• Non ci sono risultati.

I Padri Cappadoci: una riflessione sfaccettata sulle tematiche della figuratività

Nel documento I Padri della Chiesa e le immagini (pagine 125-135)

Capitolo II- L’immagine cristiana tra accettazione e diffidenza Da Costantino al V secolo.

2.2 I Padri Cappadoci: una riflessione sfaccettata sulle tematiche della figuratività

A due dei padri Cappadoci, Basilio di Cesarea e Gregorio di Nissa, risalgono le prime testimonianze che documentano una considerazione inequivocabilmente positiva delle immagini di contenuto cristiano da parte di uomini di chiesa.

Gregorio, nel De deitate Filii et Spiritus Sancti, dice di essersi commosso davanti a rappresentazioni del sacrificio di Isacco:

Ho visto spesso l'immagine di questo tragico evento in pittura, e non ho potuto allontanarmi da quella vista senza lacrime, tanto vividamente la pittura pone la storia sotto i nostri occhi272.

Sempre lui, nel De sancto Theodoro, elogiando la decorazione che ornava il martyrion di San Teodoro di Amasea ad Euchaita, si sofferma sulle pitture che rappresentano il martirio del santo:

Se qualcuno si reca in un luogo simile a questo, nel quale si tiene oggi la nostra assemblea, e dove sono presenti la memoria del giusto e i suoi santi resti, è attratto in primo luogo dalla magnificenza delle cose viste, vedendo una casa splendidamente compiuta sia per la grandezza dell’edificio che per la bellezza della decorazione, come le si addice in quanto tempio di Dio, una casa nella quale il

271

Secondo Gero i riferimenti alle immagini di Simon Mago potrebbero essere semplicemente una notizia erudita derivata da Giustino o da Ireneo, che Eusebio cita in Historia Ecclesiastica II, 13, 3-4, mentre il riferimento alle immagini di Mani portate in processione troverebbe interessanti conferme nelle fonti manichee: cfr. S. Gero, The true image of Christ, cit., p. 465 e n. 10.

272

PG 46, 572 C. Cfr. Antologia, cit. n. 143. Un passo molto simile si trova in Efrem, nel Sermo in Abraham et Isaac: “Tutte le volte che ho visto le immagini del figlio di questi, non sono stato capace di allontanarmi da esse senza piangere, avendo la vivida arte posto sotto i miei occhi una cognizione evidente riguardo a questa stessa storia” . Testo greco in S. Ephraem Syri Opera, Textum syriacum graecum latinum ad fidem codicum recensuit prolegomenis notis indicibus instruxit Silvius Ioseph Mercati, Tomus primus, Fasc. primus, Sermones in Abraham et Isaac, In Basilium Magnum, in Eliam, Romae, 1915, p. 75, strofe 131-132, vv. 521.528. Traduzione italiana di chi scrive. La grande diffusione delle rappresentazioni del sacrificio di Isacco è attestata anche da Agostino in Contra Faustum Manichaeum, 22, 73: :... a meno che non si sia dimenticato di questa azione, così famosa che dovrebbe venirgli in mente anche senza leggerla o ricercarla, e che essendo cantata in tante lingue e dipinta in tanti luoghi ferirebbe gli orecchi e gli occhi che volessero nasconderla.

Il tema era in effetti uno dei più diffusi dell‟arte paleocristiana: cfr. I. Speyart Van Woerden, The iconography of the sacrifice of Abraham, in «Vigiliae Christianae», 15.1961 No. 4, pp. 214-255; B. Mazzei, "Abramo", ad vocem, in Temi di iconografia paleocristiana, cit., pp. 92-95.

107

falegname ha foggiato il legno in figure di animali e il lapicida ha condotto le lastre alla levigatezza dell’argento. Anche il pittore ha colorato i fiori dell’arte, avendo dipinto in immagine le azioni eroiche del martire, le opposizioni (che ha dovuto affrontare), le sue sofferenze, i volti feroci dei tiranni, le minacce, quella fornace ardente, la beatissima morte dell’atleta, e l’immagine in forma umana di Cristo, che presiede a tutto ciò; il pittore, avendo realizzato per noi queste cose con arte attraverso i colori, come in un libro parlante, ha esposto in modo veritiero le lotte del martire ed ha ornato splendidamente questo tempio come un magnifico prato; sa infatti che la pittura, pur essendo silenziosa, parla sulla parete e giova sommamente (agli spettatori); infine, il mosaicista ha fatto il pavimento su cui si cammina, che è degno a sua volta di essere ricordato273.

