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SPAZIATORE

“Pretendere di affermare che una competenza è misurabile

è tutto da dimostrare, riconoscerla è diverso” .

P. Reggio, 2007

Educare per competenze: introduzione ai contributi proposti

La letteratura sul tema delle competenze risulta oggi ricchissima in relazione alla sempre maggiore importanza che esse rivestono sia in ambito formativo, sia nel mondo delle professioni.

L’attenzione a prospettive educative in grado di valorizzare non solo conoscenze connesse a saperi disciplinari e procedurali, ma soprattutto rivolte alla conquista di conoscenze e competenze più flessibili, riflessive, in grado di attivare e mettere in gioco le risorse del soggetto, viene, d’altra parte, sottolineata in tutti i più recenti documenti sanciti in ambito internazionale, come ad es. quelli prodotti nelle sedi dei diversi consigli europei che delineano indicazioni e linee strategiche in materia di sviluppo e occupazione. Tale dibattito, approfondito e implementato dai diversi organismi che a vario titolo si occupano di sviluppo umano come l’UNESCO o l’O.M.S., l’OCSE, etc., ha contribuito ad aprire la strada all’attuale stagione di riforme politico istituzionali anche in Italia, producendo trasformazioni che investono la scuola, l’università, il mondo delle professioni, su cui sarebbe necessario soffermarsi ai fini di un’attenta ed esaustiva riflessione.

Nella consapevolezza di non poter affrontare il tema delle competenze in senso così ampio e complesso, il presente contributo, a partire da una sintetica disamina sul significato che è possibile attribuire al concetto di competenza, si propone di offrire spunti di riflessione e approfondimento in merito alle competenze educative, relazionali e comunicative dei professionisti di ambito psico-socio sanitari.

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La competenza educativa in ambito psico-socio-sanitario121

Le riforme attuate in Europa in ambito socio-sanitario convergono sul principio che lo stato di salute di una popolazione costituisce un importante indicatore del suo sviluppo sociale e che l'assistenza sanitaria deve, necessariamente, comportarne il miglioramento122. Tale principio reca in sé l’idea che la salute sia legata ad uno stato di benessere fisico ma anche psichico e sociale che incide sulla qualità della vita dei cittadini.

I servizi sanitari, indispensabili a realizzare le condizioni necessarie al miglioramento dello stato di salute dei cittadini, non risultano, tuttavia, sufficienti a soddisfare da soli la più ampia richiesta di benessere sociale123. Per rispondere in modo efficace a tale domanda risulta indispensabile, dunque, costruire sempre più stretti rapporti tra i diversi ambiti e settori di intervento socio-sanitario e quindi tra le diverse figure di operatori che ne fanno parte. Andare oltre le caratteristiche di specializzazione e specificità di settore significa superare il limite di prestazioni socio-assistenziali separate ed erogate occasionalmente in favore di un approccio di cura di tipo integrato124 in cui la dimensione relazionale rappresenti l’asse di riferimento privilegiato. D’altra parte se per cura intendiamo, anche solo banalmente, la relazione tra paziente e medico, quale comunicazione da parte di quest’ultimo verso il primo dell’iter terapeutico da seguire, ne consegue che il percorso terapeutico è anche un percorso educativo consistente nel far acquisire al paziente una serie di comportamenti, abitudini, stili di vita diretti alla gestione del problema di salute ed utili ad imparare a prendersi cura di sé e per riprogettare la propria esistenza.

Ma, se la dimensione relazionale è elemento essenziale del processo di cura e se tale aspetto appare attingibile in un’ottica prevalentemente educativa, ne consegue che proprio tale prospettiva costituisce la valenza essenziale della professionalità di questi operatori, il cui curricolo formativo si arricchisce e completa proprio nell’esercizio di competenze educative fondamentali. La relazione educativa si scopre così centrale anche all’interno di contesti di cura e terapia tradizionalmente appannaggio di ambiti di studio e di ricerca medica e sanitaria.

Tale fenomeno ha determinato un dibattito pedagogico ed educativo sempre più attento ai temi della salute e del benessere, che sta producendo riflessioni approfondite sui nuovi profili di competenza degli operatori del settore socio-sanitario al fine di costruire servizi adeguati a promuovere la crescita della qualità di vita. Si sono, quindi, andate definendo competenze pedagogiche in ambito trattamentale-riabilitativo divenute trasversali a numerosi profili professionali di ambito socio-sanitario (es. professionisti della cura e dell’assistenza, terapisti della riabilitazione, operatori di sostegno socio-assistenziale, …, ecc.). Questo perché si è

121 Il paragrafo è una rielaborazione dell’autrice del precedente contributo pubblicato in Iavarone M.L., Iavarone T., Pedagogia del benessere, Franco Angeli, 2008.

122 Il miglioramento delle condizioni di salute risulta soprattutto connesso all’avvio di interventi istituzionali che ne favoriscono la tutela. In Europa il diritto all’accesso alla prevenzione sanitaria è riconosciuto dall’art.35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata in occasione del Consiglio europeo di Nizza del 7 dicembre 2000, nello stesso articolo viene specificato che “nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione deve essere garantito un elevato livello di protezione della salute umana”.

123 A partire dal Piano Nazionale Sanitario 1998-2000 si sostiene che “a salute è un bene

fondamentale per l’individuo e per la collettività. Un sistema di servizi sanitari equo ed efficace è un determinante essenziale, anche se non esclusivo, per garantire la partecipazione alla vita sociale e l’espressione delle capacità individuali a tutti i cittadini, nel rispetto del principio di uguaglianza delle opportunità all’interno dell’intera collettività di cittadini”.

124 Il termine cura, in questo senso, va inteso nell’azione di prendersi cura di sé e non come

superamento della malattia a seguito di trattamento terapeutico che chiama in causa gli aspetti più propriamente medici.

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compreso che una professionalità settoriale ed eccessivamente specialistica risulta insufficiente a gestire la complessità e la variabilità dei contesti in cui esercitare la professione.

Appare quindi necessario pensare ad una “professionalità composita” in cui le diverse competenze psico-pedagogiche, socio-sanitarie, assistenziali-riabilitative si integrino tra loro in una sintesi dinamica. In tale prospettiva l’operatore, da erogatore di servizi rigidamente predisposti, si trasforma in promotore di interventi di cura diversificati e calibrati sulle effettive necessità ed aspettative dei soggetti e in facilitatore di azioni trasformative significative perché co-costruite con i soggetti che, da destinatari dell’intervento, diventano attori consapevoli del cambiamento. Ciò si rende concretamente possibile se lo stesso operatore assolve efficacemente anche il ruolo di mediatore di contesti e di azioni sociali e culturali utili ad orientare, guidare, gestire, facilitare processi di intervento. D’altra parte, solo se l’operatore diviene competente negli aspetti teorici e metodologici della comunicazione interpersonale e della relazione educativa può aspirare ad una professionalità di respiro interdisciplinare in grado di consentirgli di entrare in sinergia con i diversi partners del progetto terapeutico.

Volendo sintetizzare, il ruolo dell’operatore può essere riconducibile ad un flusso dinamicamente integrato tra:

funzione diagnostico-predittiva relativa all’interpretazione dei bisogni, dei disagi e delle

aspettative dell’utenza;

funzione progettuale relativa alla costruzione dell’intervento;

funzione organizzativo-gestionale relativa all’azione di mediazione tra soggetti, contesti,

risorse;

funzione trasformativo-regolativa relativa alla promozione e al ri-orientamento di azioni

generatrici di cambiamento in termini di benessere

funzione valutativa relativa all’azione di controllo della qualità dei prodotti (efficacia

dell’intervento di cura) e della qualità dell’intervento (efficienza dei processi innescati)

Il profilo delle competenze relazionali e comunicative125

Alla luce delle considerazioni maturate, appare a questo punto necessario sviluppare un’analisi più approfondita sulle competenze che sostanziano la professionalità educativa degli operatori di ambito psico-socio-sanitario. Il profilo professionale di tali operatori non può evidentemente prevedere le sole abilità tecnico-specialistiche di base ma deve completarsi delle necessarie competenze di tipo relazionale, comunicativo e gestionale che si rivelano indispensabili nel rapporto terapeutico e di cura.

In altri termini, risulta indispensabile avvicinarsi sempre di più a quel concetto di professionalità polivalente che consiste, nel non concentrarsi esclusivamente sulla realizzazione di interventi puntuali, che finiscono per perdere di vista il paziente nella sua interezza ma, in una attenta analisi-valutazione del contesto problematico generale del paziente al fine di riunirne l’unità psicofisica. Ciò presuppone che l’operatore lavori, allo stesso tempo, alla strutturazione dei contesti di cura ed alla facilitazione di un buon clima di relazione all’interno del quale far emergere e maturare processi di autoconoscenza, di percezione positiva di sé, di autorealizzazione del soggetto in affidamento.

In questa direzione, una possibile strada, che l’operatore può intraprendere nella gestione della relazione di cura, è quella indicata dall’approccio centrato sulla persona di matrice rogersiana.126

125 Il paragrafo è una rielaborazione dell’autrice del precedente contributo pubblicato in Iavarone

M.L., Iavarone T., Pedagogia del benessere, op. cit.

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Condizioni necessarie del progetto terapeutico, che investono l’operatore nell’ambito della relazione sono: l'accettazione incondizionata, la congruenza, l'empatia.

L'accettazione incondizionata è esprimibile nella capacità di accogliere e non giudicare

l'altro nella sua individualità di persona, anche se manifesta valori ed esperienze estremamente diversi. L’accettazione incondizionata non significa, tuttavia, approvazione incondizionata. In questo senso all’operatore non viene richiesto di accettare senza riserve il comportamento della persona, ma di tributarle in ogni condizione l’attenzione e il rispetto che le è dovuto.

La congruenza prevede che l’operatore nella relazione deve risultare sempre se stesso e ben

integrato, dimostrando trasparenza, capacità di comunicare ciò che il soggetto-paziente suscita in lui, sempre a condizione che ciò sia reso nell'interesse di quest’ultimo. Per l’operatore, in altri termini, saper essere autentico significa pensare intensamente a tutto ciò che si prova e si dice; l’autenticità non è l’azione di dire tutto ciò che si pensa in modo incontrollato, poiché ciò può pregiudicare la relazione, piuttosto significa apertura, disponibilità anche di fronte ad un atteggiamento di chiusura o di difesa dell’altro.

La terza e ultima condizione riguarda l’empatia, una dimensione socio-affettiva che indica la capacità di immergersi nel mondo soggettivo altrui e di partecipare alla sua esperienza di vita comprendendone gli stati d'animo senza lasciarsi, tuttavia, coinvolgere in processi di identificazione e di proiezione. Per l’operatore di ambito psico-socio-sanitario percepire in modo empatico può voler significare comprendere il mondo soggettivo dell’altro con il suo corredo di dolori e speranze, senza mai dimenticare che si tratta di esperienze ed emozioni altrui. Se quest’ultima condizione non è sempre vigilata, possono scattare meccanismi d'identificazione che rendono incapaci di produrre azioni funzionali ed efficaci. Ciò si verifica, ad esempio, quando un operatore di ambito psico-socio-sanitario, ma anche un insegnante di sostegno, si immedesima troppo nei problemi del soggetto dell’intervento sino a rimanerne emotivamente schiacciato. La mancanza di differenziazione tra sé e l’altro può portare, inoltre, alla messa in atto di meccanismi di evitamento e di fuga quando il vissuto del soggetto viene percepito come eccessivamente invasivo e destabilizzante. Completamente differente è invece la situazione in cui può non verificarsi alcuna immedesimazione ma solo l’attribuzione all’altro di uno stato emotivo precedentemente esperito in situazioni analoghe. In tutti questi casi, l’operatore risulta incapace di attivare condotte generatrici di cambiamento, in positivo, della condizione di disagio127.

126 Il modello della Terapia centrata sul cliente di C. Rogers può essere inquadrato tra le teorie che

fanno riferimento alla psicologia umanistica e, in quanto tale, aderisce al principio secondo cui ogni individuo è una persona nella sua totalità psicofisica. Nell’approccio terapeutico, più che il trattamento specifico del sintomo, risulta fondamentale favorire l’inclinazione, già intrinseca in ogni individuo, a sviluppare tutte le potenzialità e realizzare la sua conservazione e la sua crescita (tendenza attualizzante). Il modello, per la pari rilevanza data alle determinanti biologiche, socio-ambientali, e relazionali, ha trovato ampia applicazione soprattutto in ambito educativo e formativo. Secondo l’Approccio Centrato sulla Persona, infatti, ascoltarsi di più, comunicare in maniera più adeguata sono capacità educabili che migliorando il contatto con se stessi e con gli altri, sostengono la crescita dei soggetti e dei gruppi e favoriscono l’attivazione di modalità di lavoro più efficienti. Per ulteriori approfondimenti si vedano i volumi RogersC.R., Terapia Centrata sul Cliente, (a cura di Lumbelli L.) Nuova Italia, Scandicci 1997; Rogers C. R., Kinget G. M., Psicoterapia e Relazioni Umane. Teoria e pratica della terapia non direttiva, Bollati- Boringhieri, Torino, 1970.

127 Gli esempi riportati trovano riscontro nello studio relativo ai processi di condivisione delle

emozioni elaborato in Italia da Bonino, Lo Coco e Tani. Il modello individua alcune tipologie di risposta empatica disposte secondo un continuum evolutivo il cui grado di differenziazione è dato dalla diversa combinazione di fattori emotivi e di processi di mediazione cognitiva sempre più raffinati. Il primo stadio è rappresentato dal contagio emozionale, una forma di forte condivisione emotiva non controllata

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Lo sviluppo, corretto e consapevole da parte dell’operatore, di dinamiche relazionali continue e stabili e quindi funzionali ai bisogni di cura e cambiamento implica, necessariamente, l’acquisizione di un’elevata competenza nel campo della comunicazione

interpersonale, ed una coltivata abitudine alla riflessione intrapersonale128.

L’approccio teorico, che meglio descrive ed interpreta le dinamiche della comunicazione interpersonale in ambito relazionale e psicoterapeutico, è il modello pragmatico-sistemico129 che, a differenza degli altri130, non si limita ad isolare e analizzare gli elementi che cognitivamente che può portare l’operatore, come si è visto, all’evitamento e al rifiuto della relazione. Al secondo stadio si colloca l’empatia per condivisione parallela in cui la mediazione cognitiva non risulta ancora in grado di fornire un sufficiente livello di differenziazione tra sé e l’altro come nel caso dell’attribuzione al soggetto delle proprie emozioni e sentimenti. All’ultimo stadio si trova, infine, l’empatia propriamente detta in cui il sapiente e consapevole utilizzo di elementi di mediazione cognitiva rende possibile, allo stesso tempo, la condivisione e la differenziazione dallo stato emotivo dell’altro. Bonino S., Lo Coco A., Tani F., Empatia. I processi di condivisione delle emozioni, Giunti, Firenze, 1998.

128 La riflessione intrapersonale, in prima approssimazione, può essere esprimibile nella capacità di

saper analizzare e ri-orientare le azioni intraprese. Di dimensione intrapersonale, ma soprattutto di autoriflessione e di riflessione in azione si tratterà più diffusamente nel quarto paragrafo di questo capitolo.

129 Il testo chiave che ha descritto sicuramente meglio il modello pragmatico, soprattutto in ambito

clinico, e che ha posto le basi dello sviluppo della comunicazione strategica è Watzlavick P., Beavin J. H., Jackson D. D., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971 (ed orig. Pragmatic of Human Communication, Norton, New York, 1967). Il volume, corredato da numerosi esempi su come adattare la teoria alla pratica nei diversi campi di applicazione, costituisce ancor oggi un riferimento imprescindibile per tutti gli operatori di ambito educativo e terapeutico il cui intervento si esplica all’interno di contesti relazionali.

130 Il processo di comunicazione è stato negli anni analizzato da diverse prospettive teoriche centrate,

prevalentemente sugli aspetti informazionali della comunicazione, tra queste il modello matematico della comunicazione, elaborato da Shannon e Weawer alla fine degli anni ’40, descrive il processo di comunicazione come un flusso direzionato che da un’emittente, raggiunge un ricevente attraverso un canale, che costituisce la condizione di passaggio di un’informazione. A questo processo direzionato se ne affianca un altro altrettanto direzionato che passa dal ricevente all'emittente (retroazione) in base al quale è possibile verificare l'effettiva ricezione del messaggio emesso. L’interazione viene così definita attraverso lo scambio di messaggi posti tra loro in relazione causale. Caratterizzato da una razionalità lineare, il modello matematico ha trovato campo di studio e applicazione prevalentemente in ambito tecnico-scientifico. Con il successivo modello semiotico-informazionale (Eco-Fabbri 1965), dalla prospettiva della comunicazione come trasferimento dell’informazione si passa a quella della comunicazione come trasformazione da un sistema all’altro. In questa lettura l’attenzione si sposta maggiormente sugli elementi che sottendono l’attribuzione di significato dell’informazione e acquistano rilevanza teorica ed interesse empirico le nozioni di codice e decodifica. Il modello semiotico- informazionale mettendo allo studio il repertorio di segni che vengono condivisi in un contesto comunicativo, definibili come l'insieme complesso di operazioni cognitive, linguistiche ma anche sociali e culturali messi in gioco da ogni individuo, ha trovato più ampio utilizzo nel campo della ricerca sociale e massmediale. Confrontando i due modelli si può dire, in estrema sintesi, che il primo sembra maggiormente interessato agli aspetti sintattici della comunicazione (trasmissione dell’informazione) mentre il secondo considera centrali gli aspetti semantici (significato). Sul tema della comunicazione e sui relativi modelli teorici esiste una vastissima letteratura, si confrontino, tra gli altri, i volumi Zani B., Selleri P., David D.., La comunicazione: modelli teorici e contesti sociali, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994; Baldini M., Storia della comunicazione Newton Compton Editori, Roma, 2003; Anolli L., (a cura di) Psicologia della comunicazione, Il Mulino, Bologna, 2002.

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intervengono negli eventi comunicativi, ma riconosce alla comunicazione caratteristiche di complessità, organicità e circolarità.

La comunicazione risulta, così, costituita dal contenuto ovvero dallo scambio circolare di informazioni a carattere concreto e da indicazioni sulle modalità con cui le stesse devono essere interpretate che investono l’aspetto più intrinseco della relazione. Secondo Watzlawick questo secondo aspetto esplicita e qualifica il primo; qualora si verifichi confusione, tra gli aspetti di contenuto e di relazione, i soggetti possono metacomunicare, ossia chiarirsi sui principi e le modalità che istruiscono la comunicazione131.

In questo quadro, due elementi fondamentali caratterizzano l’organizzazione dell’interazione umana132:

1. la prospettiva sistemica, per cui la relazione comunicativa si costituisce come un sistema le

cui le parti si trovano in rapporti determinati e tali da comunicare tra loro reciprocamente. 2. la dimensione contestuale all'interno della quale intervengono i comportamenti

comunicativi.

Conformemente alla prospettiva pragmatica, le relazioni terapeutiche e d’aiuto si configurano come: sistemi relazionali tra due o più soggetti (operatore/i-paziente/i) che si sviluppano all'interno di contesti caratterizzati da un certo grado di stabilità (per continuità dell’intervento, permanenza dei ruoli tra i comunicanti, etc.). La relazione che si instaura può essere definita di tipo “complementare” poiché i partner assumono una posizione asimmetrica (up-down) legittimata dal ruolo e dal peso istituzionale dell’operatore.

La diversità di ruolo non risulta, tuttavia, disfunzionale nella relazione di cura133 se l’operatore è in grado di orientare un modello di comunicazione efficace che, per dirsi tale, deve basarsi sull’accettazione e l’apprezzamento della differenza e configurarsi come un processo transattivo (scambio e retroazione) in grado di modificare costantemente i soggetti della relazione.

Correttamente intrapreso, tale modello di comunicazione reca in sé due effetti positivi, innanzitutto, perché conduce il paziente al raggiungimento di quegli obiettivi di cambiamento emozionale e cognitivo e a quei traguardi di autonomia, cui si faceva riferimento, che costituiscono l’obiettivo prioritario dell’intervento di cura e, in secondo luogo, perché innesca una “ricaduta formativa” anche sull’operatore che, attraverso l’esperienza di relazione, impara a modificare se stesso accrescendo il suo bagaglio di competenza professionale.

In altre parole, il setting terapeutico deve configurarsi come un contesto efficace e reciprocamente gratificante sul piano della comunicazione che richiede, soprattutto da parte dell’operatore, la necessità di impegnarsi in maniera complessiva nel processo comunicativo attraverso l’utilizzo integrato dei diversi linguaggi: verbali, non verbali e paraverbali134.

La componente verbale inerisce l’aspetto propriamente linguistico della comunicazione

inteso come la capacità di trasmettere e recepire contenuti. Secondo la prospettiva

131 A questo proposito Watzlawick si esprime secondo metafora ponendo l’analogia con “gli scacchi” e asserisce che, “come nel gioco, anche nella comunicazione umana si danno sequenze di mosse governate da regole”, tuttavia, su queste regole i soggetti possono discutere.

132 Cfr. Watzlavick P. et alii, op. cit. cap 4.

133 Il rapporto di cura, per sua stessa natura, difficilmente può favorire lo sviluppo di una relazione

di tipo simmetrico in cui è possibile “scambiarsi gli stessi comportamenti”, se ci riuscisse potrebbe