Capitolo II- L’immagine cristiana tra accettazione e diffidenza Da Costantino al V secolo.
2.1 La testimonianza di Eusebio di Cesarea
Nel IV secolo le attestazioni delle fonti riguardo alle immagini cristiane si fanno più ricche e articolate, documentando la contemporanea diffusione dell‟arte cristiana e anche il progredire della riflessione su di essa, anche se l‟atteggiamento dei Padri al riguardo non sempre risulta desumibile con chiarezza, almeno a prima vista: il problema continua a non essere affrontato in maniera organica e le testimonianze possono risultare contrastanti e contraddittorie. Emblematico è il caso di Eusebio di Cesarea, figura di spicco nella prima metà del IV secolo (vescovo di Cesarea di Palestina, figura strettamente legata alla corte di Costantino, autore di monumentali opere storiche, teologiche ed apologetiche). Nella successiva storia della questione dell‟immagine, grazie soprattutto all‟uso che gli iconoclasti faranno della lettera a Costantina, la figura di Eusebio diverrà un punto di riferimento per gli oppositori delle immagini. Secondo Florovskij, Eusebio è anello di congiunzione in una linea di pensiero iconofobo che va da Origene all‟iconoclasmo bizantino237. In realtà la posizione del vescovo di Cesarea sembra essere più complessa e non univocamente definibile nell‟ottica di una opposizione categorica e senza appello alle immagini cristiane.
Alcuni luoghi della sua opera sembrano documentare un‟accettazione senza particolari problemi almeno di alune categorie.
Nella Vita di Costantino egli menziona, senza la minima implicazione negativa, le immagini del Buon Pastore e di Daniele nella fossa dei leoni fatte porre da Costantino sulle fontane delle pubbliche piazze di Costantinopoli:
Si possono vedere al centro delle fontane poste sulle pubbliche piazze immagini del Buon Pastore, note a coloro che hanno consuetudine con le Sacre Scritture, e di Daniele fra i leoni, fatto in bronzo e reso splendente con una foglia d’oro238.
Certo in questo caso l‟intento celebrativo nei confronti della figura dell‟imperatore può avere avuto un peso, tuttavia, a mio parere, non sarebbe stato sufficiente a vincere l‟ostilità verso le immagini cristiane, se Eusebio avesse avuto posizioni rigidamente iconofobe239.
237 G. Florovsky, Origen, Eusebius, and the Iconoclastic Controversy, in «Church History» 19, 1950, pp. 77-96 238 Eusebio di Cesarea, De vita Constantini, III, 49. Testo greco in H. G. Thummel, Die Frühgeschichte, cit., pp. 286-287.
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Possiamo notare che si tratta di immagini che evitano di rappresentare direttamente i personaggi divini: il Buon Pastore è una figura simbolica, Daniele nella fossa dei leoni è un soggetto dell‟Antico Testamento: in quanto tali, queste rappresentazioni potevano risultare più lontane dal pericolo dell‟idolatria e più facili da accettare rispetto alle immagini di Cristo, della Vergine, dei santi.
Altre testimonianze di un‟attitudine non categoricamente negativa nei confronti delle immagini si hanno laddove Eusebio parla del gruppo scultoreo fatto costruire a Panea, la Cesarea di Filippi dei Vangeli, dall‟emorroissa, la donna affetta da emorrargia e guarita per aver toccato da dietro un lembo del manto di Gesù. In un frammento del Commentario sul
Vangelo di Luca, Eusebio afferma:
Per quanto mi riguarda, non ritengo giusto omettere una storia degna di essere ricordata da quelli che verranno dopo di noi. Infatti la donna malata di emorrargia era di Panea, così dice la gente. In città indicano la sua casa e ci sono ancora degli ammirevoli monumenti della benevolenza del Salvatore verso di lei. Su una pietra innalzata davanti alle porte della sua casa è stata collocata la statua in bronzo di una donna. La donna è in ginocchio (è piegata su un ginocchio), con le mani sollevate verso l’alto: guarda qualcuno per chiedere una grazia. Davanti a lei c’è un’altra immagine nello stesso materiale, che rappresenta un uomo in piedi, che indossa con proprietà un mantello e stende la sua mano verso la donna. Ai suoi piedi, sulla stele, sembra che stia crescendo una strana pianta, che arriva fino all’orlo del mantello di bronzo. È un antidoto contro ogni sorta di malattia. La gente dice che questa statua riproduceva le fattezze di Gesù e che Massimino accrebbe la sua empietà distruggendola. Questo è tutto quello che si può dire al riguardo. Lasciatemi ora passare al soggetto seguente240.
Nell‟Historia Ecclesiastica si legge:
Si diceva che fosse originaria di Panea la donna malata di emorrargia che, come abbiamo appreso dai santi Vangeli, ottenne dal Salvatore la liberazione dalla sua sofferenza, e in città si mostrava la sua casa e rimanevano ancora ammirevoli monumenti della benevolenza del Signore verso di lei . Davanti alle porte della sua casa, su di un'alta pietra, stava infatti l'effigie in bronzo di una donna, inginocchiata e con le mani protese in avanti, in atteggiamento di supplica; davanti a questa scultura ce n'era un'altra, raffigurante un uomo in piedi, che, avvolto elegantemente in un mantello, tendeva la mano alla donna; ai suoi piedi, sul monumento stesso, cresceva una strana specie di erba, che arrivava fino al bordo del mantello di bronzo ed era un antidoto per ogni genere di malattie. Si diceva che questa statua rappresentasse l'immagine di Gesù, ed essa è esistita fino ai
239 E. Bevan, Holy Images, London, 1940, ipotizzò che Eusebio in questo passo si fosse lasciato trascinare dalla sua ammirazione per Costantino, dimenticando le sue reali attitudini iconofobe. Tuttavia, a mio parere, Eusebio non avrebbe avuto del resto bisogno di questa notizia per esaltare la munificenza di Costantino, già testimoniata dalla menzione delle statue antiche fatte portare da ogni parte dell‟impero e dalla descrizione degli edifici ecclesiastici fatti realizzare dal sovrano a Costantinopoli, Antiochia, Gerusalemme. In tali ekphraseis non sono presenti riferimenti a immagini di soggetto cristiano, anche se questo aspetto di per se non basta a concludere che la decorazione di questi edifici fosse completamente aniconica, giacchè è una caratteristica ampiamente condivisa nelle ekphraseis di edifici in età tardo antica e paleocristiana quella di sottolineare particolarmente la preziosità dei materiali e il ruolo della luce senza prestare attenzione alle decorazioni figurative.
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giorni nostri, cosicchè noi stessi l'abbiamo vista con i nostri occhi, quando ci siamo recati in quella città. E non c'è affatto da meravigliarsi se i pagani di un tempo, avendo ricevuto da Lui dei benefici, hanno fatto queste cose per il nostro Salvatore, poiché abbiamo appreso che sono state conservate per mezzo dei colori, in pitture, le immagini sia dei suoi apostoli Pietro e Paolo che dello stesso Cristo, com'è naturale, poiché gli antichi avevano tale costume di onorarli sconsideratamente come salvatori, secondo l'usanza pagana che esisteva presso di loro241.
Eusebio dichiara di aver visto personalmente il monumento attribuito alla committenza dell‟emorroissa durante una visita a Cesarea di Filippi (che non va confusa con la Cesarea di Palestina della quale era arcivescovo), e la sua accurata descrizione sembrerebbe confermarlo. In ambedue le testimonianze, accingendosi a descrivere l‟opera, parla di “ammirevoli monumenti della benevolenza del Signore”. Nel Commentario su Luca non esprime alcuna nota di biasimo al riguardo, mentre nell‟ Historia Ecclesiastica attribuisce l‟opera a dei pagani che hanno onorato il Cristo come sono soliti fare con i loro soteres; non esprime tuttavia un giudizio di condanna particolarmente duro; sembrano suscitare in lui maggiore sdegno le immagini dipinte di Pietro e di Paolo, per le quali afferma in modo più forte la connessione con la tradizione pagana242. Si può osservare che i poteri taumaturgici attribuiti alla statua di Cristo e il particolare dell‟erba miracolosa sorta ai suoi piedi ricordano molto da vicino il passo di Atenagora sulla statua di Nerillino243, ed è probabile che non solo nella funzione, ma anche visivamente l‟immagine di Panea risultasse molto simile a quella delle divinità e degli andres theioi venerati dai pagani, in modo analogo a quanto si nota, ad esempio, nelle lastre policrome del Museo Nazionale Romano, dove Cristo assume le fattezze di Asclepio244.
