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Il diritto alla salute come diritto finanziariamente condizionato.

IL FUNZIONAMENTO DELLE LINEE GUIDA IN AMBITO SANITARIO.

2. Il diritto alla salute come diritto finanziariamente condizionato.

Nel corso degli anni Settanta del secolo scorso abbiamo assistito all’incremento delle forme di sostegno pubblico alla salute e alla progressiva pubblicizzazione dei rapporti connessi.

Sin dagli inizi degli anni Novanta si è diffusa l’opinione dell’insostenibilità di un regime di fiscalizzazione illimitata della funzione sanitaria, soprattutto se associato alla mancanza di qualunque impegno alla riqualificazione del sistema sanitario.

L’indicazione più chiara e decisa nella direzione segnalata è quella contenuta nel D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma

dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421”.

Vengono in evidenza alcune indicazioni contenute all’art. 1 del citato Decreto:

«1. La tutela della salute come diritto fondamentale dell'individuo ed interesse della

collettività è garantita, nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana, attraverso il Servizio sanitario nazionale, quale complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei Servizi sanitari regionali e delle altre funzioni e attività svolte dagli enti ed istituzioni di rilievo nazionale, nell'ambito dei conferimenti previsti dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, nonché delle funzioni conservate allo Stato dal medesimo decreto.

2. Il Servizio sanitario nazionale assicura, attraverso le risorse finanziarie pubbliche individuate ai sensi del comma 3 e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dagli articoli 1 e 2 della legge 23 dicembre 1978, n.833, i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell'equità nell'accesso all'assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell'economicità nell'impiego delle risorse.

[omissis 3-4-5]

7. Sono posti a carico del Servizio sanitario le tipologie di assistenza, i servizi e le

prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impiegate. Sono esclusi dai livelli di assistenza erogati a carico del Servizio sanitario nazionale le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che: a) non rispondono a necessità assistenziali tutelate in base ai principi ispiratori del Servizio

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sanitario nazionale di cui al comma 2; b) non soddisfano il principio dell'efficacia e dell'appropriatezza, ovvero la cui efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili o sono utilizzati per soggetti le cui condizioni cliniche non corrispondono alle indicazioni raccomandate; c) in presenza di altre forme di assistenza volte a soddisfare le medesime esigenze, non soddisfano il principio dell'economicità nell'impiego delle risorse, ovvero non garantiscono un uso efficiente delle risorse quanto a modalità di organizzazione ed erogazione dell'assistenza. 8. Le prestazioni innovative per le quali non sono disponibili sufficienti e definitive evidenze scientifiche di efficacia possono essere erogate in strutture sanitarie accreditate dal Servizio sanitario nazionale esclusivamente nell'ambito di appositi programmi di sperimentazione autorizzati dal Ministero della sanità.

Il quadro definito dalla disciplina del 1992 è molto indicativo.

Il diritto alla salute è un diritto fondamentale della persona costituito dall’insieme di aspettative tutelate, volte ad ottenere le cure corrispondenti a evidenze scientifiche - sufficienti e definite - secondo i principi di appropriatezza ed efficacia, nel rispetto dell’economicità dell’impiego delle risorse.

Il legislatore determina le terapie (preventive, curative, riabilitative) che possono essere erogate e pretese dal soggetto che ne ha bisogno.

Appare evidente che il diritto ad essere curati consiste non nella pretesa del singolo a qualsivoglia trattamento sanitario, bensì a quello corrispondente alle prestazioni che il Servizio Sanitario ha previamente ritenuto appropriate.

La selezione deve soddisfare al contempo un criterio quantitativo, nell’interesse della collettività, e qualitativo, ossia idoneo a garantire al singolo i mezzi indispensabili di cura.

Tenendo presente che il verbo “curare” non significa solamente eliminare la malattia ma, altresì, preservare nel tempo la migliore qualità di vita compatibile con le condizioni di salute effettive.

Inevitabilmente, la tutela della salute pone un problema di giustizia distributiva e di equità in relazione alla possibilità di accesso alle cure.

