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Rilevanza delle linee guida nel giudizio di responsabilità innanzi alla Corte dei Conti Questioni di diritto intertemporale.

IL FUNZIONAMENTO DELLE LINEE GUIDA IN AMBITO SANITARIO.

14. Rilevanza delle linee guida nel giudizio di responsabilità innanzi alla Corte dei Conti Questioni di diritto intertemporale.

La Corte dei Conti ha affrontato il problema della rilevanza delle “linee guida” (anche se in via incidentale rispetto al caso concreto sottoposto alla propria giurisdizione).

La giurisprudenza della Corte dei Conti ha mostrato particolare attenzione per lo studio della questione delle regole professionali e della loro efficacia, al fine di tracciare una linea di politica del diritto e coglierne la rilevanza normativa sotto molteplici aspetti.

Anche la Corte dei Conti condivide la giurisprudenza della Cassazione e punta sulla funzione delle linee guida, quale criterio di determinazione dell’elemento soggettivo per l’individuazione della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria.

La giurisprudenza contabile riprende la definizione di linee guida, fornita dalla Cassazione112, come sapere scientifico e tecnologico consolidato.

Le linee guida costituiscono, dunque, il parametro di valutazione della maggior diligenza che si richiede, insieme alla maggior perizia, all’agente di più alta qualificazione professionale.

La riconduzione della rilevanza delle linee guida alla funzione di determinazione dell’elemento soggettivo, cioè alla definizione dei criteri di individuazione della responsabilità del professionista, dovrebbe consentire di valutare la correttezza dei comportamenti terapeutici in comparazione con gli standard scientifici consolidati.

L’adesione alle indicazioni della Corte di Cassazione è indicativa di una tendenza interpretativa e di un’opzione culturale che, in realtà, risultano datate per il collocamento temporale dei fatti ante-legge Balduzzi.

La Corte dei Conti dà atto dell’esistenza di due linee interpretative nella giurisprudenza contabile, anche se opta per la seconda.

La prima guarda alla condotta come mera attività “materiale” per cui il comportamento potrebbe definirsi gravemente colposo tutte le volte che si presentasse palesemente anomalo e

regola di esperienza cui attenersi nel valutare l'addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione di problemi di speciale difficoltà ovvero qualora si versi in una situazione di emergenza, in quanto la colpa del terapeuta deve essere parametrata alla difficoltà tecnico scientifica dell'intervento richiesto ed al contesto in cui esso

si è svolto. Ne consegue che non sussistono i presupposti per parametrare l'imputazione soggettiva al canone della colpa grave ove si tratti di casi non difficili e fronteggiabili con interventi conformi agli standard»

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Cfr. Cass. 29.1.2013 n. 16237 secondo cui «L’importanza delle linee guida rileva sul piano dell’elemento soggettivo, giacché esse costituiscono sapere scientifico e tecnologico codificato, metabolizzato, reso disponibile in forma condensata, in modo che possa costituire un’utile guida per orientare agevolmente, in modo efficiente e appropriato, le decisioni terapeutiche».

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inadeguato, tale cioè da costituire un’evidente devianza dai canoni di diligenza e di perizia tecnica113.

La seconda, invece, ritiene si debba valorizzare il bene della vita umana oggetto della prestazione sanitaria e l’elevato grado di conoscenza scientifica che è alla base dell’attività medica, per cui la condotta non potrebbe semplicemente esaminarsi alla stregua dei normali canoni di diligenza, ma andrebbe valutata con tanto maggior rigore quanto più si considerasse l’elevata qualificazione professionale dell’agente114.

L’opzione seguita dalla Corte dei Conti è propedeutica alla definizione della problematica del bilanciamento fra esigenze di tutela della persona e rispetto delle compatibilità economico-finanziaria delle terapie.

In ogni caso, la condotta del medico «deve essere ponderata alla luce delle linee guida,

ovviamente se esistenti all’epoca dei fatti»115.

14.1 Economicità e sostenibilità delle scelte terapeutiche nella giurisprudenza della Corte dei Conti.

La Corte dei Conti ha affrontato il problema dell’appropriatezza per quanto attiene alla prescrizione dei farmaci, anche se le argomentazioni enucleate potrebbero estendersi ad altri tipo di prescrizioni.

Posto che, la prescrizione di un farmaco è appropriata allorquando «la sua efficacia è provata nella specifica indicazione e riconosciuta in scheda tecnica e se e se i suoi effetti sfavorevoli sono “accettabili” rispetto ai benefici. Queste caratteristiche, che descrivono l’appropriatezza clinica e professionale, devono essere integrate dall’aspetto sanitario e gestionale, che considera anche l’efficacia dell’intervento nelle popolazioni e il “consumo” di risorse che esso comporta».

Più nello specifico, ha evidenziato la Corte che «di fronte all’accresciuta attesa di vita e

al desiderio che essa sia confortata da una buona qualità dell’esistenza, sia il medico che il paziente devono essere consapevoli del fatto che le risorse disponibili per la sanità sono relativamente limitate. E con tale limite deve ogni scelta medica confrontarsi quotidianamente, alla luce del basilare parametro della appropriatezza»116.

Nel caso analizzato in sentenza, la Procura regionale Lombardia ha contestato un danno erariale cagionato da medici di medicina generale (MMG) delle ASL della Regione

113 Corte dei conti, Sez. III d’Appello, 2005 n.662 in Corte dei conti sezione giurisdizionale Piemonte n. 193/14.10.2015; Sez. Marche, sent. n. 86/2012; Sez. Lombardia, sent. n. 386/2012 in www.rischiprofessionali.it 114 Corte dei Conti , Sez. Sicilia n. 828/2010, Sez. Puglia. n. 744/2010, Sez. Lazio. n. 36/2010.

115 Esemplificativa la sentenza della Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per la Regione Calabria 12.12.2013, n.379, la quale ha escluso la responsabilità dei medici convenuti per mancanza di linee guida all’epoca dei fatti. 116

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Lombardia, in rapporto di convenzione con il SSN (e pertanto legati da rapporto di servizio con l’amministrazione sanitaria) per il periodo 2002-2004, derivante da una condotta iperprescrittiva di farmaci.

La sentenza in disamina costituisce un tentativo di elaborazione dei criteri per la valutazione delle scelte professionali del medico, in un quadro di compatibilità che perviene all’individuazione dell’economicità in termini di sostenibilità “culturale” delle cure.

Il paradigma interpretativo proposto si rivela utile per un’adeguata valutazione delle decisioni mediche, connotate da un inevitabile margine di discrezionalità terapeutica.

È stata sottolineata, in primo luogo, l’alleanza medico-paziente sotto il profilo della consapevolezza del carattere limitato delle risorse e della necessità di far fronte al – comprensibile – bisogno di cure illimitate.

È con tale limite deve confrontarsi ogni scelta medica, quotidianamente, alla del basilare parametro dell’appropriatezza.

Il criterio della sostenibilità economica della prescrizione d farmaci deve essere stabilito come quello che individua la più equa composizione possibile tra le potenziali scelte terapeutiche che, derivano dal dovere deontologico del medico di individuare la cura più appropriata, dalla sensibilità sociale e dalle condizioni organizzative e sociali di ciascuna situazione storica.

Rammenta la Corte dei Conti che «l’appropriatezza prescrittiva affonda le sue radici

nel Codice Deontologico secondo il quale il medico adegua le sue decisioni ai dati scientifici accreditati o alle evidenze metodologicamente fondate, tenendo conto del contesto sociale, organizzativo ed economico in cui opera e, sempre perseguendo il beneficio del paziente secondo i criteri di equità, e considera l’uso appropriato delle risorse».

Pertanto, la decisione prescrittiva del medico matura nell’ambito del processo relazionale intersoggettivo instaurato con il singolo paziente per raggiungere gli scopi clinici desiderati e condivisi che appaiono economicamente giustificati.

Per la Corte dei Conti, l’appropriatezza non è definibile in assoluto in termini meramente scientifico-clinici, ma è il risultato anche della composizione delle scelte tecniche con elementi culturali e relazionali del medico da rapportare alla personalità del malato, nonché alle condizioni del suo vivere, alla sua volontà di guarigione e al suo progetto di vita.

Nella prescrizione del farmaco, quindi, il medico assume la responsabilità deontologica di equilibrare i costi e i benefici clinici e sociali della terapia.

La prescrizione è regolamentata da disposizioni che vincolano il medico di medicina generale (MMG) al rispetto del prontuario terapeutico, delle schede tecniche, delle linee guida, dei Percorsi Diagnostici Terapeutici e del tetto di spesa assegnato.

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Il medico è coinvolto nella responsabilità della gestione delle risorse della sua comunità e la sua attività prescrittiva assume valenze civili, etiche e ancora giuridiche nonché di responsabilità (disciplinare, amministrativo- contabile).

Pertanto, «affinché la prescrizione di un farmaco sia appropriata, è necessario che:

a) i benefici attesi o probabili sulla base delle prove di efficacia siano superiori ai possibili effetti negativi e ai disagi derivabili dal suo impiego (rapporto beneficio/rischio favorevole);

b) il costo o l’impiego certo di risorse che ne deriva sia pari o inferiore a quello di altri interventi di pari efficacia o in relazione ai benefici che altre decisioni permetterebbero di conseguire combinando diversamente lo stesso ammontare di risorse;

c) siano rispettate le preferenze e le aspettative del paziente».

Chiarisce la Corte che «quando le conclusioni del medico coincidono con le esigenze

sanitarie, si realizza l’appropriatezza sia all’interno della relazione medico/malato che della logica beneficio/costo sostenibile».

Ad avviso di tale Collegio «l’appropriatezza non può essere concepita solo entro i

confini delle norme che attualmente regolano la prescrivibilità dei farmaci a carico del SSN. Una volontà esterna alla relazione medico/paziente, sebbene fondata su pressanti esigenze proprie della collettività, entra in rotta di collisione con la variabilità biologica e l’unicità e irripetibilità delle caratteristiche di ogni singola persona e finisce per ledere il principio costituzionalmente tutelato del diritto alla salute. Quindi il contenimento dei costi da un lato, la somministrazione della migliore assistenza uguale per tutti e la libertà di scelta del paziente e del medico dall’altro, sono fini che possono entrare in conflitto fra loro».

Affinché il medico possa assistere il paziente al meglio delle sue capacità professionali, gli deve essere riconosciuto un margine di discrezionalità nella gestione della discrepanza che si può talora verificare fra le condizioni cliniche, la tollerabilità ai trattamenti e le potenziali interazioni farmacologiche secondo le caratteristiche del singolo paziente, per il quale, «se

appropriato, non è illegittimo prescrivere farmaci anche in deroga apparente alle disposizioni vigenti, ovviamente nei limiti della logica, della ragionevolezza e dei basilari approdi della letteratura scientifica, che devono essere noti anche al medico di base»117.

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15. Eguaglianza curativa e sostenibilità economico sociale delle scelte

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