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2 B. Rossi, Pedagogia della felicità, Franco Angeli, Milano 2013, p. 26. 3 Cfr. S. Freud, Introduzione al narcisismo, in Opere, vol. 7, Boringhieri, Torino

1975. Per un’analisi cronologia del narcisismo in Freud e dopo Freud si veda- no: M. Mancia, Nello sguardo di Narciso, Laterza, Bari 1990; J. Manzano, F. Palacio Espasa, La dimensione narcisistica della personalità, Franco Angeli, Milano 2006; E. F. Ronningstam, La personalità narcisistica. Verso una com- prensione clinica integrata, Franco Angeli, Milano 2016; B. Fabbroni, Fra le braccia di Narciso, Edizioni Universitarie Romane, Roma 2007; G. Balzano, I nuovi mali dell’anima, Franco Angeli, Milano 2007; P. Beren, Il narcisismo nel- l’infanzia e nell’adolescenza, Armando, Roma 2005; A. Oliva De Cesarei, Alla ricerca del filo con la vita, Franco Angeli, Milano 2010.

altri e di azioni cooperative. In questi casi la realizzazione di sé finisce con il coincidere con il raggiungimento di un’alta stima di sé, senza che questa sia fondata su presta- zioni reali, senza che si verifichi il riconoscimento per do- veri adempiuti e compiti svolti2.

Il concetto di narcisismo trova un riferimento primo assoluto negli studi di Sigmund Freud, il quale elaborò nel tempo una rifles- sione completa sul narcisismo e sulle dinamiche psichiche che ne sarebbero alla base. Come espresso in Introduzione al narcisismo3

del 1914, il soggetto narcisistico compirebbe, proprio come nel mi- to di Narciso che si innamora della propria immagine riflessa, un investimento libidico e affettivo nei confronti di se medesimo, in cui dominante sarebbe anche un certo narcisismo intellettuale cen- trato sul proprio pensiero e sulla propria onnipotenza. In questa forma di investimento energetico di libido rivolta a se stesso, (libi-

do dell’Io), in cui Io ed Es appaiono come indifferenziati, verrebbe-

ro a diminuire, o a mancare, gli impulsi energetici per investimenti libidici su diversi oggetti (libido oggettuale) di riferimento; nell’in- namoramento, infatti, accade l’esatto opposto, una massima libido sull’oggetto investito di amore e una minima libido sull’Io.

Nel narcisismo primario l’Io del bambino compirebbe, secondo Freud un duplice investimento, su se stesso, ancora allo stato di in- differenziazione, e sulla madre, dalla quale trarre l’appagamento dei bisogni primari di autoconservazione, per poi trasformarsi in età adulta in ideale dell’Io, sostituto del narcisismo infantile, che attuerebbe un lavoro in cui lo sviluppo dell’Io consisterebbe in un

4 M. Mancia, Nello sguardo di Narciso, cit., p. 20.

5 Cfr. B. Grunberger, Il narcisismo, Laterza, Roma-Bari 1977. 6 M. Mancia, Nello sguardo di Narciso, cit., p. 22.

7 Ivi, p. 24.

progressivo allontanamento dal narcisismo primario. Il narcisismo

secondario, invece, comparirebbe in un’età più tarda, quando l’Io

è già ben formato, maturato e differenziato in modo da poter com- piere un investimento libidico diretto su di sé.

La nevrosi narcisistica appare, dunque, caratterizzata dall’op- posizione di due tendenze psichiche, il piacere, che si identifica con la situazione narcisistica, e il dolore che si insinua nell’insod- disfazione arrecata nelle relazioni oggettuali, come ci spiega Mau- ro Mancia:“Nell’ultimo periodo della sua vita, Freud arrivò al- l’ipotesi che in effetti esistesse una qualche importante connessio- ne tra lo stadio narcisistico (piacere) e l’odio e la distruzione diret- ti verso l’oggetto esterno (dolore), cioè fra narcisismo ed istinto di morte”4.

Nel 1971, il romeno Béla Grunberger (1903-2005), psicoanali- sta post-freudiano, definisce il narcisismo come il punto d’inizio dello sviluppo mentale, totalmente pre-oggettuale e prenatale, ca- ratterizzato da uno stato totale di beatitudine e di onnipotenza5.

