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3.4.1 #LAGNcontest ed Empty Museum

4. Ideazione di una nuova immagine del museo, di un nuovo allestimento e di nuovi progetti: dal punto di vista del cambiamento identitario, questa è stata senza dubbio

4.1.2 Progetti partecipativi: formazione della strategia, strumenti e risultat

Come specificato sia nel capitolo che nel paragrafo precedenti, alla nuova direttrice è stato affidato l’arduo compito di recepire e mettere in pratica i cambiamenti formali imposti dalla nuova normativa. A lei, dunque, è toccato il compito di trasformare il contenuto della nuova mission e delle nuove aree funzionali imposte per legge in scelte strategiche.

Sebbene le scelte operate dalla direttrice abbiano risposto a diversi obiettivi strategici, la tesi si è soffermata solo su uno di essi: coinvolgere un numero maggiore e delle tipologie differenti di pubblico, per rispondere ad una nuova missione sociale.

Per raggiungere questo obiettivo, sono stati proposti nuovi progetti di audience engagement, in cui l’approccio partecipativo è stato prevalente: ciascun progetto, infatti, ha coinvolto attivamente il target prefissato.

Il contenuto dei singoli progetti è stato già discusso nel capitolo precedente. Qui, invece, si analizzeranno:

• Il processo di audience development in cui i progetti si inseriscono;

• Gli strumenti adottati per riuscire a realizzare efficacemente tali progetti in un contesto organizzativo fortemente incerto e frammentario;

• Gli effetti che la gestione di tali progetti ha avuto sul processo di cambiamento in atto. Per quanto concerne il primo punto, la dottrina prevalente dimostra che una efficace strategia di audience development debba essere attentamente pianificata da tutti i membri dell’organizzazione. I framework teorici analizzati nel secondo capitolo sono infatti tutti concordi nel ritenere che “non si possa cambiare la qualità delle relazioni tra il pubblico e l’organizzazione se prima non si cambia la qualità delle relazioni all’interno

dell’organizzazione”.211

Questo risulta essere vero in situazioni organizzative connotate da stabilità, cooperazione e coscienza della necessità di un approccio audience-centric e di una relativa strategia di audience development.

211 THE WALLACE FOUNDATION 2012, p. 8.

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Nel caso analizzato, invece, è emersa l’esistenza di un processo di audience development non pianificato e non stabilito a tavolino, in cui un ruolo preponderante è stato rivestito dalla nuova leader. Il processo di formazione della strategia di audience development, in questo caso, sembra rientrare dunque in quello che è stato definito come modello della visione

imprenditoriale”.212 A differenza del modello della pianificazione e del modello del design

thinking, quello della visione imprenditoriale “affonda le radici del processo di formazione della strategia nei misteri dell’intuizione”. Secondo questa prospettiva, “il leader conserva uno stretto controllo sul processo di implementazione della strategia da lui/lei formulata”, rendendo quindi l’intero processo fortemente centralizzato.

Con tutte le distinzioni del caso213, il modello sembra descrivere perfettamente il processo di formazione di una nuova strategia che rispondesse agli obiettivi di aumento e miglioramento della fruizione e della partecipazione alla vita del museo da parte del pubblico. In un contesto di ambiguità identitaria ed incertezza organizzativa, infatti, solo la visione lungimirante e la creatività fertile del pensiero della nuova direttrice, hanno potuto tracciare una strada su cui muoversi per poter sviluppare programmi e attività.

In questo caso, dunque, nonostante il clima organizzativo facesse propendere per una non riuscita del raggiungimento degli obiettivi fissati dal legislatore, la vision ed il carisma della leadership hanno permesso di perseguirli, riuscendo a costruire effettivamente un museo più aperto, vitale e inclusivo.

212 H. Mintzberg, J. Lampel, Reflecting on the strategy process, in Sloan Management Review, Spring 1999, pp. 21-30; K. Peleckis, Strategic management schools and business negotiation strategy of company operations, in

Economics and Management, 2015, Vol. 7, Issue 2, pp. 26-34: «Under the entrepreneurial perspective, strategy is defined as the process of creating and achieving vision, in which business leaders establish a common framework to generate and implement strategic decisions. Vision intuition and innovation capabilities play key roles there».

213 Qui si parla di un direttore di un’istituzione pubblica, non di un imprenditore e si fa riferimento ad un’organizzazione non-profit, non ad un’azienda profit-oriented.

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A posteriori, è stato possibile tracciare una mappa delle scelte strategiche messe in atto:

Fig. 29: elaborazione personale

A partire da una classica quadripartizione del pubblico in abituale, occasionale, potenziale e non- pubblico, sono stati portati avanti contemporaneamente tre obiettivi strategici: diversificazione (apertura a nuovi pubblici), massimizzazione (aumento del numero del pubblico saltuario) e fidelizzazione (programmazione per il pubblico abituale).

Ciascun obiettivo è stato tradotto in pure azioni di comunicazione o marketing e in progetti più complessi e articolati. Tali azioni possono esser fatte rientrare in tre aree strategiche: audience reaching, audience engagement ed experience improvement.

Per audience reaching si intende qui l’insieme delle azioni strategiche volte a raggiungere pubblici lontani o potenziali: nel caso trattato, il raggiungimento di non pubblici non è rientrato nelle scelte strategiche, mentre, invece, specifiche azioni di comunicazione online hanno cercato di raggiungere i pubblici potenziali, rappresentati dai più giovani.

Per audience engagement si intende l’insieme di azioni volte a coinvolgere il pubblico, sia online che in situ, sia attraverso strumenti tradizionali sia attraverso pratiche innovative come quella partecipativa: anche in questo caso non sono state messe in atto azioni volte a coinvolgere il non pubblico; al contrario, sia il pubblico potenziale che quello occasionale sono stati coinvolti attraverso azioni di comunicazione della collezione mirate, contest e feste serali,

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mentre il pubblico affezionato è stato coinvolto prevalentemente mediante l’invio settimanale di una newsletter, presentazioni di libri ed inviti privati.

Quando si parla invece di experience improvement, si intende qui l’insieme delle azioni volte a migliorare la fruizione delle collezioni e l’esperienza di visita in generale: vi rientrano la creazione di nuovi spazi per il pubblico, la predisposizione di nuove audioguide ed il miglioramento delle condizioni di accesso per i disabili.

Per quanto concerne invece gli strumenti attraverso cui è stato possibile dare attuazione a queste scelte strategiche214, c’è da precisare che, secondo una visione classica, è possibile raggiungere dei risultati efficaci “quando coloro che hanno partorito l’idea mobilitano altri per cooperare alle attività connesse con la loro visione, costruendo una base organizzativa e

raccogliendo risorse di supporto”.215 Ed ancora, “la responsabilità del leader non è solo quella

di intuire il sogno realistico verso il futuro, ma di trovare il consenso di coloro che dovranno realizzarlo”.216

Nel caso analizzato, invece, sebbene posta in una posizione di superiorità gerarchica, la nuova direttrice ha dovuto fare i conti con un effettivo isolamento ed una impopolarità, dovuti ad un non allineamento della propria vision con la prospettiva dominante nell’organizzazione.

La risposta a quella domanda che Richard Normann ha inserito nella sua “formula imprenditoriale” 217, ovvero “come organizzarsi per riuscire a realizzare la strategia?”, ha dato in questo caso esiti interessanti.

Sfruttando al massimo le opportunità strategiche offerte dall’ambiente esterno, si è reso necessario, dunque, stringere nuove alleanze, almeno nella fase iniziale del lancio dei progetti.

214 Dal momento che, tra le molte nuove attività portate avanti dal museo, questa tesi si focalizza sui soli progetti di engagement partecipativo, ci si concentrerà ora sugli strumenti necessari per realizzare solo questo tipo di progetti.

215 SGOUREV 2013, p. 2.

216 C. Sansavini, Leadership e gestione del cambiamento, 2006, p. 45. 217 R. Normann, Management for growth, 1977.

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La maggior parte di queste alleanze è stata di natura trasversale: prendendo in prestito una più felice dicitura inglese, le “cross-sector partnership” 218 stipulate hanno ampliato l’usuale panorama di stakeholders esterni con cui il museo era solito stringere alleanze. Tra le principali, si ricordano la partnership con attori del settore della moda, come Altaroma e attori del mondo della tecnologia digitale, come Google. Tra gli “alleati” prestati invece dal mondo umanistico, ma considerabili comunque “outsider” nel panorama museale italiano, si ricordano l’artista spagnolo, Paco Cao, direttore artistico di ben due progetti partecipativi e la filosofa Annarosa Buttarelli.

Rientrano inoltre tra i nuovi “alleati” anche i collaboratori esterni assunti ed inseriti nell’organico ed i consulenti esterni che, nella maggior parte dei casi, hanno fatto da intermediari fra la direzione ed i partner esterni.

Sebbene per i musei stranieri non si tratti di pratiche insolite, i musei italiani sono soliti stringere la maggior parte delle proprie relazioni, alleanze e partnership con attori del proprio settore o settori afferenti al proprio, sia di natura privata che pubblica: altri musei, altre istituzioni culturali, istituti di ricerca, scuole, università, esperti del settore.219 Nella maggior parte dei casi, il fine principale è quello di creare un network di supporto con cui condividere obiettivi, risorse e programmi.

Nel caso di partnership cross-settoriali, invece, la ragione a monte sembra essere molto spesso quella della necessità della sostenibilità economico-finanziaria dei progetti: per far fronte ad una carenza di risorse finanziarie, infatti, i musei spesso stringono alleanze con aziende profit- oriented. In altri casi, invece, si iniziano collaborazioni con attori virtuosi di settori diversi dal proprio per sviluppare insieme idee e progetti che il museo non sarebbe in grado di fare da solo.

In questo caso, invece, le partnership stipulate con attori periferici hanno avuto due altre motivazioni di fondo:

218 C. C. Tien, Collaboration in museums: the evolution of cross-sector collaboration, INTERCOM 2006, Conference

paper.

219 La letteratura circa alleanze fra il settore museale e quello dell’educazione abbonda di contributi: si veda a titolo esemplificativo, B. Bobick, J. Hornby, Practical Partnerships: Strengthening the Museum-School

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• Fornire una solida base materiale e motivazionale iniziale per dare attuazione alla visione strategica del leader, così da instillare uno spirito proattivo nell’organizzazione in fase di cambiamento;

• Mettere insieme le proprie competenze, conoscenze ed esperienze trasversali per giungere ad un risultato innovativo.

L’aspetto conclusivo che resta da indagare riguarda il modo in cui la gestione dei progetti partecipativi ha influito positivamente sul clima di resistenza ed incertezza che permeava l’organizzazione, giungendo a dei risultati non definitivi, ma sicuramente soddisfacenti. Se alcuni dei progetti partecipativi descritti non hanno previsto un’attiva partecipazione dello staff (si pensi a #lagncontest e TimeAction), altri (Museum Beauty Contest e Control), invece, hanno richiesto l’effettiva partecipazione e collaborazione non solo del pubblico, ma anche dello staff stesso, sia nella fase preparatoria che in quella conclusiva di realizzazione.

Due dei primi effetti che l’ideazione di tali progetti ha avuto è stata l’innovazione di prodotto

e processi e lo sviluppo del pubblico: è stata operata infatti una riformulazione del paradigma

dell’offerta, “che non si focalizza più, come da tradizione, sulla conservazione da parte delle istituzioni e la fruizione da parte del pubblico, ma su una relazione in cui il museo chiama

all’azione e alla partecipazione i suoi visitatori”.220 Nel riuscire in ciò, la vision della leadership

è stata senza dubbio la chiave di volta.

Allo stesso modo, è imputabile ad essa anche la riformulazione dei processi attraverso cui realizzare effettivamente il ripensamento dell’offerta: si veda, soprattutto, la stipulazione di partnership cross-settoriali. Esse hanno permesso alla direttrice di trovare consenso e supporto da parte di attori considerati periferici rispetto all’ambiente canonico delle istituzioni italiane, per poi instillare a posteriori uno spirito proattivo e aperto al cambiamento anche nell’organizzazione interna stessa.

Si può dunque dire che l’ideazione e la promozione di tali progetti abbia rappresentato un tassello importante nel raggiungere efficacemente gli obiettivi posti dal legislatore e contenuti formalmente nella mission.

220http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/museum-2026-tecnologia-partecipazione-e-innovazione- i-musei-del-futuro.

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Inoltre, si è potuto riscontrare un netto aumento del pubblico occasionale, nonché un maggior avvicinamento del pubblico potenziale.

Ma questo è stato solo il primo passo: è stata l’implementazione della visione strategica all’interno dell’organizzazione, avvenuta in maniera informale, a dare i risultati più interessanti ai nostri scopi.

Se ne riscontrano soprattutto due: