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L’autotrascendimento come arte e volontà: letture di Zygmunt Bauman e Roberto Assagiol

E quando ti chiedi se si possa raggiungere la piena felicità, probabilmente credi di poter conquistare, individualmen- te e autonomamente, un modo di vivere più gradevole, de- gno e soddisfacente; e sei disponibile a fare quel tipo di sforzo e a sopportare forse quel tipo di sacrificio che qual- siasi causa degna richiede e a fare ciò che di scomodo essa impone a chi la sostiene. In altri termini, ponendoti tale domanda hai indicato che, anziché accettare placidamente e docilmente lo stato di cose esistente, sei propenso a mi- surare la tua forza e la tua capacità secondo gli standard, i compiti e gli obiettivi che hai definito per la tua vita, e non viceversa: a misurare le tue ambizioni e finalità con le for- ze che ritieni di avere o di poter mobilitare in questo mo- mento.

Hai certamente fatto ipotesi del genere, e agito di conse- guenza: altrimenti non ti saresti preso la briga di porti que- ste domande. Se lo hai fatto, significa che agisci in base al- la convinzione che il mondo che ti circonda non sia «dato» una volte per tutte, che possa essere cambiato, e che tu, proprio tu, possa a tua volta cambiare mentre ti dedichi a cambiare il mondo. Significa che tu parti dall’idea che lo stato del mondo possa essere diverso da com’è, e che il mo- do in cui cambierà dipenderà da ciò che fai, e che questo è vero come (e più) del fatto che ciò che fai, o non fai, dipen- de dallo stato del mondo (passato, presente e futuro). Si- gnifica che confidi nella tua capacità di fare la differenza: una differenza per la tua vita, ma anche per il mondo in cui vivi. In breve: significa che pensi di essere un artista in gra- do di creare e di dar forma alle cose e parimenti di essere tu stesso un prodotto di quel creare e dar forma… L’affermazione secondo cui «la vita è un’opera d’arte» non è un postulato o un monito (del tipo «prova a rendere la

tua vita bella, armoniosa, dotata di senso e ricca di signifi- cato, come i pittori o i musicisti cercano di fare con le lo- ro opere»), ma una constatazione di fatto. La vita, se è vi- ta umana – la vita di un essere dotato di volontà e libertà di scelta – non può non essere un’opera d’arte. Volontà e scelta lasciano la propria impronta sulla forma di vita, per quanto si tenti di negarne la presenza e/o di nasconderne il potere attribuendo il ruolo di causa alla presunta pres- sione schiacciante di forze esterne che impongono l’«io de- vo» dove avrebbe dovuto esserci l’«io voglio» e restringo- no in tal modo il ventaglio delle scelte plausibili62.

Questo è quanto espresso da Zygmunt Bauman (19 novembre 1925 – 9 gennaio 2017), sociologo e filosofo polacco di origini ebraiche, recentemente scomparso, sulla capacità di assumersi il rischio e la responsabilità di decidere del proprio destino e di crea- re artisticamente la propria identità, rispondendo alle domande fondamentali dell’esistenza circa il proprio esserci nel mondo, in quella che egli definiva l’arte della vita. Il compito umano per ec- cellenza è, dunque, quello di ridefinirsi al di là delle condizioni esterne date per rimodellare la realtà e la propria vita secondo il proprio modello di vita buona, visione e immagine che, ci ricorda Bauman, Ricoeur paragonava a nebulose63 confuse e immerse in

una fioca luce.

Forgiare in maniera artistica se stessi e la realtà equivale, per Bauman, all’assunzione di un imperativo, e non tanto opera di una scelta, benché sartrianamente intesa; si è artisti, spiega Bauman:

… per decreto del fato universale. «essere artisti per decre- to» implica che il non agire valga come l’agire; che lasciar- si andare alla deriva, alla stessa stregua del nuotatore o na- vigare, sia considerato a priori un atto di creatività artisti- ca e, a posteriori, tenda a essere messo agli atti come tale64.

