Assumendo che l’insieme D ⊂ R
nsia scelto come precisato sopra, definiamo il dominio per
l’operatore di Laplace in modo da tenere automaticamente conto delle condizioni di annullamento
al bordo (estendendo la teoria al caso di funzioni a valori complessi):
D := f ∈ C
1(D; C) ∩ C
2(D; C) f
∂D= 0 , ∆f ∈L
2(D, d
nx) (7.4)
Questo insieme `e evidentemente uno spazio vettoriale complesso.
Consideriamo l’operatore di Laplace ∆ : D → C
0(D; C). Su questo dominio l’operatore ∆ `e
hermitiano rispetto al prodotto scalare di L
2(D; d
nx), cio`e vale:
(f |∆g) = (∆f |g) se f, g ∈D, (7.5)
dato che ci`o equivale a scrivere:
Z
Df ∆g d
nx =
Z
D∆f g d
nx se f, g ∈D, (7.6)
che, a sua volta, segue immediatamente dalla definizione diD e dalla seconda identit`a di Green
del teorema 2.7 dato che
2Z
Df ∆g d
nx −
Z
D∆f g d
nx =
I
+∂Df ∇g − g∇f · ndS = 0 essendo f = g = 0 su ∂D .
2Notare che ∆f g e f ∆g sono inL1
(D, dnx) dato che ∆f, ∆g ∈L2
(D, dnx) per ipotesi e f, g ∈L2
(D, dnx) essendo funzioni continue su un compatto.
Un’autofunzione φ
λdi ∆ con il dominio detto `e una funzione inD (a valori complessi quindi)
non identicamente nulla tale che valga l’identit`a:
∆φ
λ= λφ
λ, (7.7)
per qualche λ ∈ C, detto autovalore di φ
λ.
Si osservi che se φ
λ`e autofunzione associata a λ, ogni altra funzione cφ
λ, con c ∈ C e c 6= 0
`
e ancora autofunzione dello stesso autovalore. Tuttavia tutte queste autofunzioni sono
linear-mente dipendenti per costruzione quando viste come vettori nello spazio vettoriale complesso
D. Comunque, in generale, pu`o capitare di avere pi`u autofunzioni linearmente indipendenti
associate allo stesso autovalore. Il sottospazio vettoriale diD generato dalle autofunzioni di un
fissato autovalore si dice autospazio di quell’autovalore.
Proposizione 7.1. Coseguentemente alle ipotesi fatte su D ed alla definizione diD valgono
i seguenti fatti:
(a) gli autovalori di ∆ sono reali,
(b) gli autovalori di ∆ sono strettamente negativi,
(c) le autofunzioni corrispondenti ad autovalori differenti sono ortogonali.
(d) le autofunzioni sono funzioni C
∞(D) (pi`u fortemente sono funzioni analitiche su tale
insieme aperto). ♦
Dimostrazione. Per quanto riguarda la prova di (a) e (b) abbiamo che:
λ(φ
λ|φ
λ) = (φ
λ|∆φ
λ) =
Z
Dφ
λ∆φ
λd
nx =
Z
D∇ · φ
λ∇φ
λd
nx −
Z
D∇φ
λ· ∇φ
λd
nx
= −
Z
D∇φ
λ· ∇φ
λd
nx ,
dove, nell’ultimo passaggio, abbiamo trascurato un integrale dato che `e nullo come banale
conseguenza del teorema della divergenza e del fatto che φ
λsi annulla su ∂D. Abbiamo ottenuto:
λ
Z
D|φ
λ|
2d
nx = −
Z
D||∇φ
λ||
2d
nx .
Si osservi che l’integrale a primo membro `e strettamente positivo, dato che, per ipotesi φ
λnon
`
e ovunque nulla (che equivale a dire che non `e quasi ovunque nulla dato che `e continua). Ne
segue che −λ ≥ 0. Se fosse λ = 0, la stessa identit`a trovata sopra proverebbe che ∇φ
λ= 0
quasi ovunque e quindi ovunque, dato che φ
λ∈ C
1(D; C). Di conseguenza avremmo che φ
λsarebbe costante sull’aperto connesso D. Il fatto che φ
λsi annulli sul bordo insieme all’ipotesi
di continuit`a su tutto D implicherebbero che φ
λ= 0 ovunque, cosa impossibile.
