• Non ci sono risultati.

SPAZIATORE

Alcune premesse

Prima di affrontare il tema del dispositivo autobiografico a scuola, è necessario comprendere la necessità in un periodo storico come quello odierno dove i cambiamenti della società complessa hanno portato in sé mutamenti significativi quali: la globalizzazione, la caduta delle sintesi filosofiche, la società multietnica, la crisi delle identità e l’avvento di internet.

Negli ultimi anni sono le nuove generazioni che hanno mostrato la crescita esponenziale della comunicazione attraverso la rete e in particolare i social network, strumenti utilizzati prevalentemente dai giovani per questi motivi denominati Nativi digitali207. Si tratta di

giovani che sviluppano competenze tecnologiche specifiche con il rischio di perdere quelle di tipo relazionale, analogico ed emozionale.

207 Il termine “nativi digitali” è stata coniato da Mark Prenski nel 2001 per identificare i nati tra il

1990 ed il 2000, poiché questi ultimi sono cresciuti con la nuova tecnologia e definisce la generazione dei nati a partire dal 1990, generazione immersa nelle nuove tecnologie fin dalla prima infanzia. Questi nativi digitali sono nostri allievi e saranno gli adulti di domani. Crescendo con la tecnologia giocano coi videogiochi, frequentano i social-network, consultano il web in modo personalizzato e usano vari sistemi tecnologici che li collegano in continuità. Prensky arriva a dedurre che esiste un nuovo linguaggio ed un nuovo modo di organizzare il pensiero in base al Multitasking, l’ipertestualità e l’interattività. La soluzione è semplice: genitori e insegnanti possono solo imparare questo nuovo linguaggio.

Silvia Guetta - copia gratuita

194 Copia n. XXX di NOME COGNOME

Soffermandoci sul tema dell’identità possiamo dire che viviamo con quelle che vengono definite ‘identità plurime’ o, ancora, identità frammentate, nel disordine di ruoli che spesso ci contraddistinguono. In questo senso la narrazione e la scrittura di sé, diventano un veicolo per strutturare, ri-costruire lentamente, la nostra identità. Il concetto di identità è molto presente negli studi pedagogici e psicologici contemporanei. Si preferisce parlare di identità molteplici e di un continuum, come un filo rosso presente in tutto l’arco della nostra vita. Si parla quindi di identità multiple, o di un’identità poliedrica. Chiaramente questo scoprire le nostre molteplici identità ci fa sentire oltre che aperti, talvolta smarriti, persi. Imparare a lavorare sulla propria storia e con la propria storia ci permette invece, fin da piccoli, di tenere insieme, in un’unica tessitura, le nostre identità plurime, senza disperderci al fine di costruire la trama della nostra vita.

Figura 28 – Le trasformazioni attuali nella società

L’attività cognitiva e i modelli Pedagogici del Novecento

Dobbiamo aspettare il Novecento per passare da una visione fondamentalmente unitaria e logico-intellettiva del lavoro dell’apprendimento e della mente, concepita come insieme di processi astratti e di procedimenti tecnico-scientifici, ad una concezione plurima e individualizzata dell’attività cognitiva, nella quale emergono componenti immaginative, emotive, metaforiche, riflessive assai rilevanti, legate oltretutto a specifiche aree disciplinari e ai processi di crescita dei singoli individui, mentre il paradigma di riferimento metodologico si distanzia progressivamente da quello della scienza sperimentale per avvicinarsi ad una visione di carattere narrativo.

Per meglio comprendere le radici della Pedagogia dell’autobiografia, dedichiamo uno spazio ad alcuni teorici che hanno posto le condizioni per sviluppare e valorizzare tali dispositivi formativi come John Dewey e Jerome Bruner.