62 Z. Bauman, the Art of Life, Polity Press, Cambridge 2008, tr. it., L’arte della vita, Laterza, Roma 2016, pp. 68-69.

63 Cfr. P. Ricoeur, Sé come un altro, Jaca Book, Milano 1993. 64 Z. Bauman, L’arte della vita, cit., p. 73.

Talvolta l’arte si esprime nelle forme riconosciute della distru-

zione e dell’autodistruttività che ricalcano, prima ancora di essere

espresse da pittori e poeti, stili di vita e diverse forme artistiche di esperienze esistenziali. La «distruzione creativa», prima che gli ar- tisti la scoprissero, era già ampiamente praticata e radicata nella vi- ta normale come uno dei suoi espedienti più comuni e di consue- ta applicazione”65, rivelando l’intima connessione fra creazione e

distruzione, nella misura in cui ogni evoluzione e ogni cambiamen-

to parte e si compie per mezzo di una pars destruens, ovvero di una forma di distruzione creativa di sé.

Nel nostro mondo liquido-moderno esercitare l’arte della vita, trasformare la propria vita in un’«opera d’arte», equi- vale a trovarsi in uno stato di trasformazione permanente, a ridefinire perennemente se stessi diventando (o almeno tentando di diventare) un altro rispetto a quello che si è stati fino a quel momento. «Diventare un altro» equivale, tuttavia, a cessare di essere quello che si è stati; a strappare e togliersi di dosso la propria vecchia forma, come un ser- pente che si libera della sua pelle o un mollusco della sua conchiglia; a rifiutare, uno dopo l’altro, i personaggi che il flusso incessante di opportunità «nuove e migliorate» in vendita fa apparire ormai logori, troppo stretti o semplice- mente non più gratificanti come una volta. Per mettere pubblicamente in mostra un nuovo io e ammirarlo sia in uno specchio che negli occhi degli altri c’è bisogno di al- lontanare il vecchio io dalla vista, e possibilmente anche dalla memoria propria e altrui. Quando ci impegniamo nella «autodefinizione» e «autoaffermazione» pratichiamo la distruzione creativa. E lo facciamo quotidianamente66.

Vivere socraticamente è l’ideale di una vita buona capace di sce-

gliere e di autodeterminarsi, consapevole dei rischi e delle possibi- li cadute, di autodefinirsi come identità compiuta scevra da condi- zionamenti o spinte anche di natura sociale ed economica, di ordi- narsi, organizzarsi e creare un ordine all’interno di sé e nella realtà.

65 Ivi, p. 94. 66 Ivi, pp. 94-95.

Vivere socraticamente è anche lo sforzo di una spinta anagogi- ca continua e incessante, verso un Assoluto universale che si so- stanzia dei valori universali del Bello, del Giusto, del Bene, del Buono, della Verità e che si declina nella scelta individuale di cia- scuno come etica del vivere moralmente giusto. “Comunque la si guardi, la riflessione sull’arte della vita conduce, in ultima istanza all’idea dell’autodeterminazione e dell’autoaffermazione, e alla grande volontà che un compito così temibile necessariamente ri- chiede”67.

Analizzata da un punto di vista psicologico esistenziale, la volon-

tà rappresenta il fulcro dell’intera personalità e dell’esperienza ulti-

ma del Sé incentrata sull’autorealizzazione, come sottolineato dallo psichiatra fiorentino Roberto Assagioli (1888-1974), fondatore del- la “psicosintesi”, ovvero “un processo di crescita che si basa sull’in- tegrazione armonica di tutti gli aspetti della personalità intorno al- l’io, centro di coscienza e di volontà”68. Fra i poteri interiori utili al-

l’uomo, sebbene ancora poco sviluppati, per resistere e fronteggia- re tutte le incombenze e le tendenze tecnologiche e materialiste del- le società avanzate, insieme a risolutezza, fermezza, costanza e sag- gezza, Assagioli pone la volontà, prima e imprescindibile facoltà in- teriore umana. La forza di volontà umana è posta sia alla base della costruzione della personalità dell’uomo, sia come fondamento del- la propria capacità di deliberare e di decidere, portando a compi- mento l’esito della scelta nonostante gli ostacoli e le difficoltà.

L’esperienza esistenziale della volontà descritta da Assagioli mo- stra come la volontà e la sua espressione nell’esistenza umana si di- pani in tre fasi fondamentali: 1) riconoscere che la volontà esiste; 2) la consapevolezza di avere una volontà; 3) infine l’essere una vo-

lontà.

Le parole che Assagioli usa per descrivere la prima fase, ovve- ro quella della scoperta della volontà sono particolarmente evoca- tive e suggestive; egli paragona la scoperta della volontà alla sco- perta della bellezza e al destarsi dell’esperienza estetica del bello:

67 Ivi, p. 104.

68 R. Assagioli, The Act of Will, The Viking Press, New York 1973, tr. it., L’atto di volontà, Astrolabio, Roma 1977, p. 8.

Si produce una rivelazione, un risveglio, che può avvenire quando guardiamo la delicata sfumatura del cielo al tra- monto, un gruppo maestoso di montagne dalle cime im- biancate di neve, o gli occhi limpidi di un bambino. Può prodursi mentre contempliamo il sorriso enigmatico della Gioconda di Leonardo. Può prodursi mentre ascoltiamo la musica di Bach o di Beethoven, o mentre leggiamo i versi ispirati dei grandi poeti.

Questo risvegliato senso del bello, sebbene all’inizio sia spesso debole e confuso, diventa più chiaro e si sviluppa attraverso ripetute esperienze di natura estetica, e lo si può coltivare ed affinare con lo studio dell’estetica e la storia dell’arte. Ma l’attenzione intellettuale e lo studio non pos- sono da soli sostituire la rivelazione iniziale. […].

Lo stesso è vero della volontà. Ad un certo momento, forse

nel mezzo di una crisi, si ha, viva ed inconfondibile, l’espe- rienza della sua realtà e della sua natura. Quando il perico- lo minaccia di paralizzarci, improvvisamente, dalle profon- dità misteriose del nostro essere, sale una forza insospetta- ta che ci permette di fermarci risolutamente sull’orlo del precipizio o di affrontare un aggressore con calma e deci- sione. […].

L’esperienza interiore della volontà può prodursi anche in altri modi, più discreti e sottili. Durante periodi di silenzio e di meditazione, nell’attenta analisi delle nostre motiva- zioni, in momenti di assorta deliberazione e decisione, una “voce”, piccola ma distinta, a volte si farà udire per spro- narci ad agire in un certo modo, un suggerimento diverso da quello dei nostri motivi ed impulsi ordinari. Sentiamo che viene dal centro interno del nostro essere. Oppure un’illuminazione interiore ci rende consapevoli della real-

tà della volontà con una certezza travolgente che si dichia-

ra da sola, in maniera irresistibile.

Tuttavia, il modo più semplice e quello in cui più frequen- temente scopriamo la nostra volontà è attraverso la lotta e l’azione determinata. […]. In qualunque modo accada, durante una crisi o nella quiete del raccoglimento interio- re, costituisce un momento decisivo e di enorme importan- za nella nostra vita69.

La consapevolezza di avere una volontà è intimamente legata all’io, in quanto l’esercizio della volontà rappresenta per l’io la possibilità di farsi e di costruirsi concretamente con categorie esi- stenziali proprie, scegliendo e scegliendosi, operando cambiamen- ti su di sé e sul mondo circostante, autodeterminandosi con co- scienza e responsabilità. Il riconoscimento della propria intrinseca volontà riporta all’uomo la sua necessità di auto-formarsi nell’idea che il sé e la realtà intera siano possibilità in divenire in cui divie- ne fondamentale l’azione diretta dell’uomo.

Questa forma di appercezione della volontà in se stessi è costan- temente esposta all’influenza di fattori esterni che ne avviliscono la portata e le possibilità; la consapevolezza della volontà culmina nell’esperienza esistenziale della pura auto-coscienza, la percezione di essere e di esistere e di essere un io, esperienza che distingue l’uomo dagli animali, in quanto gli animali sono coscienti ma non auto-coscienti. Attraverso la volontà l’individuo dirige e regola tut- te le altre funzioni psicologiche, come sensazione, emozione e sen- timento, impulso e desiderio, immaginazione, pensiero, intuizio- ne, diventando l’asse centrale della propria auto-coscienza. Quali- tà della volontà sono, fra le altre, intensità e dinamismo, controllo e disciplina, concentrazione, attenzione e focalizzazione, determi- nazione, perseveranza, audacia e organizzazione.

