GLI EFFETTI DEL NON-AMORE NELL’APPROCCIO PSICOLOGICO
3. John Bowlby e i «bambini senza focolare»: attaccamento, separa zione e perdita
Nel 1948 il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite intraprese uno studio sui cosiddetti «bambini senza focolare»: or- fani, senza famiglia, bambini adottati o affidati alle cure di altre
famiglie o di Istituti. Con il supporto dell’Organizzazione Mon- diale della Sanità fu redatto da J. Bowlby (1907-1990), psicologo e psicoanalista britannico attivo presso la Tavistock Clinic e il Ta- vistock Institute of Human Relations di Londra, un rapporto su- gli aspetti psicologici della questione contenuti nel testo Cure
materne e igiene mentale del fanciullo31. La prima parte del reso-
conto, Conseguenze dannose della carenza di cure materne, pre- senta in maniera inequivocabile i danni di una precoce carenza affettiva nell’infanzia, supportati dalle numerose ricerche fino ad allora condotte sul tema, compreso lo studio da egli condotto sui
44 giovani ladri, giungendo alla conclusione comune secondo la
quale:
Le ripercussioni della privazione di cure materne variano in funzione dell’intensità di quest’ultima. Se parziale, essa può provocare una forte ansietà, un bisogno eccessivo d’affetto e potenti desideri di vendetta, fonte a loro volta di sentimenti di colpa e di stati depressivi. Queste emozio- ni e questi impulsi sono troppo violenti per essere control- lati dal bambino che manca di maturità sia fisiologica che psicologica. Essi provocano alterazioni della struttura psi- chica che si traducono con reazioni varie ad effetto spesso cumulativo o ripetitivo, e suscettibile di produrre sintomi nevrotici ed instabilità del carattere. La carenza totale di cure materne, […] provoca ripercussioni ancora più lonta- ne sullo sviluppo del carattere e può compromettere defi- nitivamente la facoltà di stabilire contatti affettivi32.
L’importanza delle cure parentali e in particolare delle cure materne a partire dalla primissima infanzia sono quindi per Bo- wlby fondamentali per la salute mentale della persona tanto quan- to l’assunzione di vitamine e proteine lo sono per la salute fisica. Bowlby affronta ancora l’argomento nei tre volumi dal titolo At-
31 J. Bowlby, Soins Maternels et Santé Mentale, World Health Organization: Mo- nogràph series, n. 2., tr. it., Cure materne e igiene mentale del fanciullo, Editri- ce Universitaria, Firenze 1964.
taccamento e perdita33in cui analizza nel primo volume, l’attacca-
mento alla madre e in genere i legami affettivi, nel secondo quello della separazione della madre e l’angoscia da separazione, nel ter- zo e ultimo volume, in particolare, Bowlby studia le implicazioni psicologiche susseguenti a una perdita temporanea o permanente della figura materna.
L’assunto di base dal quale Bowlby parte per la sua formalizza- zione teorica della questione relativa alla perdita di una figura di riferimento, seppur per diversi motivi e in diversi contesti è il se- guente:
La perdita di una persona amata è una delle esperienze più intensamente dolorose che possano essere patite da un esse- re umano34.
Al proposito Bowlby descrive le fasi che si susseguono dopo un allontanamento, di diversa natura, dalla figura materna, dallo sfor- zo spasmodico di recuperare la madre perduta, passando per la di- sperazione, fino all’apatia e all’introversione che portano il bambi- no in uno stato di completa e indicibile infelicità. Il mondo di un bambino che per diversi motivi perde la sua figura di attaccamento principale va totalmente in pezzi. Forse non avrà ancora compreso e concettualizzato il concetto di morte35, ma di certo i bambini pri-
vati delle figure di riferimento imparano molto presto il senso asso- luto e irrimediabile dell’assenza. Che il dolore sia di breve durata nel bambino e che i sentimenti di felicità siano destinati a passare in poco tempo è stato ampiamente contraddetto dagli studi di Bo- wlby e di altri ricercatori, i quali hanno dimostrato come questa il- lusoria convinzione più che dire il vero intorno alle caratteristiche psicologiche dei bambini parlano del desiderio adulto di veder spa- rire il dolore infantile, troppo lacerante da assistere.
33 Cfr. J. Bowlby, Attaccamento e perdita, 3 voll., L’attaccamento alla madre. La sepazazione dalla madre. La perdita della madre, Boringhieri, Torino 1983. 34 J. Bowlby, Attaccamento e perdita: La perdita della madre, vol. 3, Boringhieri,
Torino 1983, p. 18.
35 Cfr. L. Di Profio, L’educazione tanatologica. Come e perché parlare di morte con i bambini, ESI, Napoli 2014.
La sofferenza di una grave perdita, non necessariamente dovu- ta a morte, ma anche quelle dovute ad abbandono o allontana- mento, stabilisce secondo Bowlby una netta correlazione con lo sviluppo di disturbi della personalità di diversa natura e intensità; gli esiti più frequenti vanno dall’impulso al suicidio e all’autodi- struzione, all’attaccamento ansioso (iperdipendenza), allo svilup- po di stati depressivi di diversa gravità fino alle condotte antisocia- li, come confermato dal primo studio di Bowlby sui 44 giovani la-
dri36, che inibiscono da un lato un corretto e sano sviluppo di Sé,
dall’altro riducono la possibilità di dar vita a relazioni e a rappor- ti sani e soddisfacenti, come spesso evidenziato nei casi di detenu- ti colpiti da gravi deprivazioni affettive nell’infanzia:
L’attaccamento intimo agli altri esseri umani costituisce il perno intorno a cui ruota la vita di una persona, non solo nell’infanzia, nella pubertà, nell’adolescenza, ma anche ne- gli anni della maturità, e poi, ancora, nella vecchiaia. È da questi attaccamenti intimi che una creatura trae la sua for- za e la sua voglia di vivere e con esse contribuisce a dar spi- rito e vigore ai suoi simili37.
Bowlby, dunque, oltre a esplicitare i meccanismi di base che governano l’attaccamento, ha evidenziato quelli che possono esse- re i diversi effetti nocivi, anche in età adulta, della deprivazione af- fettiva in età precoce, predisponendo un piano di intervento tera- peutico e trattamentale per la loro compensazione. Tutta la teoria dell’attaccamento di Bowlby trova il suo antecedente nell’opera complessiva di Freud, il quale, come sottolineato da Bowlby, è sta- to il primo a ribadire e a sottolineare come la nostra emotività e il nostro benessere psichico dipenda in larga misura dalle relazioni instaurate già dalla primissima infanzia, capace di influenzare di fatto gli esiti futuri e struttura di personalità in età adulta38.
36 Cfr. J. Bowlby, “Forty-four juvenile thieves: their characters and home life”, International Journal of Psychoanalysis, 25, 1944, pp. 1-57, pp. 241-228. 37 J. Bowlby, Attaccamento e perdita: La perdita della madre, cit., p. 520. 38 Cfr. J. Bowlby, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina, Mi-
In tal senso, tutta l’educazione del bambino ruota intorno alle prime fondamentali relazioni che instaura con le principali figure di attaccamento. Uno dei compiti evolutivi più importanti nelle fa- si di crescita del bambino è quello della regolazione dell’ambiva- lenza39affettiva nei confronti delle figure di attaccamento; odio e
amore vengono intenzionati come elementi dinamici che mettono
in luce la dimensione psichica della compresenza di vissuti contra- ri e contrastanti che richiedono un lavoro di armonizzazione inte- riore. Tale regolazione dell’ambivalenza può compiersi in maniera positiva solo quando il bambino dispone di un contesto affettivo sufficientemente buono ed equilibrato, in caso contrario l’amore per così dire “negato”, i bisogni non soddisfatti in modo adegua- to e nel momento giusto, corrisponderanno ad una intensificazio- ne del sentimento contrario, ovvero dell’odio e delle tendenze di- struttive, rivolte all’oggetto, e autodistruttive rivolte a se medesi- mo. Nel caso della separazione dalla madre o da figure di attacca- mento fondamentali Bowlby precisa:
Sembra ormai certo che la separazione del bambino dalla madre – quando ha già sviluppato un rapporto emotivo con lei – può essere così dannosa per lo sviluppo della per- sonalità del bambino, è proprio a causa dell’intensità delle esigenze libidiche e dell’odio scatenati dalla separazione. Per alcuni anni abbiamo avuto modo di renderci conto dell’intensa inquietudine e agitazione che tanti bambini manifestano allorché entrano in un ospedale o in un asilo residenziale, e del modo in cui, più tardi, quando le loro sensazioni si sono calmate con il ritorno a casa, si aggrap- pano e seguono disperatamente le loro madri. L’aumento di intensità delle loro richieste libidiche non richiede spie- gazioni. Abbiamo inoltre rilavato come questi bambini ri- fiutino le madri non appena le rivedono e di come rivolga- no loro dure accuse per averli abbandonati40.
39 Cfr. Ivi, pp. 3-15. 40 Ivi, p. 10.
Esperienze di tale entità provocano a livello psichico la sensa- zione dolorosissima di non essere amati, di essere rifiutati e abban- donati, sentimenti espressi in alcune poesie di un bambino con esperienze devianti dell’età di undici anni, in terapia presso una collega di Bowlby, Yana Popper. Il bambino aveva perso la madre all’età di quindici mesi e da quel momento aveva cercato e anela- to a diversi sostituti materni, tutti risultati poi deficitari, come ri- sulta dalla sue poesie, in cui si denota una profonda e angosciosa frammentazione psichica e interiore:
Jumbo aveva un bambino vestito di verde, lo incartò e lo spedì alla Regina. Alla regina non piaceva perché era troppo grasso,
allora lo tagliò a pezzi e lo dette alla gatta. Alla gatta non piaceva perché era troppo magro,
allora lo tagliò a pezzi e lo dette al Re. Al Re non piaceva perché era troppo noioso, lo buttò dalla finestra e lo dette alla cornacchia
Oh, piccolo caro, ti voglio bene; Oh, piccolo caro, non ci credo. Se mi amassi davvero come dici,
non te ne andresti in America e non mi lasceresti allo Zoo41 Non è sorprendente – scrive Bowlby – che una disperazio- ne così intensa sia accompagnata da un odio di egual enti- tà. Più arrivava ad affezionarsi alla terapeuta, più egli era incline a cadere preda a un odio violento che in qualche caso poteva diventare pericoloso. Era evidente che le ripe- tute separazioni vissute nei primi anni di vita avevano ge- nerato in questo ragazzo la tendenza a un’ambivalenza co- sì intensa che il suo immaturo apparato psichico non era in grado di equilibrare armoniosamente, e che gli schemi pa- tologici di regolazione messi in atto nella prima infanzia continuavano a persistere42.
41 Ivi, pp. 11-12. 42 Ivi, p. 12.
L’aspetto a un tempo educativo e terapeutico pone l’attenzione sulla possibilità di lasciare ai bambini la possibilità di poter espri- mere le emozioni negative in modo diretto e autentico, che do- vranno essere accolte dalle figure di riferimento, genitori, educa- tori o terapeuti, come momenti evolutivi di fondamentale impor- tanza per la regolazione armoniosa dell’ambivalenza. Aspetto a cui riservare una particolare attenzione anche nel sostegno a soggetti adolescenti e adulti che non abbiano ancora metabolizzato que- stioni interiori irrisolte. Estrinsecare le emozioni e i vissuti rappre- senta il canale privilegiato e imprescindibile per la loro elaborazio-
ne, venendo a mancare l’efficacia, specie a lungo termine, di azio-
ni di natura repressiva o/e moralizzante. Lo stesso Bowlby si me- ravigliava nel riscontrare una certa ingenuità psicologica nella dif- ficoltà di contemplare una tale estrinsecazione, talvolta acuita dal- la loro lunga e conflittuale repressione.
Alcuni genitori stentano a credere che tali metodi siano saggi o efficaci e pensano che i bambini dovrebbero inve- ce essere abituati a considerare l’odio e la gelosia come qualcosa non solo di negativo, ma anche di potenzialmen- te pericoloso. I metodi abituali per fare ciò sono due. Uno consiste nell’usare come mezzo di punizione espressioni di forte riprovazione; l’altro, più sottile e che sfrutta il senso di colpa, è quello di convincere il bambino della sua ingra- titudine e di fargli notare la sofferenza morale e fisica che il suo comportamento provoca ai suoi devoti genitori. Seb- bene entrambi i metodi siano volti ad ottenere un control- lo sugli impulsi negativi del bambino, l’esperienza clinica dimostra che nessuno dei due raggiunge il suo scopo e che entrambi hanno come conseguenza l’infelicità. Entrambi i metodi tendono a rendere il bambino pieno di paure e di sensi di colpa nei confronti dei propri sentimenti, che ven- gono interiorizzati rendendone così più difficile – e non più facile – il controllo. Come accade in politica, così è per i bambini: a lungo andare la tolleranza dell’opposizione dà frutti vantaggiosi43.
I bambini, come peraltro anche adulti e adolescenti, hanno dunque bisogno nel corso della loro esistenza di ambienti che, nei diversi momenti esistenziali, possano offrire loro affetto, amore, si- curezza e tolleranza, dosando le frustrazioni in base alla loro reale valenza e utilità e concepire il rimprovero come un momento co- struttivo fatto di spiegazioni e motivazioni. Un approccio tolleran- te e amichevole rappresenta, secondo Bowlby, il modo migliore per evitare l’insorgenza e la sedimentazione di sentimenti negativi quali collera, rabbia e rancore, e per favorire un’efficace regolazio- ne dei conflitti interni.
Un comportamento genitoriale positivo ed equilibrato, impli- ca, come nota Bowlby, l’assenza di problematiche interiori di na- tura inconscia nei genitori stessi, principio di vitale importanza che vale però, anche per tutti gli operatori nel settore della relazio-
ne d’aiuto: psicologi, psicoterapeuti, educatori, assistenti sociali,
ecc., in quanto non può esservi aiuto all’altro che non si sia passa- to prima per l’aiuto dato a se stessi. L’incapacità o la non occasio- ne di elaborare i propri vissuti emotivi, sia nei genitori che negli esperti che operano nell’ambito delle relazioni d’aiuto, determina- no una difficoltà intrinseca nella capacità di fungere da cardini e punti di riferimento, poiché gravati da problematiche affettive ir- risolte che risalgono all’infanzia e sui quali non vi è né consapevo- lezza, né controllo.
Mentre in ambito professionale è imprescindibile una forma- zione che preveda un training psicologico di base, in modo da ga- rantire una certa stabilità affettiva e psicologica, in ambito familia- re spesso gli interventi terapeutici si rendono indispensabili pro- prio al fine di interrompere il circolo vizioso di irrisolti emotivi e affettivi che si ripropongono da una generazione familiare all’altra e che spesso si ritrovano alla base di molte storie di genitori “de- tenuti” per reati violenti.
Appare evidente che le sensazioni che nascono in noi quando diventiamo genitori hanno molte cose in comune con le sensazioni che provavamo da bambini per i nostri stessi genitori e fratelli. Una madre che abbia sofferto per la mancanza di cure materne può sentire, se non è divenu- ta incapace di provare affetto, un intenso bisogno di avere l’amore di suo figlio e può fare di tutto pur di ottenerlo.
Un genitore che era a suo tempo geloso del fratellino mi- nore può arrivare a nutrire un’irrazionale ostilità nei con- fronti del nuovo “piccolo intruso” che è entrato a far par- te della famiglia e questo atteggiamento è particolarmente comune nei padri. Il genitore il cui amore per la madre si incrociava con l’ostilità per i suoi modi di richiederlo, può arrivare a provare irritazione e odio per le richieste del bambino.
Io penso che il problema non sia semplicemente il ripre- sentarsi di antiche sensazioni […] ma l’incapacità del geni- tore di tollerarle e regolarle. Coloro che nell’infanzia han- no sperimentato una forte ambivalenza verso i genitori o i fratelli e che hanno fatto inconsapevolmente ricorso ad uno dei molti mezzi primitivi di risoluzione del conflitto […] repressione, spostamento, proiezione e così via, si ri- trovano impreparati alla ricomparsa del conflitto nel mo- mento in cui divengono genitori. […] Il loro problema è che la ricomparsa di sensazioni ambivalenti viene risolta con gli stessi mezzi, primitivi e inefficaci, a cui avevano fat- to ricorso nella prima infanzia, quando non erano in grado di ricorrere a metodi più adeguati44.
L’assenza delle cure materne o della figura principale di attac- camento lutti precoci o abbandoni più o meno duraturi o definiti- vi, provocano dunque, secondo Bowlby, grossi squilibri interiori, tali da determinare anche l’insorgenza e lo sviluppo di personalità disturbate e problematiche e di rilevanti tendenze antosociali, de-
vianti e criminali, connotate dalla quasi totale incapacità di forma-
re solidi legami affettivi. Attraverso una serie di indagini cliniche, scientifiche e statistiche Bowlby confermò il rapporto di altissima correlazione fra l’assenza di una base sicura (madre o altre figure di accudimento), la rottura di legami affettivi, l’incuria, l’anaffetti- vità, i lutti e gli abbandoni con l’insorgenza di problematiche psi- chiche e antisociali:
È stato costantemente riscontrato che due sindromi psi- chiatriche ed i sintomi ad esse collegati sono precedute in
un grande numero di casi da rotture dei legami affettivi nell’infanzia. Tali sindromi sono quelle della psicopatia (o sociopatia) e della depressione; i sintomi ricorrenti, la de- linquenza e il suicidio45.