241 Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica, VII, 18, cfr. Antologia, cit. 155. 242
Cfr. paragrafo 1.3. 243 Cfr. paragrafo 1.1.3 b.
244 Sulle lastre policrome del Museo Nazionale Romano cfr. E. Dinkler, Christus und Asklepios : Zum
Christustypus der polychromen Platten im Museo Nazionale Romano, Heidelberg, 1980; F. Bisconti, "Le lastre policrome del Museo Nazionale Romano : immagini di salvezza e guarigione", in Salute e guarigione nella tarda antichità : atti della giornata tematica dei Seminari di Archeologia Cristiana, (Roma, 20 maggio 2004), a cura di H. Brandenburg, Città del Vaticano, 2007, pp. 93-106, con bibliografia precedente. Sull‟importanza delle scene dei miracoli nell‟arte paleocristiana e sull‟esaltazione dei poteri taumaturgici di Cristo, cfr. anche: D. Knipp. Christus Medicus' in der frühchristlichen Sarkophagskulptur : ikonographische Studien zur Sepulkralkunst des späten vierten Jahrhunderts, Leiden ; Boston ; Köln, 1998; T. F. Mathews, Scontro di dèi, cit., pp. 35-50.
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Fig. 52 - Lastra policroma con miracoli cristologici, Roma, Museo Nazionale Romano
Non restano testimonianze archeologiche riguardo al monumento di Panea; tuttavia il miracolo dell‟emorroissa era un tema che godeva di una certa fortuna nell‟arte paleocristiana, in quanto immagine emblematica della fede nel potere taumaturgico di Gesù. In genere veniva rappresentato il momento saliente della vicenda, quello in cui la donna, inginocchiata, toccava il manto del Signore. Si può ricordare, ad esempio, la rappresentazione nella Catacomba dei SS. Pietro e Marcellino245:
245 Per la pittura della catacomba dei SS. Pietro e Marcellino, cfr.: A. Nestori, Repertorio topografico, cit., p. 60, n. 65; J. G. Deckers et al., Die Katakombe "Santi Marcellino e Pietro" : Repertorium der Malereien, Münster, 1987, pp. 312-318; C. Corneli, "Tre scene di miracoli nel cubicolo 65 detto di Nicerus", in M. Andaloro, L‘orizzonte tardo antico e le nuove immagini. La pittura medievale a Roma (312-1431), Corpus, vol. I, Milano, 2006, pp.138-142, in particolare p. 142. In SS. Pietro e Marcellino, cfr. anche: A. Nestori, Repertorio topografico, cit., p. 52 n.17, p. 53 n.28, p. 60 n.64, p. 62 n. 71. Il tema è attestato anche in una pittura della catacomba di Prestato (A. Nestori, Repertorio topografico, cit., p. 91 n.3), sulla quale sono stati tuttavia avanzati dubbi interpretativi. La guarigione dell‟emorroissa è attestata anche su una serie di sarcofagi e su alcuni manufatti preziosi, fra i quali la Lipsanoteca di Brescia. Cfr: M. Perraymond, "Il miracolo dell‟emorroissa nell‟arte paleocristiana", in Sangue e Antropologia, Riti e culto, Roma, 1984; Ead., L‘emorroissa e la cananea nell‘arte paleocristiana, in «Bessarione» 5, 1986; Ead., "Emorroissa", ad vocem, in Temi di iconografia paleocristiana, cit, pp. 171-173.
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Fig. 53, Catacomba dei Santi Marcellino e Pietro, cubicolo di Nicerus, Guarigione dell‟emorroissa
Nella Demonstratio Evangelica Eusebio fa riferimento ad una rappresentazione dei tre angeli che visitarono Abramo alla quercia di Mamre, collocata nel luogo dell‟incontro:
Perciò ancora ora il luogo è venerato come divino dai popoli vicini, in onore di coloro che proprio qui si manifestarono ad Abramo, e si vede il terebinto, che si è conservato fino ad oggi. Coloro che sono stati ospiti di Abramo sono infatti mostrati su una pittura, due ai lati, mentre in mezzo è il migliore che è superiore per onore. Potrebbe essere lo stesso Signore che si è mostrato a noi, il nostro Salvatore, che venerano anche coloro che non lo conoscono, prestando fede alle parole divine246.
Il vescovo di Cesarea non esprime alcun biasimo riguardo a quest‟immagine, come farà invece più tardi il Crisostomo, ritenendola opera dei pagani della Palestina. Osserva invece che l‟angelo centrale sorpassa gli altri due nell‟onore e che quindi è da interpretare come rappresentazione del Signore e Salvatore. L‟apparizione ad Abramo dei tre angeli nella valle di Mambre nei secoli successivi sarà generalmente considerata una rappresentazione in forma simbolica della Trinità; tuttavia, nei dibattiti teologici del IV secolo, è attestata anche un‟altra
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interpretazione, secondo la quale fu il Logos, seconda persona della Trinità, a mostrarsi al patriarca, accompagnato da due angeli. Una manifestazione in forma visibile, qualsivoglia ella fosse, era infatti ritenuta inconcepibile per Dio Padre247. In una pittura della catacomba di Via Latina i tre angeli sono rappresentati in modo del tutto omogeneo, senza che alcun particolare rilievo sia attribuito alla figura centrale248:
Fig. 54, Roma, Catacomba di Via Latina, Abramo e i tre angeli
Un secolo più tardi, in un pannello del ciclo musivo di Santa Maria Maggiore, la figura centrale è circondata da una mandorla di luce249:
247 Sull‟interpretazione delle teofanie veterotestamentarie in ambito ortodosso e ariano, cfr. M. Simonetti, La
crisi ariana nel IV secolo, Roma, Istituto Patristico Augustinianum, 1975, pp...Sul problema della rappresentazione della Trinità nel contesto dei dibattiti teologici fra ortodossi e ariani si tornerà nel paragrafo 4.1.
248 A. Ferrua, Le pitture della nuova catacomba di Via Latina, Città del Vaticano, 1960, fig. 24; Id., La polemica
antiariana nei monumenti paleocristiani, Città del Vaticano, 1991, pp.
249 M. R. Menna, " I mosaici della Basilica di Santa Maria Maggiore", in M. Andaloro, L‘orizzonte tardo antico
e le nuove immagini, cit., pp. 306-346, con bibliografia precedente. In particolare "Storie dei patriarchi nella navata centrale", pp. 312-314. Il pannello è articolato in due registri: il superiore contiene l‟apparizione dei tre angeli ad Abramo (Gn 18, 1-5), mentre nell‟inferiore è rappresentata l‟Ospitalità di Abramo (Gn 18, 6-8).
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Fig. 55, Roma, Santa Maria Maggiore, navata centrale, mosaico, Abramo e i tre angeli
In base alle testimonianze viste fin qui non si può dire che Eusebio abbia avuto un atteggiamento di rifiuto nei confronti delle immagini. Un‟attitudine fortemente iconofoba sembra tuttavia emergere dalla Lettera a Costantina250. Essa costituisce un testo problematico,
sulla cui autenticità sono stati avanzati dei dubbi, per la precocità con cui sembra anticipare argomentazioni che sono tipiche della successiva controversia intorno alle immagini sacre e per il fatto che essa non ci è giunta in tradizione autonoma, ma solo attraverso il canale di trasmissione della letteratura di età iconoclasta251. Ampi estratti si trovano nell‟Horos del Concilio di Hieria (754), letto e confutato durante la sesta sessione del concilio Niceno II (787); una versione più ampia di quella degli atti niceni, benchè con alcune lacune, si trova nell‟ Ἀληίξξεζηο θαὶ ἀλαζθεπὴ ηῶλ Ἐπζεβίνπ θαὶ Ἐπηθαλίδνπ ιόγσλ ηῶλ θαηὰ ηᾛο ηνῦ Σσηᾛξνο ἡκσλ Χξηζηνῦ ζαξθώζεσο ιεξσδεζέλησλ di Niceforo, opera che il patriarca iconofilo di Costantinopoli dedicò alla confutazione degli scritti iconofobi di Eusebio e di Epifanio252.
250
Cfr. Antologia, cit., n. 157.
251 Cfr. C. Sode, P. Speck, Ikonoklasmus vor der Zeit? Der Brief des Eusebios von Kaisareia an Kaiserin
Konstantia, in «Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik», 54, 2004, pp. 113–134.
252 La versione conservata nell‟Anthirresis di Niceforo deve costituire la gran parte del testo originale, nonostante alcune lacune, alcune intenzionalmente volute da Niceforo, altre evidentemente già presenti nella
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Vi sono tuttavia delle argomentazioni importanti a sostegno dell‟autenticità. Un accurato studio di Gero ha mostrato come il contenuto e lo stile della lettera si accordino bene con quanto si conosce del pensiero e della produzione letteraria di Eusebio253. L‟argomento cristologico centrale, e cioè che, per quanto l‟Incarnazione sia stata importante e reale, il corpo umano di Cristo è stato assorbito e trasformato dalla divinità, è tipicamente eusebiano, come anche il motivo della venuta del Logos per liberare il genere umano dall‟errore provocato dal demonio. Peraltro si tratta di posizioni molto comuni nella cristologia di stampo ariano del IV secolo254. Anche il lessico e lo stile non contraddicono quanto si conosce dell‟opera del vescovo di Cesarea: si ritrovano alcune tratti stilistici tipici di Eusebio, del quale è caratteristica anche la definizione di Cristo come “Logos di Dio” e “Dio Logos”255. Il fatto che Niceforo sia in grado di citare stralci più ampi rispetto a quelli prodotti nell‟Horos di Hieria e quindi negli Atti del Concilio Niceno II potrebbe attestare, come fa notare Thummel, un canale di tradizione indipendente e forse anche l‟accesso al testo originale da parte del patriarca256. Un altro elemento che va a favore dell‟autenticità della lettera è la presenza, nell‟intitolatura riportata nella confutazione del Concilio Niceno II, dell‟appellativo di “moglie di Licinio”: Licinio era un pagano e i padri niceni, che miravano a presentare la principessa come animata dal legittimo desiderio di possedere l‟immagine di Cristo, non avevano alcun interesse a ricordare questo dettaglio, a meno che esso non facesse parte della versione originale: il fatto che nell‟Horos Costantina sia indicata solo come "Augusta" e nella tradizione. È evidente comunque l‟intenzione del patriarca di restituire un testo più ampio di quello degli Atti Niceni e di confutarlo nella sua globalità. Larghi estratti si trovano anche in un‟altra opera di Niceforo, la Refutatio et Eversio Definitionis Synodalis anni 815, e nei manoscritti Paris. Gr. 1250 e Coisl. 693, ma non aggiungono nulla a quanto già si conosce dall‟Anthirresis. La confutazione di Niceforo è inoltre citata nella Storia Bizantina e negli Anthirretika di Niceforo Gregora. Le vicende di tradizione della Lettera sono riferite sinteticamente in H. G. Thummel, Eusebios'Brief an Kaiserin Konstantia, in «Klio», vol. 66, no1, 1984, pp. 210-222, in particolare pp. 210-211. Per l'Anthirresis di Niceforo, cfr. paragrafo 3.8.