Elemento chiave del narcisismo, secondo Grunberger, sarebbe il desiderio dell’uomo di regredire alla condizione prenatale, mentre i tratti caratteristici sarebbero “onnipotenza magica, autonomia e stima di sé”6. Sono dello stesso i concetti di ferita narcisistica, per-

dita narcisistica e mortificazione narcisistica dovute al brutale con-

fronto con la realtà, fase che corrisponde alla progressiva matura- zione dell’Io attraverso la ferita narcisistica, data del senso di im- potenza e dalla difficoltà di incontrare nella realtà un continuo soddisfacimento delle proprie esigenze narcisistiche, elemento che contraddistingue e descrive pienamente la condizione umana, ben lontana dalla piena soddisfazione egoica prenatale.

Malgrado ciò, l’uomo cerca continuamente l’onnipotenza perduta e il mantenimento di questa finzione, teso com’è verso una restaurazione della sua integrità narcisistica7.

8 Cfr. M. Klein, “Le origini della traslazione”, in Scritti 1921-1958, Boringhieri, Torino 1978 e della stessa, “Note su alcuni meccanismi schizoidi”, in Scritti 1921-1958, Boringhieri, Torino 1978.

9 Cfr. H. A. Rosenfeld, “L’accostamento clinico alla teoria psicoanalitica degli istinti di vita e di morte: una ricerca sugli aspetti aggressivi del narcisismo”, in Rivista Psicoanalitica, 18, 47.

10 Cfr. A. Green, “La madre morta”, in Narcisismo di vita, narcisismo di morte, Borla, Roma 1985.

La scuola inglese di psicoanalisi, capeggiata dalla londinese Melanie Klein (1882-1960), torna a legare il narcisismo all’istinto di morte (thánatos); le pulsioni distruttive sarebbe collegate, quin- di, alle relazioni d’oggetto narcisistiche dominate da parti del Sé onnipotenti che in qualche modo rigettano l’idea di dover dipen- dere dagli altri nella propria soddisfazione e nell’idea di aver biso- gno degli altri. La Klein8concentra le sue argomentazioni sulla re-

lazione oggettuale con la madre, e in particolare con il seno mater- no (oggetto buono/oggetto cattivo), in cui il bambino sperimente- rebbe tutte le componenti essenziali delle relazioni oggettuali, co- me l’amore, l’odio, le fantasie, le angosce e le difese, quindi già dalla nascita, a differenza della teoria freudiana, l’individuo è in contatto con le prime relazioni oggettuali.

La Klein opera una distinzione fra “stati narcisistici” e “relazio-

ni d’oggetto narcisistiche”: nel primo caso l’ideale dell’Io è proiet-

tato in un’altra persona, e per questo l’altra persona sarà amata e apprezzata poiché contente le parti buone di sé; nel secondo caso, invece, le parti negative, disturbanti e “cattive” del sé, come invi- dia, aggressività e odio, vengono proiettate sull’oggetto, che sarà in questo caso il contenitore delle parti negative di sé.

Herbert A. Rosenfeld, (1910-1986) psicoanalista britannico, parlerà, invece, di narcisismo distruttivo9per indicare una modali-

tà relazionale fondata sull’istinto di morte, sull’onnipotenza e on- niscienza, su invidia, voracità e gelosia patologica proiettati nel- l’oggetto di investimento. Sarà invece André Green, (1927-2012) psicoanalista francese allievo di Lacan, in Narcisismo di vita, narci-

sismo di morte10a introdurre il concetto di madre morta alla base

di una riorganizzazione difensiva della personalità narcisistica, co- me spiegato da Mancia:

Si tratta non di una madre fisicamente morta, ma psicolo- gicamente assente, incapace e inadeguata a elaborare le an- sie e a soddisfare i desideri del bambino. È ormai accerta- to che l’evento strutturante per eccellenza lo psichismo umano è la perdita dell’oggetto, evento che permette al bambino un nuovo rapporto con la realtà. È la separazio- ne dall’oggetto a favorire la sua rappresentazione, che oc- cuperà come oggetto interno lo spazio metaforico del mondo interno che si sta organizzano nella mente del bam- bino. Ma perché questa rappresentazione abbia una sua consistenza e una buona relazione con il Sé è necessario che l’oggetto primordiale (la madre e il suo seno) sia in grado di trasmettere la vita al neonato e di metabolizzarne le ansie. Se questo non si verifica, ci troviamo di fronte ad una «madre morta», cioè un oggetto inanimato, depresso, atono, insensibile, lontano, il cui vuoto viene rappresenta- to dal bambini, che si aspetta invece da questo oggetto for- za, fiducia, sicurezza, presenza, vicinanza e amore. […]. La «madre morta», dunque, è essenzialmente un oggetto deludente per il bambino, un oggetto-trauma che lo co- stringerà a crearsi i suoi oggetti «protesici», i quali non po- tranno che essere di tipo narcisistico in quanto tesi all’«au- tarchia» e al «fare da solo» e ad un tempo propensi ad at- taccare l’oggetto deludente e traumatico: sarà la vittoria del narcisismo distruttivo, per cui l’Io e l’oggetto tende- ranno ad un annullamento reciproco11.

Fondamentali e imprescindibili per la comprensione del narci- sismo sono gli studi dello psicoanalista austriaco Heinz Kohut (1913-1981), noto per la psicologia del Sé12e per lo scritto Narcisi-

smo e analisi del sé13 del 1971, in cui si presenta una lettura del

narcisismo come effetto di relazioni familiari frustranti e non sod- disfacenti nella prima infanzia, in particolare nelle relazioni Sé/og- getto-Sè. Secondo Kohut l’aggressività umana dipenderebbe pro-

11 M. Mancia, Nello sguardo di Narciso, cit., pp. 34-35.

12 Cfr, di H. Kohut, Narcisismo e analisi del Sé, cit.; La guarigione del Sé, Borin- ghieri, Torino 1980; La ricerca del Sé, cit.; La cura psicoanalitica, cit. 13 Cfr. H. Kohut, Narcisismo e analisi del Sé, cit.

14 Cfr. O. Kerberg, Disturbi gravi della personalità, Boringhieri, Torino 1987. 15 M. Mancia, Nello sguardo di Narciso, cit., p. 53.

16 Per ulteriori approfondimenti sul narcisismo si veda, G. Sassanelli, Le basi narcisistiche della personalità, Boringhieri, Torino 1982.

prio dal narcisismo arcaico, di fronte al quale ogni possibile fru- strazione diventa elemento in grado di attivare un’incontrollata

rabbia narcisistica, vicina al concetto di narcisismo patologico o ma- ligno dello psichiatra e psicoanalista austriaco Otto Kernberg14

(1928).

Come spiega ancora Mancia “per Kohut tutte le manifestazio- ni psicopatologiche si basano su difetti strutturali del Sé o su sue deformazioni prodotte da un disturbo della relazione Sé/oggetto- Sé nell’infanzia”15. Il recupero di istanze più armoniche del sé può

avvenire attraverso relazioni empatiche, in primis psicoterapeuti- che, ma non solo, in cui regolare le emozioni e gli affetti in una re- lazione soddisfacente, confermando la linea tracciata anche da Schore nella definizione di quelle che possono essere le strategie compensative di tipo relazionale in grado di favorire una nuova riorganizzazione psicologica ed esistenziale, in quanto il mal amo-

re definisce la propria esistenza in ogni suo più intimo recesso.

1.1 Narcisismo, violenza di genere, femminicidio: l’autotrascendi-

mento del femminile

In tutti i diversi contributi analizzati in questo saggio il narcisi- smo16è stato più volte richiamato quale esito, spesso nefasto, di in-

sane relazioni affettive nell’infanzia; secondo alcuni studiosi (es. A. Modell), infatti, il meccanismo di difesa narcisistico mette in luce esperienze di rapporti con figure genitoriali non protettive, che hanno vissuto la relazione con il figlio come un’estensione narcisi- stica di sé, oggettivandolo, e attendendosi da esso continue esibi- zioni e prestazioni da ammirare e premiare; un amore a condizio-

neche nega, di fatto, la possibilità di sentirsi amati incondizionata- mente producendo un grande vuoto affettivo.

stiche quali la refrattarietà alle critiche, gli eccessi d’ira, non solo verbali, mancanza di senso di colpa, assenza di empatia e quasi to- tale incapacità di amare17profondamente qualcuno.

Secondo Sandra Filippini, psichiatra e psicoanalista della So- cietà Psicoanalitica Italiana, le strutture di personalità implicate nella violenza di genere e nei maltrattamenti, fisici, verbali e psico- logici, spesso culminanti in azioni omicidiarie, sarebbero proprio quelle di base narcisistica e perversa18.

Nell’ambito delle relazioni affettive e sentimentali la personali- tà narcisistica esprime tutte le sue caratteristiche in forma acuta ed enfatizzata, come arroganza, supponenza, bisogno spasmodico di ammirazione, denigrazione dell’altro, comportamenti da Don Giovanni. Riportando la distinzione operata da Rosenfeld in Co-

municazione interpretazione del 1987, fra narcisismo a pelle sottile

(insicurezza, fragilità, vulnerabilità) e narcisismo a pelle dura (cini- smo, arroganza, aggressività, distruttività, crudeltà), Filippini così descrive quest’ultimo:

Tende a sfruttare il partner, per poi abbandonarlo se pen- sa che non gli serva più o se è attratto da una nuova preda. Non parla, ma pontifica. È incurante degli altri e dei loro sentimenti: se ne serve, piuttosto, come di una platea, aspettandosi che essi ammirino e rispecchino il suo sé grandioso. Manipola a proprio vantaggio, seduce e intimi- disce. Come difese prevalenti usa l’onnipotenza e l’idealiz- zazione di sé insieme alla svalutazione dell’oggetto. La sua grandiosità è ego-sintonica, il suo senso di superiorità è ov- vio. Questo tipo di narcisista può avere delle somiglianze con la personalità psicopatica19.

17 Sulla relazione fra tipologie di attaccamento e amore, con particolare riferi- mento ai legami di attaccamento insicuro/evitante e alle ripercussioni negati- ve sul piano affettivo e amoroso in età adulta si veda anche, G. Attili, Attacca- mento e amore, il Mulino, Bologna 2004.

18 Cfr. S. Filippini, Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia, Fran- co Angeli, Milano 2005.

Non riconoscendo l’altro, i suoi bisogni, i suoi pensieri e le sue emozioni il soggetto narcisista opera una profonda negazione del- l’altro che si associa alla sua reificazione, ovvero alla riduzione de- gradante dell’altro a oggetto disumanizzato, su cui riversare ag- gressività e forme di perversione relazionale subdole e malcelate. In particolare, la struttura narcisistica di personalità sarebbe mag- giormente implicata nelle dinamiche di violenza psicologica e ver- bale, e più raramente in quella fisica. Personalità di tale specie si manifestano nell’opera di distruzione intima e psicologica dell’al- tro, sminuendo, avvilendo, depotenziando, disorientando, anni- chilendo con continui giudizi ipercritici, conducendo fino al dub- bio di sé e delle proprie percezioni di realtà (pazzia).

Il desiderio di controllo, dominio e affermazione sull’altro di- venta la forma malata e patologica di un non-amore mascherato, che si esibisce in dinamiche relazionali e comunicative sempre più disturbate e disarmoniche; “la comunicazione non comunica, non realizza uno scambio, non produce nulla: salvo la svalutazione, la manipolazione, il controllo. Non ha né un’intenzione, né un risul- tato creativo”20.

Nella comunicazione la personalità narcisita-perversa utilizza menzogna, scherno, sarcasmo, derisione e disprezzo che gli occor- rono per squalificare l’altro e renderlo sempre più incerto e insi- curo di sé. Progressivamente la personalità della vittima andrà in- contro alla completa distruzione di sé.

Il narcisista perverso è come se si appropriasse dell’auto- stima della vittima, della sua fiducia in se stessa, allo scopo di incrementare il proprio valore. Ha bisogno di una per- sona stimabile, per succhiarla e svuotarla. Una volta svuo- tata, il ciclo può ricominciare, o con la stessa vittima, a cui viene concessa un po’ di tregua, o con una nuova vittima designata. Il senso di vuoto e di mancanza (che non vengo- no vissuti come tali, ma denegati), danno origine all’invidia e all’odio per la donna e al tentativo di appropriarsi di ciò che lei possiede di buono e di vitale21.

20 Ivi, p. 38.

Narciso, dunque, “ama”, ma solo apparentemente, se stesso, e s’innamora della sua immagine riflessa nell’acqua, dove egli anne- gherà nel vano desiderio di possedere se stesso. Ma la vicenda mi- tologica, come fa notare con grande eleganza e profondità di pen- siero Marina Mizzau, dimentica un fatto essenziale, la protagoni- sta femminile della vicenda, Eco, che sottolinea la dimensione lin- guistica e comunicativa della dinamica relazionale di base.

Eco, innamorata di Narciso, è condannata dagli dei al si- lenzio per il suo eccesso di loquacità: non potrà parlare, o potrà farlo solo come replica alla parola altrui. Priva della parola autonoma, l’unico essere con cui desidera intreccia- re il discorso è Narciso; ma Narciso, che si interessa solo a se stesso, non le rivolge mai la parola22.

Il destino di Eco è il destino della condizione femminile, il de- stino di molte donne; essa è la rappresentazione della condanna al mutismo, cui un debole e incerto maschile si fa garante. Il mito prelude al suo epilogo, quello della redenzione e della ribellione femminile che può esplicarsi solo per mezzo di uno strumento co- municativo: la parola, il dissenso verbale, il diritto di espressione. Ma quando la donna risvegliata, simile alla virago Pentesilea, regi- na delle Amazzoni, popolo di donne guerriere, si pone al “cospet- to” di un arrogante maschile, essa viene “uccisa” metaforicamente, e non solo, da un maschile (Achille) incapace di contenerla e di amarla nella sua autonomia e indipendenza, prima di tutto di pen- siero.

Quando la donna si sottrae liberamente al destino di Eco, la propria parola, l’espressione del proprio pensiero diventa l’ele- mento centrale che denota il rapporto di potere, storico, sociale, culturale e relazionale fra uomo e donna, da qui la nascita del con-

flitto, scelta femminile relativamente recente che presenta ancora

livelli altissimi di criticità nella relazione con il maschile. L’espres-

lar (a cura di), Parlare d’amore. Psicologia e psicoterapia cognitiva delle relazio- ni intime, Franco Angeli, Milano 2015.

sione del femminile, il recupero della parola e della sua istanza co- municativa, la rivalsa dell’identità soggettiva, la rinuncia alla sua passività e al suo mutismo reca con sé, come conseguenza, il con- flitto.

Attraverso i modi della comunicazione passa il potere lega- to ai ruoli sessuali, ma anche, sempre attraverso la comu- nicazione, si articola la conflittualità intorno al potere. […]. Il conflitto è interno e come tale riguarda lo scontro fra alterità e dipendenza affettiva, bisogno dell’altro e af- fermazione dell’autonomia; ed è esterno, impersonale, è ciò che è sempre stato indicato come «lotta dei sessi». La conflittualità quindi in parte è legata a fattori esistenziali, forse ineliminabili, ma in buona parte è connessa alla di- mensione del potere, e in quanto tale viene vissuta in mo- do diverso dai due sessi e subisce delle modifiche storiche. Sempre legato alla dimensione del potere è il fatto che la lotta dei sessi è stata, e in parte ancora è, coperta, scarsa- mente presente alla consapevolezza23.

E se è certamente vero che i momenti di conflitto sono da con- siderarsi come momenti privilegiati di un femminile divenuto final- mente consapevole non più ridotto al silenzio e alla passività, “do- ve l’oppressione avviene senza che abbia luogo una reazione”24, è

anche vero che il prezzo pagato dal femminile per rendere possibi- le il proprio autotrascendendimento è incalcolabile, sia sul piano so- ciale che su quello individuale; motivo per il quale, molte donne, ancora oggi, scelgono il silenzio e la connivenza al modello relazio- nale “imposto” da un maschile impreparato e ancora embrionale nelle sue potenzialità di sviluppo ancora inespresse.

E tutto si ripete esattamente come descritto nella favola di An- dersen Sirenetta dove la protagonista dovrà perdere e sacrificare la sua coda da sirena, simbolo della sua identità, e la sua voce, l’espressione del suo pensiero, per poter essere amata.

23 Ivi, p. 14. Corsivo mio. 24 Ivi, p. 15.

Questo paradosso ha segnato per molto tempo la condi- zione della donna. Per molto tempo la donna ha taciuto, ha rinunciato alla sua voce o si è adattata a riflettere la vo- ce dell’uomo e così ha contribuito a cancellare la sua iden- tità. Il suo narcisismo secondario, il suo ripiegarsi in se stessa, ha colluso con quello dell’uomo, ha concorso a creare lo squilibrio di due individualità coesistenti-separa- te. […]. La rinuncia al narcisismo e la rottura del narcisi- smo dell’altro, per il recupero dell’amore oggettuale, del- l’amore di relazione, è inevitabilmente, almeno per la don- na, il conflitto25.

Nel conflitto si radicano le difficoltà ancestrali del maschio di posizionarsi su un piano di relazione26, paritario rispetto alla fem-

mina, aspetto che provoca profonde ferite narcisistiche in uomini con strutture di personalità estremamente deboli e tali da non con- sentire il confronto paritario con la donna, contestuale al bisogno ormai non più eludibile del femminile di gridare il suo diritto d’es- sere e di pensare in una maniera che non sia più in nessun modo squalificante o avvilente.

Tuttavia, è bene sottolineare il fatto che spesso l’incastro rela- zionale patologico mette in scena non solo la condizione maschile di non amore, ma anche quella femminile. Le donne non sufficien- temente amate27nell’infanzia tendono a vivere esperienze affettive

con uomini aridi, con tratti narcisistici, anaffettivi e non empatici quasi come fosse la conferma della loro indegnità, la giustificazio- ne al loro essere non amate. L’abitudine al non amore diventa spesso la base di relazioni patologiche perverse caratterizzate dal- l’accettazione femminile di qualsiasi forma di violenza, verbale, fi- sica o psicologica, o di manipolazione affettiva, motivo per il qua-

25 Ivi, p. 21.

26 Sulla comunicazione e sulla differenza fra piano di contenuto e piano di rela-