Abbiamo visto le argomentazioni teoriche della polemica antidolatrica e le fonti a cui i Padri hanno attinto. Le immagini pagane, tuttavia, per i cristiani dei primi secoli non costituivano solo una questione letteraria, bensì un problema drammatico e scottante con il quale si era obbligati a confrontarsi continuamente. In un panorama religioso caratterizzato dalla diffusione delle correnti misteriche e orientali e dallo sviluppo di sincretistiche commistioni dei culti più diversi, accanto al permanere della religione tradizionale28, le immagini pagane proliferavano e permeavano capillarmente ogni aspetto della vita quotidiana , costituendo un ampio e pericoloso apparato di divinità concorrenti, che potevano distogliere il cristiano dal culto del vero Dio, grazie alla loro forza di seduzione e al loro radicamento nella cultura alta come nelle tradizioni popolari. Nei padri della chiesa si possono trovare, oltre ai brani di sapore letterario di cui si è detto, anche delle osservazioni che permettono di gettare uno sguardo più concreto sull'arte religiosa pagana della tarda antichità. In alcuni esempi si fa riferimento a quelli che erano i principali oggetti del culto pubblico: le statue delle divinità
27 Contra Celsum VII, 66,: Contro Celso / di Origene, a cura di P. Ressa, cit., pp. 649-650.
28 La bibliografia sulla diffusione dei culti misterici nell'impero romano è vastissima. Ci si limita qui ad alcune indicazioni fondamentali: La soteriologia dei culti orientali nell'Impero romano : atti del Colloquio internazionale Roma, 1979, Leiden, 1982 Die Orientalischen Religionen im Romerreich, herausgegeben von Maarten J. Vermaseren, Leidenl, 1981; F. Cumont, Le religioni orientali nel paganesimo romano, prefazione di Renato Del Ponte, Roma, 1990; R. Turcan, Cultes Orientaux dans le monde Romain, trad. ingl. The cults of Roman Empire, translated by Antonia Nevill, Oxford,; Cambridge, MA, 1996; Le religioni dei misteri, Fondazione Lorenzo Valla, a cura di Paolo Scarpi, Milano, 2002; G. Sfameni Gasparro, Misteri e teologie : per la storia dei culti mistici e misterici nel mondo antico, Cosenza, 2003; M. B. Cosmopoulos, Greek mysteries : the archaeology and ritual of ancient Greek secret cults, London ; New York, 2003; L. Bianchi, Roma archeologica : guida alle antichità della città eterna, 21, I culti orientali a Roma, Roma, 2004.
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pagane. Il bersaglio principale della polemica dei padri alessandrini Origene e Clemente sembra essere in particolare Serapide, il dio introdotto, secondo la tradizione, da Tolomeo I Soter (367 a.C. ca. – 283 a.C.), e che fondeva i tratti di dèi del pantheon greco romano come Zeus e Ade con quelli delle divinità egiziane Osiride e Api29.
Origene, nel Contra Celsum, definisce Serapide opera di scultori, maghi, stregoni e demoni:
In questo modo sembra che (Serapide) sia stato rappresentato come dio per mezzo di riti di iniziazione empi e pratiche magiche che evocano i demoni non solo da parte di scultori, ma anche da parte di maghi, di stregoni e di demoni incantati dai loro stessi incantesimi30.
Parlando degli scultori utilizza il termine ἀγαικαηνπνηῶλ e sembra pertanto rivolgersi dunque in modo specifico contro gli ἀγαικαηα, le statue che venivano fatte oggetto di venerazione e culto31.
Clemente parla della statua (ἀγαικα) di Serapide nel capitolo IV del Protrettico: afferma che essa è particolarmente venerata da tutti e ritenuta ἀρεηξνπνίεηνλ, non fatta da mano umana32. Riferisce inoltre un aneddoto sulla sua origine, attribuendola a Bryaxis, omonimo di un più noto artista ateniese, e narrando il procedimento della sua creazione33:
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Sulla diffusione del culto di Serapide nel mondo ellenistico e romano, sull'iconografia del dio e sui monumenti a lui dedicati, si vedano: J. E. Stambaugh, Sarapis under the early Ptolomies, Leiden, 1972; G. J. F. Kater- Sibbes, Preliminary catalogue of Sarapis monuments, Leiden, 1973, V. Tam Tinh Tran, Sérapis debout : corpus des monuments de Sérapis debout et étude iconographique, Leiden, 1983; L. Castiglione, "Sarapis-Gesichter : Ein Versuch, die Ikonographie des Gottes zu vermehren", in Alessandria e il mondo ellenistico-romano : studi in onore di Achille Adriani / a cura di Nicola Bonacasa e Antonino di Vita, Roma, 1983-84, pp. 139-145; R. Merkelbach, Isis regina - Zeus Sarapis : die griechisch-ägyptische Religion nach den Quellen dargestellt, Stuttgart, Leipzig, 1995; S. A. Takács, Isis and Sarapis in the Roman world, Leiden ; New York ; Köln, 1995. 30
Origene, Contra Celsum, V, 38, 12-15: cfr. Antologia, cit. n. 3.