Basilio non fa riferimento ad immagini artistiche propriamente dette, tuttavia, in vari sermoni dedicati ai santi, rivolgendosi ai pittori, li esorta a rappresentare i martiri e lo stesso Cristo. Così nell' Homilia in Barlaam martyrem:

Alzatevi ora, illustri pittori dei successi degli atleti; glorificate con la vostra arte l’immagine mutilata del soldato. Rendete splendente con i colori della vostra sapienza il vincitore che è stato da me dipinto in maniera più indistinta. Sia io vinto dalla vostra rappresentazione pittorica delle imprese gloriose del martire; sono lieto di essere superato oggi da una tale vittoria della vostra forza. Che io veda la lotta della mano contro il fuoco rappresentata da voi in modo più preciso; che io veda il lottatore dipinto in modo più splendido sulla vostra immagine. Piangano i demoni, e siano ora di nuovo vinti dalle virtù del martire (mostrate nuovamente nel dipinto). Sia mostrata loro ancora una volta la mano fiammeggiante e vittoriosa. Sia dipinto sulla tavola anche l’arbitro dei combattimenti, Cristo: al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen274.

Nell‟Homilia in XL martyres Sebastenses:

Su, riportiamoli fra di noi attraverso il ricordo, e ai presenti proponiamo di ricavarne un comune vantaggio mostrando a tutti, come in una pittura, le azioni valorose di questi uomini.

Giacché infatti gli oratori e i pittori rappresentano spesso gloriose azioni di guerra, gli uni ornandole con il discorso, gli altri dipingendole nei quadri, ed entrambi in questo modo indussero molti uomini al coraggio. Quello che la narrazione storica presenta attraverso l'udito, la pittura lo mostra, pur tacendo, attraverso l'imitazione275

.

È indubbio che in questi passi, notissimi in virtù dell‟uso che ne è stato fatto dai difensori delle immagini (come avremo modo di vedere), i due Padri facciano riferimento ad immagini di contenuto cristiano senza alcuna implicazione negativa, anzi, attribuendo ad esse un ruolo positivo nell‟edificazione del fedele. Per questo essi sono sempre stati riconosciuti come punto di svolta nell' atteggiamento della chiesa verso le immagini, anche se alcuni studiosi hanno cercato di ridimensionare la portata dell‟iconofilia dei Cappadoci, sottolinenando il carattere sporadico e asistematico di questi riferimenti e ritenendo che Basilio e Gregorio non

273 Gregorio di Nyssa, De Sancto Theodoro, cit. n. 132.

274Basilio di Cesarea, Homilia in Barlaam martyrem: cfr. Antologia, cit. 131. 275

108

attribuissero un ruolo particolarmente importante alle immagini nella vita cristiana, ma piuttosto ne accettassero, se vogliamo un po‟ obtorto collo, la funzione didattica, a vantaggio dei fedeli più semplici e incolti276.

A mio parere invece i Cappadoci sono portavoce di una posizione di iconofilia molto forte, ben più profonda di una sufficiente accettazione dell'utilità didattica, e hanno avuto un ruolo fondamentale nella maturazione di un atteggiamento di piena accettazione delle immagini e dell‟arte da parte della chiesa nel suo complesso.

È vero che i riferimenti a rappresentazioni di soggetto cristiano non sono molto numerosi e occupano un posto minoritario all‟interno della vasta produzione di questi autori.

