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SPAZIATORE

La pedagogia narrativa

L’educare narrando è il voler dare un impianto narrativo al percorso educativo, il voler vedere l’educazione non solo come trasmissione del sapere, ma bensì come espressione dell’ascolto reciproco tra soggetti narranti la cui identità è, soprattutto, un’identità narrativa151. Il lemma programmatico pedagogia narrativa152, quindi ‹‹non va riferito alla narrazione come ‹‹oggetto›› (i racconti), ma al narrare come forma costitutiva e principio epistemologico dell’elaborazione pedagogica››. Intendere la pedagogia narrativa come il ‹‹ricorso a racconti, romanzi, materiali narrativi di vario genere›› risulterebbe ‹‹ fuorviante, riduttivo, quasi uno svuotamento››153.

La narrazione e, maggiormente, la narrazione orale, è intimamente connessa e correlata con l’identità, insieme formano un binomio inscindibile, del resto il connubio identità- narrazione non è estraneo allo scenario filosofico, se lo stesso Paul Ricoeur ha affermato durante un’intervista che ‹‹l’arte del racconto non è una cosa solo per ragazzi, ma anche per noi che abbiamo bisogno di riunificare la nostre vite, le nostre esperienze, con la capacità di farne dei racconti intelligibili. Non si tratta della storia dell’umanità, ma della nostra storia personale che dobbiamo elevare al rango di storia. Unificando la nostra esperienza in un

151 Ricoeur P., Il tempo raccontato. Tempo e racconto, Jaca Book, Milano, vol. III, 1988. Ricoeur distingue due modi di intendere il sé: l’idem (il medesimo, l’identità sostanziale) e l’ipse (l’identità narrativa, dialogica, aperta) L’ipseità (identità narrativa) è l’identità di un soggetto non assimilatore dell’alterità, essa è una identità nomade, che si pensa in maniera dinamica, processuale, mobile, plurale, in via di trasformazione.

152 Cfr. Mantegazza R. (a cura di), Per una pedagogia narrativa, EMI, Bologna, 1996; Batini F., Pedagogia narrativa voce del Lessico pedagogico, in ‹‹Studium Educationis››, Padova, n.1, 2000.

153 Nanni A., La pedagogia narrativa: da dove viene e dove va, in Mantegazza R., Per una pedagogia narrativa, ed. cit., p.40.

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racconto non facciamo un lavoro di espressione linguistica, ma di autocomprensione››154. Comprendere se stessi, amarsi e valorizzare il proprio io è la formula vincente per abbattere ogni forma di disagio e di emarginazione. Del resto il raccontarsi non è solo “espressione di sé”, ma è, soprattutto, “scoperta di sé”, perché ogni volta che ci raccontiamo diventiamo la voce narrante di noi stessi ed impariamo ad amarci di più. Un amore di sé che può essere realizzato attraverso il raccontare e il raccontarsi, visti da Duccio Demetrio come forme di liberazione e di ricongiungimento, in quanto per avere cura di noi dobbiamo prima far pace con la nostra personalità155. Ecco che l’arte del narrare ha il potere di ricondurre ciascuno alla propria identità, proprio per questo il racconto non è altro che la ricerca che il soggetto fa di questa identità156. Pertanto tra la cura di sé e la scrittura di sé si instaura un rapporto molto stretto e vicendevolmente funzionale. Il racconto cura noi stessi, perché attraverso la narrazione noi ci prendiamo in cura, ci accorgiamo che siamo vivi narrando e scrivendo157. In particolare, attraverso la narrazione autobiografica ci riconsegniamo a noi stessi, ci rendiamo conto che la nostra mente si rimette in moto, ricomincia a creare, ad immaginare, anche se l’oggetto della nostra scrittura è passato. È una sorta di auto-nutrimento, in quanto ciascuno ha la sensazione di nutrirsi di se stesso, della propria storia, delle proprie memorie158.

Il racconto è un universo che la scuola può e deve sempre valorizzare, senza correre il rischio di ridurla ad una semplice materia, perché ‹‹se organizziamo ogni cosa in materie sciupiamo tutto››159. Se si condivide il pensiero di Roland Barthes, ossia che ‹‹il racconto comincia con la storia stessa dell’umanità›› e che ‹‹non esiste, non è mai esistito in alcun luogo un popolo senza racconti››160, risulta paradossale l’assenza velata del racconto dalle classi, quindi, ripartire dalla narrazione, come sostiene la pedagogia narrativa, è uno dei modi per rendere più ricchi di significato gli spazi e i tempi dell’educazione scolastica. Del resto anche due studiosi francesi di differente scuola, come il semiologo Algirdas Julien Greimas161 e l’ermeneutico Paul Ricoeur162, concordano nell’attribuire alla forma narrativa un ruolo preminente nell’organizzazione del mondo compiuta da un soggetto che percepisce ed interpreta. Per Ricoeur il racconto è il modo umano di esprimere e di rappresentare il tempo:

154 Danese A. (a cura di), L’io dell’altro. Confronto con Paul Ricoeur, Marietti, Genova, 1993, p.20. 155 Demetrio D., Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Cortina, Milano, 1997, p.11.

156 Cavarero A., Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli Editore, Milano, 1997. Adriana Cavarero ha molto sottolineato questo connubio identità-narrazione, in quanto per l’autrice, l’arte del narrare - a suo parere un’attività spiccatamente femminile - ha la capacità ed il potere di riportare ognuno alla propria identità; per non essere dimenticato il soggetto cerca il suo racconto, lo desidera perché solo attraverso di esso può recuperare la coscienza della suo essere unico.

157 Canevaro A., Chiantera A., Cocever E., Perticari P. (a cura di), Scrivere di educazione, Carocci, Roma, 2000. Scrivere di educazione è un argomentato saggio che indaga sul rapporto privilegiato tra lavoro educativo e scrittura di sé come strumento di cura, offrendo alcuni esempi di rielaborazione e di trasmissione della pratica didattica.

158 ‹‹La memoria … difesa ed educata in noi stessi, per gli altri, ci restituisce al senso di aver vissuto e di poter insegnare quel poco che della vita siamo riusciti a capire››. Demetrio D., Pedagogia della memoria. Per se stessi con gli altri, Meltemi editore, Roma, 1998, p.7.

159 Canevaro A., Un viaggio difficile, in ‹‹Cooperazione Educativa››, n.1, 1995.

160 Barthes R, Introduzione all’analisi strutturale dei racconti, in AA.VV., L’analisi del racconto, Bompiani, Milano, 1977, p.7. Secondo Roland Barthes, la narrazione è presente in tutti i tempi ‹‹…in tutti i luoghi e in tutte le società››. La narrazione ‹‹è internazionale, transtorica, transculturale: essa è semplicemente lì come la vita stessa››. Ibidem, p.79.

161 Greimas A. J., Du sens II. Essais sémiotique, Paris, Seuil, tr. it. Del senso II. Narrativa, modalità, passioni, Milano, Bompiani, 1984.

162 Ricoeur P., Temps et récit, Paris, Le Seuil , 1983-1985 (tr. it. Tempo e racconto, Jaca Book, Milano, voll. I - II - III, 1986-1988).

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riconosciamo un evento rappresentandolo anche a noi stessi in modo narrativo, come un racconto163.

Narrativa è la nostra stessa identità, costruita dall’insieme delle storie con cui ci autoraccontiamo noi stessi, per questo il fare narrazione orale all’interno della scuola, può rappresentare uno strumento straordinario per dare allo studente un atteggiamento conoscitivo più libero, in quanto lo sottrae dalla possibilità di ingabbiare le azioni ed i fatti in categorie prestabilite. Che sia la narrazione orale, più di quella scritta, a incoraggiare la soppressione di categorie prestabilite, è confermato dallo stesso Ong che a lungo ha riflettuto sulla differenza tra l’oralità e la scrittura164. Ong, dopo un’attenta analisi, afferma che è l’oralità ad essere espressione di cambiamento, e non la scrittura (forma di conservazione), in quanto la parola parlata cambia nel tempo e nello spazio e a secondo del pubblico con cui si trova ad interagire165.

La narrazione orale, dunque, può e deve rappresentare una strada da percorrere per favorire l’instaurarsi di una relazione educativa all’interno della quale l’insegnante può scegliere di “fare comunicazione” e non solo di fare “l’insegnante”. È proprio l’insegnante che per primo deve far sua la capacità di ascoltare e di comunicare per poter capire fino in fondo il mondo dell’educando, comprendendone i bisogni, i disagi, le esperienze e facendosi partecipe dei suoi stati di vita. È l’insegnante che deve educare all’oralità, all’arte del racconto, alla riflessione consapevole e al giudizio critico. Infatti l’arte del racconto, a scuola, non ha solo il merito di migliorare l’immagine del singolo favorendone l’autorealizzazione, ma collega, anche, la realtà scolastica con quella della città e del territorio, aiuta a scoprire e a comprendere i valori diversi, permettendo di interpretare gli eventi ed i contesti del presente, spesso difficile, e facilitando così la relazionalità.

Il processo formativo, sempre e comunque, narrativo, in quanto si racconta e ci si racconta, è intrinsecamente relazionale: nella relazionalità la negoziazione del proprio sé con quello altrui è l’elemento di vitale importanza, in questo senso la narrazione trova la propria validazione come strumento di formazione. Il punto di vista narrativo permette ‹‹di restituire ai soggetti una maggiore capacità di collocarsi, grazie alla formazione, all’interno di processi più generali e complessi, individuando percorsi e storie esistenziali e lavorative più soddisfacenti e significative››166.

C’è bisogno, quindi, di una formazione pedagogica, che si curi dell’analisi delle narrazioni e si preoccupi di alimentare le capacità narrative della comunità, che insegni non solo ad ascoltare le narrazioni, ma anche e, soprattutto, a produrle167. Così come c’è bisogno di una formazione al diario e all’autobiografia che ‹‹non è solo un modo di raccontarsi, un disvelamento a sfondo narcisistico, o una spiegazione/giustificazione post hoc delle scelte compiute nel corso dell’esistenza … scrivere la propria storia è un modo per apprendere

163 Ricoeur P., Il tempo raccontato. Tempo e racconto, Jaca Book, Milano, vol. III, 1988.

164 Ong W.J., Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna, 1986, pp.70-71. 165 Ibidem, p.7.

166 Kaneklin C., Scaratti G. C.,(a cura di), Formazione e narrazione, Cortina, Milano, 1998, p.XI. 167 L’educazione alla memoria, ad una memoria collettiva, è spesso chiave di lettura dei periodi di crisi. La letteratura, il cinema, la poesia dedicano ampio spazio ai temi della memoria e del ricordo, tessendo i fili di quelle prospettive che ci svelano i nostri lati più riposti. ‹‹L’idea stessa di globalità può essere raccolta proprio a partire dalla narrazione delle ferite di questo inizio di secolo, solo raccogliendo pezzi, cocci, frammenti tramite la narrazione nuda che è anche il mezzo più rispettoso, senza commento… E, forse, è possibile tornare a raccontare non solo essendo convinti della forza del raccontare, ma della sua debolezza che è, al contempo, la sua forza››. Cfr. Batini F., Salvarani B., Tra pedagogia narrativa ed orientamento; primo tempo: Appunti di Pedagogia narrativa, in ‹‹Rivista dell’Istruzione››, n. 6, novembre-dicembre, Maggioli, Rimini, 1999.

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qualcosa su di sé. Scriverla perché sia letta è un modo per formare altri alla comprensione di sé››168.

La narrazione ‹‹è parte del fenomeno dell’esperienza educativa››169 in quanto ‹‹è un’idea che ci consente di pensare l’intero›› attraverso ‹‹lo studio di come gli esseri umani diano significato all’esperienza raccontando e riraccontando senza fine su se stessi storie che, insieme, riconfigurano il passato e creano scopi per il futuro››170. Lo stesso Bruner è convinto che solo attraverso la narrazione l’uomo formula ed esprime significati, ed è grazie ad essa che l’educando può cogliere la relatività dei significati, scoprendo che in ogni storia non esiste un’unica strada di sviluppo del nucleo narrativo, ma che vi possono essere varie direzioni e, di conseguenza, si possono dare diverse risposte e significati. Ne La mente a più dimensione, Bruner definisce narrativa quella modalità di pensiero in grado di leggere le esperienze e le azioni organizzate secondo una consequenzialità che ne evidenzia il valore intenzionale171 e parla di due modi fondamentali di pensiero, quello narrativo172 e quello causativo.

Il raccontarsi è un ottimo strumento che permette non solo di riconoscere il disagio spesso nascosto all’interno della classe, ma anche di analizzare a fondo i problemi mettendoli in discussione o, comunque, portandoli alla coscienza. Da questo punto di vista, la pedagogia narrativa offre agli insegnanti gli strumenti didattici ed educativi migliori per affrontare le problematiche preadolescenziali ed adolescenziali.

La memoria autobiografica: il diario a scuola

I processi di negoziazione del Sé finalizzati all’elaborazione dell’identità personale ed al processo di integrazione di soggetti che vivono forme di disagio possono seguire molteplici percorsi; per quanto riguarda la metodologia educativa, particolare rilievo hanno assunto, negli ultimi decenni, le strategie di intervento orientate a sollecitare nel soggetto la ridefinizione della memoria autobiografica173.

Se ‹‹ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario di oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili››174, la memoria autobiografica ci permette di instaurare dei forti legami con i processi di costruzione dell’identità personale, soprattutto grazie alla sua capacità di servirsi degli eventi del passato per costruire il senso dell’esperienza soggettiva nel presente. Lo stessi Cambi afferma che il bisogno di fare autobiografia è un bisogno di formarsi, di riordinare il proprio

168 Formenti L. Prefazione, in Knowles M.S., La formazione degli adulti come autobiografia, Cortina, Milano, 1996, p. X.

169 Clandinin D. J., Connelly M. F., Narrative and story in Practice and Research, in Schön D., The reflective turn. Case Studies In and On Educational Practice, Teachers College Press, New York, 1991, p.260.

170 Clandinin D. J., Connelly M. F., Il curriculum come narrazione, Loffredo, Napoli, 1997, p.29. 171 Bruner J. S., La mente a più dimensioni, Laterza, Bari, 1997. Scrive Bruner: ‹‹Ed è allora che il lettore formula l’interrogativo cruciale: «Ma di cosa parla tutto questo ? Solo che il testo che egli sta leggendo non è affatto il testo attuale [...] ma il testo che il lettore ha ricostruito dal suo punto di vista, leggendolo. E ciò accade perché il testo attuale, ogni testo, per essere letto ha bisogno di una connettività che rende possibile al lettore di crearsi - con il testo - un mondo per sé e che riconosca come suo proprio››. Ibidem, p.37.

172 Bruner afferma che ‹‹the narrative mode of thought strives to put its timeless miracles into the particularities of experience››, aggiungendo significativamente che ‹‹Joyce thought of the particularities of the story as epiphanies of the ordinary››, Ibidem, p.13.

173 Demetrio D., Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, ed. cit-.

174 Calvino I., Lezioni americane, Garzanti, Milano, 1988, p.120. Calvino sosteneva la necessità di dar vita ad una ‹‹possibile pedagogia dell’immaginazione›› che abituasse a controllare la propria visione interiore senza asfissiarla e senza lasciarla cadere in un confuso labile fantasticare. Ivi.

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vissuto, di riprogettare il proprio io ‹‹come fattore di trasparenza del sé››175. Il raccontarsi rappresenta un momento di aiuto e una risorsa per ricomporre la propria esperienza176, per comprendere quei bisogni ancora inespressi e quei desideri spesso soffocati. L’attività del raccontarsi introduce ordine, informazione e senso in un processo di formazione che appare ‹‹costitutivamente complesso, caotico, tendente all’entropia, talmente dinamico che diventa difficile dargli un senso››177.

In Italia, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, si sono sviluppate una serie di tecniche volte a considerare gli aspetti evolventi della narrazione: una di queste era la narrazione come cura di sé che è andata affermandosi, soprattutto, attraverso il metodo dell’autobiografia, nell’ambito delle pratiche educative per l’età adulta178.

‹‹Molte aree del sapere guardano alla biografia come ad uno strumento efficace››179, infatti se inizialmente la narrazione autobiografica, veniva considerata unicamente come un genere letterario, oggi viene vista al di fuori di questo limite, essendo entrata di diritto nella ricerca- azione, nell’educazione, nella formazione180. L’autobiografia è formazione in un senso fortemente autonomo, processuale e dinamico, in quanto l’essere umano avverte in un modo costante il bisogno di affermare la sua autonomia cognitiva181, cioè di assumere la decisionalità, la guida e la valutazione del proprio processo formativo.

La possibilità di sdoppiamento, offerta dall’autobiografia, rappresenta un terreno fertile da coltivare: si diventa altri, altre persone, ciascuno si vede raccontare e si può raccontare, sia in prima persona che in terza persona: non si è più soli, ma si diventa due. Questo è il motivo per cui, nelle diverse situazioni di solitudine, naturale, oppure coatta, (all’interno delle carceri o in contesti residenziali per anziani) e in situazioni di disagio e di marginalità, sempre più si sta diffondendo questa metodologia narrativa.

Il racconto offre al soggetto la possibilità di rappresentarsi, è una messa in scena, infatti, per Demetrio con il racconto autobiografico ‹‹assistiamo allo spettacolo della nostra vita come

175 Cambi F., L’autobiografia come metodo formativo: luci e ombra, in Gamelli I., Iavano S. (a cura di), Il Prisma autobiografico. Riflessi interdisciplinari del racconto di sé, Unicopli, Milano, 2003, p.34.

176 Confalonieri E., Costruire finestre di comprensione nella complessità: il lavoro educativo nei CSE, in Tomisich M., Confalonieri E. (a cura di), Raccontare e raccontarsi nei Centri socio-educativi, Angeli, Milano, 1999.

177 Formenti L., Prefazione, in Knowles M.S., La formazione degli adulti come autobiografia, Milano, Cortina, 1996, p. XII.

178 Demetrio D., L’approccio autobiografico in educazione degli adulti, in ‹‹Scuola e città››, n.9, 1991, pp.414-420; Demetrio D., Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, ed. cit.; Schettini B., Il lavoro autobiografico come ricerca e formazione in età adulta, in Sarracino V., Strollo M.R., (a cura di), Ripensare la formazione, Liguori, Napoli, 2000.

179 Schettini B., Il lavoro autobiografico come ricerca e formazione in età adulta, op. ct., , p.183. ‹‹La trasformazione del soggetto sempre più in individuo, in individuo problematico, alla ricerca della personale identità che gli si presenta sempre più come ricerca e che chiede, quindi, un atteggiamento euristico, ha condotto l’educatore professionista, il formatore a esplorare dettagli e particolari della vita dell’uomo sovente poco visibili››. Ibidem, p.184.

180 ‹‹Assistiamo ormai da alcuni anni a profondi mutamenti all’interno di svariate discipline scientifiche, mutamenti a loro volta collegati a trasformazioni che hanno investito la cultura ed i modi di vivere dei paesi ad avanzato sviluppo industriale e tecnologico. Alcune discipline quali l’epistemologia, l’antropologia, la storia, la paleontologia, la sociologia, la neuropsichiatria, la psicoanalisi, e la psicologia hanno, ognuna nel proprio campo, sempre più messo in luce l’importanza del concetto di narrazione. Le storie, siano queste costruite dallo scienziato che dalla persona comune, sono apparse come modi “universali” per attribuire e trasmettere significati circa gli eventi umani››. Smorti A. (a cura di), Il sé come testo, Giunti, Firenze, 1997, p.10.

181 Maturana H., Varela F., L’albero della conoscenza, (tr. it.), Garzanti, Milano, 1992.

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spettatori››182, diamo voce a tutti i personaggi che siamo stati, li vediamo recitare nel teatro della nostra mente e dal passato, ritornati al presente, ‹‹tornare a crescere per se stessi e per gli altri››183. Del resto, ogni volta che l’individuo si sofferma a riflettere su se stesso, che richiama alla mente fatti vissuti, riceve la conferma del proprio esistere e ritrova l’unicità delle proprie esperienze, il tutto rientra in quella pedagogia dell’introspezione184 che fa della memoria presente il “luogo” dell’elaborazione riflessiva ed autobiografica di una storia tanto parlata, quanto scritta ed intenzionalmente agita.

Oggi l’autobiografia, all’interno del contesto formativo è quel ‹‹genere di scrittura che permette al soggetto di produrre una ricostruzione significativa degli eventi del proprio vissuto››185, le narrazioni cercano sempre il fondamento costitutivo di ogni storia, cioè la coerenza e la continuità. In altri termini, ogni storia è tale se in essa compare una sorta di organizzazione: noi riorganizziamo la nostra vita, la nostra esperienza, quindi il nostro racconto.

L’episodicità della narrazione è emblematizzata dal diario, che è un compagno di vita fondamentale: il diario è il luogo del proprio disordine, è il luogo dello sfogo, è il luogo che raccoglie la propria quotidianità attraverso il piacere di raccontarsi. Ma, soprattutto, il diario è il luogo della libertà: la narrazione si fa più interessante nel momento in cui diventa totale, nel momento in cui si cerca di uscire dalla dimensione episodica e si cerca una ricostruzione più sistematica, più ordinata, più regolata da quelli che sono i tre motivi fondamentali di ogni autobiografia: la cronologia, lo spazio, i personaggi. La cronologia, perché non ci può essere un’autobiografia non scandita dai tempi della propria vita, dai passaggi, dalle situazioni salienti importanti. Lo spazio, perché come si può raccontare un’autobiografia, se si dimenticano i luoghi, le cose, gli ambienti nei quali si è vissuto, nei quali ci si è anche modificati? I personaggi, perché sono tanti i personaggi incontrati, che continuano ad essere accanto, oppure scomparsi per sempre, che si allontanano, che hanno rappresentato i mentori della propria vita. Queste tre condizioni sono fondamentali nella narrazione autobiografica, perché altrimenti ci si abbandona ad altre forme di narrazione, come la dimensione poetica,