ALLA LETTERATURA NOIR DI JAMES ELLROY
2. La vita e la narrativa di James Ellroy “Mal-amato”, deviante e scrittore noir
Un’interessante lettura criminologica sulle teorie esposte nei capi- toli precedenti, che vedono una correlazione positiva fra le difficol- tà familiari e affettive dell’infanzia con i successivi comportamen- ti devianti e/o criminali, è quella condotta dall’avvocato Fabio Ca-
purro5sulla vita del più importante scrittore noir vivente, l’ameri-
cano James Ellroy (Los Angeles, 1948).
L’infanzia di Ellroy ci viene descritta come un periodo in cui si radicano nell’animo del piccolo James emozioni controverse e profonde angosce dovute ai continui conflitti verbali e al ricorren- te clima di ostilità vissuto all’interno delle mura domestiche, fra l’alcolismo della madre e la sufficienza di un padre inetto. Il pro- fondo malessere di James trovò il suo apice allorquando la madre gli comunicò, quand’egli aveva circa 6 anni, la sua volontà di di- vorziare dal padre, sua principale figura di attaccamento. Egli su- bì e si adeguò alla successiva sentenza di divorzio, che lo vide, co- m’egli temeva, affidato alla madre, verso la quale iniziò a provare sempre più odio e risentimento sia per aver disgregato la famiglia, sia per averlo allontanato dal padre. A scuola James mostrò di es- sere particolarmente abile in due attività: la lettura e la vessazione dei suoi compagni più deboli; James a scuola era un bullo, dun- que, incline ad atteggiamenti violenti e aggressivi ma, sin da subi- to, evidenziò anche il suo talento artistico, anche nel rubare libri
noir nelle librerie.
Il mio atteggiamento da bambino difficile – scrive – mi procurava l’attenzione che desideravo, e metteva in guar- dia i potenziali aggressori. Ridevo quando non c’era nien- te da ridere, mi ficcavo le dita nel naso e poi me le mette- vo in bocca, disegnavo svastiche sul diario e nei quaderni. Ero l’esemplare modello per il capitolo sui bambini di ti- po attira-l’attenzione-perché-non-riesce-ad-attirare-l’affet- to nei manuali di psicologia dell’età evolutiva6.
Solo qualche anno dopo il divorzio, la madre morì assassinata; James ne fu sollevato e pianse, ma di solo odio, un odio misto a un
5 F. Capurro, “Una vita noir: la carriera criminale di James Ellroy, lo scrittore deviante”, in A. Verde, C. Barbieri (a cura di), Narrative del male. Dalla fic- tion alla vita, dalla vita alla fiction, Franco Angeli, Milano 2010, pp. 171-195. 6 J. Ellroy, I miei luoghi oscuri, Bompiani, Milano 1996, p. 109, cit. in F. Capur-
ro, “Una vita noir: la carriera criminale di James Ellroy, lo scrittore deviante”, cit., p. 176.
amore edipico tardivo e irrisolto presto interrotto. Aveva circa 10 anni. Gli anni successivi furono caratterizzati da un costante per- fezionamento delle sue duplici abilità: la lettura e i comportamen- ti devianti e violenti, incentivati anche dall’uso di droghe. La figu- ra precedentemente idealizzata del padre inizia a frantumarsi, Ja- mes scopre la sua pigrizia e meschinità, la sua inesorabile distanza dalle cose e dalla realtà.
Lee aveva ormai quattordici anni, era alto un metro e ot- tantaquattro centimetri, e pesava settantacinque chili: pro- prio in questo periodo, cioè all’inizio dell’adolescenza, si consolidò in lui una vera e propria “identità negativa”. Co- me è noto, secondo Mailloux7 (1968), il giovane delin-
quente è caratterizzato da una negativa percezione di sé, dal profondo convincimento di essere diverso dagli altri e di essere incapace di socializzare normalmente. Tale iden- tità negativa produce nell’individuo, sul piano del compor- tamento, una specie di maschera, dietro alla quale egli si nasconde per mostrarsi agli altri solo come duro, aggressi- vo e sprezzante di ogni norma e valore socialmente accet- tato. Per Mailloux, tuttavia, tale rifiuto non rappresenta una critica razionale della società e degli altri, ma l’espres- sione di un profondo disagio, dovuto all’impossibilità di avere, come gli altri, una vita serena e felice. Tutte le carat- teristiche individuate da Mailloux sono riscontrabili nel comportamento del giovane Ellroy, a partire dagli atteggia- menti narcisistici che lo allontanano dagli altri […]; sono presenti la confusione tra l’io e l’agire, con la svalorizzazio- ne della persona […]; l’incapacità di comunicare con gli altri, che conduce all’isolamento del delinquente dai non delinquenti […]; tutto ciò esita appunto nella costruzione di un’identità negativa, che induce il soggetto a commette- re compulsivamente reati […]8.