Silvia Guetta - copia gratuita

195 Copia n. XXX di NOME COGNOME

Dewey e la mente riflessiva

John Dewey, con la sua teoria dell’attivismo pedagogico, sostiene che la conoscenza è sempre stata pensata come un'estrazione di dati, strutture, concetti già pronti e presenti nella realtà, da ricavare e assimilare. Secondo questa visione, la mente diventerebbe logica col solo conformarsi alle materie di studio, da apprendere in maniera diligente ma passiva.208 Da un altro punto di vista la conoscenza avviene attraverso un lavoro della mente che risulta fondamentalmente come processo riflessivo di fronte a situazioni problematiche. In questa visione Dewey intende promuovere l’atteggiamento riflessivo come lo scopo primario dell'educazione, il soggetto non si trova affatto davanti ad una serie di oggetti già catalogati, chiari e distinti, da indagare, ma ad una situazione globale alquanto confusa, problematica, su cui deve intervenire, per potere separare gli elementi che interessano. E' l'operazione di analisi, che consiste nell'astrarre una qualità o carattere distintivo dalla totalità indifferenziata di un fenomeno per poterla vagliare separatamente. Successivamente potrà intervenire l'operazione correlativa all'analisi, la sintesi, che consiste nel trasporre un significato in un settore nuovo ritenuto fino ad allora di specie diversa, allargando così il suo campo di applicazione. Il pensiero si sviluppa attraverso questa serie continua di passaggi di analisi e sintesi successive guidate dalla riflessione. Imparare a pensare vuol dire, secondo Dewey, imparare a guidare in modo sempre più consapevole questi passaggi e le sistemazioni mentali successive, in cui il dare significato è stabilire relazioni, collegare:

«Ogni processo conoscitivo, inclusavi ogni sorta di indagine scientifica, mirando a rivestire le cose e gli eventi di significato - a comprenderli - si attua sempre col togliere le cose che sono oggetto di indagine dal loro isolamento. Finché non si scopre la relazione delle cose con un contesto in qualche modo più ampio, la ricerca continua»209.

Bruner e la scoperta dell’intelligenza narrativa

Lo psicopedagogista Jerome Bruner ebbe il merito alla fine del Novecento di introdurre una distinzione tra due modalità di organizzare il significato: il pensiero narrativo, tipico delle discipline letterarie e linguistiche, più adeguato alla ricerca di senso, a individuare intenzioni e possibilità, a trovare momenti dialogico-cooperativi nella costruzione di sé e della cultura; il

pensiero paradigmatico (o logico-scientifico), tipico delle discipline tecniche e scientifiche,

legato alla logica e alla scienza, alla costruzione del sapere per categorie e schemi, alla conoscenza astratta e decontestualizzata. Esistono dunque, due modalità universali in cui gli esseri umani organizzano e gestiscano la loro conoscenza del mondo e strutturano la loro esperienza immediata: da una parte l’una più adatta a trattare “cose” fisiche (il pensiero logico-scientifico), l’altra più efficace nel trattare i problemi delle persone e delle loro condizioni (quindi il pensiero narrativo). Esse affondano le loro radici o nel genoma umano o nella struttura del linguaggio. Una scuola che si focalizzasse su uno soltanto di questi modi di organizzare il pensiero tradirebbe le potenzialità cognitive tipiche dell'uomo210. Sviluppare un atteggiamento riflessivo, metacognitivo, consente la consapevolezza non solo delle materie che si stanno studiando, ma del proprio modo di procedere nell’apprendere e nel pensare attraverso una buona teoria della mente. L’approccio narrativo ha acquisito un posto prioritario nella formazione in quanto, è attraverso le storie personali che ogni soggetto impara a collocarsi nel mondo, a identificarsi e a differenziarsi, a narrare a se stesso una storia in cui la sua vita, anche la scienza, acquista significato, a pensare il futuro non in

208 Dewey J.,Come pensiamo, tr. it., La Nuova Italia, Firenze, 1961, p.151. 209,Ibidem, p. 217

210 Cfr. Bruner J., La mente a più dimensioni, tr. it., Laterza, Roma-Bari, 1988;, La ricerca del

significato. Per una psicologia culturale, Torino, Bollati-Boringhieri, 1992; La cultura dell’educazione. Nuovi orizzonti per la scuola, tr. it., Feltrinelli, Milano, 2001.

Silvia Guetta - copia gratuita

196 Copia n. XXX di NOME COGNOME

termini di destino ma di possibilità. Soprattutto acquista coscienza di sé, identità personale e autostima, l’immagine di un sé possibile sul quale giocare la grande partita dell’esistenza.

Secondo Bruner ciò che caratterizza l’identità umana è la costruzione di una memoria dei nostri incontri attivi con il mondo, la cosiddetta ‘memoria autobiografica’, da cui estrapolare un’idea di sé nelle possibilità di aprirsi al futuro e, dunque di orientarsi e progettarsi.

È da questi presupposti che prende le mosse la Pedagogia dell’autobiografia: dispositivo che ha visto il suo sviluppo dagli anni Novanta del Novecento e che tutt’oggi viene studiato e rinnovato in base all’interconnessione con le teorie correnti in ambito di sviluppo umano.

Promuovere il dispositivo autobiografico a scuola

Lo sviluppo delle teorie pedagogiche ed interdisciplinari dello sviluppo cognitivo e dell’apprendimento, hanno messo in luce il ruolo che negli ultimi anni ha assunto il pensiero narrativo ed autobiografico nei percorsi formativi; un metodo utilizzato nei vari contesti di ricerca e di formazione dove gli strumenti educativi di indagine tradizionali non sono stati più sufficienti a rispondere adeguatamente ai bisogni dei soggetti, delle nuove emergenze e delle nuove realtà sociali.

Tra i soggetti fruitori del dispositivo autobiografico in educazione, ci sono i giovani ovvero, quei soggetti che vivono una condizione di “passaggio”, di trasformazione (radicale), di crisi: condizioni che implicano necessariamente un riesame del vissuto e della coscienza; una condizione di modificazione, di svolta, ma anche di opportunità e di creatività.

Tra l’infanzia e l’adolescenza si formano quelli che si chiamano i “temi del sé” come l’autonomia o l’indipendenza che sono delle strutture e che si articolano insieme ai “compiti della vita” sui quali si orientano le proprie scelte. Proprio per questi motivi l’adolescenza diventa un’età cruciale nella formazione della riflessione autobiografica.

La scrittura autobiografica giovanile risulta interessante luogo di indagine attraverso le nuove forme di scrittura di sé come i diari in rete oppure le cosiddette “scritture minori” (posta elettronica, sms, scritture sulle panchine o sui banchi di scuola…): luoghi autobiografici non ancora pienamente indagati ma che necessitano di essere comprese per meglio capire un modo di comunicare in continuo cambiamento ed in trasformazione.

Narrarsi e scrivere su di sé, rivelano nei giovani vivacità intellettuale, capacità di racconto,

attenzione agli stati d’animo personali, curiosità e fantasia; qualità che spesso mancano nelle scritture tradizionali scolastiche laddove si ha l’opportunità di stendere un testo solo nel tema in classe per essere giudicati, oppure quando si compongono pagine con finalità puramente utilitaristiche.

Come precedentemente detto, se gli apprendimenti negli studenti sono veloci, immediati, agili grazie soprattutto alle competenze che essi hanno nell’utilizzo delle nuove tecnologie, il compito della scuola è (e dovrà esserlo sempre più) quello di creare spazi di riflessione e di rivisitazione delle conoscenze acquisite in solitudine.

E’ in particolare la riflessione su di sé ed il conseguente ascolto ed incontro autentico con il mondo degli altri, che necessitano uno spazio nell’organizzazione scolastica.

Nella scuola le storie di vita degli alunni (ma anche quelle degli insegnanti) sono ignorate, stanno dietro le quinte senza mai entrare direttamente in scena. A scuola abbiamo scoperto un sapere molto spesso all’insegna della frammentazione: divisione fra corpo e mente, fra ragione e sentimento, fra conoscenza ed esperienza dei sensi.

Riportare l’autobiografia a scuola ha proprio il significato di ri-tessere insieme ciò che la scuola tende a separare, restituendo corpo alla dimensione del conoscere, valorizzando i saperi acquisiti e offrendo loro armonia.

Significa dunque dare spazio al colloquio, all’ascolto dell’altro all’insegna della reciprocità, aperti al gioco dei rispecchiamenti, agli imprevisti, alla possibilità di sorprendersi e a quei piccoli spiragli che gli studenti offrono e che svelano il loro mondo interno.

Silvia Guetta - copia gratuita

197 Copia n. XXX di NOME COGNOME

Colloquiare significa instaurare una relazione all’insegna della reciprocità, cosa che non rientra nella relazione normale insegnante e alunni.

Nell’approccio autobiografico il colloquio costituisce una competenza del docente ed una risorsa della relazione educativa, forma di attenzione e capacità di porre domande utili a creare un coinvolgimento, una connessione fra vita scolastica e vita diffusa. Integrare questi due mondi che troppo spesso sono totalmente non comunicanti, è importante al fine di rendere l’apprendimento, il sapere, un sapere incarnato, dell’anima, un sapere vissuto.

Ci chiediamo: è possibile creare spazi favorevoli al racconto e alla scrittura di sé all’interno di una struttura prevalentemente rigida come la scuola?

È possibile che l’insegnante sia disponibile ad accogliere senza valutare o giudicare le esperienze di vita degli studenti?

Lavorare con il dispositivo autobiografico significa far riflettere i ragazzi sulla propria vita, affrontando le dimensioni:

del tempo: passato remoto, passato prossimo, presente per meglio progettare il futuro,

dello spazio: la casa, la scuola, il quartiere, il paese, i paesaggi, la comunità come luoghi educativi,

situazioni: fatti, atmosfere, figure importanti, incontri, amicizie, movimenti: cambiamenti, accidenti, rinunce, svolte, progetti.

Il lavoro di ricostruzione biografica non è lontano dagli obiettivi disciplinari: esercita il pensiero narrativo, l’introspezione, la memoria. Lavorare con la memoria significa lavorare col cuore (ri-cordare), con la mente (ram-mentare), ri-membrare cioè mettere assieme il puzzle esistenziale, riordinando, rendendoci consapevoli del percorso fatto.

Ripensare la propria storia consente di scoprirsi “esseri cognitivi” capaci di pensare,

apprendere, fare.

Figura 29 – Lo schema delle mosse cognitive

Silvia Guetta - copia gratuita

198 Copia n. XXX di NOME COGNOME

A tale proposito risulta di grande interesse l’opera di Philippe Lejeune211, il più grande studioso di autobiografia in Europa, che propone suggerimenti per sviluppare un laboratorio autobiografico a scuola. Egli ritiene che i docenti dovrebbero conoscere lo strumento autobiografico, indipendentemente dalla disciplina che insegnano. Con l’autobiografia - e tutte le altre forme del narrarsi e dello scriversi - infatti, non si è solo pedagogisti e insegnanti, ma soggetti che si mettono nella condizione di acquisire delle competenze di tipo educativo e psicologico.

Quali sono i requisiti, secondo Lejeune, per condurre e gestire un laboratorio autobiografico in classe?

Essere facoltativo. Bisogna proporre e non imporre. Non dobbiamo mettere l’allievo alle

strette in una consegna che lo disturba, ma proporre una scelta tra le due consegne o la possibilità di interpretarle. Non forzare per non riaprire delle strade dolorose e/o cicatrizzate male. Se ci mettiamo nella condizione di psicologo provocando gli altri a raccontare a tutti i costi la loro vita, è meglio saper ascoltare i loro silenzi.

Essere indiretto. E’ ciò che preserva in modo migliore la libertà dell’allievo. La deviazione

essenziale è la lettura: certo, la nostra identità narrativa si nutre di tutto, ma se studiamo l’autobiografia ci mette a nostro agio vedere che non sono il primo a parlare di me e che altri hanno avuto gli stessi problemi, che ci sono nuove vie da intraprendere ed esplorare ponendoci anche il problema dei rapporti o dei limiti tra autobiografia e finzione. Una volta ben distinte le strategie, ognuno è libero di scegliere la propria. Laddove c’è gioco, c’è libertà e piacere. Non deve essere una tortura ma deve essere un divertimento.

Essere produttivo. E’ quello che giustifica questi esercizi. E’ importante ed educativo che

l’allievo esca dal laboratorio con qualcosa a cui è stato riconosciuto un valore, ovvero, lui stesso. E’ meglio proporre esercizi che sono all’interno di un progetto coerente e che sboccia in una produzione comunicabile. Lejeune suggerisce che possiamo correggere senza dare voti; la correzione riprende il vero significato che porta ad un miglioramento dove l’allievo rimane il maestro di se stesso in quanto ne è il soggetto.

Essere collegiale. E’ difficile essere da solo di fronte alla vita degli altri. L’ideale è trovare

un collega di letteratura o di storia o di educazione artistica o un documentarista se si vuol mettere insieme un progetto di scrittura e lettura autobiografica. Controllo reciproco, ripartizione dei ruoli, quello che guida e quello che scrive; la co-gestione è importante anche per l’attenuazione dei transfert.

In una società sempre più multiculturale, l’idea sarebbe quella di dare allo studente la possibilità di appropriarsi della propria cultura di origine, di appartenenza per valorizzarla e di farne tesoro nella propria memoria.

L’obiettivo dello studioso è quello di sensibilizzare all’esercizio della scrittura di sé gli allievi con compiti a casa senza poi citare nessuno e mantenendo l’anonimato, lo studioso restituisce privatamente una riflessione. Non conduce laboratori, ma utilizza in classe la metodologia autobiografica con una particolare attenzione alla formazione individuale degli studenti .

La crescita e l’espansione dell’uso delle storie di vita nella cultura odierna ci impone una riflessione sull’esperienza dell’individuo contemporaneo che dà senso alla propria esistenza attraverso il riflettere su di sé, lo scriversi, il leggersi, l’interpretarsi, il riprogettarsi: sono

211 Per approfondimenti si guardi in Benelli C., Philippe Lejeune. Una vita per l’autobiografia,

Unicopli, Milano, 2006. L’autore fa ricerca sulle scritture di sé nell’area francofona ed internazionale e mette al centro il genere dell’autobiografia e del diario; quest’ultimo viene utilizzato come oggetto di insegnamento nella scuola secondaria francese e come strumento di autoriflessione. A tale proposito risulta interessante la Fondazione di Orleàns ‘Vivre et l’ecrire’, un luogo/archivio che custodisce diari e scritture autobiografiche di giovani francesi e che diffonde l’educazione autobiografica nelle scuole.

Silvia Guetta - copia gratuita

199 Copia n. XXX di NOME COGNOME

questi strumenti auto-formativi, in cui il soggetto si prende cura di sé, produce i presupposti per un benessere ed una riappropriazione di sé.

E’ dall’esperienza vissuta in prima persona che bisogna sempre partire per apprendere da sé: si tratta di un punto di vista micropedagogico, che sollecita una prospettiva di studio di natura autobiografica e fenomenologica, in grado di offrire agli operatori della scuola e agli educatori maggiori possibilità di rielaborare la loro esperienza diretta, in modo da affrontare i problemi del potenziamento cognitivo e della crescita identitaria nell’attività quotidiana e nella prassi didattica212.

L’autobiografia è soprattutto un metodo pedagogico che ha come obiettivo quello di cogliere la soggettività, la vitalità, l’unicità dell’ individuo, i suoi metodi di apprendimento, di espressione di sé e di attribuzione di un senso al proprio agire.

Per i giovani la scuola oggi è il luogo ideale (talvolta l’unico ambito educativo possibile) per una narrazione; narrazione che può essere spontanea o suscitata, continuativa o occasionale, per sé o per gli altri, fatta di eventi significativi o nel corso di un intera vita.

Attraverso il racconto di sé, il ragazzo riflette, si guarda dentro, e quello che apprende di sé provoca cambiamenti.

Ma fare autobiografia a livello personale o strutturare un lavoro orientato pedagogicamente sono due attività diverse. Quest’ultimo deve rispettare i seguenti punti:

La centralità della scrittura di sé: in quanto ancoraggio cruciale, continuativo, persistente in cui il formatore, l’insegnante è tenuto ad attenersi. Il nucleo propulsore del processo di formazione auto-sviluppato, vissuto, agito, nel quale vi si rispecchia analiticamente è la scrittura della propria storia (o di parti di essa), quale occasione di scambio narrativo reciproco, re- inizio di un percorso.

La centralità di un io narrante che rappresentandosi il mondo interno ed esterno, produce, elabora, crea una letteratura, una poetica personale che decentra, riscatta da visioni troppo realistiche, quotidiane, un vivere la vita senza immaginazione.

La centralità della transizione del racconto della propria vita alla riscoperta della vita, degli altri, nella prospettiva di un’apertura filosofica dalle indubbie matrici esistenzialistiche.

«Se lo studente viene invitato a raccontarsi, non è perché lo si voglia conoscere meglio ma per aiutarlo – e aiutarci – a riflettere, a ricostruire, quindi riconoscere come apprende mentre apprende; per ripercorrere e recuperare i momenti salienti del personale iter formativo, chiarendo a se stesso – ri-apprendendo – le ragioni delle proprie scelte, dei propri successi e insuccessi». 213

La scuola che utilizza strumenti auto-biografici diventa un luogo ‘custode di memorie’, che stimola la produzione e la riflessione su percorsi narrativi.

La narrazione e la scrittura di sé a scuola non sono utilizzate solo per affrontare un momento di conoscenza iniziale in classe, ma dovrebbero essere dispositivi adottati come un esercizio di “presa di parola”, come strumento di incontro e di confronto anche con pensieri e modi di vivere diversi: un vero e proprio esercizio di incontro con l’altro, partecipativo e democratico. La scuola diventa, quindi il ‘luogo delle narrazioni’ sempre più difficile da rintracciare in altri ambiti educativi della vita delle giovani generazioni. La scuola dunque è chiamata a guardare lontano e a non ripiegarsi su se stessa, sui programmi, sulle routine pur

212 Cfr. Demetrio D., Micropedagogia. La ricerca qualitativa in educazione, La Nuova Italia, Firenze,

1992; Formenti L, Gamelli I, Quella volta che ho imparato. La conoscenza di sé nei luoghi dell’educazione, Cortina, Milano, 1998; Bertolini P., Pedagogia fenomenologica. Genesi, sviluppo, orizzonti, La Nuova Italia, Milano, 2001; Demetrio D., Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica