Alcuni passi dei Padri che fanno riferimento ad immagini pagane riguardano non vere e proprie divinità, ma piuttosto uomini dotati di particolari poteri magici, miracolosi e profetici, e in quanto tali divinizzati e fatti oggetto di culto.
Vi è innanzitutto una linea di testimonianze riferite a Simon Mago, cultore di arti magiche proveniente dalla Samaria secondo il racconto degli Atti degli Apostoli e fondatore di una scuola gnostica secondo alcune fonti apocrife e patristiche.
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Minucio Felice, Octavius, cap. 2, in PL 3, 237 A. Cfr. Antologia, cit. n. 1
43 J.Th. Bakker, Living and Working with the Gods. Studies of Evidence for Private Religion and its Material
Environment in the City of Ostia, Amsterdam 1994.
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Ibid., A 53, figs.12, 13; pls. 49, 50, p. 88-89.
45 Bakker, proprio ricordando il passo di Minucio Felice, osserva che a ricevere questo tipo di saluto rituale potevano essere pitture, rilievi o sectilia collocati all'interno di nicchie o comunque nelle parti superiori delle pareti: cfr. J.Th. Bakker, Living and Working with the Gods, cit., p. 15.
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La notizia più antica è quella di San Giustino (II secolo), che, nella prima Apologia, biasima i Romani per aver innalzato Simone agli onori divini e per avergli dedicato una statua:
In terzo luogo, anche dopo l’ascesa di Cristo al cielo, i demoni continuavano a suscitare uomini che dicevano di essere dèi; e questi non solo non furono perseguitati da voi, ma furono stimati degni di onore.
Così un tale Simone di Samaria, di un villaggio chiamato Gitton, - il quale sotto l’imperatore Claudio compiva prodigi magici per mezzo dell’arte dei demoni che operavano in lui, nella vostra città imperale di Roma, fu ritenuto dio – è stato onorato da voi di una statua; questa statua è stata eretta nel fiume Tevere tra i due punti, con la scritta in latino “Semoni deo sancto”.
E quasi tutti i Samaritani, e pochi anche di altri popoli, lo riconoscono e lo adorano come primo dio. Sostengono anche che una certa Elena, che si accompagnava con lui in quel tempo, e che prima era stata in un lupanare, è il primo pensiero emanato da lui46.
La statua di cui parla Giustino, collocata all‟isola Tiberina, era in realtà, molto probabilmente, quella del dio sabino Semo Sanco, corredata di un‟iscrizione erroneamente letta in riferimento al Mago47. Giustino aveva verosimilmente raccolto una versione corrente nella Roma del tempo, speciosamente diffusa dai simoniani dell‟Urbe.
Anche se la statua come rappresentazione di Simone era un falso, non c‟è comunque motivo di dubitare del fatto che il mago e maestro gnostico potesse essere venerato dai suoi seguaci attraverso le immagini.
I padri forniscono altre testimonianze al riguardo. Ireneo di Lione non parla della statua dell‟isola Tiberina, ma di immagini di Simone in forma di Zeus e della sua compagna Elena in forma di Minerva, oggetto di adorazione da parte dei simoniani:
I suoi discepoli possiedono anche un’immagine di Simone, basata su quella di Zeus, e una di Elena, basata su quella di Minerva, ed adorano queste immagini...48
46 Giustino, Apologia I, XXVI, 1-3: Iustini Martyris Apologiae Pro Christianis: Iustini Martyris Dialogus Cum Tryphone, ed. M. Markovich, Berlin, 1987, III ed. 2005, p. 70.
47 Un‟erma con iscrizione dedicatoria al dio sabino Semo Sanco Fidius fu rinvenuta all‟Isola Tiberina nel 1574 ed è attualmente conservata ai Musei Vaticani. Cfr. C. L. Visconti, Di un simulacro di Semo Sancus, in Studi di Storia e Diritto, 1831, pp. 105-130; J. Wilpert, La statua di Simon Mago sull‘isola Tiberina, in «Rivista di Archeologia Cristiana» 15, 1938, pp. 334-339. Oggi la maggior parte degli studiosi riconosce concordemente il fraintendimento di Giustino, spiegazione non accettata dal Wilpert, secondo il quale Giustino conosceva realmente una statua di Simon Mago conservata all‟Isola Tiberina, da non confondersi con quella di Semo Sanco.
48 Ireneo di Lione, Contro le eresie, I, 23.1-4. La fonte di questa informazione sembra non essere Giustino. Wilpert ha riferito a questo passo un sarcofago conservato al Museo delle Terme, su cui sono rappresentate la figura di un filosofo e una donna con un elmo sul capo, che egli ha interpretato appunto come Simone e Elena in veste di Atena. Cfr. J. Wilpert, La statua di Simon Mago, cit. Per il sarcofago, cfr. J. Wilpert, I sarcofagi cristiani antichi, vol. II, tavole, Roma, 1932, tav. 252, 3.
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Un brano molto simile si trova, nel secolo successivo, in Ippolito, il quale, rispetto ad Ireneo, mette maggiormente gli rilievo gli atti di culto compiuti nei confronti di queste immagini: Hanno un‟immagine di Simone in forma di Giove e una di Elena nelle sembianze di Atena, e si inchinano davanti ad essa, chiamando l‟una Signore, l‟altra Signora; e se qualcuno presso di loro, avendo visto le immagini di Simone o di Elena, le chiama per nome, viene respinto, perchè non conosce i misteri49.
Non solo viene menzionata la proskynesis nei confronti delle immagini, ma sembra anche che esse siano collegate a riti misterici a cui solo una parte dei simoniani venivano iniziati.
Sia Ireneo che Ippolito usano, per indicare queste immagini di Simone ed Elena, il termine di
eikones, che, come abbiamo già ricordato, aveva una valenza generale e poteva essere usato
per indicare rappresentazioni di diverso materiale e funzione. Il fatto che queste immagini siano dette essere in possesso dei simoniani (habent, ἔρνπζηλ), senza che ci sia alcuna indicazione precisa di luogo, come nel caso della statua dell‟isola Tiberina, suggerisce che, piuttosto che di sculture monumentali, dovesse trattarsi di statuette o di pitture su tavola, insomma delle tipologie di manufatti venerati nell‟ambito della devozione privata.
Delle immagini di altri personaggi più o meno riconducibili alla categoria degli andres theioi parla un altro autore del II secolo, Atenagora. Trattando dei prodigi compiuti dalle immagini pagane, prodigi che generalmente i Padri della Chiesa non negano, ma attribuiscono all‟operato dei demoni, mentre ricorda le statue di alcuni personaggi, egli osserva:
Coloro che li attirano intorno agli idoli sono i sopraddetti demoni, che si sono attaccati al sangue delle vittime e le lambiscono; e quegli dei che piacciono a molti e che hanno ricevuto il nome dalle immagini sono stati uomini, come si può sapere dalla loro storia...
Che dunque altri siano quelli che operano (nei simulacri), altri quelli da cui vengono erette le immagini, lo dimostrano sommamente la Troade e Pario. La Troade ha infatti le immagini di Nerillino, che fu uomo presso di noi, mentre Pario le ha di Alessandro e Proteo; il sepolcro e l’immagine (ἡ εἰθώλ) di Alessandro sono ancora oggi nell’agorà. Se dunque le altre statue (ἀλδξηάληεο) di Nerillino sono un ornamento pubblico (per quanto una città possa essere ornata da queste cose), ce n’è tuttavia una fra di esse che si crede che dispensi oracoli e guarisca i malati, e per questo gli uomini della Troade offrono sacrifici a questa statua, la rivestono d’oro e la incoronano. E per quanto riguarda le statue di Alessandro e Proteo(di cui certamente non ignorate che si gettò nel fuoco nei pressi di Olimpia), anche di quest’ultima si dice che emetta responsi oracolari, mentre per quella di Alessandro (“Paride sciagurato, bellissimo d’aspetto, seduttore di donne”) si celebrano pubblici sacrifici e feste, come se fosse un dio che presta orecchio (a chi chiede il suo aiuto). Sono dunque Nerillino o Proteo o Alessandro che fanno queste cose intorno alle immagini, o forse è la struttura della materia? Ma la materia è il bronzo, e che cosa può fare da sè il bronzo, il quale può essere trasformato in una figura completamente nuova, come, secondo Erodoto, fece Amasi con il bacile per lavarsi i piedi? (Erodoto, Storie, II, 172, 1).E Nerillino e
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Proteo e Alessandro che cosa possono fare di più per i malati?Ciò che infatti si dice che l’immagine operi ora, lo faceva anche quando Nerillino era ancora vivo ed era ammalato50.
Il Nerillino a cui erano state dedicate numerose statue nella Troade viene solitamente identificato con un governatore di Alessandria di Troade del I secolo d.C. (anni 69-70). Il culto dei governatori era divenuto usuale proprio in questo periodo nella parte orientale dell‟impero51
. Tuttavia, come osserva Simon Price, Atenagora sembra fare riferimento ad un suo contemporaneo morto di recente; quindi, tenendo conto del fatto che la Legatio verosimilmente è stata scritta attorno agli anni 176-177, è possibile che in questo Nerillino si debba riconoscere un altro governatore locale del II secolo, appartenente alla medesima famiglia del primo52.
Per il secondo personaggio menzionato nel passo di Atenagora, Alessandro, venne proposta da Francois Cumont l‟identificazione con Alessandro di Abonutico, figura estremamente rappresentativa della temperie religiosa e spirituale della tarda antichità53. Attivo attorno alla metà del II secolo d.C., Alessandro si presentava come profeta di Glicone, un dio dal corpo di serpente e dal volto umano, figlio e reincarnazione di Asclepio. In nome di questa divinità dispensava oracoli ed operava guarigioni miracolose ed altri prodigi54. Abonutico divenne ben presto luogo molto frequentato di pellegrinaggio, ma il culto del novello Asclepio si diffuse anche in altre città dell‟Asia Minore e in varie regioni dell‟impero, anche in Occidente.
Ritrovamenti archeologici di vario genere hanno restituito un repertorio di immagini relative a Glicone, confermando la notizia di Luciano di Samosata, secondo il quale furono dedicate al dio γξαθαί...θαὶ εἰθόλεο θαὶ μόαλα͵ ηὰ κὲλ ἐθ ραιθνῦ͵ ηὰ δὲ ἐμ ἀξγύξνπ εἰθαζκέλα, pitture, sculture, immagini in bronzo ed in argento. Non ci sono giunte, invece, immagini di
50 Atenagora, Legatio, XXVI, 1-2. Cfr. Antologia, citazione n. 14. 51
L‟identificazione è stata proposta in C. P. Jones, Neryllinus, in «Classical Philology», LXXX, 1985, pp. 40-45 52 S.R.F. Price, Rituals and power : the Roman imperial cult in Asia Minor, Cambridge,New York, 1984, p. 71. L‟autore osserva come un‟iscrizione attesti la presenza di un governatore di nome Nerillino nel II secolo ad Alessandria di Troade. Cfr. Corpus Inscriptionum Latinarum, III, Inscriptiones Asiae, provinciarum Europae Graecarum, Illyrici Latinae, edidit Th. Mommsen. 1873 (impr. iter. 1958), no. 7071; M. Ricl, The Inscriptions of Alexandreia Troas, Bonn, 1997
53 L‟identificazione fu proposta da F. Cumont, Alexander d'Abonotique, Bruxelles 1887, e accettata da E. Babelon, Le faux prophete Alexandre d‘Abonotichos, in «Revue numismatique», S. IV, 4, 1900, pp. 1-30 (in particolare p. 25). Cfr. G. Sfameni Gasparro, "Alessandro di Abonotico, lo "pseudo-profeta" ovvero come costruirsi un'identità religiosa . I. Il profeta 'eroe' e 'uomo divino' ", in Omaggio a Dario Sabbatucci, Roma 1998, in «Studi e materiali di storia delle religioni», 62, 1996, 565-590 (in particolare p. 570).
54 La principale fonte su Alessandro di Abonutico è il libello denigratorio di Luciano di Samosata, Alexandros o Pseudomantis: Alessandro o il falso profeta / Luciano di Samosata ; introduzione di Dario Del Corno ; traduzione e note di Loretta Campolunghi, Milano, 1992. Sulla figura di Alessandro , cfr. G. Sfameni Gasparro, Alessandro di Abonotico, cit; Ead., "Alessandro di Abonotico, lo "pseudo-profeta" ovvero come costruirsi un'identità religiosa, II. L‟oracolo e i misteri", in Les Syncrétismes religieux dans le monde mediterraneén antique, 1999, pp. 275-305
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Alessandro, ma è molto probabile che gliene venissero dedicate e che egli fosse oggetto di culto e devozione, in forza dei suoi poteri taumaturgici e profetici.
L‟identificazione dell‟Alessandro ricordato da Atenagora con il profeta di Abonutico, generalmente accettata dagli editori della Legatio, ha suscitato l‟opposizione di alcuni studiosi, secondo i quali la presenza della tomba nella città di Parion porterebbe ad escludere questa ipotesi. Si tratterebbe piuttosto di Paride Alessandro, eroe della saga troiana, venerato come ecista, mitico fondatore di Parion55. In mancanza di elementi che consentano di sciogliere in modo definitivo la questione, si può osservare che il confronto con gli altri due personaggi citati nel brano, ambedue morti di recente quando Atenagora scrive, e il contesto all‟interno del quale è inserita la menzione del suddetto Alessandro, cioè una riflessione sui prodigi miracolosi attribuiti alle immagini, fanno apparire come verosimile e suggestiva la proposta di riconoscere nel personaggio il profeta di Abonutico, uno dei più celebri andres
theioi della Tarda Antichità.
Nella terza figura ricordata nel passo della Legatio è da vedere senza ombra di dubbio Peregrino Proteo, singolare filosofo che combinava gli atteggiamenti sprezzanti e irriverenti della tradizione cinica con una forte componente religiosa e mistica. Nativo di Pario, dopo aver aderito per un breve periodo al cristianesimo in Palestina, se ne staccò per divenire seguace della filosofia cinica, che professò per tutta la vita. Dopo una serie di alterne vicende e rocambolesche disavventure fra l‟Egitto, Roma e la Grecia, pose fine alla sua esistenza con un suicidio spettacolare, dandosi fuoco durante i Giochi Olimpici del 165 d.C, per mostrare agli uomini come si doveva disprezzare la morte.
Luciano di Samosata ci ha consegnato un ritratto estremamente negativo di Proteo, presentandolo come un avventuriero esibizionista e privo di scrupoli, peraltro accusato di terribili misfatti. Un‟immagine diversa, tuttavia, e probabilmente più indicativa del successo che personaggi di tal genere riscuotevano nella società tardo antica, emerge dalla testimonianza di Aulo Gellio, che di Proteo fu discepolo ad Atene. Gellio definisce il suo maestro come “virum gravem et constantem” e attesta di averlo udito più volte parlare intorno a molte cose “utiliter et honeste”56
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55 A. D. Nock, Alexander of Abonuteichos, in «Classical Quarterly», 22, 1922, pp. 160-162; M. Caster, Etudes
sur Alexandre ou le faux prophete de Lucien, Paris, 1938; W. Ameling, Ein Altar fur Alexander von Abonuteichos, in «Epigraphica Anatolica», 6, 1985, pp. 34-36.
56 Aulo Gellio, Noctes Atticae, XII, XI, 1. Ancora due secoli più tardi Ammiano Marcellino definirà Proteo “philolophus clarus” e parlerà con toni elogiativi della sua morte, paragonandola a quella del giovane filosofo Simonide, vittima della persecuzione dell‟imperatore cristiano Valente nel 379: Ammiano Marcellino, Historiae, XXIX, 137-139.
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Oltre all‟identità dei personaggi onorati con le statue, ci sono altri notevoli elementi di interesse nel passo di Atenagora che abbiamo riportato sopra. Anzitutto, l‟oscillazione che si riscontra nel lessico in riferimento alle statue di Alessandro, Nerillino e Proteo. Per tutte Atenagora parla dapprima genericamente di εἰθόλεο, poi di ἀλδξηάληεο e di ἀγάικαηα. Abbiamo già ricordato come con ἀλδξηάο si facesse in genere riferimento ad una statua che rappresentava una persona umana, mentre ἄγαικα era la statua abitata dalla presenza della divinità e dotata di poteri divini.
