NEMO 21 st Annual Conference Documentation, 2013: 30 «Mentre le attività base dei musei non cambieranno sostanzialmente, cambierà invece profondamente con chi, per
5. SPAGNA Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía
2.2.1 Le strutture organizzative
Al fine di analizzare e comprendere un cambiamento organizzativo ed i suoi risultati, è fondamentale infatti studiare preventivamente la struttura dell’organizzazione. Fornendo delle categorie generali prestate tanto dalla sociologia quanto dal management, i modelli teorici proposti nel tempo, se integrati, forniscono infatti un solido punto di partenza per identificare la struttura dell’organizzazione di cui si sta analizzando il cambiamento.
Innanzitutto, è importante sottolineare che non esiste un modello organizzativo ideale e che ciascuna organizzazione può possedere caratteristiche appartenenti a diversi tipi di strutture. Adottare manicheisticamente l’uno o l’altro modello, potrebbe impedire una comprensione a trecentosessanta gradi dell’organizzazione e delle sue caratteristiche.
A tal proposito, già negli anni ’60 i sociologi Burns e Stalker affermavano che “se la forma di gestione è da considerare come dipendente dalla situazione che si sta fronteggiando, ne consegue che non esiste un unico insieme di principi per una "buona organizzazione", un tipo ideale di sistema di gestione che può servire da modello e a cui la pratica amministrativa
dovrebbe, o potrebbe nel tempo, approssimarsi”.113
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Su queste basi e osservando il crescente ricorso alla tecnologia nelle fasi di produzione nonché i repentini cambiamenti del mercato, sono stati elaborati i concetti di sistemi organizzativi
meccanici ed organici.114
Come sottolineano gli autori, l'utilità delle nozioni di sistemi meccanici e organici risiede in gran parte nel loro essere legati come variabili dipendenti al tasso di “environmental change”, ovvero cambiamenti che si verificano nell’ambiente circostante. Sebbene gli autori riferiscano il termine “ambiente” alla situazione del mercato e alla base tecnologica della produzione, i due concetti elaborati possono essere applicati anche ad altri contesti ambientali, data la generalità delle loro assunzioni. E’ importante sottolineare che, nell’ottica degli autori, dunque, i modelli proposti non si danno per scontati come strutture immutabili ontologicamente connesse all’organizzazione, ma come strutture che l’organizzazione può mantenere, implementare o cambiare a seconda della spinta esercitata da forze esterne. I due modelli, inoltre, si pongono non come dicotomia, ma come poli estremi di un vasto ventaglio di strutture organizzative intermedie esistenti.
Un sistema meccanico è appropriato a condizioni ambientali stabili e si caratterizza per: 1. Forte struttura gerarchica e verticalità delle relazioni tra i componenti;
2. Differenziazione dei compiti funzionali e formalizzazione delle mansioni e delle procedure;
3. Scarsa integrazione tra dipartimenti e aree funzionali, data la non interdipendenza e la stabilità dei compiti;
4. Centralizzazione delle decisioni al vertice dell’organizzazione;
5. Insistenza sulla lealtà verso l’azienda e sull’obbedienza ai superiori quali condizioni di appartenenza;
6. Buon funzionamento in situazioni ambientali stabili. Un sistema organico, al contrario, si caratterizza per:
1. Gerarchia della struttura attenuata dall’orizzontalità delle relazioni; 2. Condivisione di poteri, responsabilità e processi decisionali;
3. Capacità di adattamento e continua ri-definizione dei compiti individuali attraverso l’interazione reciproca;
114 Ibidem, capitolo 8.
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4. Insistenza sull’impegno verso i compiti globali dell’azienda, piuttosto che sulla lealtà e l’obbedienza;