Gli effetti di quello che oggi viene definito anche come attacca-
mento disorganizzato sono descritti in molti altri studi dove si sot-
tolinea la rilevanza dei primi legami affettivi su possibili disturbi nelle diverse età dello sviluppo umano; i rischi evolutivi dovuti ad attaccamento disorganizzato sono stati analizzati in particolare da Mary Main e Judith Solomon46a partire dallo studio del compor-
tamento infantile, mettendo in rilievo anche l’esistenza di un’allar- mante correlazione fra l’attaccamento disorganizzato e le possibili gravi difficoltà riscontrate dal bambino sia nella relazione con i pa- ri nella fanciullezza47, in ragione del fatto che appaiono meno si-
curi, meno empatici, meno disposti a relazionarsi in modo positi- vo e con più frequenti episodi di aggressività difensiva, (come se si sentissero costantemente minacciati), di ostilità e violenza rivolta ai pari, fino ad arrivare al ritiro sociale, sia nel funzionamento co- gnitivo e intellettuale e nelle competenze scolastiche48in ragione
di una minore sicurezza di sé e bassa autostima.
Altri studi confermano inoltre la rilevanza della disorganizza- zione dell’attaccamento nella patologia dissociativa, come descrit- to da Giovanni Liotti49. La teoria della dissociazione descrive alcu-
ni possibili effetti cognitivi dovuti a esperienze affettive traumati- che in forza di produrre una vasta gamma di emozioni dolorose
45 Ivi, p. 76.
46 Cfr., J. Solomon, C. George, L’attaccamento disorganizzato, il Mulino, Bologna 2007.
47 Cfr. D. Jacobvitz, N. Hazen, “Percorsi evolutivi dalla disorganizzazione infan- tile alle relazioni con i pari nella fanciullezza”, in J. Solomon, C. George (a cu- ra di), L’attaccamento disorganizzato, cit., pp. 133-167.
48 Cfr. E. Moss, S. St-Laurent, S. Parent, “Attaccamento disorganizzato e rischio evolutivo in età scolare”, in J. Solomon, C. George (a cura di), L’attaccamen- to disorganizzato, cit., pp. 169-196.
49 Cfr. G. Liotti, “Disorganizzazione dell’attaccamento e patologia dissociativa”, in J. Solomon, C. George (a cura di), L’attaccamento disorganizzato, cit., pp. 259-283.
dissociate, ovvero non organizzate ed elaborate nella maniera più corretta a causa della mancanza di strutture cognitive capaci di da- re coerenza e significato alle esperienze dolorose. La dissociazione appare, dunque, principalmente come una difesa dal trauma, co- me un meccanismo mentale protettivo, ma anche come segno di una rottura nei processi intersoggettivi che generano un senso del Sé coerente e integrato.
Il primo a fornire una definizione del concetto di dissociazione fu lo psicologo e filosofo francese Pierre Janet (1859-1947), il qua- le vedeva nella dissociazione un effetto del trauma psicologico o di altre esperienze dolorose; la dissociazione viene descritta come in- capacità di adattarsi all’ambiente per mezzo di strutture di signifi- cato che riorganizzano in maniera critica le esperienze. Fra le ca- ratteristiche della dissociazione troviamo un Sé poco integrato, tendenza alla reiterazione e meccanismo di rimozione degli eventi traumatici senza che vi sia una chiara rappresentazione dell’even- to sul piano cosciente, elemento quest’ultimo particolarmente im- portante per la cura del disturbo in quanto, come spiega Liotti:
Il divenire pienamente cosciente di un avvenimento è sino- nimo dell’essere un grado di «raccontare la storia» di quel- l’avvenimento. Raccontare la storia di un avvenimento in modo coerente corrisponde al maggior successo possibile di sintesi personale, che è esattamente il meccanismo con il quale il trauma interferisce50.
Nel suo ultimo saggio, Una base sicura. Applicazioni cliniche
della teoria dell’attaccamento51, del 1988, Bowlby racchiude una
serie di conferenze e seminari in cui, a distanza di circa cinquan- t’anni dall’esordio della sua teoria dell’attaccamento, riporta tutti gli esiti delle innumerevoli ricerche scientifiche, condotte anche da altri studiosi, che hanno dato conferma empirica dei suoi capisal- di principali.
50 Ivi, p. 263. Sulla dissociazione si veda anche: M. Steinberg, La dissociazione: i cinque sintomi fondamentali, Raffaello Cortina, Milano 2006.