31 Per il significato specifico di ἀγαικα, solitamente usato in riferimento a statue rappresentanti divinità e fatte oggetto di venerazione e culto, e più in generale sui diversi termini usati per indicare immagini e statue, non solo degli dèi, è fondamentale lo studio di Daut: R. Daut, Imago : Untersuchungen zum Bildbegriff der Römer, Heidelberg, 1975. Si vedano anche: A. A. Donohue, Xoana and the origins of Greek sculpture, Atlanta, 1988; P. Stewart, Statues in Roman society : representation and response, Oxford, 2003, pp. 140-148; A. A. Donohue, Greek sculpture and the problem of description, Cambridge, 2005.
32 Clemente Alessandrino, Protrepticus ad Graecos, IV, 48,1: Protrettico ai greci / Clemente Alessandrino ; introduzione, traduzione e note a cura di F. Migliore, Roma, 2004, p. 114. Il concetto di ἀρεηξνπνίεηνλ, non fatto da mano umana, che successivamente i cristiani riserveranno (a partire dal VI secolo d.C.) a una particolare categoria di immagini sacre, che si pretendevano create non dalla mano dell'artista, ma per impressione diretta del volto di Gesù (cfr. paragrafo 4.4), era in genere riferito, nell'antichità, alle immagini dette diipetes, cadute dal cielo. Si trattava, in origine, di "palladi" costituiti da blocchi appena sbozzati e ritenuti di origine meteroritica. Col tempo, tuttavia, l'aggettivo di "caduto dal cielo" venne applicato anche a statue antropomorfe perfettamente compiute, per sottolinearne la bellezza o lo status di immagini particolarmente venerate. E. von Dobschutz, Christusbilder; Untersuchungen zur christlichen Legende, editio minor, 1909, trad. it. Immagini di Cristo, a cura di G. Giuliano e G. Rossi, con prefazione di G. Lingua, Milano, 2006, pp. 28-42. Nel caso dell'immagine di Serapide, la credenza nella sua origine celeste è attestata da una leggenda riferita da Plutarco nel De Iside et Osiride, secondo la quale l'immagine era apparsa in sogno a Filadelfo Tolomeo, chiedendo di essere immediatamente trasferita. Il sovrano non sapeva di quale immagine si trattasse e dove si potesse trovare. Uno degli eruditi di corte capì tuttavia che si trattava di una colossale statua di Plutone a Sinope, la quale venne trasportata, con grandissima fatica, ad Alessandria, e lì spacciata per effigie di Serapide. Le testimonianze non concordano sulla provenienza della statua: alcune fanno riferimento a Sinope sul Ponto, altre alla Seleucia siriana. La statua doveva essere un dono di ringraziamento della città al re egizio per l'aiuto offerto durante una carestia. Cfr. E. von Dobschutz, Immagini di Cristo, cit., p. 34.
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Atenodoro, il figlio di Sandone, mentre voleva rappresentare come antica la statua di Serapide, inciampò non so come, scoprendo che quella era una statua fatta da uomini. Egli racconta che il re egiziano Sesotri, dopo aver soggiogato la maggior parte delle popolazioni presso i Greci, tornato in Egitto, attrasse a sè abili artisti, e proprio lui ordinò che fosse lavorata con sontuosità la statua del suo antenato Osiride; l'artista che la allestì fu Briaxis, non l'ateniese, ma un altro, omonimo di quel Bryaxis, il quale si è servito, per la realizzazione, di una materia mista e varia. Egli aveva infatti limatura d'oro, d'argento, di rame, di ferro, di piombo, inoltre anche di stagno; delle pietre egiziane non gliene mancava neppure una, frammenti di zaffiro, di ematite, di smeraldo e anche di topazio. Dunque, dopo aver triturato e mescolato insieme tutti questi elementi, li colorò di uno smalto turchino, grazie al quale il colore della statua è piuttosto scuro, e dopo avere impastato tutto con la tintura rimasta del funerale di Osiride e di Api, modellò la statua di Serapide, il nome del quale allude alla comunanza con il funerale e alla lavorazione con materiale che proviene dalla sepoltura, essendo Osirapide il composto di Osiride e Api.