7 Cfr. N. Mailloux, “Psychologie clinique et delinquance juvenile”, in Crimino- logie en action, Les Presses de l’Universitè de Montréal, Montréal 1968. 8 F. Capurro, “Una vita noir: la carriera criminale di James Ellroy, lo scrittore
Decise di arruolarsi nell’esercito all’età di 17 anni, dopo essere stato espulso da scuola, ma anche in quel contesto James lasciò emergere i suoi irrisolti, tanto che il rapporto di uno psichiatra mi- litare parlava di James come di un soggetto con elevata iperdipen- denza dalla figure di attaccamento, incapacità di resistere allo stress e inadeguatezza nel contesto militare. Da qui l’immediato congedo. Da quel momento Ellroy inizia una vera e propria carriera crimina-
le, fatta di furti, alcool, marijuana alternati a periodi di detenzione.
Dopo la morte del padre Ellroy rimase anche senza casa e co- minciò a vivere come un senza tetto, fissando la sua “dimora” presso il Robert Burns Park, un parco pubblico di Los Angeles.
Dopo una serie di vicissitudini Ellroy raggiunse il suo punto di non ritorno quando una mattina il suo cervello si bloccò, la sua mente improvvisamente morì; si trattava, secondo i medici, della
sindrome cerebrale post-alcol, e soltanto allora Ellroy provò, per la
prima volta, terrore e paura per la sua vita, paura di morire o di impazzire. Dopo circa un mese di degenza in ospedale, una volta guarito, Ellroy fece un patto con Dio e con se stesso, avrebbe mo- dificato per intero la sua vita se solo gli fosse risparmiato il cervel- lo, cosa che di fatto accadde, visti i numerosi romanzi noir scritti da quel momento in poi, a partire dal primo romanzo, Prega detec-
tive, pubblicato nel 1981.
Dal punto di vista criminologico la narrativa di Ellroy evidenzia alcune tipicità che si ricollegano all’argomento principale di questo volume, in quanto in essa si possono trovare i legami che vedono la devianza, in molti casi, quale esito di abusi, violenze, abbandono, disgregazione familiare, morte o allontanamento dalle figure di at- taccamento principali, non amore o incuria in età infantile.
Come sottolinea Capurro:
Questi traumi dell’età evolutiva, essenziali nel determinare le forme di espressione del futuro comportamento devian- te, si ripercuotono sulla vita sotto forma di un forte senti- mento di ingiustizia (conseguente a una ferita narcisistica), che alimentano gli istinti criminali del soggetto, i quali sfo- ciano nel passaggio all’atto9.
I personaggi dei suoi romanzi sono, infatti, caratterizzati dalla presenza di malattie mentali, aggressività, assenza di empatia, anaffettività, mancanza di senso morale ed esaltazione narcisistica di sé, proprio come emerso nelle analisi di diversi studiosi descrit- te nei capitoli precedenti.
2.1 “I miei luoghi oscuri”: in ricordo della madre
Ti sei fatta fregare da uno scadente sabato notte. Inerme, hai fatto una fine stupida e brutale.
La via di scampo che avevi imboccato ti offrì solo un breve rinvio. Mi avevi portato con te come portafortuna. Fallii co- me talismano – dunque oggi testimonio per te.
La tua morte caratterizza la mia vita. Voglio trovare l’amore di cui fummo privi ed esercitarlo in tuo nome.
Voglio divulgare i tuoi segreti. Voglio azzerare la distanza fra me e te.
Voglio darti vita10.
È con questa struggente dedica che Ellroy apre il romanzo che racconta della vita e della morte brutale della madre. Dalla dedica alla pagina successiva il passo è breve, basta infatti girare una pa- gina per vedersi apparire sotto agli occhi la foto in bianco e nero della madre assassinata, riversa di spalle, faccia a terra, con la schiena lasciata scoperta dalla lacerazione del vestito con tessuto fantasia. Si vede una donna, capelli chiari un po’ ondulati, la pelle bianca, un laccio e una calza di nylon al collo, un corpo reso umi- do dalla brina scesa nella notte, sporcato dalla terra, abbandonato fra foglie e sterpaglie. È proprio questa l’immagine della madre, JeanGeneva Hilliker Ellroy, La Rossa, che James ci offre, esatta- mente come fu trovata, la mattina dell’omicidio, da degli ignari ra- gazzini.
10 J. Ellroy, My dark places. An L. A. Crime Memoir, Knopf 1996, tr. it., I miei luoghi oscuri, Bompiani, Milano 2016, p. 5.
Nel pomeriggio, al suo rientro a casa, Ellroy seppe della morte della madre ed è così che lui stesso si descrive:
Il figlio della vittima era paffuto – e alto, per essere un bambino di dieci anni. Era nervoso – ma non sembrava af- fatto sconvolto. Il bambino era arrivato a casa da solo, in taxi. Era stato informato della morte della madre e aveva accolto la notizia con una certa tranquillità11.
Interrogato insieme al padre, ma separatamente, presso la cen- trale di El Monte, Ellroy si descrive come tranquillo e in atteggia- mento dignitoso. Poco dopo fu affidato al padre e ne fu felice, fi- nalmente poteva iniziare una nuova vita.
Suo padre descriveva La Rossa senza mezzi termini, come una poco di buono, promiscua e alcolizzata, Ellroy la odiava per que- sto, ma nello stesso tempo l’aveva sempre amata, di un amore edi- pico malcelato. Egli la descrive come bellissima con i suoi capelli rossi e con la sua pelle bianchissima, con un’eleganza innata; qual- che volta l’aveva trovata con degli uomini in casa, ma di fatto la vi- ta di Jane restava un mistero per tutti, talmente riservata e chiusa da rendere impossibili anche le indagini per il suo delitto ancora irrisolto.
Li hai fatti fessi tutti. Ti concedevi a piccole dosi e ti reinven- tavi a tuo piacimento. La tua riservatezza ha vanificato la possibilità di marchiare di vendetta la tua morte.
Pensavo di conoscerti. Il mio odio infantile l’ho spacciato per conoscenza intima. Non ti ho mai pianto. Ho violato il tuo ricordo.
Tu perseguivi una rettitudine severa. Il sabato sera la infran- gevi. Le tue brevi rassegnazioni ti gettarono nel caos. Non voglio ritrarti in quel modo. Non voglio dar via così bassamente i tuoi segreti. Voglio apprendere dov’è che hai sepolto il tuo amore12.
11 Ivi, p. 21. 12 Ivi, p. 107.
Il padre di Ellroy viene descritto come un uomo dalla bellezza travolgente e dal fascino irresistibile, aveva diciassette anni in più della moglie, ma insieme formavano una coppia dall’aspetto stu- pendo, anche se finto. Era cresciuto in un orfanotrofio e non ave- va nessun parente di sangue, potremmo dire che anche il padre di Ellroy visse un’infanzia infelice fatta di non amore, perdite, abban- doni; elemento biografico che spiega la sua incapacità di amare e di offrire un riparo sicuro alla sua famiglia, unitamente alla reite- razione generazionale del trauma infantile, come se gli irrisolti del- la nostra infanzia, quando non armonizzati, avessero il potere di ri- destarsi continuamente in ogni esperienza affettiva e/o familiare. Ellroy era un bambino difficile, un bullo, quanto meno era quella l’immagine di lui che gli gradiva di rimandare all’esterno; “sfruttavo la mia stazza e mi facevo valere con i compagni più de- boli”13.
Ma Ellroy aveva paura:
Avevo paura della bambine, di molti bambini e di determi- nati adulti, sia maschi che femmine. Le mie paure deriva- vano dal mio apocalittico apparato immaginativo. Sapevo che tutto, inevitabilmente, va a finire caoticamente male. La validità del mio addestramento empirico al caos era inoppugnabile. Il mio atteggiamento da “bambino diffici- le” mi procurava l’attenzione che desideravo, e metteva in guardia i potenziali aggressori. Ridevo quando non c’era niente da ridere, mi ficcavo le dita nel naso e poi me le mettevo in bocca, disegnavo svastiche sul diario e nei qua- derni. Ero l’esemplare modello per il capitolo sui bambini di tipo attira-l’attenzione-perché-non-riesce-ad-attirare- l’affetto nei manuali di psicologia dell’età evolutiva14.
Essere un bambino difficile era il suo unico rifugio, continua- mente attratto da diverse tipologie di modelli devianti da seguire, come quei teppistelli messicani che “vagabondavano per le strade
13 Ivi, p. 121. 14 Ibidem.
con quell’andatura strafottente che ammiravo tanto”15, e riuscì a
fare “combriccola con un paio di altri perdenti come me”16. La sua
autodistruttività cominciò a farsi sempre più accentuata nel corso del tempo e iniziò a leggere libri gialli per bambini per metaboliz- zare la morte violenta della madre:
“Ogni libro che leggevo era un contorto omaggio a lei. Ogni mistero risolto era un’ellittica manifestazione del mio inconfessato amore per lei”17, e ancora, “i libri mi forniva-
no un sacco di stimoli, nonché un dialogo sublimato con la morte di mia madre”18che, solo dopo qualche tempo dal-
la sua morte, iniziò a preferire al padre.
I libri stimolavano la sua fantasia, fino a farne mostra fra i com- pagni di classe e di scuola, ai quali destinava immagini e racconti macabri e cruenti; c’era qualcosa di assolutamente autodistruttivo nella sua attitudine all’esibizione:
Non riuscivo a stemperare le mie scene. Ero programmato per l’eccesso e l’alienazione. I miei sforzi di adeguamento provocarono un contraccolpo interno. Mi preclusi io stes- so il passaggio e rimasi un adolescente lebbroso. Altri leb- brosi apprezzarono le mie pose e seguirono le mie insegne. La mia colonia di lebbrosi la governavo da despota. Non rispettavo i seguaci che mi adoravano. Le mie amicizie sco- lastiche si dissolsero in fretta. I miei compagni erano per- lopiù ebrei quindi inclini a non gradire le mie tirate nazi- ste. Le mie amicizie cominciavano con bonomia nichilista e finivano con zuffe inconcludenti. Quell’attenzione che mi guadagnavo con tattiche traumatiche la sprecavo subi- to dopo con le mie vibrazioni da perdente. Lo schema si ri- peteva all’infinito19. 15 Ivi, p.129. 16 Ivi, p. 146. 17 Ivi, p. 131. 18 Ivi, p. 133. 19 Ivi, p. 154.
In questo passo Ellroy ci descrive un atteggiamento comune nei mal-amati che hanno scelto la devianza e la criminalità per col- mare il proprio vuoto affettivo, proprio come descritto nel film di Luc Besson, Angel-A; la devianza che si sostanzia dei legami in gruppi di persone simili, portatori del medesimo disagio affettivo che ricreano il luogo di uno scambio affettivo disturbato e distor- to, dove ottenere appoggio e conferme con la prepotenza e con il timore, e dove ogni legame appare fragile come fili di zucchero ca- ramellato, pronti a spezzarsi miseramente. L’umiliazione era il gio- co di potere più praticato nelle bande di giovani teppistelli che amava frequentare, e non sempre lui era il più potente. La violen- za verbale, “affettiva” ed emotiva rappresentava il Leitmotiv della loro quotidianità e delle loro abitudini relazionali.
La loro crudeltà mi faceva male – ma non abbastanza da costringermi a rinunciare alla loro amicizia. Incassavo be- ne. Quando proprio mi ferivano a fondo mi incupivo o mi mettevo a piangere – ma mai per più di dieci minuti. Le fe- rite di quelle staffilate emotive cicatrizzavano velocemente, pronte a venir riaperte. Ero un caso esemplare di intransi- genza adolescenziale. Avevo un asso nella manica, blinda- to e inattaccabile, di derivazione patologica ed empirica- mente valido: l’abilità di ritrarmi ad abitare quel mondo generato dalla mia mente. I rifiuti e le piccole crudeltà ag- giungevano spessore alle mie fantasticherie lunatiche. L’amicizia significava umiliazioni tollerabili. Quattro risa- tacce con i ragazzi significavano un ruolo subordinato. Quel prezzo non mi pesava. Sapevo come ricavare profit- to dall’estraniazione. Non mi rendevo conto che gli inte- ressi si accumulavano. Non sapevo che, alla fine, ciò che si è represso lo si sconta20.
Come nel Flaubert descritto da Sartre, Ellroy poté contare sul suo genio letterario, consapevole, sin da subito, della sua grande vocazione; si preparava lentamente il suo autotrascendimento. I mal-amati, infatti, non sono quasi mai privi di risorse e di qualità,
al contrario appaiono sempre come estremamente ricchi, in pos- sesso sempre di un qualche strumento utile dove poter far leva per elevarsi ed autotrascendersi. Spesso i mal-amati sono soggetti resi- lienti che impiegano un tempo variabile per la loro ripresa evolu- tiva, spesso escono fuori dalle loro ombrose caverne avendo vinto i propri demoni, spesso dopo vite complesse, roccambolesche, ro- manzesche, criminali, sofferte.
Forse perché i mal-amati hanno una particolare affinità con le zone d’ombra, con le oscurità interiori e questo li predispone an- che bene a uscirne fuori, riportando danni più o meno gravi e ci- catrici addosso più o meno profonde, ma restando saldi alla vita e al loro percorso di evoluzione personale, che sentono più profon- damente, come una missione esistenziale da compiere per poter fi- nalmente essere ed esistere, dandosi una seconda vita nell’autode-
terminazione di sé.
Il 4 giugno del 1965, dopo quasi sette anni dalla morte della Rossa, morì anche il padre ed Ellroy si costrinse a piangere, alme- no una volta come fece quando morì sua madre; aveva diciassette anni. La sua attività delinquenziale si fece più serrata, le sue com- pagnie si rinsaldarono in una brulicante necessità di delinquere, banalmente, semplicemente. Fu arrestato per taccheggio, fu con- dotto nel riformatorio di Georgie Street dove “mi gettarono in un dormitorio pieno di delinquenti minorenni. Ero atterrito. Lì den- tro ero il più grosso – e palesemente il più inerme”21. Durò una so-
la notte, il tempo che servì al padre di uno dei suoi amici, Webb, di ottenere per lui una libertà vigilata con la qualifica di “minorile
emancipato”.
Webb non si interessava a quello che combinavo. Il mio angelo custode mi ignorava. Continuai a rubare e a schiva- re il lavoro.
Bramavo il tempo libero. Tempo libero significava tempo per sognare e coltivare il mio senso di destino possente. Tempo libero significava tempo per cadere preda degli im- pulsi22.
21 Ivi, p. 170. 22 Ivi, p.172.
Tornò, quindi, alle sue abitudini delinquenziali e si avviò sem- pre di più al consumo di superalcolici, l’alcool rappresentava per Ellroy una fonte inesauribile di stimoli;
L’alcool mi portava nella stratosfera.
Esaltava i miei poteri narrativi. Dava una dimensione fisi- ca ai miei pensieri.
L’alcool mi induceva a parlarmi. L’alcool mi induceva a dar voce alle mie fantasie. L’alcool mi induceva a rivolgermi a schiere di donne immaginarie23.
L’alcool accentuava anche il suo immaginario noir, intensifi- cando quella che per Ellroy era divenuta un’ossessione dominante: il delitto, i dettagli scabrosi, gli snodi narrativi fra il macabro e l’osceno.
Una volta raggiunta la maggiore età Ellroy era un ladro, un bul- lo, un reazionario facinoroso, un voyeur, un disoccupato che stava per perdere anche la sovvenzione statale dell’assistenza sociale. Tornò a scuola per non perdere il sussidio per gli orfani e si iscris- se in un liceo di stampo cristiano, la Culter Academy; lo studio della dottrina cristiana e della Bibbia lo irretì in una stretta insop- portabile che lo portò presto alla rovina. Perso il sussidio statale il suo sostentamento materiale e alcolico fu garantito da una quoti- diana attività delinquenziale. Provò tutti i tipi di droghe allora più in voga, erba, Seconal, Nembutal, acidi, anfetamine, Benzedrex, Romilar, LSD (senza annesso messaggio trascendentale). Dexerina e Dexamyl ampliavano le sue capacità narrative in maniera verti- ginosa per poi sperimentarne il down da anfetamine che lasciava vuoto, depressione e spossatezza. Prese dimora, come senza tetto, nel Robert Burns Park, la pioggia successivamente lo convinse a trasferirsi in un palazzo abbandonato dal quale la polizia lo prele- vò con l’accusa di furto con scasso. Entrò in carcere, e non vide più il riformatorio per delinquenti minorenni: “Avevo paura. Lì era ben peggio che al riformatorio di Georgia Street”24. Condotto
23 Ivi, p. 173. 24 Ivi, p. 185.
nell’ala per reati minori Ellroy incontra ubriaconi e uomini violen- ti il cui unico argomento di conversazione verteva sui racconti del-