Per provare (c) basta osservare che, dalla definizione di autofunzione:
(λ − λ
0)
Z
Dφ
λφ
λ0d
nx =
Z
D∆φ
λφ
λ0− φ
λ∆φ
λ0d
nx = 0
a causa, come prima, della seconda identit`a di Green. Se λ 6= λ
0, l’identit`a trovata implica che
deve valere necessariamente:
(φ
λ|φ
λ0) :=
Z
D
φ
λ(x)φ
λ0(x) d
nx = 0 .
Riguardo alla prova di (d), possiamo lavorare separatamente con la parte reale ed immaginaria
delle autofunzioni dato che gli autovalori λ e i coefficienti di ∆ sono reali. Se dunque ∆φ
λ−λφ
λ=
0 (con λ ≤ 0), la funzione Φ = Φ(x, x) := e
√
−λ x
φ
λ(x) `e armonica in n + 1 variabili sull’aperto
connesso Ω := R × D, come si verifica subito calcolandone il laplaciano in n + 1 variabili che
risulta essere
∆
(x,x)Φ(x, x) = e
√
−λx
(∆
xφ
λ− λφ
λ) = 0 .
Φ `e dunque analitica reale su Ω per il Teorema 3.3, in particulare `e C
∞sul suo dominio. La
funzione φ
λ= φ
λ(x) = e
−√
−λ x
Φ(x, x), che `e costante nella variabile x, `e quindi una funzione
C
∞e analitica su D, in particolare C
∞. 2
L’insieme degli autovalori di ∆ costituisce il cosiddetto spettro puntuale di ∆, che si indica
con σ
p(∆). Si osservi che gli elementi di tale insieme dipendono strettamente dal dominio che
abbiamo scelto per ∆.
Osservazioni 7.1. Nel caso di D = [0, L] e ∆ =
dxd22quanto trovato sopra si riduce a
fat-ti che abbiamo gi`a verificato. In quel caso gli autovalori sono della forma λ
n= −
πnL2con
n = 1, 2, . . ., e corrispondenti autofunzioni con norma unitaria e a due a due ortogonali sono
φ
n(x) :=
√12L
sin
πnxL.
Nel caso di D = [0, L] e ∆ =
dxd22, le autofunzioni del laplaciano, divise per la loro norma,
in modo da definire vettori di norma unitaria, e quozientando lo spazio L
2([0, L], dx) rispetto
alla relazione di equivalenza che identifica funzioni che differiscono su insiemi di misura nulla,
risultano individuare una base hilbertiana di L
2([0, L], dx). Ci si pu`o chiedere se questo sia un
fatto generale. La risposta `e positiva: l’insieme degli autovettori φ
λdel laplaciano ∆ con le
ipotesi fatte su D eD, se pensati come elementi dello spazio di Hilbert L
2(D; d
nx), costituisce
una base Hilbertiana di tale spazio. La prova di questo notevole fatto `e un caso particolare del
teorema di decomposizione spettrale per operatori non limitati densamente definiti [Mo18]. Si
prova pi`u precisamente la seguente proposizione, estendibili a contesti molto pi`u generali. Non
daremo la dimostrazione di questo risultato che `e abbastanza difficile, eccetto l’ultimo punto che
`
e elementare.
Proposizione 7.2. Se ∆ `e definito sul dominio D (quindi con condizioni di annullamento)
con D ⊂ R
nche rispetta le ipotesi suddette, gli autovalori λ ∈ σ
p(∆) ed i corrispondenti
auto-vettori φ
λdi ∆ soddisfano i fatti seguenti.
(a) Si possono ordinare in una successione decrescente che diverge a −∞:
0 > λ
1> λ
2> · · · > λ
k→ −∞ .
(b) Per ogni autovalore λ ∈ σ
p(∆) l’autospazio corrispondente ha dimensione finita d
λed
ammette una base ortonormale di autovettori φ
λ,α, α = 1, . . . d
λ. Se si definisce:
N (Λ) := X
|λk|≤Λ
d
λkallora vale la stima di Weyl:
N (Λ)
Λ
n/2→ V ol(B
n
) V ol(D)
(2π)
nse Λ → +∞ ,
dove V ol(M ) :=R
Md
nx e B
n`e la palla unitaria in R
n. Se rappresentiamo gli autovalori come
la successione non crescente
0 > λ
1≥ λ
2≥ · · · ≥ λ
k→ −∞ ,
dove ogni valore appare esattamente un numero di volte pari a d
λk, allora vale l’ulteriore stima
di Weyl
λ
n/2kk →
(2π)
nV ol(B
n) V ol(D) se k → +∞ .
(c) L’insieme degli autovettori {φ
λ,α}
λ∈σp(∆),α=1,...,dλ
individua una base hilbertiana di L
2(D; d
nx).