Assagioli distingue diversi aspetti ascritti nella categoria più ampia di volontà forte pienamente sviluppata, essi sono: Volontà

Forte, come capacità di usare la volontà nei diversi campi della vi-

ta con determinazione; – Volontà Sapiente, come capacità di espli- care la propria volontà con il minor dispendio di energie; – Volon-

tà Buona, ovvero diretta verso scopi e fini buoni, etici, amorevoli,

imparando a scegliere le mete giuste; – Volontà Transpersonale, la dimensione verticale della volontà, mossa da esigenze superiori di natura spirituale, ascetica, mistica e da una vocazione alla trascen-

denza dell’io70.

La tensione anagogica e la spinta alla trascendenza dell’io, così vivide e fondanti in molti percorsi esistenziali, si muovono all’in-

70 Per un approfondimento sull’argomento cfr. R. Assagioli, Lo sviluppo tran- spersonale, Astrolabio, Roma 1988.

terno di un dinamismo psichico maturo e consapevole che parte da una profonda riconsiderazione di tutti gli aspetti più oscuri e latenti di sé, perché mai potrà esservi elevazione senza lo sforzo della discesa, senza attraversare quella notte oscura dell’anima, no- ta ai mistici e agli iniziati di tutti i tempi. E nel percorso di risalita l’essere umano deve essere consapevole delle possibili ricadute al- l’indietro, delle possibili regressioni che appaiono all’occhio sa- piente come le linee tracciate dalle onde che si frangono sulla bat- tigia, l’onda ricurva e schiumosa segna il suo limitare sulla sabbia bagnata per poi tornare indietro, ma è già pronta un’altra onda a ricurvarsi sopra il limite precedentemente tracciato superandolo. Allo stesso modo è l’esercizio consapevole del proprio autotrascen-

dimento dialettico, consapevole che ogni regressione comporta

un’auto-annientamento e una successiva ricostruzione, che prepara un suo nuovo superamento a un livello più alto di comprensione.

L’esercizio della propria volontà è, infine, per Assagioli espres- sione di una volontà gioiosa, in quanto l’esecuzione di una propria decisione, la propria volontà cosciente reca con sé l’esperienza dell’appagamento e della soddisfazione e dunque propriamente della gioia:

Poiché il risultato di un atto di volontà riuscito è la soddi- sfazione delle nostre esigenze, possiamo vedere che l’atto di volontà è essenzialmente gioioso. E la realizzazione del- l’io, o più esattamente di essere un io (la cui funzione più intrinseca, come abbiamo visto, è quella di volere) dà un senso profondamente gioioso di libertà, di potere, di do- minio71.

L’attenzione psicologica sulla volontà riporta alla considerazio- ne attiva e non deterministica dell’uomo, nemmeno se osservato dal punto di vista del suo inconscio, giacché il compito di ciascun individuo è, anche, quello di conoscersi, trasformando l’agito incon- scio e inconsapevole in azione volitiva e intenzionale dominata da quello che potremmo definire il principio della volontà cosciente.

L’essere umano mosso dall’ideale dell’autotrascendimento co- me cura di sé si crea e si forma, dunque, artisticamente per mezzo di una ferrea volontà capace di restituire all’uomo la sua possibili- tà di essere e di divenire. E questa visione anagogogica e trasforma-

tiva del Sé emerge e si ridesta sovente, laddove si trovano dolore,

sofferenza, difficoltà, crisi. Come spiega Maria Zambrano:

La crisi ci insegna anzitutto che l’uomo è una creatura non formata una volta per tutte e non terminata, ma neppure incompleta e con un limite stabilito. Non siamo stati termi- nati e non ci è chiaro che cosa dobbiamo fare per comple- tarci; non è stato stabilito come dobbiamo ultimare noi stessi. Siamo cioè problemi viventi, in un tempo che non smette di passare e con un’esigenza urgente, anche se per nostra sventura può essere disattesa72.

Ma questo stato di crisi e di inquietudine soggettiva e solipsi- stica può essere superato dalla trascendenza che “non è altro che la capacità che hanno gli esseri di uscire da sé oltrepassando i propri stessi limiti, lasciando l’impronta di un altro essere, producendo un effetto, agendo oltre se stessi, come se l’essere di ogni cosa ter- minasse in un’altra”73.

4. Carl Gustav Jung e il processo di individuazione: forme alchemi-