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Indicatori per la rilevazione/valutazione elementi relativi al rapporto scuola/ territorio

Schema esemplificativo: Processi – scelte organizzative

4. Indicatori per la rilevazione/valutazione elementi relativi al rapporto scuola/ territorio

INPUT

Aspetti demografici e contesto socio/economico

 Ampiezza demografica (n° abitanti sede centrale e sedi distaccate)

 Caratteristiche del territorio e densità di popolazione (montana, collinare, … - insediamenti sparsi, frazioni, accentramento, …)

 Settori produttivi prevalenti e attività professionale popolazione / disoccupazione  Livello istruzione

 Presenza di immigrazione e provenienza

 Presenza o collegamenti con servizi per la formazione  Presenza di servizi per il tempo libero

 Rilevazione risorse per la scuola

Rapporti scuola enti locali

 Servizi a carico del comune

 Manutenzione / gestione impianti di proprietà degli enti locali (cura dell’ambiente di apprendimento)

 Canali di collaborazione con enti preposti al rilevamento e al superamento di situazioni di disagio

 Precedenti rapporti di collaborazione con Comune / associazionismo / altro

Famiglie

 Conoscenza competenze/conoscenze dei genitori e disponibilità a collaborare (per integrazione/inserimento in progetti)

Alunni

Conoscenza caratteristiche degli studenti (es. questionari Barberino/Firenzuola)

PROCESSI

Condizioni organizzative e gestionali

Enti locali

 Comunicazione da parte della scuola del proprio progetto di istituto  Adeguatezza e idonea manutenzione degli edifici

 Adeguatezza ed efficacia del servizio erogato dagli enti locali (trasporto, mensa … in funzione del progetto di istituto)

 Positività e adeguatezza dei rapporti di collaborazione (finanziamenti, collaborazioni, …)  Comunicazione sistematica della valutazione di processo da parte della scuola

Utenza

 Comunicazione all’utenza delle linee progettuali della scuola  Partecipazione e coinvolgimento dell’utenza

 Comunicazione dell’andamento del progetto di istituto

OUTPUT

 Valutazione della qualità del servizio erogato da parte dell’utenza

 Comunicazione delle rilevazione di elementi di positività/criticità del servizio erogato in relazione alla dimensione di collaborazione con gli enti locali.

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Capitolo 3.

La qualità della didattica

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, di Paolo Orefice

SPAZIATORE

Il tema della qualità della didattica è un tema impegnativo denso di variabili che lo influenzano e che vanno considerate. Per una riflessione organica appare utile procedere per schemi, per concetti essenziali, da esplorare a partire da un contesto che può risultare esemplificativo, proprio per la complessa articolazione che lo caratterizza e per i processi già attivati rispetto alla qualità: la didattica universitaria.

Il primo aspetto da richiamare è che un punto di vista nazionale e locale sulla qualità didattica va inquadrato nello spazio internazionale dello sviluppo della formazione superiore. La didattica deve essere vista con riferimento a quelli che sono i dibattiti, i modelli, le procedure e le teorie che si sviluppano sul piano internazionale ed europeo in particolare.

Per schematizzare e riprendere alcuni concetti chiave dello spazio europeo della formazione dal punto di vista della didattica, solo due le variabili da considerare prioritariamente.

1) La qualità della didattica in relazione allo scenario storico della globalizzazione e del lavoro, che in Europa si sta sviluppando verso un’eccellenza competitiva della conoscenza, sia rispetto al versante americano che a quello giapponese (citando solo i paesi più avanzati sul piano delle conoscenze e delle tecnologie). Non è questa la sede per sviluppare le interpretazioni della Knowledge Society, ma occorre precisare che il problema non è inteso nel senso che qualunque società si regge sulla conoscenza (in tutta la storia dell’uomo, ogni società è stata caratterizzata dalle modalità di conoscenza che essa si è data), ma l’elemento nuovo della nostra contemporaneità sta nel fatto che la conoscenza sta diventando essa stessa strumento di funzionamento della società postindustriale dove la produzione di tecnologie immateriali, fondate appunto sull’informazione, è alla base dello sviluppo economico, sociale e culturale e, dovremmo dire, dello stesso sviluppo delle democrazie avanzate.

16 Il presente contributo riprende la relazione presentata al Convegno nazionale CO.IN.FO-MIUR, Qualità e Valutazione nell’Università, Roma, 27/28 Gennaio 2005

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2) La problematica relativa alla società della conoscenza rimanda ad un altro concetto chiave, che si incontra nei documenti dell’Unione Europea - e che è ripreso anche nei documenti della CRUI – secondo il quale la stessa Università deve guardare alla formazione dei suoi studenti in un’ottica di apprendimento permanente lungo tutto il corso della vita. Questo significa che l’attività didattica delle università non può più esaurirsi solo nel primo, nel secondo o nel terzo ciclo. La formazione continua infatti sta diventando sempre di più una necessità dello sviluppo del sistema della formazione degli Atenei. Questo però sta ad indicare anche che una quota significativa degli studenti è data da adulti che lavorano o che sono usciti dal lavoro e si aspettano dal sistema universitario un incremento dei loro saperi, non solo di carattere professionale, ma anche culturale in senso più lato.

