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Gli interventi legislativi di disciplina della fase discendente

SISTEMA PRERIFORMA

5. Modalità di attuazione della normativa comunitaria nell’ordinamento italiano

5.1. Gli interventi legislativi di disciplina della fase discendente

Dopo aver tratteggiato i contorni giuridici e dogmatici, nonché i presupposti storici del potere sostitutivo, occorre soffermarsi sugli interventi legislativi che hanno offerto l’ingresso di tale istituto nel nostro ordinamento. Occorre osservare che la disciplina vigente in merito è frutto di una stratificazione normativa.

Si traccia, dunque, di seguito, un excursus legislativo, antecedente alla riforma costituzionale del 2001, in materia di attuazione degli obblighi comunitari, tenendo in debita considerazione che le questioni circa la fase discendente di attuazione della normativa comunitaria sono strettamente incidenti sul riparto interno di distribuzione delle competenze sul quale, infatti, vengono scaricati i rischi più rilevanti.

L’orientamento sin qui delineato, rigorosamente informato alla logica dell’ “espropriazione”209 delle competenze regionali in ordine all’attuazione della normativa comunitaria, non poteva giustificarsi ancora a lungo data la palese incompatibilità con i principi costituzionali di garanzia delle autonomie costituzionali della Repubblica. La tendenza all’esclusione non è nemmeno avallata da esigenze proprie del diritto comunitario in quanto diverso è l’obiettivo posto da quest’ultimo. Infatti, fermo restando il dovere comunitario in capo agli Stati membri di dare puntuale attuazione alle norme comunitarie, comunque, piena libertà di

207 PALADIN L., Potestà legislativa regionale, Padova, 1958, p. 29 ss.

208 Per i dubbi di costituzionalità v. BASSANINI F., Le Regioni, op. cit.; STARACE, La competenza, op. cit.,; di diverso avviso, GIZZI,…per il quale se “si ammette la non incostituzionalità d’un rimedio a posteriori…non si vede come si possa non ammettere un intervento preventivo e generale”.

determinare gli organi a ciò competenti, in linea con l’assetto costituzionale interno210, viene riconosciuta agli Stati membri dal diritto comunitario.

Il differente indirizzo regionalista, prevalente in dottrina, improntato all’ampliamento della competenza regionale in materia, veniva inaugurato dalla successiva legge di trasferimento dei poteri legislativi alle Regioni ordinarie, la L. 9 maggio 1975, n. 153211 e culminava nel DPR 24 luglio 1977, n. 616. La L. n. 153/75 si può ben definire come il primo intervento legislativo in materia di potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni in relazione all’esercizio di funzioni amministrative.

Il sistema previsto dalla presente legge sembrava porsi in un continuum con le aperture previste dalla nota e già commentata sentenza del 1972, consentendo l’avvio di un complessivo ripensamento di un tema complesso quale quello relativo ai rapporti tra ordinamento regionale, così come disegnato in Costituzione, e il sistema comunitario.

La legge n. 153, dando attuazione a tre direttive comunitarie per la riforma dell’agricoltura, riconosceva alle Regioni ordinarie e a statuto speciale il potere di attuare con proprie leggi le direttive stesse, rispettando comunque i principi generali posti dalla legge statale, oltre ai principi posti dalle direttive, così da poter recuperare in sede interna ciò che la Comunità aveva loro sottratto e da poter adattare la normativa alle esigenze dei vari territori regionali.

Tuttavia, l’impianto sistematico della legge, accanto alla suddetta facoltà concessa alle regioni, contemplava l’ipotesi dell’eventuale inerzia da parte di esse nell’attuare le direttive, circostanza che, fino ad allora, era rimasta estranea al legislatore ordinario ma prevista dalla giurisprudenza costituzionale. Si aprono, così, con la legge 153/75, le porte alla c.d. sostituzione legislativa che consente di applicare direttamente, in via preventiva, la legislazione statale in esame, anche di dettaglio, fino al concreto esercizio della potestà regionale per salvaguardare le esigenze di rispetto degli obblighi internazionali a carico dello Stato212.

Tale riferimento normativo si scontrava, però, con la prassi, tutt’altro che infrequente, dell’inadempimento dello Stato nell’adottare la legge di recepimento nei termini previsti; in tal

210 In riferimento a ciò, si fa riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità 15 dicembre 1971, C-51-54/71 che attribuisce i poteri di attuazione del diritto comunitario anche agli organi interni dei singoli Stati secondo il sistema costituzionale di questi ultimi. Sulla neutralità del diritto comunitario, v. OLMI, Intervento, in Regioni, programmazione e Comunità

Europee, cit., vol. I; ELIA L., Decreto, op. cit.; CARBONE, Il ruolo delle Regioni nella elaborazione ed attuazione degli atti comunitari, in

Foro it., 1973.

