativa che ha già operato a monte.

sarebbe trovato sprovvisto degli strumenti necessari per intervenire.

Può ben vedersi come la Corte Costituzionale non appariva pregiudizialmente contraria alla competenza delle Regioni in materia di attuazione della normativa comunitaria153, ma apriva uno spiraglio per un loro riconoscimento, pur ritagliando ad esse un certo spazio nell’ambito delle sole funzioni delegate. L’ostacolo, peraltro, che si poneva consisteva nell’ammettere la sostituzione rispetto alle funzioni amministrative proprie delle Regioni; infatti, lo Stato non poteva sostituirsi nell’esercizio della competenza una volta effettuato il trasferimento154.

La Corte, dunque, nella sentenza 142/1972, dichiarava l’illegittimità della censura proposta per le funzioni amministrative oggetto di trasferimento alle Regioni, considerandola ammissibile solo con riferimento agli interventi sulle strutture agricole, materia oggetto di delegazione, ai sensi dell’art. 118 secondo comma. Alla luce di tale dispositivo, il solo mezzo utilizzabile per far concorrere le Regioni all’attuazione dei regolamenti comunitari sembrava essere quello della delegazione di poteri che, appunto, offre il rimedio della sostituibilità del delegante in caso di inadempimento del delegato.

Sotto un profilo dogmatico, la delegazione, infatti, se si accoglie l’orientamento che la connota come attribuzione in via derivata di poteri e facoltà da parte del legittimato originario ad un altro organo, in cui il primo soggetto non perde la propria competenza sull’oggetto della delegazione155, permette la sostituzione.

E’, dunque, - ad avviso della Corte - il potere sostitutivo lo strumento che consente, in prima istanza, l’attuazione della normativa comunitaria da parte delle Regioni per poi permettere l’invasione dello Stato nella sfera di competenza delle Regioni in caso di loro inerzia. Problematica si rivelava la ricerca del suo fondamento all’interno della Costituzione del 1948 che non prevedeva alcuna forma espressa di sostituzione di tipo amministrativo né tantomeno di tipo legislativo156.

La Corte, nella sentenza n. 142/72, ricorre al limite dell’interesse nazionale – che trova espressa cittadinanza nell’art.

153 TOSATO G.L., art. 6, Commento al decreto 616, AA.VV., a cura di E. Capaccioli e F. Satta, Milano, 1980.

154 CRISAFULLI V., L’attuazione delle Regioni di diritto comune e la Corte Costituzionale, Scritti in onore di G. Chiarelli, 1972, il quale auspica, per restituire organicità alle attribuzioni amministrative delle Regioni, laddove il prevalere delle esigenze unitarie ne impedisce il trasferimento integrale, un uso largo della delegazione dell’esercizio dei poteri amministrativi riservati allo Stato, secondo la previsione dell’art. 118 Cost.

155 MIELE G., Delega (dir. Amm.), Voce Enciclopedia del diritto, 1962; M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Giuffrè, 1970, configura, in senso opposto, la delegazione come trasferimento dell’esercizio del potere mediante un atto e fondato sulla legge. Ancora sull’istituto della delegazione, DE VALLES che vede la delega come istituto unitario da spiegare come competenza alternativa; la norma prevedrebbe due organi competenti per una stessa materia o per uno stesso provvedimento, l’uno a competenza normale, l’altro a competenza sussidiaria che potrebbe essere esercitata intervenendo l’atto di delega; quest’ultimo sarebbe perciò un provvedimento di natura autorizzativa; in senso opposto TRIEPEL nega il carattere unitario della delega e considera DELEGA IN SENSO PROPRIO quella che correlativamente all’accrescimento di competenza del delegato ha per conseguenza una diminuzione di competenza del delegante. Nel caso di deleghe di intere funzioni, come nel caso di Stato e Regioni, si avrebbe un caso di “amministrazione impropria” o “affidamento di funzioni”.

156 Il potere sostitutivo è stato introdotto solo mediante legislazione ordinaria con il chiaro avallo della Corte Costituzionale che ha stabilito, come vedremo, quei parametri di attuazione necessari a che la potestà sostitutiva fosse compatibile con la trama dei principi costituzionali.

117 - per affermare l’esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato.

In questo modo la Corte recuperava l’istituto della sostituzione, già noto in ambito amministrativo, in ragione della quale un ente si sostituisce ad altro ente nell’emanazione di singoli atti di competenza di quest’ultimo, che siano obbligatori per legge, nei casi in cui l’ente titolare non ottemperi all’emanazione degli atti medesimi157.

La pronuncia del giudice costituzionale del 1942 è da considerare di indubbia novità158, volta ad affermare una iniziale torsione verso il riconoscimento delle competenze regionali in ordine all’attuazione della normativa comunitaria e ad affermare la chiara necessità di riservare allo Stato un potere d’intervento per ovviare ad eventuali inadempienze159.

Nel contempo, la sentenza in questione ha suscitato critiche da parte di chi160 ha letto la pronuncia costituzionale in senso restrittivo, nel senso che la esclusiva attrazione delle competenze di attuazione comunitarie in capo allo Stato avrebbe comportato un’alterazione nella distribuzione costituzionale delle competenze.

Altra dottrina161 cominciava a rendersi consapevole dell’“omissione dei padri costituenti” i quali non avevano previsto strumenti che evitassero di rendere lo Stato totalmente “disarmato”162 nei confronti delle inadempienze eventualmente addebitabili alle Regioni legittimandolo ad adottare, in luogo di quest’ultime, gli atti ad esse riservati dalla Costituzione nelle materie indicate dall’art. 117163.

La potestà di sostituzione, sebbene non presente nell’impianto costituzionale del 1948, costituiva una realtà acquisita nell’ordinamento sin dalla legge per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia come attribuzione allo Stato della potestà di intervento in sostituzione degli organi di governo locali. Fortemente ingerenti erano i poteri sostitutivi esercitati, in particolare, dalla figura del Prefetto che, nella veste di longa manus del Governo, assumeva in sé significativi poteri di controllo e coordinamento delle realtà locali, vigilando sull’andamento delle

157 CERULLI IRELLI V., Corso di diritto amministrativo, Giappichelli, 1997.

158 Sulla portata innovativa della sentenza n. 142 della Corte Costituzionale rispetto alle precedenti pronunce, v. BASSANINI F., Attuazione regionale delle direttive comunitarie e intervento sostitutivo dello Stato, in Le Regioni, 1976, p. 150; MORVIDUCCI, The International activities of the Italian Regions, in The Italian Yearbook of International Law, 1976, p. 204.

159 CELOTTO A., Competenze regionali e potere sostitutivo statale nell’attuazione del diritto comunitario, Nota a sentenza Corte Costituzionale, 27 luglio 1989, n. 460, in Giur. it., fasc. 7, 1990.

160 CRISAFULLI V., L’attuazione delle Regioni di diritto comune e la Corte Costituzionale, in Politica del diritto, 1972; BASSANINI F., Tendenze della recente giurisprudenza della Corte costituzionale sulle Regioni di diritto comune, Giur. Cost. 1976.

161 D’ATENA A., Prospettive sul regionalismo nel processo di integrazione europea, Giur. Cost., 1989, il quale rileva che i nostri Padri costituenti, pur avendo tratto larga ispirazione dal federalismo europeo, non hanno comunque previsto nel nostro ordinamento giuridico uno strumento assimilabile all’esecuzione federale o bundexekution.

162 L’espressione si rinviene nella sent. 182 del 1976 della Corte Costituzionale.

163 Tali strumenti sono individuati dalla dottrina: nel conflitto di attribuzioni di cui all’art. 134 Cost.; per questa ipotesi vedi M. CARBONE, Il ruolo delle Regioni nella elaborazione ed attuazione degli atti comunitari, in Foro it. 1973; P. CARETTI, Potere

sostitutivo dello Stato e competenze regionali in attuazione di obblighi comunitari, Giur. It. 1976; nello scioglimento anticipato del

Consiglio regionale, a norma dell’art. 126 Cost. vedi CONDORELLI, Le Regioni a statuto ordinario e la riserva statale in materia di

rapporti internazionali, in Pol. Dir. 1973; F. BASSANINI e CARETTI, Autonomie regionali e poteri comunitari, relazione presentata

al Convegno su Comunità europee e ruolo delle Regioni, organizzato dal Consiglio regionale della Lombardia e dal Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, Milano 26-27 ottobre 1979.

pubbliche amministrazioni nella loro interezza. Questi poteri erano ampiamente giustificati allorché esercitati nei confronti di enti locali caratterizzati dall’autarchia164 ed inseriti in un impianto costituzionale improntato all’ingerenza dello Stato sui vari soggetti territoriali e che connotava i rapporti tra detti soggetti secondo relazioni di tipo gerarchico.

L’assenza dell’istituto del potere sostitutivo nell’intelaiatura della Costituzione del 1948 lasciava intravedere un certo timore nell’ammissibilità di strumenti che fossero di diretta manifestazione della supremazia dello Stato.

Pertanto, due erano gli argomenti che impedivano di prefigurare l’ammissibilità del potere sostitutivo quale strumento di chiusura per ovviare all’inadempimento regionale: l’assenza della previsione costituzionale e legislativa di tale strumento e l’argomento, additato da un’ampia parte della dottrina, della presenza di ulteriori strumenti e rimedi già in grado di ovviare all’inadempimento.

L’indirizzo aperto dalla sentenza 142/72 non è stato, comunque, recepito successivamente, in sede legislativa, in quanto il disegno di legge governativo n. 2444 del 12 giugno 1973, relativo all’attuazione delle direttive CEE n. 159, 160 e 161 del 1972 per la riforma dell’agricoltura, confermava l’indirizzo precedente: dettando una disciplina applicativa minuziosa di direttive già di per sé molto dettagliate e operando una delega alle Regioni di talune limitate funzioni amministrative, il disegno di legge ribadiva nettamente il principio dell’esclusiva competenza dello Stato in materia di attuazione di obblighi comunitari165.

3. Gli strumenti alternativi di adempimento presenti in