253 S. Gero, The true image of Christ: Eusebius letter to Costantia reconsidered, in «Journal of Theological Studies», 32, 1981, pp. 460-470. Le conclusioni di Gero sono condivise anche da C. Schönborn, Die Christus Ikone. Eine theologische Hinführung, Friburgo, 1976, trad. it. L‘icona di Cristo. Fondamenti teologici, Cinisello Balsamo, 1988, II ed. 2003, pp. 57-77. Sulla teologia iconofoba di Eusebio, si vedano anche: S. Gero, Byzantine Iconoclasm during the Reign of Costantinus V with particular attention to the Oriental Sources, Louvain, 1977; V. Fazzo, L‘iconologia cristiana da Eusebio a Giovanni Damasceno, in Il Concilio Niceno II e il culto delle immagini, a cura di S.Leanza, Convegno di Studi per il XII centenario del Concilio Niceno II, (Messina, Settembre 1987), Messina, 1994, pp. 47-69
254 S. Gero, The true image of Christ, cit., pp. 466-467. Sulla cristologia del IV secolo, cfr. anche A. Grillmeier, Christ in Christian Tradition, I, 2 ed., Atlanta, 1975, p. 183. La concordanza fra il tema centrale della lettera e la cristologia di Eusebio è stata riconosciuta anche da H. von Campenhausen, The Theological Problem of Images in the Early Church, in «Tradition and Life in the Church», Philadelphia, 1968, pp. 171-200.
255 S. Gero, The true image of Christ, cit., pp. 468-469. Fra gli aspetti stilistici tipici di Eusebio, Gero ricorda: il frequente uso di domande retoriche e di sinonimi; l‟interposizione del verbo fra il nome e gli aggettivi e pronomi che gli sono legati; nel lessico, la presenza di alcuni hapax legomena eusebiani e l‟assenza di alcunchè di veramente estraneo ad Eusebio.
256 Secondo , C. Sode, P. Speck, Ikonoklasmus vor der Zeit?, cit., pp. 113–134.tali brani sono interpolazioni; tuttavia non sembra che ci siano particolari ragioni per sostenerlo.
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confutazione come "Augusta e moglie di Licinio" potrebbe indicare che i padri conciliari avevano controllato il testo per l‟occasione.
Proprio sulla scorta di questo appellativo Harnack propose una datazione della lettera a un periodo compreso fra il 313 e il 324, anno della morte di Licinio, e dopo il quale Costantina, nei documenti e nella monetazione, perse il titolo di "Augusta" per assumere quello di "mulier nobilissima et soror Constantini"257. Thummel ha proposto di stringere ulteriormente il campo ad un periodo compreso fra il 313 e il 314 e di poco posteriore all‟Editto di Milano. Osserva infatti che Licinio risiedeva a Nicomedia e aveva stretti rapporti con gli ariani e il loro vescovo Eusebio (da non confondersi con il nostro). Perchè dunque Costantina non rivolse la sua richiesta ad Eusebio di Nicomedia, ma al più lontano presule di Cesarea? Verosimilmente perchè l‟ariano non occupava ancora la sede episcopale di Nicomedia (questo avvenne nel 318) e la stessa principessa non aveva molti contatti in campo cristiano, essendosi convertita da poco alla nuova fede258.
Mi sembrano convicenti le argomentazioni offerte dagli studiosi a sostegno dell‟autenticità della lettera. Personalmente l‟aspetto che trovo più problematico è quello della precoce connessione fra il tema dell‟immagine e il dibattito cristologico, prima della definizione del dogma delle due nature di Cristo, messa a punto nel V secolo, con i concili di Efeso (431) e Calcedonia (451). Tuttavia, come si vedrà successivamente, mi sembra che ci siano indizi per affermare un collegamento con il dibattito cristologico e il tema dell‟Incarnazione già nel corso del IV secolo259.
Ammettendo dunque l‟autenticità, come si spiega la contraddizione che emerge fra il rifiuto categorico dell‟immagine di Cristo che emerge nella Lettera a Costantina e le posizioni più
257 A. Harnack, Geschichte der altchristlichen Literatur bis Eusebius, Teil II, Bd. 2, Leipzig, 1958, p. 127. Secondo S. Gero, The true image of Christ, cit., p. 464, la questione non è stata sciolta del tutto e non si può