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Pedagogia dell'autotrascendimento. Devianza e criminalità nei "mal-amati". Una rieducazione possibile

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Academic year: 2021

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(1)

Educazione

&

ricerca sociale

23

collana diretta da Paola Brunello Andrea Caldelli Simone Giusti

(2)

Gianluca Argentin

(Università Cattolica del Sacro Cuore)

Federico Batini

(Università degli Studi di Perugia)

Jean-François Draperi

(responsabile del Cestes, Centre d'Économie Sociale del Conservatoire national des arts et métiers di Parigi)

Paolo Jedlowski

(Università della Calabria)

Alessandro Mariani

(Università degli Studi di Firenze)

Mauro Papa

(direttore di Clarisse Arte di Grosseto)

Ercole Giap Parini

(Università della Calabria)

I volumi di questa collana sono sottoposti al giudizio di due “blind referees” in forma anonima

(3)

Pedagogia dell’autotrascendimento

Devianza e criminalità nei «mal-amati»:

(4)

dell’Università degli Studi “G.D’Annunzio” di Chieti-Pescara Dipartimento di Economia Aziendale

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ISBN volume 978-88-6760-476-0 ISSN collana 2420-9813

2017 © Pensa MultiMedia Editore s.r.l.

73100 Lecce • Via Arturo Maria Caprioli, 8 • Tel. 0832.230435 25038 Rovato (BS) • Via Cesare Cantù, 25 • Tel. 030.5310994

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Indice

Introduzione 9

CAPITOLO PRIMO

Mal-amore e autotrascendimento

Analisi iniziale di questioni congiunte 13

1. Analisi filosofico-esistenziale della categoria dei “mal-amati”:

a partire da J. P. Sartre e K. Jaspers 13 2. L’autotrascendimento nella logoterapia

e nell’analisi esistenziale di Viktor E. Frankl 25 3. L’autotrascendimento come arte e volontà:

letture di Zygmunt Bauman e Roberto Assagioli 41 4. Carl Gustav Jung e il processo di individuazione:

forme alchemiche dell’autotrascendimento 48

CAPITOLO SECONDO

Gli effetti del non-amore nell’approccio psicologico 55

1. “La ferita dei non amati”:

l’apporto della psicoanalisi in Peter Schellenbaum 55 2. Donald W. Winnicott: deprivazione affettiva

e tendenze antisociali 62

3. John Bowlby e i “bambini senza focolare”:

attaccamento, separazione e perdita 70

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Neuroscienze e psicoanalisi. Attaccamento, regolazione degli affetti e riparazione del Sé in Allan N. Schore 93

1. Preludio sulla “neuropsicoanalisi”: spunti clinici

alla pedagogia anagogica dell’autotrascendimento 93 2. Il potere trasformativo delle prime relazioni:

dallo sguardo alla sintonizzazione emotiva 98 3. Lo sviluppo del Sé e le sue declinazioni:

i disturbi dell’attaccamento 103

4. Attaccamento e disturbi di personalità:

uno sguardo sull’origine biologica della violenza 111

CAPITOLO QUARTO

Mal-amore e sviluppo della personalità narcisistica 119

1. Aspetti e problemi della personalità narcisistica:

una questione educativa 119

1.1 Narcisismo, violenza di genere, femminicidio: l’autotrascendimento del femminile 124 1.2 La morte di Ipazia d’Alessandria

(370 d.C. – 415 d. C.): filosofa e iniziata 132

CAPITOLO QUINTO

Storie diverse di “mal-amati”. Dal cinema di Luc Besson alla letteratura noir di James Ellroy 141

1. Il caso di un “mal-amato”

nel film “Angel-A” di Luc Besson 141

2. La vita e la narrativa di James Ellroy:

“mal-amato”, deviante, scrittore noir 149 2.1 “I miei luoghi oscuri”: in ricordo della madre 153

Riferimenti bibliografici 163

(7)

detenuti presso la Casa Circondariale di Chieti. “Le persone sperimentano la solitudine, urlano e strepitano di fronte al dolore e alle prove della vita, si misurano con i sentimenti più diversi, ma sarebbe sufficiente

aprire bene gli occhi per capire che siamo sempre protetti”

(8)
(9)

1 I presupposti teorici della pedagogia introspettiva e dell’educazione interiore fanno riferimento ad analisi presentate nei volumi seguenti: L. Di Profio, Nar-razione e pedagogia introspettiva, ESA, Pescara 2010; L. Di Profio, Ricerca e introspezione. Per una teoria della ricerca pedagogica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2011; L. Di Profio, L’educazione tanatologica. Come e perché parlare di morte con i bambini, ESI, Napoli 2014; L. Di Profio, Il compito di rieduca-re. Quarant’anni di pedagogia introspettiva, Pensa MultiMedia, Lecce-Brescia 2016.

Questo saggio nasce dalla precisa esigenza di approfondire un aspetto estremamente rilevante evidenziato nel volume che lo pre-cede, Il compito di rieducare. Quarant’anni di pedagogia

penitenzia-ria, lavoro in parte teorico e in parte empirico in cui si cercava, da

un lato, di avviare un complesso tentativo di comprensione

erme-neutica del fenomeno deviante e criminale, dall’altro di trovare

spunti e proposte operative nell’ambito della rieducazione peniten-ziaria.

Attraverso la dimensione empirica del precedente lavoro, cala-to direttamente nel mondo penitenziario, nelle scala-torie e nei raccon-ti di vita dei detenuraccon-ti, all’interno del laboratorio di pedagogia

in-trospettiva ed educazione interiore1da me condotto da circa un

an-no e mezzo come volontaria presso la Casa Circondariale di Chie-ti, si sono potuti evincere alcuni fattori che, in parte, contribuisco-no a spiegare alcune letture eziologiche sulla devianza e sulla cri-minalità di matrice educativa, psicologica, psicoanalitica e neuro-logica.

(10)

L’attenzione è stata rivolta all’analisi della relazione fondamen-tale fra madre/figure principali di attaccamento e bambino, par-tendo dagli studi e dagli approcci teorici di autori come Winni-cott, Bowlby, Schore e molti altri che, a diverso titolo, hanno cer-cato di spiegare come i disturbi dell’attaccamento nelle primissime fasi di vita del bambino spesso rappresentano la causa scatenante della devianza e della criminalità, passando attraverso forme di violenza eterodiretta e di comportamenti autodistruttivi e narcisi-stici già presenti nelle prime fasi di sviluppo.

Pur tendendo a mente l’estrema variabilità dei fattori eziologici alla base del comportamento deviante, la rilevanza statistica e l’alta correlazione nei casi in cui si può riscontrare una mancanza affetti-va profonda nell’infanzia ha legittimato l’approfondimento teorico di questo aspetto nel presente volume, nato proprio in seguito alla conoscenza dei detenuti e delle loro storie di vita, spesso segnate da abbandoni, lutti precoci e trascuratezze affettive gravi.

Gli spunti teorici qui approfonditi ci rimandano, quindi, alla questione educativa e familiare degli effetti e delle ricadute della trascuratezza emotiva, dell’abbandono, dell’assenza e del

mal-amore vissuti nel periodo infantile, sulla vita futura dei soggetti sul

piano dell’equilibrio psichico ed esistenziale.

L’espressione mal-amati, presente nel titolo e nelle diverse par-ti di questo lavoro ci viene offerta dal filosofo esistenzialista J. P. Sartre, il quale, in un lavoro psicobiografico su Gustave Flaubert,

L’idiota della famiglia, individuava nella categoria dei mal-amati

tutti coloro i quali abbiano vissuto delle profonde e radicate ca-renze affettive nell’infanzia. E dal racconto biografico di Flaubert, il mal-amato analizzato da Sartre, si è tratto anche il senso e la pro-spettiva anagogica di questo volume, ovvero l’esigenza di

autotra-scendimento.

La pedagogia dell’autotrascendimento, i cui riferimenti princi-pali sono da rintracciarsi in Jean Paul Sartre, Viktor Frankl, Karl Jaspers, Carl Gustav Jung, Paulo Freire, Piero Bertolini, Luigina Mortari, per citare solo i più importanti, rappresenta la proposta educativa e rieducativa di questo lavoro volto sì alla comprensio-ne di alcuni fattori eziologici della devianza, ma in particolare vol-to alla ricerca di strategie e di approcci operativi utili alla doman-da di cambiamento e di evoluzione personale impliciti nel

(11)

concet-to di rieducazione, che fa leva, in particolare sui concetti di

respon-sabilità soggettiva e di scelta, come antidoti al fatalismo e al

deter-minismo esistenziale. L’uomo, dunque, può, in qualsiasi momen-to, scegliersi diverso, attraverso una più efficace analisi di sé e dei propri vissuti emotivi irrisolti.

Se, dunque, l’infanzia e le prime relazioni affettive nate in seno al contesto familiare, e da qui l’interesse di questo argomento an-che per gli ambiti più specifici della pedagogia familiare, dell’edu-cazione familiare e del sostegno psico-pedagogico alla genitoriali-tà, possono condizionare l’espressione esistenziale di uomini e donne, l’esigenza pedagogica ed educativa si sposta sui modi e su-gli strumenti utili a favorire una riorganizzazione mentale ed esi-stenziale intorno ai nuclei principali del Sé, attraverso un percor-so introspettivo che conduca alla ripercor-soluzione, o quanto meno alla

pacificazione del passato, reso inattivo nella programmazione e

nella progettualità futura da un’assunzione di consapevolezza e da un incessante lavoro di autoguarigione dalle istanze deterministi-che del passato.

Il valore pedagogico ed educativo dell’autotrascendimento sta proprio nella sua vocazione anagogica al continuo superamento dialettico di sé, in cui il passato, gli eventi traumatici, i vissuti irri-solti possano inserirsi come fattori dialettici di un percorso che de-ve necessariamente portare all’evoluzione di sé.

In tal senso preziosi sono i contributi degli autori presentati nel presente volume che vedono, fra gli strumenti imprescindibili del-la guarigione dal mal-amore e dell’evoluzione personale, del-la «redel-la-

«rela-zione per il tramite dell’empatia»: categorie pedagogiche per

eccel-lenza.

La cura sarebbe, infatti, data proprio dalla nascita e dalla crea-zione di nuove relazioni positive di natura compensatoria, efficaci sul piano introspettivo e in grado di restituire ai soggetti fiducia in sé e fiducia nel mondo, vissuti non più come frustranti e ineffica-ci, ma come ricchi di potenzialità inespresse. Relazioni

terapeuti-che e relazioni educative hanno in comune l’attenzione al soggetto,

alla sua evoluzione positiva e propositiva nell’ottica dell’autotra-sformazione e dell’assunzione di una piena responsabilità di sé e del proprio destino esistenziale, e poiché non esiste evoluzione senza regressione, la tensione teleologica si muove nella direzione

(12)

del profondo, alla ricerca dei blocchi emotivi, delle cristallizzazio-ni familiari e sociali condizionanti, delle incertezze soggettive e re-lazionali per un loro opportuno e auspicabile superamento dialet-tico.

(13)

1 Cfr. J. P. Sarte, L’idiot de la famille, Éditions Gallimard, Paris 1971, tr. it., L’idiota della famiglia. Saggio su Gustave Flaubert, 3 voll., il Saggiatore, Mila-no 1977. Per una sintesi si veda L. Di Profio, “L’idiota della famiglia, psico-biografia esistenziale su Gustave Flaubert”, in Quando Clio incontra Psiche. Studio di psicologia della storia, introduzione di Umberto Galimberti, Le Let-tere, Firenze 2007, pp. 594-606.

1. Analisi filosofico-esistenziale della categoria dei “mal-amati”: a partire da J. P. Sartre e K. Jaspers

Dalla psicoanalisi esistenziale del caso Flaubert1 mirabilmente

condotta da Jean Paul Sartre, (1905-1980) alle considerazioni di marcato spicco psicologico dello psicologo Donald Winnicott, (1896-1971) sugli effetti dell’assenza di amore materno e di J. M. Bowlby, (1907-1990) negli studi sull’attaccamento ed Erik Erikson (1902-1994), per arrivare alla geniale trasposizione cinematografi-ca di Luc Besson (1959) in Angel-A, emerge una cinematografi-categoria psichi-ca, filosofica ed esistenziale di una rilevanza spesso ancora misco-nosciuta e trascurata, quella dei “non amati” o, per dirla usando un’espressione sartriana, dei mal-amati.

Chi sono i mal-amati? Mal amato, secondo l’analisi sartriana, era il famoso scrittore francese Gustav Flaubert, (1821-1880), e come lui tutti coloro i quali per abbandoni, perdite, incurie e anaf-fettività non hanno potuto godere, sin dall’infanzia, dell’amore da parte delle figure di riferimento più importanti, in primis la madre e i genitori.

MAL-AMORE E AUTOTRASCENDIMENTO.

ANALISI INIZIALE DI QUESTIONI CONGIUNTE

(14)

2 J. P. Sartre, L’idiota della famiglia, cit., p. 144.

Flaubert era il figlio di mezzo, né il primogenito maschio gra-dito al padre, né l’ultima femmina gradita alla madre, era l’idiota

della famiglia, genio-giullare che subì da parte delle sue figure di

riferimento un’immediata non-valorizzazione, iniziata con la ma-dre che, secondo Sartre, lo avrebbe privato del suo diritto di

esi-stere e del suo mandato di vivere, poi conclusa con la svalutazione

paterna. Sulla mancata valorizzazione del nascituro si sofferma Sartre:

Quando la valorizzazione del neonato mediante l’amore ha luogo malamente, o troppo tardi, o niente affatto, l’insuf-ficienza materna riduce la vita vissuta a non-senso: l’espe-rienza interiore rivela al bambino una molle successione di presenti che scivolano nel passato2.

Tutta la vicenda esistenziale di Flaubert nasce dalla risoluzione del suo conflitto interiore generato dal mal-amore, che appare il tema preponderante e decisivo su cui ruoterà la spinta interiore al-l’autotrascendimento, come risoluzione e come creazione del suo sé originario partendo da un importante svantaggio iniziale, quel-lo del non amore.

E ciò si comprende – scrive Sartre – senza fatica: è l’amo-re che manca; quando è pl’amo-resente la pasta lievita; assente, essa appassisce; il mal amato soffre il proprio abbandono, della natura presente a sé come insufficienza – attraverso i suoi vani sforzi per afferrare i significati inaccessibili – co-me passività e puro esser-presente senza scopo né ragione. […]. L’amore non è conosciuto, ma la sua assenza si fa co-noscere come assenza d’essere attraverso il crescere – rical-cato in anticipo – di quella pasta senza lievito.

La noia è pena d’amore che ignora se stessa: attraverso l’in-tuizione della contingenza e della monotonia fin nell’im-prevedibilità, egli scopre il suo carattere oggettivo di mal-amato – rapporto fondamentale con gli altri – come verità soggettiva della propria esistenza: amarsi sarebbe

(15)

interio-3 Ivi, p. 151.

rizzare l’affetto dell’altro e realizzarsi in e per mezzo di questa sintesi estranea; non essere amato, ciò si sente e si realizza come impossibilità di amarsi; e, ancora una volta, comprendiamo che non vi è, nel bambino, uno sforzo de-luso per piacersi, per dare amore a quello scorrere vivo che lo costituisce: semplicemente, egli spiace a se stesso; in lui, l’assenza di amore materno è sentita direttamente come non amore di sé3.

Il mal amore diventa secchezza dell’anima, di un’anima malnu-trita che non ha fame, poiché nulla intuisce di ciò che manca; re-sta solo il senso di un’astratta e mal decifrata mancanza. Al posto dell’essere amati appaiono il vuoto, il non-senso, la solitudine, l’inascolto, l’abbandono, il profondo senso di svalutazione di sé, l’autodistruttività, e accade proprio che, quando non si è stati amati a sufficienza, si inizi a pensare di essere “qualcosa” senza al-cun valore. Il disvalore si presenta come qualità assoluta, perento-ria, incontrovertibile, avvertita consapevolmente o inconsciamen-te dai mal-amati.

Una totale assenza di considerazione di sé, un pressante senso d’inferiorità e di vergogna di sé si completa nell’assenza di un mi-nimo sentimento di autostima e in un’estrema sensibilità frammi-sta a fragilità interiore. La sfera affettiva ed emotiva viene del tut-to deformata nei sentimenti di tristezza, dolore e solitudine, talvol-ta di rabbia. Il niente e il nulla diventalvol-tano le categorie filosofiche che consegnano l’esistenza al non senso, al vuoto e alla percezione di un destino dal quale mai nulla di buono potrà sorgere.

Il mal-amato, totalmente ignaro del sentimento dell’amore, per operare un efficace autotrascendimento o personalizzazione, intesa come capacità di divenire se stessi, deve compiere una rivoluzione interiore che gradualmente lo porterà ad amare se stesso, pur sen-za mai averne appreso le modalità e averne testati gli enormi effet-ti benefici. L’amore di sé diventa conquista e guarigione al con-tempo, che scaturisce e può scaturire solo da una lunga attività in-trospettiva e catartica, compiuta, nel caso di Flaubert, attraverso la

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4 Ivi, p. 647.

5 L. Di Profio, Quando Clio incontra Psiche, cit., p. 600. 6 Ivi, p. 569.

scrittura, dove egli ebbe l’occasione di ripetere e ripassare il suo conflitto interiore a livelli sempre più evoluti in quella che Sartre chiama analisi regressiva-progressiva. “Nessuno può viversi senza farsi, cioè a dire senza superare in direzione del concreto quello che è stato fatto di lui”4e, in fondo, “la sua opera complessiva non

è altro che un continuo ed instancabile voyage à l’enfer”5al quale

segue la visione della luce interiore, la luce del Sé.

L’uomo, nell’esistenzialismo sartriano, ha il compito assoluto di progettarsi; egli, l’uomo, è primariamente impegnato in una continua e operosa costruzione di sé che lo rende responsabile di se stesso come delle proprie azioni e delle proprie scelte. L’uomo sartriano è in assoluto libero, e seppure limitato da una libertà in situazione, egli è totalmente responsabile. Non ha scuse, egli è so-lo ciò che fa e ciò che sceglie e in tal mondo egli inventa se stesso:

eliminati il fato, la fortuna, l’ambito delle potenzialità non realizzate, la cattiva sorte o il volere di Dio, non resta altro che ciò che l’uomo fa, ha fatto o farà, il resto è nulla […]. L’uomo è definito solo in base all’azione e alla sua capaci-tà creativa, nel senso del forgiare se stesso […]”6.

L’impegno dell’uomo nella filosofia sartriana è quello del con-tinuo superamento e autotrascendimento di se stesso, al di là dei diversi condizionamenti operanti sul soggetto e sulla piena estrin-secazione delle sue diverse possibilità. Lontano da qualsiasi ap-proccio di tipo deterministico nella comprensione della propria storia personale, nessuna condizione pregressa e nessuna situazio-ne ha il potere di fatto di limitare la libera scelta della persona, in-serita all’interno di un ventaglio di possibilità pur sempre date; in particolare per Sartre erano fondamentali le situazioni di vita pre-senti e le scelte di vita operate. Il progetto esistenziale di ciascuno passa e ripassa nei luoghi dell’infanzia e del passato per potersi emancipare da essi sempre a un livello più elevato, acquisendo la

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capacità di divenire se stessi senza essere il risultato deterministi-co di eventi e situazioni poste. Dunque, gli elementi che deterministi- connota-no l’esperienza vissuta di ciascuconnota-no, in base alle diverse circostanze di vita, costituiscono in Sartre la colorazione interna del proprio destino personale che si dipana nel proprio progetto originario.

[…] Ma la sua colorazione, ossia soggettivamente il suo gu-sto, oggettivamente il suo stile, altro non è che il supera-mento delle nostre deviazioni originarie: tale superasupera-mento non è un moto istantaneo, ma un lungo lavoro; ogni mo-mento di questo lavoro è, insieme, superamo-mento e, nella misura in cui esso si pone per sé, la pura sussistenza di questa deviazioni a un dato livello di integrazione: ragione

per cui una vita si svolge a spirali; ripassa sempre gli stessi punti ma a livello diversi d’integrazione e di complessità7.

Sartre, tuttavia, non manca di sottolineare la difficoltà di quel lungo lavoro interiore evocato, ben conscio dei momenti in cui l’individuo sperimenta la difficoltà del compito, momenti

pratico-inerti contraddistinti da blocchi, condizioni alienanti, stasi e

re-gressioni che sembrano arrestare il progetto insito nel divenire

su-perante e che invece si preannunciano come fasi cruciali di un

nuo-vo e successinuo-vo oltrepassamento di orizzonte ad opera della sua stessa coscienza. Vi è, difatti, una necessaria discrasia fra il nostro livello cosciente di evoluzione e il nostro livello subconscio, sem-pre in accelerazione rispetto al primo; ecco che allora ciò che ap-pare alla coscienza come interruzione, blocco, emerge come spin-ta propulsiva al superamento che viene dal basso della coscienza, luogo in cui il lavoro interiore è sempre e comunque in stato di massima attivazione, qualsiasi sia il senso e la direzione intrapresi dal nostro inconscio possiamo esser certi del suo costante e inin-terrotto lavoro sotterraneo.

Il progetto fondamentale in Sartre, infatti, “pur essendo concre-tamente vissuto nella maniera della coscienza, si rivela nella

mag-7 J. P. Sartre, “Il metodo progressivo-regressivo”, in Questioni di metodo, in Cri-tica della ragione dialetCri-tica. Teoria degli insiemi pratici, libro I, il Saggiatore, Milano 1963, p. 101. Corsivo mio.

(18)

8 L. Di Profio, Quando Clio incontra Psiche, cit., p. 588 9 Ivi, p. 587.

10 J. P. Sartre, “La psicoanalisi esistenzialista”, in L’Essere e il Nulla, tr. it. a cura di G. Del Bo, il Saggiatore, Milano 1964, p. 688.

11 L. Di Profio, Quando Clio incontra Psiche, cit., p. 591.

gioranza dei casi come non conosciuto”8, la cui conoscenza è

suc-cessiva solo a lunghe fasi di elaborazione introspettiva.

Ciò che Sartre mostra in Flaubert è il dipanarsi di un progetto esistenziale che per avverarsi necessita della risoluzione e della comprensione del passato per l’avviamento di un processo

progres-sivo-euristico che mostra come dalle condizioni date in origine si

giunga al loro progressivo superamento, fino alla piena

totalizza-zione e realizzatotalizza-zione di sé, unione positiva fra situatotalizza-zione di vita e

progetto esistenziale originario.

In ogni momento l’uomo è per Sartre un Tutto, una Unità

globale di sé, una Totalità in corso, e ogni manifestazione

parziale ne rivela l’unità vista in riferimento al progetto fondamentale dal quale scaturisce9

poste queste premesse precisa Sartre:

se ammettiamo che una persona è una totalità, non possia-mo sperare di ricomporla con una addizione o una orga-nizzazione delle diverse tendenze che empiricamente ab-biamo scoperte in lei. Ma invece, in ogni inclinazione, in ogni tendenza, essa si esprime interamente, benché sotto un angolo diverso, […]. Se è così, dobbiamo scoprire in ogni tendenza, in ogni modo di agire del soggetto, un si-gnificato che lo trascende10.

Di fatto, l’uomo vive costantemente nella forma di un

auto-su-peramento perpetuo, costituito dall’evoluzione dei propri stati di

coscienza su di sé e sul mondo; “segni di una potenza e di una

in-credibile ricchezza di prospettive spirituali e mentali dell’individuo che straripa costantemente da se medesimo, che è e non è quasi nel medesimo istante”11.

(19)

L’uomo in Sartre è anche auto-annullamento nella misura in cui ogni evoluzione passa attraverso la distruzione di ciò che la precede, in un moto dialettico mosso dal desiderio di essere e di

di-venire sé. Contenuti di base che costituisco gli assi fondamentali

dell’ideale pedagogico rappresentato da due grandi riferimenti as-soluti: Piero Bertolini, (1931-2006), e Paulo Freire, (1921-1997). Il primo nell’imprescindibile valore assegnato all’azione continua di perfezionamento di sé, esplicato nella piena responsabilizzazione di sé come espressione dell’essere autenticamente se stessi, fino al-l’espansione della coscienza intenzionale, della volontà e della libe-ra scelta di autodeterminarsi fuori da ogni possibile condiziona-mento, così come espresso nella sua idea di educazione dei

ragaz-zi difficili12, il secondo nella costruzione di una pedagogia capace

di risvegliare e di aiutare gli individui ad “essere” e a “divenire”. Per Paulo Freire l’uomo, come in Sartre, ha una percezione di sé sempre come mancante, come essere inconcluso, sempre alla ri-cerca incessante del suo “essere di più”. In tal senso gli esseri uma-ni vengono sempre intesi come “esseri in diveuma-nire”, incompleti e inconclusi13.

Pagine imprescindibili nell’analisi della vicenda esistenziale del Sé sono quelle scritte da Karl Jaspers, (1883-1969) filosofo esisten-zialista tedesco, nella sua Psicologia delle visioni del mondo14del

1925. Analizzando la prospettiva psichica e filosofica di alcune ca-tegorie esistenziali, Jaspers presenta la tipologia delle cosiddette “nature plastiche”, personalità forti che ricusano ogni forma di li-mitazione alla propria evoluzione, di cui chiari esempi sono per il filosofo Gesù, Maestro Eckhart, Zarathustra, Buddha, come an-che i filosofi Socrate, Platone, Kant, Hegel, Nietzsan-che, Kierkega-ard. La maniera di esprimersi delle nature plastiche era proprio il loro incedere verso forme di evoluzione di sé sempre più sofistica-te ed elaborasofistica-te, nell’ottica di una visione anagogica di sé, sempre

12 Cfr. P. Bertolini, Per una pedagogia del ragazzo difficile, Malipiero, Bologna 1965 e nuove edizioni.

13 Cfr. P. Freire, La pedagogia degli oppressi (1968), EGA, Torino 2002. 14 K. Jaspers, Psicologia delle visioni del mondo, tr. it. di V. Loriga, Astrolabio,

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compresa nell’impegno costante al proprio autosuperamento e

au-totrascendimento spirituale ed esistenziale.

Il divenire del sé è un continuo autosuperamento e il sé spi-rituale, il sé liberissimo è insieme autoannientamento15.

Il vivere delle nature plastiche è un vivere daimonico che impli-ca la continua metamofrosi del sé, in un sé diveniente che si accom-pagna al costante sacrificio del sé e degli involucri, luoghi concet-tuali e ideologici che forniscono sempre un senso limitato dell’esi-stenza, nella misura in cui la comprimono e la riducono per poter-la semplificare. Il processo formativo che ivi si avvera è quello di un’autoformazione che perpetuamente si confronta con il rischio, con la crisi, con la rottura dei vecchi paradigmi e la creazione di nuove categorie esistenziali che inevitabilmente espongono l’indivi-duo all’incertezza e al rischio di frammentazione, ma che si autocompone nella maturata capacità di ristabilire gli equilibri e di ri-costruire nuovi assetti, quando la vita prende allora forma dal caos.

Quando il moto circolare che ha luogo fra l’opera di co-struzione dell’involucro, il porre-in-questione antinomico, e il ritorno alle forze creatrici torna, nello stesso uomo, sempre, e si volge non caoticamente bensì secondo una li-nea ascendente, che assimila e conserva, parliamo allora di uomo demoniaco. La fiamma del processo vitale tocca in lui la massima intensità. […]. Quando le sue parole e le sue azioni diventano programma e modello, egli torna in-dietro, avvertendo il fissarsi che accompagna ogni cessare della vita, e nega quello che era. È questo un eterno ‘supe-rare’ che si contrappone al caos. […]. Essi affascinano i lo-ro plo-rossimi, e questi ne fanno i plo-ropri condottieri o li te-mono e li annientano quasi forze nemiche. […]. Non pos-siamo mai sapere dove porti il loro cammino. […]. Il fatto primo e creativo è il vivere demoniaco16.

15 Ivi, p. 383.

16 Ivi, pp. 411-412. Con la parola “demoniaco” si fa riferimento al concetto di “daimon” socratico, totalmente diverso da letture ed ermeneutiche di tipo cattolico-cristiano.

(21)

Per comprendere l’essenza del pensiero di Jaspers si riporta un verso citato da Hegel del teologo e poeta mistico di origine persia-na Celaleddin Rumi (1207-1273) dove si legge: “e finchè in te non

si è compiuto il muori e divieni, tu non sei che un ospite tetro e oscu-ro sulla buia terra”17. E il muori e divieni richiamato dal poeta

per-siano non è altro che il senso di un rivolgimento totale di sé, dei propri pensieri, dei propri valori, delle proprie credenze e convin-zioni nella creazione del proprio essere radicalmente altro.

Il processo creativo dei mal-amati che compiono un vero e pro-prio cammino di auto-guarigione e di cura si esplica propro-prio nel-l’apprendimento dei modi e degli strumenti utili e indispensabili alla cura sui, alla cura di sé come entità fisica e spirituale che tro-va compimento nella cura socratica dell’anima.

Come precisa Luigina Mortari, richiamando i concetti sopra ci-tati con particolare riferimento al testo della filosofa e mistica te-desca Edith Stein, (1891-1942) Essere finito e essere eterno18, la

no-stra stessa essenza ontologica è il nostro essere nella possibilità, “nel senso che abbiamo una disposizione all’essere. Avere la qua-lità dell’esser possibile non significa, ma poter divenire, quel dive-nire che è il passaggio dall’«essere possibile» all’«essere attua-le»”19. Nella considerazione ontologica sull’essere come

possibili-tà e cura di sé la Mortari fa emergere quella che è la qualipossibili-tà onto-logica dell’uomo, ovvero la sua fragilità; qualità tragica che si lega anche alla capacità di trovare e costruire il senso.

Sperimentiamo continuamente la fragilità del nostro esser-ci: per continuare a vivere dobbiamo costruire un mondo in cui realizzare le nostre possibilità, ma qualsiasi artefatto umano ha una consistenza fragile, poiché è esposto an-ch’esso alle forze del mondo. Non solo gli artefatti mate-riali, ma anche quelli spirituali. Chi interpreta con

respon-17 Ivi, p. 142.

18 Cfr. E. Stein, Essere finito e essere eterno. Per una elevazione al senso dell’esse-re, Città Nuova, Roma 1988.

19 L. Mortari, “Alle radici della cura”, in Thaumàzein, Rivista di filosofia, Cura sui e autotrascendimento. La formazione di sé fra antico e postmodermo, 1, 2013, p. 13.

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sabilità il compito di dar forma alla sua esistenza dedica molto del suo tempo e delle sue energie a plasmare il suo essere: a modellare posture cognitive, affettive, etiche e po-litiche. Ma, per quanta dedizione metta in questa ‘tecnica del vivere’, niente di quanto ha acquisito esibisce la mini-ma garanzia di permini-manenza; tante sono le volte in cui dob-biamo fare i conti con la necessità di ricominciare dacca-po, al punto da farci sentire vano anche l’impegno più con-vinto e appassionato20.

Il proprium della condizione umana – continua Luigina Mortari – è quella di subire la propria trascendenza, per-ché quel nucleo vivente che noi siamo è un nucleo di po-tenzialità che, per attualizzarsi, chiedono di oltrepassare ciò che è già e aprirsi all’ulteriore. Subire la propria tra-scendenza significa allora che il nostro esserci è sempre ciò che è da essere, chiamato a divenire tutto ciò che ancora non è21.

Tuttavia, come spiega Guido Cusinato, la spinta all’autotra-scendimento implica la “presa di distanza critica dal proprio sé abitudinario, richiede infatti un punto d’appoggio archimedeo al di fuori di sé, implica l’intervento di una forza esterna capace di rapire l’individuo e di strapparlo alla propria originaria intrascen-denza”22, troppo spesso contraddistinta da un vacuo e inutile

nar-cisismo spettrale.

Il compimento del Sé nell’opera di trascendimento può avva-lersi, allora, di un’alterità altra da sé, nella maniera

dell’esemplari-tà, ovvero dell’esperienza positiva dell’altro che sprona

maieutica-mente all’evoluzione coloro i quali ne sono testimoni, come speci-ficato da Cusinato, o attinge dall’oceano della sapienza antica, co-me suggerito da Pierre Hadot (1922-2010), che assegna alla com-prensione della filosofia antica e dei suoi rappresentanti un ruolo

20 Ivi, p. 15. 21 Ivi, pp. 27-28.

22 G. Cusinato, “Il problema dell’orientamento nella società liquida: Autotra-scendimento e aver cura come esercizio di trasformazione”, in Thaumàzein, Rivista di filosofia, 1, 2013, Op. cit., p. 57.

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psicagogico, nella misura in cui appaiono non solo come teorie e

pensieri, ma propriamente come esercizi spirituali in grado di pro-durre riflessioni e spinte evolutive. Nel caso dell’esemplarità Cusi-nato sottolinea l’imprescindibile legame fra il sé e l’altro nell’ope-ra personale di autotnell’ope-rascendimento:

Riconoscere la propria incompiutezza ontologica compor-ta l’assumersi il compito di una seconda nascicompor-ta. Compor-ta lo scoprirsi non autosufficienti e bisognosi di un cibo speciale: questo nutrimento è costituito da quei legami af-fettivi che possono svilupparsi in affinità elettive. […]. Con esemplarità intendo una testimonianza riuscita, e spesso involontaria, di un percorso di svuotamento e tra-sformazione che non esige la logica della sottomissione al modello. […]. Chiamo esemplarità tutto ciò che, in base alla propria testimonianza diretta, trasmette una scossa in grado di ridestare il desiderio di qualcuno, invitandolo ma-ieuticamente a trovare il proprio percorso individuale di trasformazione23.

Hadot, invece, assimila l’esercizio della ragione, stimolato dai grandi pensatori dell’età antica greco-romana, alla meditazione, capace di far progredire la persona da un punto di vista pretta-mente spirituale24. D’altronde, come spiega Hadot: “Quando si

af-fronta un’opera filosofica dell’antichità si deve sempre pensare al-l’idea del progresso spirituale. Per i platonici, ad esempio, anche la matematica serve a esercitare l’anima a elevarsi dal sensibile al-l’intelligibile”25. E l’atto filosofico attiene all’espressione di un Sé

autentico, un Sé migliore forgiato nell’attenzione e nella costanza

dell’esser vigili a sé, che produce progressione nella riflessione

fi-losofica.

“È una conversione che sconvolge la vita intera, che cambia l’essere di colui che la compie. Lo fa passare dallo stato di una vi-ta inautentica, oscuravi-ta dall’incoscienza, rosa dalla cura, dalle

pre-23 Ivi, pp. 73-74.

24 Cfr. P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, Torino 1988. 25 Ivi, p. 21.

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occupazioni, allo stato di una vita autentica, dove l’uomo raggiun-ge la coscienza di sé, la visione esatta del mondo, la pace e la liber-tà interiori”26, poste come fine e vetta della propria opera di

auto-trascendimento opportunamente compiuta nella ricerca di sé e del proprio senso di esistere ed essere nel mondo.

2. L’autotrascendimento nella logoterapia e nell’analisi esistenziale di Viktor E. Frankl

Viktor E. Frankl (1905-1997) era un neurologo, psichiatra e filo-sofo austriaco di origine ebraica, viennese, come il suo primo rife-rimento, Sigmund Freud. La persecuzione antisemita negli anni del dominio nazista lo condusse all’internamento nei Lager di Au-schwitz, Dachau, Theresienstadt, Kaufering e Türkheim, non sen-za aver disperso prima i suoi studi e le sue ricerche in ambito psi-cologico e non senza aver assistito impotente allo sterminio della sua famiglia, la giovane moglie Tilly, incinta di pochi mesi, i suoi genitori, e alla distruzione di un manoscritto che gli fu strappato dalle mani dalle SS e che invano provò a proteggere e a nasconde-re sotto qualche straccio di vestito.

Il racconto della sua prigionia è consegnato nelle pagine dello scritto autobiografico Uno psicologo nei lager del 1946; il raccon-to di una “discesa all’inferno”27 come la definisce il filosofo

Ga-briel Marcel nella prefazione all’edizione francese. Ed è proprio il valore di questa sua discesa negli inferi a rendere autentica la sua testimonianza e a innalzare spiritualmente l’esperienza in una do-nazione di senso capace di trascendere anche il dolore, il dramma, la tragedia di un’esistenza ferita. La lacerazione dell’esperienza dei campi di concentramento, la perdita della dignità di persona, la nudità, la magrezza di quei corpi lasciati lentamente a morire,

26 Ivi, p. 32. Di P. Hadot si veda anche La cittadella interiore. Introduzione ai “Pensieri” di Marco Aurelio, Presentazione di Giovanni Reale, Pubblicazioni del Centro di Ricerche di Metafisica, Collana, Temi metafisici e problemi del pensiero antico. Studi e testi, n. 51, Vita e Pensiero, Milano 1996.

27 G. Marcel, “La vertigine dell’organizzazione”, Prefazione a V. E. Frankl, Uno psicologo nei Lager, Ares, Milano 2013, p. 7.

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l’umiliazione perenne conferiscono alle sue parole, come scrive Gordon W. Allport nella prefazione all’edizione americana, “un

suono profondamente onesto: sono lo specchio di esperienze troppo profonde, per poter ingannare”28.

È il racconto della ricostituzione di un senso sempre più svuo-tato, sempre più dipendente da beni, vantaggi, occasioni favorevo-li e sempre più incapace di accettare l’esperienza ontologica del dolore.

Il farsi persona dell’uomo sta nella vocazione pedagogica che guida e accompagna l’essere umano nella difficile e complessa co-struzione di sé e mai come oggi, “in un tempo come il nostro, cioè nell’epoca del vuoto esistenziale, l’educazione non può limitarsi a trasmettere usi e nozioni, ma deve preoccuparsi di affinare le co-scienze”29.

Il 27 aprile 1945 terminò il suo inferno, aveva quart’anni; era solo, senza nulla, nudo nell’anima e nel mondo:

Passo dopo passo, non altrimenti, penetrò nella nuova vi-ta, ridiventò uomo, reimparò cosa significasse essere libe-ro, in un mondo maturato troppo in fretta ed attanagliato dalla morsa dell’angoscia più profonda, pervaso dalla più tragica delle sensazioni: quella di non avere più alcun sen-so, di aver perduto lungo il cammino i valori più autentici che garantissero e giustificassero qualsiasi tentativo di spe-ranza, ogni forma di impegno, qualunque progetto di vita. I libri che, a cominciare dal 1946, iniziò a pubblicare sono tutti pervasi da questa costante preoccupazione: aiutare l’uomo sfiduciato, nella quotidianità della sua esistenza, a ritrovare il gusto di vivere, a riscoprire il carattere di uni-cità e di originalità insito in ogni esperienza vitale, a sorri-dere nuovamente di fronte agli smacchi quotidiani, inse-rendoli, accanto agli innegabili successi, in un contesto più ampio, in un progetto di vita che fosse un compito da

rea-28 G. W. Allport, “Il segreto della sopravvivenza”, Prefazione a V. E. Frankl, Uno psicologo nei Lager, cit., p. 11.

29 G. Torellò, “L’uomo Viktor Frankl”, Prefazione a V. E. Frankl, Uno psicologo nei Lager, cit., p. 20.

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lizzare momento per momento, con consapevolezza e con responsabilità30.

In un campo di concentramento Frankl aveva sperimentato in-tuizioni già precedentemente maturate sul come donare un senso alla vita, sempre e comunque; in ogni suo momento di gioia, come di dolore, comprese che la vita è sempre portatrice di un suo pre-ciso senso, che può recuperarsi e sostanziarsi nella riscoperta

del-l’interiorità e nella consapevolezza della dimensione spirituale

nel-l’uomo, quell’inconscio spirituale, di cui non sempre l’uomo divie-ne conscio.

Nella costrizione di un lager, nella inevitabilità del dolore, si vede riapparire, come un fascio di luce improvviso, la tendenza al-l’interiorizzazione: attingere e ritirarsi all’interno di sé, volgendosi alla propria ricchezza interiore e spirituale, annichilendo il grigio di un’esistenza materiale circondata da filo spinato sopravvivendo ad esso. E nell’interiorizzazione appaiono anche Dio, la donna o l’uomo amati, un compito di vita, uno scritto da terminare, come appare il passato, ricco di sé, ed appare ancora nell’arte e nella contemplazione di una natura potente che impone la sua straordi-naria bellezza, obbligandone la visione e, in pochi istanti, la luce si staglia nell’oscurità:

Chi avesse visto i nostri volti trasfigurati dall’incanto, du-rante il viaggio in treno da Auschwitz a un Lager bavarese, quando scorgemmo, dalle sbarre di un vagone cellulare, i monti di Salisburgo, con le cime rilucenti nel tramonto, non avrebbe mai creduto che erano volti di uomini che consideravano praticamente conclusa la propria vita. No-nostante tutto – o forse proprio a causa della nostra situa-zione – la bellezza della natura, che ci fu negata per anni, ci entusiasmava. […]; come avveniva, per esempio, nella foresta bavarese […], quando il sole al tramonto irradiava di luce i tronchi degli alberi, proprio come un famoso ac-querello di Dürer. […]. E quando, usciti fuori, vedemmo le scure nubi rosseggianti, a occidente, e tutto l’orizzonte

30 E. Fizzotti, Presentazione a V. E. Frankl, Un significato per l’esistenza. Psico-terapia e umanismo, Città Nuova, Roma 1983, p. 8.

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animato da nubi multicolori e sempre mutevoli, con le lo-ro figure fantastiche ed i lolo-ro colori ultraterreni, dall’az-zurro cobalto al rosso sangue, e sotto, in contrasto, le tristi capanne di terra del Lager e il paludoso spiazzo dell’appel-lo, nelle pozzanghere del quale si specchiava la bragia del cielo […]31.

Lo spirito, dunque, evade, si eleva, è capace di distanziarsi dal-la realtà e di trascenderdal-la in un senso altro, superiore, imperituro, assoluto.

In un’ultima impennata contro lo sconforto di una morte che ti è davanti, senti che il tuo spirito squarcia il grigio in-torno a te, e in quest’ultimo slancio senti come lo spirito evade da tutto questo mondo desolato e assurdo e che alle tue ultime domande sul significato del dolore, risuona da qualche parte un «sì» vittorioso e pieno di gioia. E in que-st’attimo – risplende una luce nella lontana finestra d’una fattoria che sta all’orizzonte come un fondale, nel grigio di-sperato di un albeggiante mattino bavarese – et lux in

te-nebris lucet, e la luce risplende nell’oscurità…32.

In ciò sta la logoterapia di Frankl, essa è terapia e riconquista di sé tramite la ricerca del significato, nella ricerca spasmodica di un senso d’esistere, per esistere, che dia significato (logos) all’esisten-za e al dolore, vissuti nella libertà e nella piena responsabilità. Frankl richiama costantemente il valore dell’autotrascendenza nel-l’esistenza umana, intesa come vita spesa nella ricerca di un sé di-veniente, sempre proiettata verso forme diverse e più evolute di sé, sempre impegnata nel compito di trascendere se medesima.

Egli focalizza la sua attenzione sulle due risorse fondamentali dell’essere umano, la sua capacità di auto-trascendersi e la sua ca-pacità di auto-distanziarsi; nella prima si avvera la spinta dell’esse-re umano al superamento di se stesso, la seconda nella capacità di operare un distanziamento da sé che consenta un diverso punto di

31 V. E. Frankl, Uno psicologo nei Lager, cit., pp. 77-78. 32 Ivi, p. 79.

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osservazione, alternativo e rivelatore, rispetto alla posizione cen-trata sull’Ego, come suggerito anche dallo scrittore giapponese Natsume Sõseki, (1867-1916) in Guanciale d’erba, nella sua visio-ne poetica e artistica dell’esistenza:

Quando riusciamo a guardare con obiettività, dimentican-do completamente il nostro io reale, solo allora possiamo, come figure di un dipinto, conservare un legame armonio-so con il paesaggio naturale. Ma nell’attimo in cui ci pre-occupiamo dei disagi che ci procura la pioggia scrosciante e della stanchezza delle nostre gambe, non siamo più per-sonaggi di una poesia. Ritorniamo ad essere gli ottusi, co-muni uomini di sempre. Non notiamo il fascino delle nu-vole e delle nebbie fluttuanti. Non affiora nel nostro ani-mo alcun sentimento per i fiori che appassiscono e per gli uccelli che cantano. E ancor più non intuiamo quanto noi stessi siamo belli mentre camminiamo malinconicamente solitari sulle montagne in primavera33.

L’auto-distanziamento può compiersi anche attraverso un sen-so dell’umorismo saggio e sapiente rispetto a sé e alle cose, e per-sino nel macabro umorismo nei campi di concentramento.

La cura di sé attraverso la ricerca di significato per sé rappre-senta un percorso imprescindibile in ciascun essere umano, spes-so calato in condizioni di spes-sofferenza e di disagio, proprio perché impossibilitato a trovare un senso e un significato del vivere. Spie-ga Frankl,

se una persona è riuscita a porre le basi del significato che essa cercava, allora è pronta a soffrire, a offrire sacrifici, a dare anche, se fosse necessario, la propria vita per amore di quel significato. Al contrario, se non esiste alcun signifi-cato del suo vivere, una persona tende a togliersi la vita ed è pronta a farlo anche se tutti i suoi bisogni, sotto ogni aspetto, sono stati soddisfatti34.

33 N. Sõseki, Guanciale d’erba, Beat, Milano 2013, p. 18. 34 V. E. Frankl, Un significato per l’esistenza, cit., p. 22.

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Nessuna soddisfazione sul piano materiale può, infatti, colma-re il vuoto della mancanza del senso, capace di portacolma-re secolma-renità an-che in condizioni estreme, come nel caso della detenzione:

Mi si consenta di citare un brano di una lettera che ho ri-cevuto da Cleve W., il quale mi scrisse quando era il nume-ro 049246 in una prigione di Stato americana: «Qui in pri-gione… ci sono tante e tante deliziose occasioni di render-si utili e crescere. In realtà mi sento più felice ora di quan-to non lo sia mai staquan-to». Si noti: più felice che mai – in pri-gione!35.

Per Viktor Frankl il vuoto esistenziale doveva essere alla base di numerose disfunzioni psicologiche: nevrosi, aggressività, de-pressione, suicidio, tossicodipendenza erano solo alcune delle ma-nifestazioni sociali della mancanza o dell’incapacità intrinseca di trovare un senso per la vita. Sebbene, come sostiene Frankl, l’es-sere umano sia costantemente impiegato nella ricerca di un signi-ficato per la sua esistenza, mosso nella sua «volontà di

significa-to»36, la società renderebbe spesso vano questo sforzo

nell’illusio-ne di una risposta meramente materiale ai bisogni dell’esistenza in-dividuale e sociale.

Nella terminologia della psicologia moderna la volontà di significato è un «valore di sopravvivenza». È stata questa la lezione che ho dovuto apprendere in tre anni passati ad Auschwitz e a Dachau: ceteris paribus (uguali restando le altre cose), quelle più idonee a far sopravvivere nei campi erano le cose orientate verso il futuro – verso un compito o verso una persona che nell’attesa, venivano proiettati nel futuro e verso un senso della vita che nel futuro avrebbe realizzato. […]. Perciò io capisco il fatto antropologico primordiale che l’essere umano deve sempre essere indiriz-zato, deve sempre puntare su qualcosa o qualcuno diverso da lui stesso, e cioè su un significato da realizzare o su un essere umano da incontrare, su una causa da servire o su

35 Ivi, p. 23. 36 Ivi, pp. 30-38.

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una persona da amare. Soltanto nella misura in cui riesce a vivere questa auto-trascendenza dell’esistenza umana, uno è autenticamente uomo ed è autenticamente se stesso. Co-sì l’uomo si realizza, non già preoccupandosi di realizzarsi, ma dimenticando se stesso e donandosi, trascurando se stesso e concentrando verso l’esterno tutti i suoi pensieri. […]. Ciò che si chiama auto-realizzazione è, e deve rima-nere, l’effetto preterintenzionale dell’auto-trascendenza; è dannoso ed anche autofrustrante farne oggetto di precisa intenzione37.

Trovare il significato è, dunque, il compito che spetta a ciascu-no nella sua intrinseca individualità; trovare il senso della sua espe-rienza di vita, dei suoi vissuti, come pure delle direzioni che s’in-tendono dare a essa è il compito individuale di ciascuno, impegna-to nella ridefinizione di un “senso per-sé”, distinimpegna-to e diverso da una donazione di senso generale o collettiva, seppur auspicabile.

La vita non manca mai di un significato. Esso, d’accordo, è comprensibile soltanto se noi ammettiamo che esiste un significato potenziale da scoprire anche al di là dell’opera-re e dell’amadell’opera-re. Certamente noi siamo abituati a scopridell’opera-re un significato nel creare un’opera o nel compiere un’azio-ne, nel fare esperienza di qualcosa o nell’incontrare qual-cuno. Ma non dobbiamo mai dimenticare che possiamo scoprire un significato nella vita anche quando siamo posti di fronte ad una situazione senza speranza, in qualità di vittime senza alcun aiuto, anche quando affrontiamo un destino che non si può cambiare. Infatti, ciò che allora conta e importa di più è rendere testimonianza del poten-ziale, unicamente umano, che, nella sua forma più alta, de-ve trasformare una tragedia in un trionfo personale, dede-ve cambiare la difficile situazione, in cui uno si trova, in un successo umano. Quando non siamo più in grado di muta-re una situazione – si pensi soltanto a una malattia incura-bile, come ad esempio, un cancro che non si può operare – allora siamo spinti a mutare noi stessi38.

37 Ivi, pp. 36-37. 38 Ivi, pp. 40-41.

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Posti di fronte alla necessità della situazione, l’uomo, dunque, anche nelle condizioni più tragiche viene sospinto, con più o me-no resistenze, verso la necessità del cambiamento di sé, dei signifi-cati attribuiti a sé e delle cose intorno a sé. Riconoscendo il signi-ficato del suo soffrire l’uomo ha trasceso se stesso.

Frankl ci ricorda come le società abbiano interpretato il con-cetto di homo sapiens, come uomo intelligente, colto e competen-te, di successo, avvezzo alle relazioni sentimentali e sessuali disso-lute, danaroso, altalenante fra le categorie di successo/fallimento, dimenticando la natura stessa del vivere contraddistinta dall’espe-rienza del dolore e del fallimento, espressi da quello che Frankl definisce homo patiens:

L’uomo che soffre, l’uomo che sa come come soffrire, co-me modellare anche le sue sofferenze in una conquista umana. L’homo patiens si muove su un asse che si estende tra i due poli della realizzazione e della disperazione. Per realizzazione intendiamo realizzazione di sé attraverso l’at-tuazione di un significato e per disperazione intendiamo la disperazione dovuta all’apparente mancanza di significato della propria vita. Soltanto se noi riconosciamo che ci so-no due dimensioni coinvolte, è possibile capire come, da un lato, possiamo incontrare persone che, malgrado il suc-cesso, sono colpite dalla disperazione […], mentre, dall’al-tro lato, possiamo incontrare persone che, malgrado il fal-limento, sono arrivate a un senso di realizzazione e felicità perché hanno trovato un significato anche nella sofferen-za39.

E nel tentativo di recuperare un significato personale per l’esi-stenza, fattore di sviluppo dell’uomo integrale, Pietro Roveda cita Frankl come uno dei più importanti riferimenti pedagogici in una società piegata a valori materialistici fondati sull’appagamento narcisistico di sé.

39 Ivi, pp. 43-44. Per approfondimenti sull’argomento cfr. V. E. Frankl, Homo patiens. Soffrire con dignità, Queriniana, Brescia 2007.

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L’importante nella vita non è il poter fare tutto, ma il sape-re adempiesape-re alcuni compiti con significato psape-regante. Il motto impopolare dell’appena citato Frankl: «pati aude! Abbi l’ardire di soffrire!» a conti fatti in modo integrale, è un nobilissimo ideale umano e pedagogico, veramente al-ternativo ma essenziale e urgente. Già Seneca ammoniva: «Misero è chi non fu misero mai: non ha potuto mettersi alla prova e ritrovarsi»40.

A questa capacità tipicamente umana, di un umano che si fa più evoluto e significante, si aggiunge un’altra qualità, quella del-l’autodeterminazione, della scelta, del libero arbitro e del rifiuto di ogni fatalismo e di ogni determinismo contestuale. Al pari di Sar-tre, nel concetto di libertà in situazione, Frankl pone l’accento sul-le possibilità umane di trascendere se stessi e sul-le proprie situazioni di partenza; l’uomo è sempre, in definitiva, libero di scegliere le ri-sposte e le direzioni da imprimere agli eventi della propria vita. Anche nella colpa e nel crimine l’uomo non è mai determinato da-gli eventi nelle sue azioni, ma è sempre l’autore assoluto delle de-cisioni prese. Secondo Frankl non esiste un determinismo lineare fra contesto e reazione giacché, fra questi due poli, si frappone la libera scelta dell’uomo, consapevole delle scelte che decide di ope-rare. L’uomo, in Frank, come precisa Eugenio Fizzotti, uno dei massimi studiosi italiani del suo pensiero “è un essere che decide e continuerà sempre a decidere ciò che è e ciò che sarà nel prossi-mo istante”41. Liberato da qualsiasi condizionamento biologico,

psichico o sociale si afferma la libertà e la responsabilità dell’uo-mo nella sua capacità di “rifiutare il dominio delle forze esterne o interne”42a esso.

Se questo è certamente vero, non si può non dimenticare l’in-fluenza degli aspetti inconsci e latenti, quando irrisolti e non

ela-40 P. Roveda, Progetto esistenziale e ricerca di significato, a cura di Silvia Blezza Picherle, Vita e Pensiero, Milano 2005, p. 138.

41 E. Fizzotti, “Prefazione” a E. Fizzotti (a cura di), Il senso come terapia. Fon-damenti teorico-clinici della logoterapia di Viktor E. Frankl, Franco Angeli, Mi-lano 2007, p. 9.

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borati, nella definizione dei comportamenti, aspetto psicodinami-co che spesso è alla base di una tendenza all’agito non determina-to da processi volontari.

Ne discende l’obbligo morale ed etico di comprendere la natu-ra del sé e di sé affinché ogni singola azione possa essere compiu-ta con la consapevolezza della sue implicazioni. In soscompiu-tanza, come spiega Frankl, l’essere umano ha il compito di auto-comprendersi, ovvero di auto-distanziarsi da se medesimo, spezzando le logiche deterministiche che spiegano l’eziologia dei comportamenti nelle precondizioni che li avrebbero determinati, quasi come eventi ne-cessari e ineludibili. Libertà e responsabilità diventano le qualità di un nuovo umanesimo, conscio della facoltà dell’essere umano di espandere il ventaglio delle sue possibilità intrinseche.

L’uomo, dunque, non è la mera determinazione di condizioni biologiche, psicologiche e sociali, egli è, al contrario, sempre in grado di auto-determinarsi, e questo Frankl l’apprese proprio al-l’interno del Lager; sebbene alal-l’interno di un Lager l’essere umano sperimentava la possibile tragicità della scelta e della decisione43,

dove ogni decisione giocava con un destino sempre in bilico fra la vita e la morte, Frankl ricorda l’intrinseca libertà spirituale del-l’uomo. Se da un lato per le decisioni pratiche Frankl decise di non opporsi al corso lineare degli eventi, dall’altro comprese il valore dell’ultima libertà umana:

… quella di affrontare spiritualmente, in un modo o nel-l’altro, la situazione imposta. Ed esistevano veramente, le alternative! Ogni giorno, ogni ora passati nel Lager offri-rono mille spunti per questa decisione interna: la decisio-ne dell’uomo che soccombe o reagisce alle potenze del-l’ambiente che minacciano di rubare quanto egli ha di più sacro – la sua libertà interna – inducendolo a diventare so-lo una palla da giuoco e un oggetto delle condizioni ester-ne, rinunciando a libertà e dignità e rendendolo il «tipi-co» internato in un campo di concentramento44. È questa

la capacità di plasmare da sé il proprio destino,

sfuggen-43 Cfr., V. E. Frankl, Uno psicologo nei Lager, cit., pp. 96-112. 44 Ivi, pp. 114-115.

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do alla sua determinazione esterna, anche di fronte al do-lore, alla sofferenza, alla morte. Dal modo in cui un uomo accetta il suo ineluttabile destino e con questo destino tut-ta la sofferenza che gli viene inflittut-ta, dal modo in cui un uomo prende su di sé la sofferenza come la «sua croce», sorgono infinite possibilità di attribuire un significato alla vita, anche nei momenti più difficili, fino all’ultimo atto di esistenza45.

La forza interiore, in ultima istanza, compie la sua scelta, chi non ne possiede a sufficienza spesso soccombe agli eventi avversi.

Nel compito di creare le giuste condizioni per il sostegno alle persone che soffrono per la ricerca di un senso, sofferenza intesa come l’espressione di un’avvenuta maturità spirituale46, Frankl

menziona l’attività dei gruppi di incontro, e analizzandone gli ef-fetti fin dentro le dinamiche più profonde, egli notò come un gruppo di incontro non doveva solo avere lo scopo fatuo e inutile di fornire ai partecipanti l’occasione di un’espressione dei propri contenuti esistenziali ed emotivi, ma al contrario doveva avverare il compito di promuovere nelle persone l’auto-trascendenza. A nul-la serve, infatti, dare sfogo ed espressione alle proprie emozioni senza rileggerle nell’ottica dell’auto-trascendimento, inteso come processo evolutivo e accrescitivo di sé, senza indulgere troppo sul-le proprie emozioni, sul proprio Ego, sul proprio passato, sul ri-cordo degli eventi traumatici, e senza troppo provocare quel ma-laugurato effetto che prende il nome di vittimismo, l’esatto oppo-sto dell’opera alchemica di auto-trascendimento che culmina nella costante realizzazione di sé, di un sé diveniente che mai si conchiu-de, se non, forse, con la nostra morte, e che rappresenta la conqui-sta vera e autentica del nostro senso di esistere.

Sul valore pedagogico dell’opera di Frankl più volte si è espres-so Daniele Bruzzone, espres-sottolineandone l’estrema rilevanza sul

pia-45 Ivi, p. 117.

46 Cfr., V. E. Frankl, La sofferenza di una vita senza senso, Mursia, Milano 2013. Su questi argomenti si veda anche una sintesi in V. E. Frankl, Si può insegna-re e imparainsegna-re la psicoterapia? Scritti sulla logoterapia e analisi esistenziale, a cu-ra di Eugenio Fizzotti, Magi, Roma 2009.

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no educativo47. Scopo di un’educazione franklianamente intesa è

quello di educare le coscienze, sospingere l’essere umano in for-mazione nella zona creativa del formare se stesso con responsabi-lità, libero da contingenze e da vuoti determinismi. L’educazione, quindi, ha il compito di illuminare le coscienze con la proposizio-ne di domande utili alla ricerca e alla conquista di un senso auten-tico del vivere, indipendentemente da qualsiasi situazione o con-dizione avversa, educando al pensiero e all’analisi critica, alla di-scussione e all’incontro dialogico e socratico con gli altri, acqui-sendo gusto e sensibilità filosofiche.

In fondo, come spiegava Max Horkheimer ne La nostalgia del

to-talmente Altro, il divenire se stessi implica anche la capacità di

usa-re la critica come ricerca di uno sviluppo personale all’esistenza:

La vera funzione sociale della filosofia sta nella critica al-l’ordine costituito. Questo non significa un cavillare super-ficiale su singole idee o situazioni, come se la filosofia fos-se una comica civetta. Non significa neppure che il filoso-fo deplori questa o quella situazione presa isolatamente e proponga rimedi. Il compito specifico di una tale critica è quello di impedire che gli uomini si perdano in quelle idee e in quei modi di comportamento, che la società propina loro nella loro organizzazione48.

Solo in tal modo l’essere umano può trovarsi nella condizione di recuperare un senso più alto dell’esistenza, sganciandosi dall’as-senza di senso del materialismo moderno come tratto caratteristi-co dell’esistenza, in cui “ciascuno è abbandonato al suo ciecaratteristi-co

ca-so”49.

47 Cfr. D. Bruzzone, Autotrascendenza e formazione. Esperienza esistenziale, pro-spettive pedagogiche e sollecitazioni educative nel pensiero di Viktor E. Frankl, Vita e Pensiero, Milano 2001; dello stesso autore, Viktor Frankl. Fondamenti psicopedagogici dell’analisi esistenziale, Carocci Faber, Roma 2012. Si veda an-che C. Encomi, La pedagogia della speranza. La prospettiva di V. E. Frankl, EMI, Bologna 2002.

48 M. Horkheimer, La nostalgia del totalmente Altro, Queriniana, Brescia 2001, p. 96.

(36)

Compito degli educatori è invece quello di assumere:

uno sguardo capace di andare oltre l’evidenza […], per co-gliere il possibile. Frankl sosteneva – parafrasando Goethe – che se si prende una persona per quello che è si rischia di renderla peggiore, mentre se la si considera per quello che dovrebbe essere la si mette in grado di diventare effet-tivamente ciò che può. In questa prospettiva, egli riteneva che per essere compiutamente realisti, quando si ha a che fare con le persone, occorre essere sempre un po’ idealisti: puntare, cioè, al massimo assoluto, se si vuole ottenere il massimo relativo50.

Da sempre attento alle problematiche giovanili e al disagio so-ciale imperante, già nei primi del Novecento, nel 1927, Frankl fon-dò a Vienna alcuni centri di consulenza per giovani con problemi psicologici, morali, filosofici ed esistenziali. Ebbe l’intuizione di aprire i centri in prossimità delle scuole, in modo da rendere più fruibile e vicino il servizio offerto ai ragazzi e la sua opera ottenne un grande successo, numerosi furono, infatti, i giovani che chiese-ro aiuto ai centri, in grado di ridurre drasticamente anche i casi di suicidio precedentemente rilevanti dal punto di vista statistico.

L’aspetto centrale del pensiero di Frankl che si fa voce all’inter-no del contesto educativo è proprio quello del disagio e del pro-fondo vuoto esistenziale, “una sorta di anoressia dell’assoluto e di

bulimia dell’effimero”51 che si frappone all’atteggiamento etico

dell’uomo in rivolta, come spiega Palumbieri analizzando l’opera di Albert Camus, uomo che cerca non solo la vita, ma essenzial-mente le ragioni della vita e del proprio esistere, spinte e sospinte in Frankl nell’ideale dell’autotrascendimento, inteso come

“essen-za dell’esisten“essen-za”52:

50 D. Bruzzone, Viktor Frankl. Fondamenti psicopedagogici dell’analisi esissten-ziale, cit., 188.

51 S. Palumbieri, “L’uomo, meraviglia del paradosso. Precariato esistenziale o es-sere come poter-eses-sere?”, in E. Fizzotti, Il senso come terapia, cit., p. 44. 52 Ivi, p. 51.

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Se l’uomo si ripiega su di sé nella ricera dell’omeostasi – equilibrio di tipo statico di rifugio, di comodo, che si tro-va in ogni ricerca di autorealizzazione – avvizzisce. L’uomo è, pertanto, un essere teso al divenire nel suo essere. Come

exsistente continuamente si dirige verso il polo del non-an-cora del suo essere sul piano sia del dover-essere che del po-ter-essere53.

Ma l’autotrascendimento, come precisa Palumbieri, non si esaurisce mai né sull’uomo né sulla sua più prossima esperienza esistenziale propria e soggettiva e sociale; l’autotrascendimento apre alla trascendenza come suo punto più alto:

In realtà, la struttura dell’autotrascendimento si ritrova aperta nella direzione della trascendenza assoluta, inne-standosi nello homo viator, pellegrino dell’assoluto. Insom-ma, l’autotrascendimento si posiziona di per sé, in quanto orientato verso il traguardo della sua pienezza e questo a tre livelli che non si escludono, ma anzi si richiamano reci-procamente.

Il primo è l’autosuperamento di cui l’uomo è capace nella

direzione del suo profondo. Possiamo chiamarla più

preci-samente auto-trans-discendenza. Il secondo è nella

direzio-ne dell’oltre-sé in avanti verso il mondo degli altri

all’inter-no del mondo più ampio. È l’auto-trans-scendenza. Il terzo è dato dalla direzione verso l’alto, che è il mondo dei valo-ri e del fondamento assoluto dei valovalo-ri. Si tratta

dell’auto-trans-ascendenza.

Nell’ambito del metodo dell’interiorità, possiamo dire che l’auto-trans-discendenza è la strada per l’incontro con la trascendenza. Grazie all’autotrascendimento come funzio-ne della trascendenza, l’uomo è sempre un essere che si va plasmando in rapporto alla qualità che imprime a questa tensione di fondo e ai risultati che ne conseguono54.

Sul piano educativo e formativo l’educazione

all’autotrascendi-mento prende la forma di un’opportunità ineludibile nell’ambito

53 Ibidem. 54 Ivi, p. 52.

(38)

della relazione educativa; come precisa, infatti, Daniele Bruzzone, l’approccio educativo alla logoterapia appare una delle chiavi fon-damentali nella relazione d’aiuto “tesa a sollecitare le risorse spiri-tuali nelle diverse situazioni di vita e intenta a promuovere la re-sponsabilità personale per il significato dell’esistenza […]”55.

Tale indicazione, in chiave psicopedagogica, appare essenziale anche per la naturale e duplice vocazione pedagogica alla

preven-zione del disagio e del malessere individuale e sociale, e all’apreven-zione rieducativa e di recupero. E quanto più un individuo si troverà in

prossimità di “situazioni limite”56, come la vecchiaia, la disabilità,

il disagio, il dolore e la sofferenza esistenziale tanto più la “cura

educativa”57, impostata sul modello dialogico socratico, appare

co-me lo struco-mento operativo capace di rivolgersi alla dico-mensione spirituale del soggetto aiutandolo alla riconquista del senso per mezzo dell’autotrascendimento di sé.

“Il processo del divenire formativo e trasformativo della persona è, quindi, interpretato da Frankl nei termini di una progressiva «autoconfigurazione» (Selbstgestaltung), per cui, trascendendo se stesso ed esercitando la propria responsabilità nelle varie circostanze della vita, l’individuo assume o muta gradualmente la sua «forma» a seconda delle decisioni che assume responsabilmente”58.

Autotrascendersi significa operare un movimento di tipo ascendente e speculativo che segna il limitare di un orizzonte sem-pre provvisorio; e se è più semplice autotrascendersi partendo da un punto positivo e armonico di sé, ben più complessa appare l’opera di autotrascendimento nella colpa e nella pena, punto in cui collocare un sé ancora da liberare e innalzare. Il poeta e pitto-re Kahlil Gibran (Libano 1883 – New York 1931), giunge in soc-corso per ricordarci, nelle parole de Il profeta, che l’esistenza,

an-55 D. Bruzzone, “Educazione e relazione d’aiuto. Una proposta logoterapeuti-ca”, in E. Fizzotti (a cura di), Il senso come terapia, cit., p. 188.

56 Ivi, p. 192. 57 Ibidem. 58 Ivi, p. 193.

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che l’esistenza più pesante, è qui per ricongiungersi alla parte più divina di sé:

Parlaci della Colpa e della Pena. Ed egli rispose:

È quando il vostro spirito vaga controvento, che, soli e senza protezione, fate dei torti agli altri, e quindi a voi stes-si. […].

Il vostro io divino è come l’oceano, resta sempre inconta-minato. […].

Ma nel vostro essere non abita solo l’io divino. Molto di voi è ancora uomo, e molto in voi non è ancora uomo, ma solo un pigmeo informe che cammina addormentato nella nebbia in cerca del suo stesso risveglio.

Ma è dell’uomo in voi di cui ora vorrei parlare. Giacché è lui, e non il vostro io divino, o il pigmeo nella nebbia, che conosce la colpa e la punizione della colpa.

Spesso vi ho sentito parlare di qualcuno che commette un errore come se non fosse uno di voi, ma una persona estra-nea a voi e un intruso nel vostro mondo.

Ma io dico che proprio come il santo e il giusto non pos-sono elevarsi oltre ciò che vi è di più elevato in in ognuno di voi, così il malvagio e il debole non possono cadere al di sotto di ciò che vi è pure di più infimo in ciascuno di voi. […].

Voi camminate insieme, come in processione, verso il vo-stro io divino.

Siete la via e i viandanti.

E quando qualcuno di voi cade, cade a favore di chi sta dietro di lui: un ammonimento della presenza della pietra che è all’origine dell’inciampo.

Sì, e cade per chi gli sta davanti che, sebbene abbia i piedi più veloci e sicuri, non ha tuttavia rimosso quella pietra”59.

Nella colpa, nella caduta, nel dolore, nello sconforto di una vi-ta si cela il suo guadagno. Dolore e conoscenza, nella forma

arcai-59 K. Gibran, Il profeta, Universale Economica Feltrinelli, Milano 2005, pp. 38-39.

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