Si può affermare che queste due parole chiave, società della conoscenza e formazione lungo

tutto il corso della vita, rientrano pienamente nelle strategie e nelle politiche europee di

sviluppo dei paesi e delle economie avanzate, come investimento sul capitale umano.

L’investimento sul capitale umano del resto non ha soltanto una dimensione europea, ma una dimensione internazionale. Tutti i programmi internazionali delle agenzie dell’ONU riconoscono nello sviluppo del capitale umano, cioè della risorsa uomo, il motore sul quale fondare sviluppo economico, sociale, culturale e civico. All’interno di questo ordine di strategie, i vari sistemi nazionali stanno lavorando per realizzare un’architettura europea della formazione superiore.

Nello sviluppare il ragionamento è utile richiamare alcune tappe di riferimento: la prima corrisponde allo start rappresentato dalla dichiarazione di Bologna, seguita dalla dichiarazione di Lisbona del 2000 sul Lifelong learning, fino ad arrivare all’incontro dei ministri dei governi europei a Lovanio nell’aprile 2009, tappe che hanno dato sempre nuovi impulsi all’architettura europea della formazione superiore.

La dichiarazione di Bologna ha creato una rivoluzione nel modo di concepire la didattica nel sistema universitario. Proprio per le ragioni già accennate, ha indicato che un sistema universitario deve puntare al successo formativo del più alto numero di studenti.

Nell’università di massa attuale spesso prevale la tentazione – e purtroppo anche la pratica - di abbassare i livelli di istruzione. Il rischio è che nel primo livello dei nostri corsi di studio si crei una sorta di licealizzazione, in contrapposizione netta con i livelli attesi dal processo europeo per la formazione universitaria. In questo caso la formazione universitaria non appare in linea con gli orientamenti della didattica all’interno della prefigurata architettura europea. Secondo tale prospettiva, il focus della didattica non è più centrato unicamente sull’insegnamento, deve sapersi spostare sul guadagno formativo, cioè sul primato dell’apprendimento dei nostri studenti, cui devono concorrere congiuntamente offerta formativa e relativi servizi didattici. E’ quindi un totale ribaltamento della logica cui si accennava. Lo scenario dell’università europea non prevede infatti l’abbassamento dei livelli di conoscenza, ma al contrario l’innalzamento del livello di conoscenza della popolazione, perseguito attraverso un apprendimento permanente.

Gli obiettivi di Bologna e poi di Lisbona indicano che non soltanto va perseguita la centralità dell’apprendimento, con un nuovo orientamento impresso all’insegnamento e ai servizi della didattica, ma che il primato dell’apprendimento possa garantire una qualità della conoscenza in grado di rendere competitiva la civiltà e la cultura europea in uno scenario internazionale.

I processi della didattica devono poter essere misurati con strumenti adeguati: non tanto in una logica di controllo, ma, come si legge in tutti i documenti fin dalla dichiarazione di Bologna, ma in una logica di garanzia, di assicurazione della qualità, la Quality Insurance.

A questo punto il problema diventa duplice: da una parte realizzare una didattica di qualità, per quel 50% che, come è stato detto, rientra nelle competenze universitarie e, dall’altra, costruire e quindi utilizzare modelli europei di riconoscimento della qualità che in

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qualche modo possano essere applicati per individuare e testimoniare elementi di qualità nel sistema universitario nel suo insieme.

Quindi i due indirizzi che, con riferimento alla didattica nella formazione superiore, vengono dalla prospettiva europea portano innanzitutto a non considerare più la didattica come elemento residuale della funzione di ricercatori, caratterizzante il docente universitario, per cui, secondo una tradizione storica, la qualità della conoscenza scientifica produce automaticamente la qualità della didattica. Questo rapporto, questo automatismo, nello scenario dello spazio europeo della conoscenza e di un apprendimento permanente, deve essere superato. La didattica non può essere considerata di secondaria importanza, riacquista una piena autonoma dignità. Ma la didattica deve essere riesaminata, non più in una logica che la riconduce al docente come unico punto di riferimento, ma come elemento da collocare all’interno di un sistema complesso di gestione della formazione universitaria.

