NEMO 21 st Annual Conference Documentation, 2013: 30 «Mentre le attività base dei musei non cambieranno sostanzialmente, cambierà invece profondamente con chi, per
2.1 L’audience development
Nel capitolo precedente, è stato fatto presente come l’impegno dei policy maker nei confronti delle istituzioni museali e del loro sviluppo, si sia recentemente orientato verso una maggiore e più cosciente considerazione del ruolo del pubblico, inteso non più come mero spettatore, bensì come motore propulsivo delle strategie e delle azioni del museo. Attraverso la selezione di passi specifici e la presentazione di alcuni progetti chiave promossi dalla Commissione europea, si è visto come l’impegno verso la promozione dell’audience development e della sua centralità nelle istituzioni museali europee, non si sia limitato alla sola diffusione di definizioni e strategie, ma si sia esteso alla formazione dei professionisti museali e all’acquisizione di nuove competenze.
Proseguendo il discorso nella direzione delineata nell’introduzione, qui di seguito si esaminerà cosa significhi veramente fare audience development e in che modo le strategie di audience engagement si inseriscono all’interno di questo processo.
E’ bene precisare che la sezione seguente non si propone di affrontare e discutere tutta la bibliografia esistente sul tema dell’audience development e dell’audience engagement, essendo necessaria a tal scopo una trattazione a sé: l’obiettivo dei paragrafi seguenti è quello di esporre i principali apporti teorici al tema, al fine di arrivare all’elaborazione di un framework per il caso studio presentato successivamente.
Gli apporti proposti sono principalmente studi e ricerche di accademici e professionisti, condotti nell’ambito della propria ricerca scientifica o di progetti europei collettivi.
Essi saranno necessari a fornire un quadro di riferimento per la futura esposizione dei progetti partecipativi portati avanti dalla Galleria Nazionale.
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2.1.1 Cos’è l’AD: obiettivi, segmentazione, strategie
Nonostante la diversità di approcci e pratiche, la maggior parte degli esperti, tanto internazionali quanto nazionali, si è mostrata recentemente concorde nel definire l’audience development.
Nel regolamento istitutivo del Creative Europe Programme, la Commissione europea definisce l’AD come:
« […] a strategic, dynamic and interactive process of making the arts widely accessible. It aims at engaging individuals and communities in experiencing, enjoying, participating in and valuing the arts through various means available today for cultural operators, from digital tools to volunteering, from co-creation to partnerships».
Su questa linea sono anche i ricercatori della Fondazione Fitzcarraldo, nel definire l’AD come «il processo di allargamento e diversificazione dei pubblici e di miglioramento delle condizioni
complessive di fruizione».61
Prima ancora di identificarsi con azioni di marketing e con precise strategie progettuali, l’audience development si configura come una filosofia, un approccio che vede coinvolta l’intera organizzazione.62 In questo senso, allora, l’audience development potrebbe essere rappresentato graficamente come un ombrello che copre ed avvolge l’intera organizzazione:
61 Fondazione Fitzcarraldo, Quali politiche per un pubblico nuovo, Un percorso di ricerca per i musei di Torino e
del Piemonte, Report finale, Giugno 2009, p. 6; A. Bollo, 50 sfumature di pubblico e la sfida dell’audience development, in F. De Biase (a cura di), I pubblici della cultura. Audience development, audience engagement,
2014; A. Bollo, A. Gariboldi, Nuove frontiere: la formazione manageriale e l’audience development, in A. Taormina (a cura di), La formazione al management culturale: Scenari, pratiche, nuove sfide, 2016, pp. 216- 217.
62 The Wallace Foundation, Building arts organizations that build audiences, A Wallace Foundation Conference, 2012: «If arts organizations want to change their audience interactions, they often need to change themselves
[…] You can’t change the quality of the relationship between the audience and the organization unless you change the quality of the relationship within the organization».
36 Fig. 3: elaborazione personale
In assenza di un approccio olistico e, quindi, di una collaborazione sinergica tra tutti i dipartimenti, infatti, non potrebbe essere messa in atto alcuna strategia di sviluppo del pubblico.63 Fondamentale, allora, è investire sulle risorse umane dell’istituzione, sulle loro competenze e sulla loro capacità di collaborare per un obiettivo comune e di adattarsi al cambiamento.64
Guardando invece al “come” l’audience development si traduce in pratica, parliamo di AD come di un processo strategico pianificato, finalizzato al raggiungimento di obiettivi di lungo
termine che i diversi esperti hanno identificato in maniera differente,65 ma che sono stati riassunti e proposti come di seguito:
63 Arts Council England, Audience development and marketing, and Grants for the Arts, January 2016, p. 3: «The
term audience development describes activity which is undertaken specifically to meet the needs of existing and potential audiences, visitors and participants and to help arts organisations to develop ongoing relationships with audiences. It can include aspects of marketing, commissioning, programming, involvement in decision making, education, customer care and distribution».
Si veda anche C. Waltl, Museums for visitors: Audience development- A crucial role for successful museum
management strategies, INTERCOM 2006 Conference Paper, p. 3: «It is not a simple course of action but a planned and targeted management process which involves almost all areas of a museum working together to deliver the organisation's overall aims and objectives to high quality standards».
64 The Wallace Foundation, Service to people: challenges and rewards. How museums can become more visitor-
centered, 2001, pp. 33- 43.
65 In BOLLO 2014 si parla di “ampliamento, diversificazione e miglioramento della relazione”; nel report finale dello “Study on audience development- How to place audiences at the centre of cultural organisations” si parla egualmente di “increasing, deepening relationship, diversifying”; in WALTL 2006 si parla invece di “improving
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• Fidelizzazione: intensificazione del rapporto con il pubblico attuale, attraverso azioni volte a trasformare il pubblico abituale in supporter e ad evitare che una parte di esso si trasformi in pubblico occasionale a causa di un’offerta ripetitiva e di assenza di novità e/o “trattamenti speciali” per visitatori assidui;
• Massimizzazione: trasformazione del pubblico occasionale in pubblico stabile ed affezionato, attraverso azioni mirate, intendendo per pubblico occasionale i visitatori sporadici che, pur non presentando alcune barriere di natura socio- culturale o economico- finanziaria alla partecipazione, non ritornano per mancanza di tempo, interesse e/o motivazione;
• Diversificazione: ampliamento del pubblico, attraverso azioni mirate ad attrarre tanto il pubblico potenziale (quello più simile al pubblico attuale, per background socio- culturale, ma che, per mancanza di tempo e/o motivazione, non frequenta per niente il museo) quanto il non pubblico (pubblico totalmente estraneo al mondo delle arti, che presenta forti barriere all’accesso e alla partecipazione di natura economico- finanziaria, socio-culturale e/o una combinazione di esse, le quali sono più forti di qualsiasi interesse e motivazione che potrebbe invece portarli a frequentare luoghi di cultura).
Va precisato che i tre obiettivi non devono essere pensati con logiche di sostituzione, bensì devono essere considerati in termini di stretta interdipendenza; ad essi può essere attribuita maggiore o minore rilevanza a seconda delle priorità, delle necessità e delle disponibilità dell’organizzazione, in termini economico-finanziari e in termini di risorse umane disponibili.
Gli obiettivi appena esposti sono stati individuati tenendo a mente precise tipologie di
pubblico, che la maggior parte degli esperti sembra condividere e che vede una
quadripartizione in: • Pubblico abituale • Pubblico occasionale • Pubblico potenziale • Non-pubblico
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Questa categorizzazione di massima, effettuata solo secondo il criterio della frequentazione più o meno abituale, può essere considerata come punto di partenza, da cui sviluppare una segmentazione più accurata e che risponda alle necessità della singola organizzazione. Nella definizione più stretta fornita dal settore del marketing, segmentare, infatti, significa suddividere il mercato in sottogruppi omogenei al loro interno, secondo una o più variabili, ed eterogenei rispetto agli altri sottogruppi.66
Nel caso specifico di un’istituzione museale, inoltre, segmentare il proprio non pubblico può avvenire solo dopo aver conosciuto e studiato a fondo il proprio pubblico attuale: portare avanti studi sui propri visitatori costantemente è infatti la base di partenza per qualsiasi organizzazione che voglia mettere in campo strategie audience-centred.67
Le modalità con cui ciascuna organizzazione studia il proprio pubblico variano a seconda delle risorse disponibili sia in termini economico-finanziari sia in termini di risorse umane:68
• Raccolta e analisi di dati quantitativi: feedback provenienti da questionari compilati; • Raccolta e analisi di dati qualitativi: osservazione, interviste, focus group, registro
commenti.
Come precisano poi le puntuali ricerche di The Audience Agency,69 segmentare il proprio pubblico attuale e segmentare la popolazione dell’area di riferimento sono due cose ben distinte: se la prima attività può essere considerata un punto di partenza, effettuare invece una segmentazione dell’intera comunità di riferimento secondo diversi criteri permette di individuare le abitudini dei non pubblici e programmare le proprie attività in maniera mirata. Questo può essere effettuato attraverso:
• Data analysis: analisi di dati provenienti dal web (prenotazioni, commenti, recensioni etc);
• Data profiling: dati provenienti dalla profilazione della popolazione, effettuata con strumenti di marketing.
66 Fondazione Fitzcarraldo, Audience development, principi, strategie, strumenti, Pillole informative di Artlab 2015.
67 A. Bollo, Il museo e la conoscenza del pubblico: gli studi sui visitatori, 2004 e A. Bollo (a cura di), I pubblici dei
musei. Conoscenza e politiche, 2008.
68 Per maggiori dettagli sui metodi di ricerca, si veda The Audience Agency, Creating an Effective Audience
Development Plan, 2017, pp. 17-18.
69 Si vedano, soprattutto, i risultati raggiunti dagli strumenti “Audience finder” e “Audience spectrum”, consultabili ai link: https://audiencefinder.org/ e https://www.theaudienceagency.org/audience-spectrum.
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Un’altra tripartizione sommaria del pubblico di un’istituzione museale è stata fornita dallo studio promosso dalla Commissione europea “Study on audience development, how to place audiences at the centre of cultural organisations”:70 la categorizzazione proposta considera come criteri di distinzione la possibilità e l’opportunità di scelta da parte del pubblico:
• Audience by habit: persone che frequentano abitualmente luoghi d’arte e che non presentano barriere all’accesso. Le persone appartenenti a questa categoria di audience sono portate a partecipare se vengono a conoscenza del fatto che persone simili a loro frequentano un determinato luogo di cultura;
• Audience by choice: persone che non frequentano luoghi di cultura per stile di vita condotto, mancanza di opportunità e/o mancanza di risorse finanziarie. Appartengono a questa categoria anche persone che, pur non avendo barriere all’accesso di carattere socio-culturale, non frequentano questo tipo di luoghi; • Audience by surprise: persone ostili o totalmente indifferenti alla partecipazione
culturale, per via delle molte barriere all’accesso (solitamente una combinazione di fattori socio-culturali e economico-finanziari).
Contemporaneamente allo studio del proprio pubblico, attuale e futuro, l’istituzione deve ragionare su “come” riuscire a raggiungere gli obiettivi esposti in precedenza e, quindi, sulla
linea strategica da adottare: in questo caso, gli approcci metodologici adottati per darvi una
risposta sono stati differenti.
Nella ricerca condotta dalla Fondazione Fitzcarraldo precedentemente citata, si parla di tre macro attività in cui far rientrare tutte le possibili azioni strategiche: 71
• mediazione • involvement • outreach
Alessandro Bollo, invece, parla di fasi, distinte e conseguenti, in cui far rientrare le possibili azioni da intraprendere, quella del reach e quella dell’engage, proponendo la matrice seguente:72
70 Per comodità di esposizione, il gruppo di ricerca corrispondente verrà definito da questo momento in poi gruppo Engage Audiences.
71 FONDAZIONE FITZCARRALDO 2009.