Si può anche osservare come, con l‟eccezione del già visto panegirico di San Teodoro di Gregorio di Nissa, quando i Cappadoci fanno riferimento ad edifici ecclesiastici realmente esistenti – e questo avviene con maggiore frequenza e in modo molto più consistente e articolato rispetto agli autori precedenti – in genere non ricordano mai la presenza di immagini. Così Gregorio di Nissa quando richiama con orgoglio l‟altissimo numero di chiese esistenti nella sua terra277; così l‟amico Gregorio Nazianzeno, quando, apprestandosi a lasciare la sede patriarcale di Costantinopoli, prende congedo dalle chiese della capitale278; così entrambi, quando si soffermano diffusamente a descrivere martyria: rispettivamente, quello innalzato dal Nisseno a Nissa e quello fatto costruire da Gregorio il Vecchio, padre del Nazianzeno, a Nazianzo. Si veda ad esempio proprio il passo sul martyrion di Nazianzo279.

Qui l‟unico elemento figurativo della decorazione potrebbe essere rappresentato da alcune statue, ma Gregorio non dice nulla di più preciso al riguardo. La sua attenzione è catturata soprattutto dallo splendore della luce, dalla ricchezza dei materiali e dalla cura con cui sono messi in opera.

276 Per Elliger e Koch, pionieri nello studio dell‟atteggiamento della Chiesa verso le immagini nei primi secoli del cristianesimo, l‟aspetto caratterizzante del pensiero dei Cappadoci sull‟arte è la concezione didattica delle immagini, il riconoscimento del loro ruolo nell‟educazione morale dei fedeli: cfr.: H. Koch, Die altchristliche Bilderfrage, cit., pp. 69-73; W. Elliger, Die Stellung, cit., pp. 60-70. Seguendo la via aperta dai studiosi, anche Kitzinger non attribuisce una particolare rilevanza alla posizione iconofila dei Cappadoci, al di là del riconoscimento della funzione didattica: cfr. E. Kitzinger, Il culto delle immagini, cit., pp. 1-115.

H. G. Thummel, Die Frühgeschichte, cit., pp. 53-59, tende a ridimensionare la portata della loro iconofilia: così, ad esempio, giudica non rilevanti per la questione dell‟immagine i passi che svolgono il paragone fra pittura e scrittura e attribuisce al Nazianzeno una posizione analoga a quella del Crisostomo, oscillante fra accettazione e rifiuto.

277 Gregorio di Nissa, Ep. II, 9, in Grégoire de Nysse, Lettres, introduction, texte critique, traduction, notes et

index par P. Maraval, Paris, 1990 (Sources Chretiennes n. 363), pp. 114. 60-61, 116. 62-66.

278 Gregorio Nazianzeno, Supremum vale, Oratio XLII, XLII, 13, 26, in Gregorio di Nazianzo, Tutte le orazioni, a cura di C. Moreschini, pp. 1026-1027. Gregorio menziona la Cappella dell‟Anastasia, sua sede episcopale, S. Sofia, SS. Apostoli. In Carmina de se ipso, XVI, Sogno sulla chiesa dell‘Anastasia che Gregorio consolidò in Costantinopoli, loda la struttura a forma di croce dell‟Apostoleion, senza tuttavia fornire alcun dettaglio sulla decorazione. Cfr. Gregorio Nazianzeno, Poesie/2, introd. di C. Crimi, trad. e note di C. Crimi e I. Costa, Roma, Città Nuova, 1999, II, 1, 16, p. 118.

279

109

Questo tuttavia non implica di necessità che in edifici di questo tipo non ci fossero rappresentazioni di carattere figurativo. L‟esaltazione dello splendore dell‟oro e del ruolo della luce è caratteristica ricorrente nelle ekphraseis di edifici dell‟età paleocristiana (IV-V secolo). Si possono ricordare i passi di Eusebio sulle basiliche fatte costruire da Costantino a Costantinopoli, Antiochia e Gerusalemme; oppure le descrizioni, in due inni del Peristephanon di Prudenzio, di alcuni monumenti romani, S. Pietro, S. Paolo, S. Lorenzo fuori le mura e la cripta di S. Ippolito280.

In questi testi si preferiva puntare l‟accento, piuttosto che sulle immagini, sui materiali preziosi, in particolare l‟oro e i marmi, e su tutti quegli aspetti della costruzione e della decorazione che mettevano in evidenza la ricchezza dell‟edificio e la generosità della committenza. È già evidente, inoltre, quella speciale sensibilità per la luce che sarà caratteristica di lunga durata nel corso del Medioevo.

Il carattere asistematico dei riferimenti alle immagini cristiane è indubbio. D‟altro canto gli interessi preponderanti dei Padri sono altri: essi sono primariamente pastori, guide spirituali, teologi, esegeti. Una vera e propria difesa organica delle immagini cristiane non c‟è prima dell‟età iconoclasta, cioè quando ne sorge il bisogno; ma questo non implica di necessità un atteggiamento tiepido o ancor più negativo degli uomini di chiesa verso le rappresentazioni artistiche.

Gli studiosi hanno anche sottolineato come passi come quelli contenuti nei panegirici scritti da Basilio per i santi hanno un carattere piuttosto retorico e non hanno nulla a che fare con rappresentazioni artistiche propriamente dette.

È vero che in questi brani non si fa riferimento ad immagini sicuramente identificabili come esistenti, tuttavia, a mio parere, l‟esortazione retorica riflette quella che doveva essere una situazione di fatto ampiamente condivisa: Basilio non avrebbe rivolto un invito di tal genere ai pittori se immagini di questo tipo non fossero state una realtà familiare agli occhi dei fedeli, nè, tanto meno, se avesse avuto delle riserve contro le immagini di contenuto cristiano. Ed è degno di nota il fatto che egli, nel suo appello agli artisti nell‟Homilia in Barlaam, esorti a

280 Per Eusebio, cfr. De Vita Constantini, III, 33-40; 41-43; 50; 51; IV, 46. Per Prudenzio, P eristephanon, XII,

Passio Apostolorum Petri et Pauli, 29-54; Peristephanon XI, Ad Valerianum, cfr. Antologia, cit.n. 114 e 115. Se nel caso di Eusebio si potrebbe pensare che il silenzio sulle decorazioni figurative rifletta un reale orientamento aniconico dell‟arte in età costantiniana, oltre che l‟ostilità del vescovo di Cesarea verso le immagini, con Prudenzio siamo in un momento successivo, fra IV e V secolo, quando la presenza di immagini cristiane nelle chiese è ormai un dato incontrovertibile; del resto l‟attitudine favorevole alle immagini da parte di Prudenzio è attestata dalle descrizioni di immagini di martirio contenute in altri due inni del Peristephanon (per quanto improntate ad una forte connotazione retorica) e dai distici del Dittochaeon, tituli per cicli pittorici del Vecchio e del Nuovo Testamento.

110

rappresentare anche Cristo. L‟immagine di Cristo che presiede al martirio del santo è del resto inserita anche nel ciclo pittorico che rappresenta il martirio di San Teodoro di Amasea281. Se scene dell‟Antico Testamento o le immagini dei santi dovevano risultare più facili da accettare, i Padri Cappadoci mostrano di non avere più alcun tipo di riserva nei confronti della rappresentazione di Cristo, che in precedenza poteva invece essere risultata particolarmente problematica da accettare per i Padri della Chiesa. È giusto notare, tuttavia, che si tratta, verosimilmente, di immagini inserite in un contesto narrativo e non di carattere iconico (quelle che, come abbiamo già visto, dovevano suscitare le maggiori difficoltà negli esponenti della gerarchia ecclesiastica).

I Padri Cappadoci, dunque, ammettevano senza ombra di dubbio le immagini. Ma quale era la portata della loro accettazione? Le tolleravano come una debolezza necessaria ai fedeli più semplici, uno strumento che poteva risultare utile per istruire gli ignoranti?

È vero che Gregorio definisce più volte la pittura come una γξαθὴ ζησπῶζα, una scrittura che, pur rimanendo silenziosa, parla sulla parete, e che, in quanto tale, giova sommamente agli spettatori. Tuttavia, con questo egli non intende affidare all‟arte semplicemente il compito di tradurre visivamente il contenuto del testo, in modo che possa risultare leggibile anche agli occhi degli incolti.