Al di là del fatto che una certa intercambiabilità è sempre possibile nel lessico sulle immagini e che bisogna comunque evitare categorizzazioni troppo nette, in questo caso l‟ambiguità tra ἀλδξηάληεο e ἀγάικαηα trova una naturale spiegazione nel fatto che i personaggi rappresentati nelle statue sono sì uomini, ma divinizzati, dotati di poteri soprannaturali; per questo, dunque, tali statue sono oggetto della devozione dei fedeli, in modo simile a quanto accade per i simulacri delle divinità.
È interessante rilevare, anzi, come Atenagora ponga l‟accento su alcuni atti di culto compiuti nei confronti delle immagini. I cittadini di Alessandria di Troade venerano particolarmente una statua di Nerillino che dispensa oracoli (ρξεκαηίδεηλ) e compie guarigioni miracolose (ἰζζαη λνζνῦληαο): compiono sacrifici in suo onore, la rivestono d‟oro e la incoronano (θαὶ ζύνπζί ηε δη‟αὐηὰ θαὶ ρξπζ πεξηαιείθνπζηλ θαὶ ζηεθαλνῦζηλ ηὸλ ἀλδξηάληα). A Parion vengono celebrati sacrifici e feste in onore della statua di Alessandro, come se fosse un dio (ἄγνληαη ζπζίαη θαὶ ἑνξηαὶ ὡο ἐπεθόῳ ζε).
Altro aspetto degno di nota è la distinzione fatta da Atenagora tra la statua di Nerillino che opera prodigi miracolosi (un ἀλδξηάο che può essere innalzata al rango di ἄγαικα) e gli altri ἀλδξηάληεο, che sono ornamento pubblico della città: θόζκεκά εἰζη δεκόζηνλ. È vero che l‟idea che le statue rappresentanti uomini o divinità potessero avere una funzione di ornamento per tutta la città era da molto tempo un concetto ampiamente condiviso nella mentalità romana57. Tuttavia mi sembra molto significativo che si riveli capace di una simile riconoscimento (mitigato, ma non cancellato dall‟osservazione immediatamente successiva: εἴπεξ θαὶ ηνύηνηο θνζκεῖηαη πόιηο, per quanto una città possa essere ornata da queste cose) un autore cristiano, in un momento in cui la polemica cristiana verso le immagini religiose pagane è fortissima. Questa osservazione di Atenagora rivela, assieme ad altri elementi, di cui tratterò più avanti, che gli uomini di chiesa, nei loro violenti attacchi antidolatrici, non sono
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mossi da un‟iconofobia incondizionata, da un rifiuto categorico delle immagini, quanto da una preoccupazione fortissima nei confronti dei molteplici culti che potevano condurre fuori strada il popolo cristiano. Laddove le immagini di contenuto pagano non erano oggetto di impropria venerazione o devozione, però, si poteva anche, qualche volta, riconoscerne il valore estetico.
Ancora una testimonianza deve essere considerata in questo frangente, quella di Lattanzio su Apollonio di Tyana, il più celebre theios aner della Tarda Antichità.
Perchè infatti gli uomini si preparano sepolcri magnifici, statue e immagini? Perché desiderano meritarsi la fama degli uomini con imprese illustri, magari anche affrontando la morte per i concittadini? Perché, infine, tu stesso hai voluto erigere un monumento all'ingegno, edificato, per così dire, con il fango, secondo questa abominevole insensatezza, se non perché speri che il ricordo del nome resti immortale? è stolto dunque ritenere che Apollonio non abbia voluto ciò che in ogni modo desiderava, se possibile; non c'è nessuno che rifiuti l'immortalità, soprattutto quando potresti dire che egli è stato adorato da taluni come una divinità e che la sua statua, eretta sotto il nome di Ercole Alexicaco (allontanatore di mali) è onorata anche oggi ad Efeso58.
Lattanzio riferisce che Apollonio, adorato come un dio, si era fatto rappresentare in una statua come Ercole, e tale simulacrum ancora all‟inizio del IV secolo era venerato dagli abitanti di Efeso.