Naturalmente questi sono problemi aperti, su cui stanno ragionando gli Atenei, la Conferenza dei Rettori (CRUI), il Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario. La domanda che si pone infatti è la seguente: è possibile stabilire un rapporto tra i modelli di qualità della didattica e i modelli di certificazione di quella qualità? In altri termini: qual è la concezione della qualità della didattica a cui si fa riferimento? I modelli di certificazione e di accreditamento, che sono correlati, di quale qualità parlano? C’è una relazione tra i modelli di qualità della didattica e i modelli di riconoscimento della qualità?

E’ chiaro che la domanda non è capziosa, il problema è complesso. È importante considerare alcuni suoi aspetti.

I modelli di certificazione, di riconoscimento della qualità più conosciuti - ISO, EFQM, e per l’università il modello CAMPUS - chiaramente non possono essere presi senza riconoscervi qualche elemento di criticità. Nell’utilizzare questi modelli è necessario interrogarli, evitare di assumerli come punti di riferimento certi e intoccabili, vanno visti invece come strumenti in progress, come strumenti da mettere a confronto con una determinata concezione della qualità della didattica. Occorre vedere se il modello prescelto è in grado di recepire la teoria, la strategia, la logica di qualità del sistema didattico, ma anche le buone pratiche didattiche che deve riconoscere.

Non esistono automatismi nella qualità. Un esempio viene dall’Università di Firenze, dove si sta sviluppando in collaborazione con la Regione Toscana e con gli altri atenei della regione, un percorso di accreditamento dei corsi di studio. Pur apprezzando moltissimo il lavoro di punta che fa la Regione Toscana, è comunque vero che inizialmente le Università si sono trovate “molto strette” nel modello di accreditamento dei corsi di studio che la Regione aveva costruito. Quei modelli d’altra parte erano stati costruiti per la formazione professionale e mal si addicevano al sistema universitario che è molto più complesso. È stato necessario affrontare e superare moltissime difficoltà, ma alla fine queste forme di accreditamento sono passate. Ora tutta una serie di corsi sono accreditati sul piano regionale. Occorre tuttavia ammettere che la qualità per molti aspetti è stata più formale che sostanziale ai fini dello sviluppo dei corsi di laurea. E questo è accaduto perché il modello non era stato costruito tenendo adeguatamente presenti le problematiche della didattica universitaria; non considerava abbastanza le strategie che il sistema universitario sta sviluppando in un quadro europeo, né di conseguenza quale potesse essere il sistema qualità che un ateneo potrebbe adottare, né quali buone pratiche avrebbe dovuto prendere in considerazione.

L’esperienza dell’ateneo fiorentino forse può dare un’idea della complessità dei problemi. Dopo l’accreditamento regionale, l’Università di Firenze - ma lo stesso avviene anche in altre università - sta adottando per la certificazione dei corsi di studio il modello che la CRUI ha elaborato come derivazione dalla sperimentazione CAMPUS One degli ultimi tre anni. Il modello CRUI, che la Regione Toscana ha riconosciuto, ha almeno due elementi che lo mettono in pari con altri modelli europei e internazionali di Qualità Assurance della formazione:

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• innanzitutto è stato riconosciuto congruente dall’Associazione europea delle università;

• inoltre, il sistema di valutazione prevede che oltre i valutatori universitari ci siano anche rappresentanti del mondo del lavoro, quindi soggetti esperti che provengono dall’esterno del sistema universitario.

Le dimensioni della qualità del modello CRUI sono una rielaborazione del modello ISO.

Il modello CRUI evidenzia come la didattica, cioè la formazione universitaria, non si esaurisca solo nel rapporto docente-studente, che resta ovviamente un punto fondamentale, ma richieda una convergenza di diverse altre dimensioni, e che tutte entrino in qualità.

Tra queste dimensioni la prima è certamente rappresentata dal sistema organizzativo. Una dimensione che ha sollevato le preoccupazioni di docenti che temevano che una visione più complessa della qualità della didattica, non limitata alla sola qualità dei contenuti derivati dalla ricerca scientifica, ma collocata in una visione d’insieme del sistema, significasse in qualche modo svilire il proprio ruolo istituzionale. In realtà la didattica non si realizza solo nel rapporto docente-studente, ma è correlata a tutta un'altra serie di variabili. Nella valutazione della qualità non si giudica la qualità dei contenuti, questa semmai può essere giudicata dal sistema di valutazione della ricerca. Quella che si giudica è invece la qualità del sistema operativo che si dà l’Ateneo e che si dà il Corso di studi per offrire il servizio. E’ importante che questo punto sia chiaro. Molti meccanismi di difesa tra docenti derivano dal timore che si pretenda di valutare la validità dei contenuti del docente. Questi contenuti come si è detto derivano dalla ricerca e saranno valutati da chi valuta la ricerca scientifica: in realtà si parla della valutazione del sistema didattico. E’ chiaro quindi che la prima dimensione proposta per l’analisi dal modello CRUI sia il sistema organizzativo.

Processi e Attività della Ricerca