Si può osservare che nelle omelie di Basilio e Gregorio non sono mai menzionati esplicitamente gli analfabeti come destinatari delle immagini. I Padri non prendono le distanze dall‟uditorio, ma, parlando in prima persona, pongono se stessi nel novero degli spettatori che possono ricavare grandi benefici dalla contemplazione delle immagini. E in tale contemplazione l‟aspetto preponderante è costituito non dall‟apprendimento di nozioni sulla storia sacra e sulle vite dei santi, bensì dalla fortissima emozione che l‟osservatore prova difronte all‟immagine. Gregorio di Nissa, come abbiamo già ricordato, dice di aver pianto più volte davanti alle rappresentazioni del sacrificio di Isacco. Questo intenso coinvolgimento emotivo mette il fruitore in diretto rapporto con il personaggio raffigurato, ne fa sentire viva la presenza e può quindi stimolare ad una profonda modificazione della condotta di vita del fedele. Si può ricordare il celebre carme nel quale Gregorio Nazianzeno narra la vicenda di una prostituta vivamente toccata dalla vista dell‟immagine del virtuoso Polemone:

281 Gregorio di Nissa, De sancto Theodoro: Gregorii Nysseni Sermones, Pars II, ed. ediderunt G. Heil, J. P. Cavarnos, O. Lendle, Leiden, New York, Köln, 1990 (Gregorii Nysseni Opera X.1), pp. 62. 25-63.14; A. Quacquarelli, "L‟antropologia del martire nel panegirico del Nisseno a S. Teodoro di Amasea", in Retorica e Iconologia, a cura di A. Quacquarelli e M. Girardi, Bari, 1972 (Quaderni di Vetera Christianorum, 17), p. 172

111

Un giovane dissoluto mandò a chiamare una prostituta, che era venuta, dicono, vicino alla porta sopra alla quale sporgeva Polemone, ritratto in immagine, e, non appena vide quest'ultima - era infatti oggetto di venerazione - , subito se ne andò, vinta da quella vista, vergognandosi davanti a colui che era dipinto come se fosse vivo282.

Questa forte sottolineatura dell‟emozione, che, come avremo modo di vedere, si ritrova anche in altri autori della seconda metà del IV secolo e riguarda in modo particolare le immagini dei santi283, è qualcosa che va già al di là della funzione didattica, almeno se questa viene intesa nel senso stretto e un poco deteriore di mera trasposizione visiva di contenuti verbali.

La partecipazione emotiva del fruitore permette l‟instaurazione di un rapporto empatico, intimo con il rappresentato, e in qualche modo anticipa dinamiche della contemplazione dell‟immagine che saranno proprie dei successivi sviluppi del culto delle icone cristiane. Un‟attenzione molto profonda per il ruolo dello spettatore si riscontra anche nel modo in cui i Cappadoci guardano alle manifestazioni artistiche di carattere profano.

Si può notare come sia molto raro che parlino in modo esplicito e definito dell‟iconografia o dello stile delle immagini.Questo non perchè non fossero in grado di leggere la realtà artistica del loro tempo. Alcuni versi di Gregorio Nazianzeno mostrano, ad esempio, come egli avesse colto l‟affacciarsi di una configurazione stilistica più astratta, alla quale continuava a preferire, anche per retaggio della sua formazione culturale classica, l‟illusionismo di matrice classico-ellenistica:

È un pittore eccellente quello che sulle tavole dipinge figure veritiere, esseri che vivono e respirano, non colui che, avendo mischiato temerariamente molti colori e belli a vedersi, rappresenta sulle tavole un prato dipinto284.

Sempre il Nazianzeno, nell‟Oratio IV contro Giuliano l‟Apostata, evoca un ricco repertorio di di immagini imperiali:

In questi ritratti alcuni imperatori amano farsi raffigurare in un modo, altri in un altro. Alcuni amano far rappresentare le città più splendide che portano loro dei doni, altri delle Vittorie che incoronano il loro capo, altri ancora dei notabili che si inchinano e vengono onorati con le insegne delle cariche che ricoprono. Ci sono quelli che amano far rappresentare scene di caccia e gare di abilità nell’arco e descrizioni varie di barbari sottomessi e gettati ai piedi del vincitore o uccisi.