(d) Possiamo sempre scegliere i vettori φ
λ,αcome funzioni a valori reali. ♦
L’ultima affermazione segue dal fatto che, se φ
λ,α∈ D soddisfa ∆φ
λ,α= λφ
λ,αallora
va-le anche, essendo λ ∈ R, ∆φ
λ,α= λφ
λ,α. Pertanto un insieme di generatori
dell’autospa-zio finitodimensionale associato a λ, di dimensione d
λ, `e sicuramente dato dalle funzioni reali
{(φ
λ,α+ φ
λ,α) , i(φ
λ,α− φ
λ,α)}
α=1,...,dλ. Si noti l’insieme non `e linearmente indipendente dato
che contiene 2d
λelementi invece che d
λ. Tenuto conto di come `e fatto il prodotto scalare, la
procedura di ortogonalizzazione di Gramm-Schmidt applicata a questo insieme di generatori
costruisce una base ortonormale di funzioni reali dell’autospazio considerato.
Il fatto che l’insieme di autofunzioni φ
λcostituisca una base hilbertiana di L
2(D; d
nx) implica
che, nel senso della convergenza di tale spazio di Hilbert, se f ∈ L
2(D; d
nx), abbia senso lo
sviluppo di Fourier generalizzato:
f = X
λ∈σp(∆) dλX
α=1f
λ,αφ
λ,αdove f
λ,α:= (f
λ,α|f ) =
Z
Dφ
λ,α(x)f (x) d
nx . (7.8)
I coefficienti f
λ,αsono i coefficienti di Fourier (generalizzati) di f rispetto alla base
hilber-tiana dei vettori φ
λ,α.
Osservazioni 7.2.
le autofunzioni di ∆ con condizioni di annullamento al bordo, si riesce a dimostrare che la
dimensione dell’autospazio del primo autovalore di ∆ `e sempre 1 e che ogni autofunzione di tale
autospazio non si annulla mai se non su ∂D. Per quanto riguarda le autofunzioni dei rimanenti
autospazi, esse si annullano su sottoinsiemi dell’insieme aperto e connesso D che non contengono
punti interni, dato che sono funzioni analitiche per (d) del Teorema 7.1 e che vale la proposizione
3.3.
(2) Come nel caso di D = [0, L], se sono soddisfatte ipotesi sui coefficienti f
λ,αche assicurano la
convergenza puntale della serie in (7.8), la funzione f a primo membro in (7.8) deve soddisfare
le condizioni di annullamento al bordo f
∂D= 0 dato che tali condizioni sono soddisfatte da
tutte le funzioni φ
λ,αche appaiono nella serie.
(3)* Il fatto che {φ
λ,α}
λ∈σp(∆),α=1,...,dλ⊂ D sia una base hilbertiana di L
2(D, d
nx) implica
immediatamente cheD sia denso in L
2(D, d
nx) nella topologia metrica di quest’ultimo. Partendo
da questo fatto `e possibile provare che ∆ definito su D, pensato come sottospazio denso di
L
2(D, d
nx), goda della propriet`a di essere essenzialmente autoaggiunto [Mo18], che rinforza la
propriet`a di hermiticit`a gi`a menzionata.
7.1.2 *Autofunzioni dell’operatore di Laplace-Beltrami su una variet`a
rie-manniana.
Consideriamo ora il caso trattato nella sezione 5.1.3 in cui si lavorava con una funzione u =
u(t, p) che descriveva le piccole deformazioni di una superficie chiusa M ⊂ R
3rappresentate un
tamburo di topologia arbitraria. In tal caso l’operatore laplaciano viene sostituito dall’operatore
di Laplace-Beltrami associato alla metrica g indotta da quella standard in R
3su M .
Pi`u in generale considereremo il caso di una variet`a C
∞connessa e compatta, M , di dimensione
n e dotatata di una metrica riemanniana g di classe C
∞. Indicheremo con ∆
(M,g)l’operatore
di Laplace-Beltrami costruito con la connessione di Levi-Civita associata a g. In coordinate
locali x
1, . . . , x
n, in cui la metrica `e individuata dalla matrice di coefficienti g
ij(x
1, . . . , x
n) e con
inversa la matrice di coefficienti g
ij(x
1, . . . , x
n) come ben noto vale:
∆
(M,g)u =
nX
i,j=11
√
det g
∂
∂x
jÅ
g
ijpdet g ∂
∂x
ju
ã
, (7.9)
dove il determinante `e quello della matrice di coefficienti g
ij. Definiamo il dominio per l’operatore
di Laplace-Beltrami come:
D
M:= C
2(M ; C) (7.10)
Si noti che non ci sono condizioni al controno da imporre dato che la variet`a M non ha bordo.
Questo insieme `e evidentemente uno spazio vettoriale complesso.
Su questo dominio l’operatore ∆
(M,g)`e hermitiano rispetto al prodotto scalare di L
2(D
M; dν
(M,g))
dove ν
(M,g)`e la misura di Borel associata a g su M , cio`e vale:
f
∆
(M,g)g
= Ä∆
(M,g)f
g
se f, g ∈D
M, (7.11)
che segue immediatamente dalla definizione di D
Me dalla seconda identit`a di Green rispetto
alla derivata covariante di Levi-Civita, tenuto conto del fatto che ∂M = ∅. Un’autofunzione
φ
λdi ∆
(M,g)con il dominio detto `e al solito una funzione in D
M(a valori complessi quindi) non
identicamente nulla tale che valga l’identit`a:
∆
(M,g)φ
λ= λφ
λ, (7.12)
per qualche λ ∈ C, detto al solito autovalore di φ
λ.
Il sottospazio vettoriale di D
Mgenerato dalle autofunzioni di un fissato autovalore si dice al
solito autospazio di quell’autovalore.
Proposizione 7.3. Coseguentemente alle ipotesi fatte su M ed alla definizione diD
Mvalgono
i seguenti fatti:
(a) gli autovalori di ∆
(M,g)sono reali,
(b) gli autovalori di ∆
(M,g)sono strettamente negativi eccetto uno che `e nullo,
(c) le autofunzioni corrispondenti ad autovalori differenti sono ortogonali. ♦
Dimostrazione. La dimostrazione `e la stessa che per la proposizione 7.1, usando la derivata
covariante invece che quella ordinaria, osservando che in ogni caso esiste sempre un autovalore
nullo che ha una qualsiasi funzione costante non nulla su M come autofunzione. 2
L’insieme degli autovalori di ∆
(M,g)costituisce al solito lo spettro puntuale di ∆
(M,g), σ
p(∆
(M,g)).
Come nel caso pi`u elementare discusso precedentemente, l’insieme degli autovettori φ
λdi ∆
(M,g)con le ipotesi fatte su M eD
M, se pensati come elementi dello spazio di Hilbert L
2(M ; dν
(M,g)),
costituisce una base Hilbertiana di tale spazio. Si prova pi`u precisamente la seguente
proposi-zione.
Proposizione 7.4. Se ∆
(M,g)`e definito sul dominio D
Mcon M che rispetta le ipotesi
suddette, gli autovalori λ ∈ σ
p(∆
(M,g)) ed i corrispondenti autovettori φ
λdi ∆
(M,g)soddisfano i
fatti seguenti.
(a) Si possono ordinare in una successione decrescente che diverge a −∞:
0 = λ
1> λ
2> · · · > λ
n→ −∞ .
(b) Per ogni autovalore λ ∈ σ
p(∆
(M,g)) l’autospazio corrispondente ha dimensione finita d
λed
ammette una base ortonormale di autovettori φ
λ,α, α = 1, . . . d
λ. Se si definisce:
N (Λ) := X
|λn|≤Λ
d
λnallora vale la stima di Weyl:
N (Λ)
Λ
n/2→ V ol(B
n
) V ol
g(M )
dove V ol
g(M ) :=R
M
dν
(g)mentre B
n`e la palla unitaria in R
n. Se rappresentiamo gli autovalori
come la successione non crescente
0 > λ
1≥ λ
2≥ · · · ≥ λ
k→ −∞ ,
dove ogni valore appare esattamente un numero di volte pari a d
λk, allora vale l’ulteriore stima
di Weyl
λ
n/2kk →
(2π)
nV ol(B
n) V ol
g(M ) se k → +∞ .
(c) L’insieme degli autovettori {φ
λ,α}
λ∈σp(∆),α=1,...,dλindividua una base hilbertiana di L
2(M ; dν
(M,g)).
(d) I vettori φ
λ,αin (c) possono sempre essere scelti come funzioni a valori reali. ♦
Dunque, nel senso della convergenza di tale spazio di Hilbert, se f ∈ L
2(D; d
nx) vale:
f = X
λ∈σp(∆) dλX
α=1f
λ,αφ
λ,αdove f
λ,α:= (f
λ,α|f ) =
Z
Nel documento
Fondamenti di FISICA MATEMATICA II: Introduzione alla Teoria delle Equazioni alle Derivate Parziali del Secondo Ordine
(pagine 182-188)