Se il culto di Iside e Serapide era, nella tarda antichità, diffuso in tutto l'impero, l'Egitto ne restava ovviamente il cuore; non stupisce pertanto la profonda preoccupazione dei padri alessandrini, tenendo presente che in particolare ad Alessandria si trovava quello che fino alla sua distruzione, nel IV secolo d.C., sarebbe rimasto uno dei più importanti santuari del mondo pagano, vale a dire il serapeo, fondato da Tolomeo III Evergete (284 a.C. ca. – 221 a.C)34. In particolare la statua di cui parla Clemente sembra essere proprio quella del celebre tempio di Serapide. Opinioni divergenti sussistono riguardo alla datazione e all'originaria conformazione iconografica del tipo canonico di questa scultura, detto briassideo, dal nome di Briasside, l'artista al quale la notizia favolosa riportata da Clemente Alessandrino, che la deriva da Atenodoro di Copto, attribuisce la creazione dell'agalma del Dio35.
33 Clemente Alessandrino, Protrepticus ad Graecos, IV, 48, 4-6. Cfr. Antologia, cit. 4. Sulla leggendaria attribuzione a Briasside della statua del serapeo, cfr. W. Amelung, Le Sarapis de Bryaxis, «Revue archéologique», 4, ser. 2, 1903, II, 177 ss; G. Lippold, "Sarapis und Bryaxis", in Festschrift P. Arndt, 1925, 115 ss; A. Adriani, Alla ricerca di Briasside, «Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Memorie. Classe di scienze morali, storiche e filosofiche». Serie VIII. 1.10, Roma, 1948, pp. 436-442.
34 Sul serapeo alessandrino si veda M. Sabottka, Das Serapeum in Alexandria : Untersuchungen zur Architektur
und Baugeschichte des Heiligtums von der frühen ptolemäischen Zeit bis zur Zerstörung 391 n. Chr, Le Caire, 2008, con bibliografia precedente. Per la lotta contro il paganesimo nel IV secolo e in particolare riguardo alla distruzione del Serapeo e degli altri templi pagani di Alessandria, si vedano anche: J.Geffcken, Der Ausgang des griechisch-römischen Heidentums, Heidelberg, 1920, english translation The last days of Greco-Roman paganism Transl. by S. MacCormack, 1978; N. Q. King, The emperor Theodosius and the establishment of Christianity, London, 1961, un particolare pp. 78-82; G. Fowden, Bishops and temples in the Eastern Roman Empire A.D. 320-435, Oxford, 1978; R. MacMullen, Christianizing the Roman Empire(A.D. 100-400), New Haven, London, 1984, II ed. 1986; E. Clark, The Origenist Controversy, cit., p. 50 ss; R.MacMullen, Christianity and paganism in the fourth to eighth centuries, New Haven, London, 1997.
35 Hornbostel ritiene l'originaria statua di culto del serapeo risalente al 310 a.c., attribuendola al tempo di Tolomeo I Soter, che avrebbe fatto costruire per primo un tempio di Serapide. Si porrebbero però così varie questioni riguardo al passaggio della statua da questo tempio a quello fatto costruire da Tolomeo III Evergete, questioni a cui i resti attuali del serapeo non consentono di dare risposta. Horbostel la ritiene dell'Asia minore, ma secondo Adriani è impensabile un trasporto della statua dall'area microasiatica ed è senza fondamento la leggenda del trasferimento da Sinope, riferita da Plutarco nel De Iside et Osiride; la statua sarebbe stata prodotta in loco, contestualmente alla fondazione del santuario dell'Evergete . Sabottka non si pronuncia esplicitamente sulla questione, anche se sembra seguire la datazione di Horbostel. Cfr. W. Hornbostel, Sarapis : Studien zur Überlieferungsgeschichte, den Erscheinungsformen und Wandlungen der Gestalt eines Gottes, Leiden, 1973; A.