5. Buon funzionamento in condizioni ambientali continuamente mutevoli ed incerte.
Negli stessi anni, Lawrence e Lorsch parlano di organizzazione come di “un sistema di comportamenti interconnessi di persone che svolgono un compito che è stato differenziato in molti e distinti sotto-sistemi, ognuno dei quali svolge una porzione del compito generale e i cui
sforzi sono integrati per raggiungere la prestazione efficace dell’intero sistema”.115
Attraverso i concetti di differenziazione e integrazione, gli autori distinguono le organizzazioni a seconda del grado di segmentazione del compito generale in sottosistemi e del comportamento dei loro membri. In linea con quanto detto anche da Burns e Stalker, gli autori sostengono che ciascuna organizzazione e, di conseguenza, ciascun sottosistema che la compone, possono avere una struttura più o meno formalizzata: “maggiore è il grado di certezza e stabilità dell’ambiente di riferimento, maggiore sarà il grado di formalizzazione
della struttura dei sottosistemi”.116
Abbracciano totalmente la teoria della complessità organizzativa117, invece, quegli autori che si riferiscono alle organizzazioni come a degli open- systems: 118 mutuata dalla biologia e dalle scienze naturali, questa teoria guarda alle organizzazione come ad ‘organismi’ e, quindi, come sistemi che scambiano regolarmente informazioni e relazioni con l’ambiente esterno e con l’ambiente interno stesso. In questo senso allora la struttura dell’organizzazione è una
115 P. R. Lawrence, J. Lorsch, Differentiation and Integration in Complex Organizations, in Administrative Science
Quarterly, June 1967, Vol. 12, No. 1, pp. 1-47.
116 Ibidem, p. 6.
117 Contrariamente alle prime teorie organizzative che volevano queste ultime come sistemi perfettamente lineari e razionali, le teorie della complessità organizzativa appoggiano invece una visione empirica delle organizzazioni, come configurazioni emergenti. Il management complesso, quindi, a differenza di quello classico, è più elastico e dinamico. “I singoli elementi contribuiscono all’assorbimento della complessità tramite un
processo bottom-up. Le singole persone, con i loro vari ruoli, acquistano sempre più importanza e spesso dimostrano di avere la capacità di una maggiore comprensione della variabilità esterna” (A. F. De Toni, Teoria della complessità e implicazioni manageriali: verso l’autoorganizzazione, in Sinergie Italian Journal of
Management, Vol. 81, 2010).
118 I primi a parlarne sono stati: K. Boulding, General systems theory - the skeleton of science, in Management
Science, April 1956, Vol. 2, No. 3, p. 197-208 e D. Katz, R. L. Kahn, The social psychology of organizations, 1966.
Le principali scuole di pensiero che abbracciano questa teoria sono: la Contingency Theory, secondo cui le organizzazioni devono trovare la struttura adatta a seconda delle realtà contingenti; la teoria del System Design, secondo cui la struttura emerge da un flusso continuo di processi che identificano di volta in volta i punti di debolezza e forza; la Teoria Organizzativa di Weick, secondo cui è più importante guardare ai processi che alla struttura e, quindi, al ‘come si organizza’ piuttosto che all’organizzazione stessa.
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configurazione in continua evoluzione non definibile, derivante dalla molteplicità di relazioni che i componenti interni ed esterni scambiano gli uni con gli altri.
L’osservazione empirica ha condotto a sostenere che, per le organizzazioni, il pensiero lineare razionale e la tendenza alla pianificazione siano del tutto inappropriati, dal momento che esse sono organismi complessi: la loro struttura non può che essere emergente.119
Sebbene differenti, tutte le teorie esposte propongono un’immagine di organizzazione intimamente legata al concetto di ‘environment’, ‘ambiente’: tutte, infatti, rigettano l’idea di organizzazione come ‘sistema chiuso’ a favore di una visione contestualizzata, secondo cui una struttura organizzativa non è data aprioristicamente una volta per tutte, può essere ibrida e non può prescindere dal rapporto con l’ambiente esterno, da cui viene influenzata e che influenza a sua volta.