211L. 9 maggio 1975, n. 153, recante “Attuazione delle direttive del Consiglio della Comunità europea per la riforma dell’agricoltura”.

212 La tendenza ad attendere l’adozione della legge statale veniva contraddetta dall’atteggiamento nei confronti delle Regioni a statuto speciale, la cui disciplina, posta dall’art. 2 della legge n. 352 del 10 maggio 1976, prevedeva invece un’ipotesi di sostituzione a carattere successivo. A differenza delle regioni ordinarie che dovevano attendere la legge statale di recepimento, alle regioni a statuto speciale era consentito di dare immediata attuazione alle direttive comunitarie, essendo vincolate soltanto al rispetto delle norme che esse pongono. Allo Stato spettava soltanto un potere sostitutivo nel caso in cui esse non avessero provveduto al recepimento nel termine fissato dalla direttiva. Questa differenziazione tra Regioni non era comprensibile data l’assenza di distinzione in Costituzione.

modo, le Regioni non avrebbero potuto procedere all’attuazione della direttiva.

E’ in merito all’attuazione legislativa da parte delle Regioni e la conseguente sostituzione dello Stato che si sono sollevate le maggiori critiche. I profili problematici riguardavano le norme designate come fondamentali, e quindi inderogabili; nella prassi, queste si sono rivelate così numerose e specifiche che non solo non potevano ricondursi al concetto di legislazione di principio ai sensi dell’art. 117 Cost., ma finivano per invadere lo spazio identificativo della potestà normativa delle Regioni.

In ordine all’attività amministrativa, tale legge regolamentava un potere sostitutivo statale - successivo ed eventuale - per far fronte agli inadempimenti regionali persistenti dell’attività amministrativa (sostituzione amministrativa). In particolare, si consentiva al Ministero dell’Agricoltura, su autorizzazione del Governo e sentito il Presidente della Giunta regionale, di provvedere, in sostituzione dell’amministrazione regionale, in ogni caso di suo “persistente inadempimento” nello svolgimento delle attività amministrative di attuazione delle direttive comunitarie (art. 27)213.

Il quadro legislativo inaugurato dalla legge del 1975 ha dato inizio ad un lento processo di revisione della materia delle relazioni internazionali intesa, prima, come settore separato ed assolutamente estraneo alla logica che regge i rapporti tra Stato e Regioni. Questi piccoli passi non erano altro che un capitolo di una vicenda più ampia che investiva il rapporto tra ordinamento interno e ordinamento internazionale teso a mutare la struttura dello Stato accentrato, dominata dall’assoluta prevalenza dell’Esecutivo qual era quella del vecchio Stato liberale per affermare, bensì, principi ispirati ad un ampio pluralismo politico e istituzionale214. L’assunzione del principio autonomistico

213 In merito all’attuazione amministrativa è stato rilevato che i poteri dell’amministrazione centrale, ridimensionati, non erano del tutto scomparsi; inoltre, la L. n. 153 aveva creato un nuovo potere sostitutivo delle competenze amministrative regionali che non trovava ragione in Costituzione e per di più non adeguatamente garantito nei suoi presupposti materiali e procedurali, meccanismo così invasivo tale da comportare un’interferenza nella sfera di autonomia delle Regioni . I dubbi erano, a maggior ragione, alimentati dal fatto che la Corte non avesse affermato in modo espresso la necessità di una legge ordinaria ovvero se si rendesse necessario il ricorso ad una legge costituzionale. La sentenza del 1942 non chiariva la questione. Con la sentenza n. 182 del 1976, la Corte Costituzionale ha espressamente riconosciuto la legittimità della l. n.153 con particolare riguardo all’art. 27 che è appunto la disposizione che prevede l’intervento sostitutivo del Governo.

214 La politica comunitaria veniva configurata come species del genus rappresentato dalla politica estera: questione discutibile e risalente agli anni settanta che si sviluppa in parallelo con l’incremento delle attribuzioni normative delle istituzioni delle Comunità, v. GIULIANI M., La politica europea, Bologna, 2006; MORVIDUCCI C., Il Parlamento italiano e le Comunità europee, Milano, 1979. L’opinione secondo la quale, in materia di gestione della politica estera, si configurerebbe una vera e propria riserva governativa, indipendente dal controllo politico parlamentare, viene sviluppata da LEISNER W., La funzione

governativa di politica estera e la separazione dei poteri, Riv. trim. dir. pubbl., 1960, ad avviso del quale l’elemento più importante nel

quale si concreta l’autonomia governativa è dato dal riconoscimento di una “certa competenza normativa”, nella misura in cui il Governo fosse in grado, come l’Autore ritiene, di concludere gli accordi internazionali non ratificabili dalle Camere, dai quali deriverebbero effetti “legislativo-normativi”; al contrario, in favore di una piena e ampia possibilità di partecipazione del Parlamento alle scelte di indirizzo politico secondo la logica della co-determinazione, v. BRUNELLI G., Strumenti e forme

del controllo sugli accordi militari nella prassi parlamentare, in (a cura) di G. BATTAGLINI – L. CARLASSARE, Il controllo democratico sugli impegni internazionali, Padova, 1997. Per un’attenta disamina del modello della politica estera, incentrato sulla

dialettica interna Parlamento-Governo v. GIROTTO D., Parlamento italiano e processo normativo europeo, Jovene, 2009. Ad oggi, ben diversa dovrebbe essere la prospettiva dalla quale si debba guardare alla realtà della Comunità europea rispetto al comune approccio utilizzato per affrontare la politica estera in generale; ci troviamo, infatti, di fronte ad un vero e proprio ordinamento che accomuna numerosi Stati europei, i quali consentono una limitazione di sovranità tale da determinare il condizionamento del sistema delle fonti degli Stati membri ad opera degli atti posti in essere dalle istituzioni dell’Unione che

nell’ambito dei principi fondamentali del nuovo assetto costituzionale, operata all’art. 5, accanto alla riaffermazione dell’unità e indivisibilità della Repubblica, la configurazione costituzionale dell’autonomia regionale, disegnata dal Titolo V e dagli Statuti speciali, che si caratterizzava per l’attribuzione alle Regioni di una potestà legislativa, sono elementi che non potevano essere privi di riflessi sul piano dei meccanismi di gestione del potere estero dello Stato.

La forma e la modalità di esercizio degli strumenti di tutela del potere sostitutivo, come abbiamo visto, erano fissate dalla legge ordinaria e la mancanza di un fondamento costituzionale esplicito, causa di critiche da parte della dottrina, è stata all’origine dell’intensa attività della Corte Costituzionale che ha avuto un ruolo determinante nel sindacare puntuali disposizioni di legge provvedendo, nelle sentenze successive, a dettare una vera e propria regolamentazione, (rectius statuto) della sostituzione statale con riferimento alla sfera di autonomia amministrativa regionale215. Il suo intervento è stato, infatti, fondamentale per la correzione degli orientamenti del legislatore statale, in particolare, perché ha avuto modo di riflettere sui presupposti sostanziali che legittimano l’intervento surrogatorio statale e i requisiti procedurali al loro esercizio.

Il ruolo creativo della giurisprudenza può essere ricostruito seguendo i due tratti portanti dell’istituto: i presupposti sostanziali che legittimano l’intervento sostitutivo e i requisiti procedurali per il loro esercizio.

Con la sentenza n. 182 del 1976216, la Corte Costituzionale interviene per valutare la legittimità costituzionale della legge n. 153/75 in cui ne approvava la logica, argomentando che l’intervento sostitutivo del Governo trova la sua giustificazione nel generale interesse nazionale ad un puntuale e tempestivo adempimento degli obblighi comunitari nell’intero territorio dello Stato, in correlazione con l’esclusiva responsabilità internazionale dello Stato217.

In tale sentenza, la Consulta si apprestava a delineare un sistema di garanzie funzionale all’esercizio del potere sostitutivo ed in grado di rispondere a quei punti problematici ancora aperti in sede dottrinale.

In particolare, il potere sostitutivo a) doveva essere previsto con espresso ed esclusivo riferimento alle attività di attuazione

producono effetti negli ordinamenti senza alcuna necessità di rinvio o adattamento, data anche la presenza di un organo giurisdizionale – la Corte di Giustizia – le cui pronunce sono vincolanti per i giudici e gli operatori nazionali.

215 BARBATI C., La tipizzazione giurisprudenziale dei poteri sostitutivi statali, in Le Regioni, 1990.

216 Corte Costituzionale, sentenza 22 luglio 1976 n. 182, in Le Regioni, n. 4/1978.

217 Il riferimento ad un “generale interesse nazionale ad un puntuale e tempestivo adempimento degli obblighi comunitari nell’intero territorio

dello Stato” costituisce una costante nella giurisprudenza della Corte costituzionale per giustificare il riconoscimento di poteri

sostitutivi dello Stato nei confronti delle Regioni. L’adempimento degli obblighi comunitari risulterebbe essere fonte di un dovere di agire che, pur facendo capo alle Regioni, in relazione alle potestà legislative e amministrative ad esse riconosciute dalla Costituzione, ha comunque il suo titolare ultimo e definito nello Stato centrale, i cui organi sono tenuti a porre in essere tutte le misure necessarie per garantire l’adattamento del diritto interno a quello comunitario. Si vedano i commenti di MONACO, L’esecuzione delle direttive comunitarie nell’ordinamento italiano, in Foro it., 1976; BASSANINI F., Attuazione, op. cit, p. 148; CARETTI P., Potere sostitutivo, op, cit.; FAVARA, Gli obblighi internazionali e comunitari e le Regioni (con riguardo alle direttive

delle direttive comunitarie oggetto di recepimento; b) doveva essere ammesso solo nel caso di persistente inadempimento, ossia non di semplice inosservanza dei termini stabiliti dalla legge stessa, ma di inattività protratta oltre ogni ragionevole limite, qualificabile come inadempimento; c) doveva essere autorizzato dal Consiglio dei Ministri, dopo aver sentito il Presidente della Giunta regionale interessata, al quale era consentito di fornire ogni eventuale giustificazione ed assicurazione.

Ebbene, la sentenza del 1976 costituiva, dunque, una tappa fondamentale per l’individuazione del potere sostitutivo in quanto offriva al legislatore dei principi per l’esercizio del medesimo. Con la medesima sentenza riceve avallo la necessità dell’introduzione del meccanismo surrogatorio statale anche qualora lo stesso dovesse risolversi in alterazioni del riparto interno delle competenze, purchè in virtù del puntuale adempimento degli obblighi comunitari.

Sulla stessa linea si poneva la sentenza n. 81 del 26 luglio del 1979 che si è pronunciata, invece, sulla legittimità della sostituzione legislativa del Governo nei confronti delle Regioni e Province autonome. Questo tipo di sostituzione viene riconosciuta come non lesiva del principio di separazione dei poteri, purchè sia svolta secondo ampie garanzie procedimentali e sostanziali e non sia eccedente la sfera della competenza regolamentare del Governo. La sentenza n. 81 del 1979, nel tentativo di sottolineare l’eccezionalità dell’istituto del potere sostitutivo, ribadiva come la sfera degli obblighi internazionali e comunitari rappresentasse l’unico limite all’autonomia regionale che giustificasse la previsione di poteri sostitutivi statali nei confronti di funzioni amministrative proprie delle Regioni richiamando “i preminenti interessi dell’intera

collettività statuale che presiedono alla conclusione dei trattati internazionali ed alla loro esecuzione nell’ordinamento interno”.

Con una serie di pronunce degli anni ’80, la Corte ha progressivamente ampliato l’ambito oggettivo di applicazione del potere sostitutivo e i presupposti legittimanti – originariamente affermatosi nella materia di attuazione degli obblighi comunitari - anche a tutela di valori costituzionali primari, a salvaguardia di interessi

nazionali non suscettibili di frazionamento (e, come abbiamo visto, a

sanzione dell’inosservanza di prescrizioni dettate nell’esercizio della

funzione di indirizzo e coordinamento)218. L’apertura del potere sostitutivo ad altri settori veniva confermata dal legislatore statale che, negli anni Ottanta, provvedeva ad emanare un numero significativo di specifiche previsioni normative in diverse legislazioni di settore che introducevano ampi poteri sostitutivi statali.

La risoluzione del problema relativo alla legittimità costituzionale o meno del potere sostitutivo presupponeva

218 In particolare, le sentenze n. 31/83, con commento di G. MOR, Poteri e ruolo della Corte Costituzionale di fronte alla specialità

delle due Province autonome e alle interferenze statali sull’amministrazione regionale, in Le Regioni, 1983; nn. 151 e 153 del 1986, sulle

quali S. BARTOLE, La primarietà di valori costituzionali è giustificazione di interventi di emergenza? in Le Regioni, 1986; n. 177/1986, con note di G. MOR, Poteri sostitutivi statali nei confronti di USL e Regioni: l’indirizzo e coordinamento si consolida ma entra in un vicolo

cieco, in Giur. Cost., 1986; n. 294/1986, sulla quale G. MOR, L’indirizzo e coordinamento di fronte alla programmazione, in Le

Regioni, 1986; n. 210/1987, con nota di A. CORPACI, Osservazioni in tema di impatto ambientale, anche alla luce della sentenza n.

comunque una verifica della sua idoneità rispetto allo scopo. La legittimazione delle regioni nell’attuazione immediata delle direttive comunitarie si accompagnava al rischio, tutt’altro che infrequente, dell’inottemperanza a livello territoriale. La doverosità dell’esecuzione interna degli obblighi comunitari e il principio della spettanza esclusiva allo Stato della responsabilità di diritto internazionale imponevano all’ordinamento la predisposizione di un congruo meccanismo di tutela.