282 Gregorio Nazianzeno, Carmina moralia, X, De virtute. Cfr. Antologia, cit. n. 144. 283 Cfr. paragrafo 4.4.

284 Gregorio di Nazianzo, Carmina de se ipso, XVII, Sui diversi modi di vivere e contro i falsi sacerdoti: cfr. Antologia, n. 69.

112

Amano infatti non solo la realtà delle imprese compiute, della quale si inorgogliscono, ma anche la rappresentazione di essa285.

I soggetti menzionati da Gregorio trovano ampio riscontro nell‟arte imperiale dei secoli IV-V. Facciamo solo qualche esempio al riguardo. Per quanto concerne la rappresentazione di figure imperiali assieme a personificazioni di città, possiamo ricordare: due solidi con Costanzo e la personificazione di Costantinopoli, emessi nel 355 a Nicomedia e Antiochia e conservati al British Museum286; il medaglione aureo di Arras, battuto dalla zecca di Treviri nel 296 d.C., nel quale la personificazione di Londra porge il benvenuto a Costanzo Cloro287; o, ancora, il dittico di Haberstadt (417), nel quale il futuro imperatore Costanzo III è ritratto nell'atto di sovrastare dei sudditi barbari, mentre nel registro superiore i due imperatori di Occidente e d‟Oriente, Onorio e Teodosio II, sono accompagnati dalle personificazioni di Roma e di Costantinopoli288:

Fig. 56, Haberstadt, Dittico di Costanzo III

285 Gregorio Nazianzeno, Oratio IV, Contra Iulianum Imperatorem I, IV, 17, 80, in Antologia, cit. n. 95.

286 J. Beckwith, The art of Constantinople: 330-1453, London ; New York, 1961, trad. it. L‘arte di

Costantinopoli. Introduzione all‘arte bizantina (330-1453), a cura di M. P. Galantino, Torino, 1967, pp. 14-15 e figg. 5-8.

287 S. Mac Cormack, Arte e cerimoniale, cit., fig. 10; R. Rees, Diocletian and the Tetrarchy, Edinburgh, 2004, pp. 48-49.

288

Ibid., fig. 62; A. Cameron, Consular diptychs in their social context: new eastern evidence, in «Journal of Roman Archaeology», vol. 11, 1998, pp. 385-403; J. Engemann, Das spätantike Consulardiptychon in Halberstadt: westlich oder östlich?, «Jahrbuch für Antike und Christentum » 42, 1999, pp. 158-168; A. Cutler, "Il linguaggio visivo dei dittici eburnei: forma, funzione, produzione, ricezione", in Eburnea diptycha: i dittici d'avorio tra antichità e medioevo, a cura di M. David, Bari, 2007, pp. 131-161, in particolare p. 136.

113

Un piatto argenteo decorato a niello e parzialmente dorato rinvenuto a Kerch, in Crimea, e conservato all‟Hermitage, mostra Costanzo II a cavallo fra un soldato e una vittoria alata in procinto di incoronarlo289:

Fig. 57, San Pietroburgo, Hermitage, Missorium argenteo di Costanzo II proveniente da Kerch

Sul lato nord-ovest della base dell‟obelisco di Teodosio a Costantinopoli Teodosio I, Valentiniano II e Onorio siedono nel kathisma imperiale, fiancheggiati da dignitari e guardie, mentre nel registro inferiore barbari, persiani e daci, inginocchiati, offrono tributi290:

289

D. E. Strong, Greek and roman gold and silver plate, London, 1966, pl. 63; J. Beckwith, L‘arte di Costantinopoli, cit., p. 10 e fig. 16; R. E. Leader-Newby , Silver and society in late antiquity : functions and meanings of silver plate in the fourth to seventh centuries, Aldershot, 2004, p. 36.

290 S. Mac Cormack, Arte e cerimoniale, cit., fig. 22; E. Concina, Le arti di Bisanzio : secoli VI-XV, Milano,

Nel documento I Padri della Chiesa e le immagini (pagine 125-135)