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L'aspetto dell'agalma del Serapeo in epoca imperiale è però tramandato molteplice serie di sculture risalenti al periodo romano e per lo più di provenienza egiziana36.
Fig. 1, Roma, Museo Pio Clementino, Busto di Serapide
Adriani, Repertorio d‘arte dell‘Egitto greco romano, ser. A I-II, 1961, n . 154 pp. 40-43, tav. 75, 249-51; M. Sabottka, Das Serapeum, cit., pp. 216-219.
Varie ipotesi sono state fatte anche riguardo all'iconografia della statua di Serapide. Ch. Picard ha visto in una testa con calathos di un erma di Memphis il tipo originario prodotto da Briasside, di carattere esotico ed egittizzante, mentre le statue di età romana e imperiale costituirebbero una versione ellenizzata del prototipo originale. Secondo Castiglione invece le versioni attualmente note di età romana e imperiale sarebbero una rielaborazione di età adrianea della statua di culto del santuario tolemaico; la nuova statua avrebbe reimpiegato parti dell'antica. Il tipo di questa ci sarebbe tramandato da una serie di immagini (monete, terracotte, sculture, gemme) caratterizzate specialmente dalla disposizione dei capelli non cadenti ancora a pioggia sulla fronte (come sarà nel Serapide “canonico”), ma ergentesi al sommo di essa, alla maniera lisippea. In generale lo avrebbe caratterizzato una concezione più appassionata e dinamica rispetto a quella più rigida e severa di età romana. Adriani rigetta la tesi di Picard, non solo perché rifiuta l'attribuzione a Briasside, ma anche perché non accetta una datazione così alta per l'erma di Memfi e ritiene che essa ad ogni modo non rappresenti un Serapide. Più interessante gli appare la tesi del Castiglione, al quale però obietta che: non sufficientemente dimostrato che le immagini del tipo canonico sono tutte di età postadrianea e che le monete di epoca precedente tramandano un tipo diverso da quello canonico. l'assenza delle ciocche sulla fronte non è un elemento sufficiente a sostenere queste ipotesi, peraltro anche le immagini del tipo ellenistico presentano fra di loro numerose differenze. é possibile che dietro le immagini non canoniche si nasconda il ricordo di statue antecedenti al colosso del serapeo del III secolo, ma la critica non ha in mano elementi sufficienti per identificare questi modelli. Cfr: Ch. Picard, Les statues ptolémaìques du Serapeion de Memphis, Paris 1955, pp. 30 ss.; L. Castiglione, Le statue du culte hellenistique du Sarapieion d‘Alexandrie, «Bulletin du Musee Hongrois des beaux arts», 12, 1958, 17 ss; A. Adriani, Repertorio d'arte, cit.
36 Ibid. Lo studioso sottolinea come le molteplici copie non seguano in modo rigido il modello canonico, ma siano tutte caratterizzate da leggere differenze.
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Si conoscono molte teste e busti appartenuti a statue colossali, ma in particolare una grande statua di Serapide seduto conservata al museo di Alessandria è indicata come la maggiore replica completa pervenuta del celebre simulacro37. Qui il dio siede non su un grande trono, come in molti altri esemplari, ma su un blocco irregolare, mentre i piedi poggiano su una pedana collocata obliquamente; probabilmente, viste le dimensioni, la statua doveva essere originariamente inserita in un trono lavorato a parte38. Il braccio sinistro, sollevato, regge lo scettro, mentre il braccio destro restava più basso e il palmo aperto doveva poggiare sulla figura di Cerbero, che accompagnava il Dio. La parte superiore del corpo è leggermente avanzata verso destra, mentre il volto si gira lievemente verso sinistra. Dall'atteggiamento del volto, con gli occhi rivolti verso il basso, trapela un'espressione di pacata bontà. Il viso è incorniciato da una ricca chioma e dalla barba; alcune ciocche ricadono sulla fronte, mentre altre si arrestano più in alto, fuoriscendo più liberamente dal modius posto sopra il capo. La statua del Serapeo aveva dimensioni colossali: Rufino, alla fine del IV secolo, riferisce che era ampia quanto la cella del santuario, del quale le mani arrivavano a toccare le pareti39. Al marmo combinava probabilmente diversi materiali: alcuni studiosi hanno suggerito che fosse rivestita di un amalgama scuro40, mentre altri, come Adriani, ritengono, in forza delle tracce di doratura trovate su molte copie di età ellenistico-romana, che le parti nude fossero ricoperte di oro o metallo dorato41.
Di un'immagine di culto di Serapide si fa menzione anche nell'Octavius di Minucio Felice. Il dialogo è ambientato sul lungo mare di Ostia, dove passeggiano i tre amici Minucio, Ottavio e
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Per la statua del museo di Alessandria: A. Adriani, Repertorio d'arte, cit. , n. 154 pp. 40-43, tav. 75, 249-51; per gli altri esempi, n. 155 sgg, tavv. 75-88.
38Secondo quanto ricostruito dagli studiosi, sulla base delle molteplici copie, il trono della statua del Serapeo aveva un alto schienale che raggiungeva le spalle e braccioli che forse nella parte anteriore erano supportati da sfingi e gambe di sagoma curva e decorate. Un puntello era posto per necessità statiche fra le gambe del trono. i piedi del dio poggiavano su uno sgabello . Cfr. W. Hornbostel, Sarapis , cit., pp. 58-72; M. Sabottka, Das Serapeum, cit., pp. 217-220.
39 Rufino di Aquileia, Historia Ecclesiastica, IX, 23. cfr. Ph. R. Amidon, The church history of Rufinus of
Aquileia, books 10 and 11, New York, 1997, p. 81. Hornbostel ritiene che la statua, posta su una base alta circa 1 m, avesse un'altezza compresa fra i 6 e gli 11 m, raggiungendo un'altezza complessiva quasi pari a quella della cella (la distanza dal soffitto sarebbe stata di 1 o 2 m). Sabottka osserva che l'altezza del simulacro avrebbe potuto essere ancora più alta, se davvero la sua larghezza era pari a quella della cella, come riferito da Rufino. Lo studioso osserva tuttavia che dimensioni a tal punto colossali rendevano molto difficoltosa la fruizione della statua, anche per i pochi che erano ammessi all'interno della cella. Cfr. W. Hornbostel, Sarapis, cit., pp. 104 ss; M. Sabottka, Das Serapeum, cit., p. 218.
40 Così ad esempio E. Gagetti, Preziose sculture di età ellenistica e romana, Milano, 2006, pp. 358-360, trattando di una testa di Serapide in lapislazzuli già nella collezione E. Oppenländer, osserva come la scelta del materiale può essere stata dovuta proprio alla scelta di riproporre il colore scuro della celebre statua alessandrina, come anche negli altri casi noti di teste o statuette di Serapide in materiali di cromia molto forte, come il porfido, il serpentino, il basalto verde e nero.
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Cecilio. Ad un certo punto si imbattono in una statua di Serapide, e Cecilio, pagano, le invia un bacio. Il suo gesto di devozione innesca un dibattito sul confronto fra i culti pagani e quello cristiano, che porterà alla sua conversione42.
Cecilio, notata una statua di Serapide, come suole fare il volgo superstizioso, portando una mano alla bocca, vi impresse un bacio con le labbra.
Anche qui, come nei passi di Clemente e Origene collegabili alla statua di culto del Serapeo, possiamo individuare un riferimento preciso e concreto alla realtà del tempo.
A Ostia infatti i culti isiaci, diffusi del resto in tutto il mediterraneo nella Tarda Antichità, conoscevano una significativa importanza, anche in virtù del fatto che la città, come centro portuale, rappresentava un canale privilegiato dei rapporti commerciali con l'Egitto43. In particolare a partire dall'età adrianea tali culti avevano conosciuto un'affermazione monumentale, attraverso la costruzione del serapeo, ubicato nella III regio, cioè il quartiere più direttamente collegato alla foce del Tevere e quindi alla costa e al porto. Nella stessa zona si trovava il cosiddetto caseggiato del Serapide, nel cortile del quale è stato rinvenuto un sacello con un immagine del dio seduto, in stucco dipinto44.
L'immagine a cui il pagano Cecilio rivolge il suo omaggio doveva esposta alla vista di fedeli e passanti, e quindi era verosimilmente era collocata all'aperto o comunque in nicchie o sacelli ubicati in ambienti di frequentazione comune e non all'interno di spazi domestici più riservati45.