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Autoregolazione e incompiuta istituzionalizzazione: il fallimento dell’oggettivazione delle linee guida nella legge Balduzzi.

IL FUNZIONAMENTO DELLE LINEE GUIDA IN AMBITO SANITARIO.

13. Diritto alla salute e modello regolativo costituzionale.

13.4 Autoregolazione e incompiuta istituzionalizzazione: il fallimento dell’oggettivazione delle linee guida nella legge Balduzzi.

Dopo l’emanazione della legge Balduzzi, la Corte di Cassazione si è dovuta misurare con un dato normativo che fa esplicito riferimento all’osservanza delle linee guida, quale criterio per stabilire la responsabilità dei professionisti sanitari.

Rispetto ai precedenti (e vaghi) richiami alle linee guida, contenuti in normative volte all’organizzazione della sanità, per la prima volta, l’ordinamento ha fatto riferimento alle linee guida per definire un regime di responsabilità prendendo in considerazione i rapporti tra utenti della sanità, professionisti e SSN.

La posizione assunta dalla Suprema Corte, nella vigenza della legge Balduzzi, esprime il disagio di applicare una disciplina non chiara e, soprattutto, non idonea ad esprimere un reale e incisivo cambiamento di indirizzo culturale rispetto alle ricostruzioni tradizionali del problema.

Nonostante il richiamo alle linee guida ed ai loro effetti sia innegabile e ineludibile, la Cassazione non ha potuto esimersi dal rilevare le contraddizioni, sia sul piano della concezione della colpa, sia sul piano (che più interessa n questa sede) dell’individuazione dell’esatta portata normativa delle linee guida.

In riferimento ai criteri di individuazione della colpa, la Corte di Cassazione condivide un’impostazione generale, secondo cui l’integrazione della fattispecie colposa, cioè «la

discesa della disciplina dalla sfera propriamente legale a fonti gerarchicamente inferiori che caratterizza la colpa specifica, contrariamente a quanto si potrebbe a tutta prima pensare, costituisce peculiare, ineliminabile espressione dei principi di legalità, determinatezza, tassatività»109.

La tecnica dell’eterointegrazione, tipica del diritto penale, al fine di specificare il contenuto di una norma cautelare, costituisce un antidoto contro l’imponderabile soggettivismo del giudice ed è quindi garanzia di legalità, imparzialità, prevedibilità delle valutazioni giuridiche.

In materia di responsabilità medica, si è in presenza di un'attività davvero difficile e rischiosa che merita una speciale considerazione.

Pertanto, chiarisce la Corte che «l'attività medica non è di regola governata da

prescrizioni aventi propriamente natura di regole cautelari, ma è fortemente orientata dal sapere scientifico e dalle consolidate strategie tecniche, che svolgono un importante ruolo nel

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conferire oggettività e determinatezza ai doveri del professionista e possono al contempo orientare le pur difficili valutazioni cui il giudice di merito è chiamato».

A questo punto dell’iter argomentativo, diviene dirimente chiedersi se il Giudice possa rinvenire una fonte precostituita che consenta di articolare il proprio giudizio in maniera più rigorosa e quindi scientifica possibile.

È indubitabile che tale delicata funzione non può che essere assurta dalla linee guida. La Corte di Cassazione, dopo aver ripercorso la concezione della colpa specifica ne coglie la caratteristica essenziale che andrebbe ravvisata non solo nella violazione di una prescrizione, bensì nella capacità di comprendere, con l’aiuto del saper scientifico, i molteplici intrecci causali che connettono la condotta all’evento.

Questo ci induce a considerare quanto importante e sovente intricata sia la connessione tra l’evento illecito e la violazione della prescrizione cautelare.

La pronuncia in commento evidenzia la carenza di normativa in materia, nonché il significativo ruolo di supplenza rivestito dalla giurisprudenza, prima dell’entrata in vigore della legge Balduzzi.

In presenza di un’attività così difficile e rischiosa, quel è l’attività medica, il giudice non può che ancorarsi al sapere scientifico e alle consolidate strategie tecniche. Per queste ragioni, sottolinea la Cassazione, già citata, «se ci si chiede dove il giudice, consumatore e non

produttore di leggi scientifiche e di prescrizioni cautelari, possa rinvenire la fonte precostituita alla stregua della quale gli sia poi possibile articolare il giudizio senza surrettizie valutazioni a posteriori, la risposta può essere una sola: la scienza e la tecnologia sono le uniche fonti certe, controllabili, affidabili. Traspare, così, quale interessante rilievo abbiano le linee guida nel conferire determinatezza a fattispecie di colpa generica come quelle di cui ci si occupa».

La Cassazione, tuttavia, non sottovaluta il ruolo critico che lo stesso giudice può svolgere nei confronti del saper medico e sottolinea, addirittura, la funzione di “custode del metodo scientifico”.

Il riferimento è ai «pericoli che incombono in questo campo: la mancanza di cultura

scientifica dei giudici, gli interessi che talvolta stanno dietro le opinioni degli esperti, le negoziazioni informali oppure occulte tra i membri di una comunità scientifica; la provvisorietà e mutabilità delle opinioni scientifiche; addirittura in qualche caso, la manipolazione dei dati; la presenza di pseudoscienza in realtà priva dei necessari connotati di rigore; gli interessi di committenti di ricerche».

La Cassazione affronta, altresì, il problema della natura normativa delle linee guida e delle raccomandazioni.

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Come già anticipato in precedenza, viene segnalata la necessità di “eterointegrazione” dei principi relativi alla definizione della colpa sulla base di interventi effettuati con “atti di rango inferiore” alla legge.

Si tratta, utilizzando testualmente le parole della Corte, di una «discesa della disciplina

dalla sfera propriamente legale a fonti gerarchicamente inferiori che caratterizza la colpa specifica (e che) costituisce peculiare, ineliminabile espressione dei principi di legalità, determinatezza, tassatività».

La formulazione della Cassazione esprime la difficoltà con la quale i giudici affrontano il difficile tema della “regolazione” di rapporti e diritti che non si possono ricondurre agli ambiti tradizionali di applicazione del primato della legge.

Non può sfuggire lo sforzo messo in atto dal giudice nella differenziazione tra la funzione normativa delle linee guida e quelle delle prescrizioni tecniche rinvenibili nei cd. protocolli.

Protocolli e check-list, infatti, si pongono a livello di norme tecniche in senso stretto; mentre, linee guida e raccomandazioni sarebbero vere e proprie norme giuridiche, anche se ancora di incerta collocazione nella gerarchia delle fonti.

Il carattere normativo discenderebbe dalla loro funzione di orientamento generale. Precisa la Corte, che «il metro di valutazione costituito dalle e raccomandazioni

ufficiali è invece cogente, con il suo già indicato portato di determinatezza e prevedibilità, nell’ambito di condotte che delle linee guida siano pertinente estrinsecazione».

La giurisprudenza applicativa della legge Balduzzi tende a segnalare la lettura impropria della norma, intesa come scriminante di qualunque comportamento riconducibile a linee guida, anche se tenuto in presenza di fattori di comorbilità.

Per converso, questi ultimi avrebbero dovuto imporre la deroga o, meglio, il coordinamento delle linee guida relative alla patologia “principale” con quelle relative alle patologie “concorrenti”.

Il rischio segnalato è quello di un automatismo oggettivo e ingiustificato della funzione esimente dell’applicazione della linea guida.

Spiega la Corte, che «la generica definizione proposta delle linee guida non rende

conto del multiforme, eterogeneo universo che dà corpo alla categoria: diverse fonti, diverso grado di affidabilità, diverse finalità specifiche, metodologie variegate, vario grado di tempestivo adeguamento al divenire del sapere scientifico. Alcuni documenti provengono da società scientifiche, altri da gruppi di esperti, altri ancora da organismi ed istituzioni pubblici, da organizzazioni sanitarie di vario genere. La diversità dei soggetti e delle metodiche influenza anche l'impostazione delle direttive: alcune hanno un approccio più

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speculativo, altre sono maggiormente orientate a ricercare un punto di equilibrio tra efficienza e sostenibilità; altre ancora sono espressione di diverse scuole di pensiero che si confrontano e propongono strategie diagnostiche e terapeutiche differenti».

È questo il limite più evidente dalla inattuazione sostanziale della legge Balduzzi. Di conseguenza, fino alla legge Gelli Bianco, di fatto, non vi è stata l’opportunità, tanto per il terapeuta quanto per il giudice, di utilizzare le linee guida come “strumento di

precostituita, ontologica affidabilità”.

La legge Gelli risulta funzionale ad una ricostruzione di più ampio respiro dell’intera problematica della responsabilità del professionista sanitario e, soprattutto, del complesso rapporto tra regolazione legale e regolazione professionale.

I soggetti legittimati ad emanare linee guida sono, nella nuova disciplina, specificamente individuati mediante una procedimentalizzazione.

La natura regolativa del sistema non mira ad escludere la responsabilità, ma a costruire parametri conoscibili e verificabili di misurazione scientificamente accettabili dei comportamenti.

Non si elimina la responsabilità per imperizia, ma si formalizza il criterio di misura in una fonte che garantisca “prevedibilità” e “prevenibilità” dei comportamenti e degli scostamenti da standard legittimati.

Nell’ampia ricostruzione della portata normativa delle linee guida, infine, la Cassazione ha indicato la necessità di limitare l’effetto scriminante dell’osservanza delle linee guida all’uso appropriato che se ne faccia in relazione alla specificità del caso concreto.

Pertanto, non solo le linee guida possono essere disattese in relazione alla complessità del caso concreto e alla necessità di tenere in considerazione la eventuale presenza di patologie concorrenti, ma l’osservanza delle stesse, per alcuni e non per tutti profili patologici, nello specifico caso non è sufficiente a far scattare l’esimente110.

Nonostante sia ormai consolidata l’opinione della non applicabilità in ambito penale della limitazione di responsabilità in sede civile ex art. 2236, alcune pronunce giurisprudenziali non hanno potuto fare a meno di evidenziare che il criterio civilistico di attribuzione di rilevanza alla sola colpa grave in situazioni tecnico-scientifiche nuove, complesse o rese più difficoltose dall’urgenza può essere considerato come regola di esperienza per la valutazione dell’addebito di imperizia111.

110

Sul punto, Cass. IV, 20.4.2017 n. 28187, in www.giurisprudenzapenale.com ove si evince il principio secondo cui non è consentita l’utilizzazione di direttive non pertinenti rispetto alla causazione dell’evento, non solo per affermare la responsabilità colpevole, ma neppure per escluderla.

111

Ex multis, Cass. IV, 20.4.2017 n. 28187, cit.; Cass. IV 22.2.1991 n. 4028 (Sentenza Lazzeri Rv. 187774); Cass. IV 22.11.2011, n. 4391 in www.iusexplorer.it secondo cui«può trovare applicazione in ambito penalistico come

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14. Rilevanza delle linee guida nel giudizio di responsabilità innanzi alla Corte

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