Si deve rilevare che nel corso di 26 anni dal primo importante riordino della disciplina in materia sanitaria (d.lgs. 502/1992), i processi di trasformazione e di adeguamento delle scelte sono stati estremamente lenti.

Il susseguirsi di molteplici riforme operanti su diversi piani, in particolare quelle costituzionali che hanno ridisegnato le competenze fra Stato, Regioni e Province autonome, nonché i rapporti fra capacità di spesa ed equilibrio di bilancio, hanno reso difficile l’esplicitazione delle esigenze di innovazione in materia di diritto alla salute.

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L’art. 117 Cost. ha distribuito le competenze legislative, e le connesse decisioni discrezionali di attuazione dei diritti sociali, tra Stato e Regioni un modello differenziato, cui fa da cornice comune la riserva di competenza esclusiva dello Stato per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali.

La tutela della salute, così come la tutela e sicurezza del lavoro, costituiscono materie di legislazione concorrente.

Il riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lett. m) serve al fine del riparto della legislazione tra Stato e Regioni.

La predetta garanzia non coincide con il nucleo essenziale dei diritti previsti nella prima parte della Costituzione.

Infatti, il livello essenziale di cui alla lettera “m” non è solo un livello minimo, atteso che il riferimento all’essenzialità non è solo quantitativo ma anche qualitativo e coincide con il miglior livello di garanzia in quel determinato contesto storico.

Il riferimento ai livelli essenziali rinvia, quindi, a un’idea di uguaglianza garantita in quanto misura della comune appartenenza a una comunità politica, la cui dimensione nazionale resta imprescindibile.

Il problema dell’esatta definizione delle competenze fra diversi livelli di responsabilità pubblica ha spesso prodotto effetti di grave rallentamento sulla regolamentazione di materie complesse.

Così, ad esempio, il problema della definizione delle linee guida sanitarie è rimasto per lunghi anni irrisolto per effetto di un conflitto di attribuzione fra Stato e Province autonome in materia di “formazione professionale”.

Nella cornice di regolazione disegnata, l’esigenza di tutelare il primato della persona si è affermata, al di fuori di qualunque logica di compatibilità fra molteplici valori, pure costituzionalmente protetti, per la mancata definizione di parametri di bilanciamento.

Anche in questo caso, le varie giurisdizioni, in assenza di parametri legislativi di riferimento sulla natura, la portata normativa, la stessa conoscibilità delle linee guida, si sono viste costrette a fare riferimento al solo valore della persona come criterio di decisione.

La reazione del sistema non ha tardato a manifestarsi.

L’insufficiente regolazione dell’attività di tutela della salute e dei suoi parametri di appropriatezza si è trasformata in una crescente insoddisfazione sociale e in una corrispondente domanda di giustizia.

Il silenzio e i ritardi del legislatore hanno lasciato spazio all’esercizio di una funzione supplente della magistratura con l’uso dell’unico strumento a disposizione del giudice: la

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valutazione dell’adeguatezza delle strutture e dei comportamenti professionali in sede di giudizio di responsabilità (civile, penale, contabile).

I giudici si sono trovati a commisurare la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria con i soli strumenti della disciplina codicistica in un sistema articolato di rapporti fra persone che rivendicavano il riconoscimento (quanto meno in forma risarcitoria) del proprio diritto alla salute e istituzioni chiamate ad erogare e a rispondere su prestazioni sanitarie sempre più complesse.

L’insufficienza delle risorse per mantenere livelli erogatori di prestazione sanitarie, non sempre utili e comunque insostenibili per il sistema economico e sociale, ha forgiato una prima risposta al problema della tutela della salute riducendolo a una questione “econimicistica”.

Tuttavia, le leggi Balduzzi e Gelli hanno tentato di recuperare le evidenti criticità del sistema delineato, cercando di stabilire un nuovo equilibrio fra competenze scientifico- professionali e strategie economiche e sociali della sanità.

L’impresa è ardua e risente della concorrenza di valori costituzionalmente protetti, i quali necessitano di essere tutelati e bilanciati.

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