La sostituzione legislativa comporta un intervento surrogatorio dello Stato di natura normativa che, in quanto tale, è espressione di una scelta politica. Esso consente lo spostamento dell’asse della normazione dalle Regioni allo Stato, fungendo di fatto da limite all’esercizio della potestà legislativa regionale. A tale riguardo, l’invocazione della clausola dell’interesse nazionale ha consentito allo Stato ingerenze legislative che hanno inciso in modo rilevante sui margini di potestà legislativa regionale. A tal riguardo, la sentenza n. 177 del 1988 sottolinea la inevitabile pervasività di tale clausola che, in mancanza di un’approfondita verifica dei presupposti di costituzionalità relativi alla sua effettiva esistenza, potrebbe comportare una illegittima compressione dell’autonomia garantita alle regioni. E’ per questo che la giurisprudenza costituzionale ha elaborato determinati criteri di giudizio sulla base dei quali occorre sottoporre le disposizioni impugnate a verifiche219.

L’ingerenza costituita dall’intervento surrogatorio del Legislatore statale in maniera generalizzata ed anticipata ha trovato maggior giustificazione in riferimento all’attuazione degli obblighi comunitari, in quanto fondata sul presupposto di evitare l’esposizione dello Stato a forme di responsabilità sul piano sopranazionale suscettibili di derivare da eventuale inerzia del legislatore regionale. Quindi ha dato luogo a meccanismi di sostituzione preventiva da parte dello Stato sul piano legislativo contemperati dal criterio della cedevolezza.

La responsabilità per violazione del diritto comunitario dello Stato implica la necessità che lo stesso ha di dotarsi di sistemi con cui assicurare l’adempimento effettivo e puntuale della normativa comunitaria da parte delle entità sub statali. In questa prospettiva, lo Stato si converte in una sorta di vigilante diretto dell’adempimento del diritto dell’Unione da parte delle entità periferiche, cui pure riconosce potestà legislative, ma dalle quali si

219 I criteri determinanti l’effettiva sussistenza dell’interesse nazionale sono: a) che il discrezionale apprezzamento del legislatore statale circa la ricorrenza e la rilevanza dell'interesse nazionale non sia irragionevole, arbitrario o pretestuoso, tale da comportare un'ingiustificata compressione dell'autonomia regionale; b) che la natura dell'interesse posto a base della disciplina impugnata sia, per dimensione o per complessità, tale che una sua adeguata soddisfazione, tenuto conto dei valori costituzionali da rispettare o da garantire, non possa avvenire senza disciplinare profili o aspetti che esorbitano dalle competenze regionali (o provinciali) e tuttavia sono necessariamente connessi con il tema oggetto della normativa in questione (c.d. infrazionabilità dell'interesse..) ovvero che, anche se non necessariamente infrazionabile, l'interesse invocato appaia, a una valutazione ragionevole, così imperativo o stringente oppure esiga una soddisfazione cosi urgente da non poter esser adeguatamente perseguito, avendo sempre presenti i valori costituzionali da garantire, dall'intervento normativo di singole regioni (o province autonome); c) che, in qualsiasi caso, l'intervento legislativo dello Stato, considerato nella sua concreta articolazione, risulti in ogni sua parte giustificato e contenuto nei limiti segnati dalla reale esigenza di soddisfare l'interesse nazionale posto a proprio fondamento […]”

tutela al fine di far prevalere gli interessi unitari rilevanti dal punto di vista costituzionale interno220.

Alla stregua della Commissione europea che svolge il ruolo di controllore rispetto all’adeguata ed effettiva esecuzione dei Trattati da parte degli Stati membri, così ciascuno Stato membro diventa responsabile nei confronti della Comunità a che gli organi interni adempiano agli obblighi derivanti dalla partecipazione ad essa. E’ in tal senso che si può affermare che il potere sostitutivo, adempiendo a tale scopo, si pone nell’alveo della funzione di controllo che legittima lo Stato ad intervenire dopo aver acclarato l’inadempienza da parte delle Regioni.

5.2. Il decreto n. 616 del 1977 e l’interpositio legislativa