Capitolo II- L’immagine cristiana tra accettazione e diffidenza Da Costantino al V secolo.
2.3 Diffusione delle immagini cristiane e atteggiamenti problematici nella seconda metà del IV secolo.
2.3.1 Testimonianze sulle immagini di Cristo e degli Apostol
Abbiamo visto come ancora nel corso del IV secolo e anche presso autori di sicura posizione iconofila come i Cappadoci i riferimenti a vere e proprie immagini di soggetto cristiano siano piuttosto esigui. Va tuttavia rilevato che le testimonianze in tal senso si fanno più ricche e articolate verso la fine del secolo, documentando la diffusione dell‟arte cristiana, gli sviluppi e le dinamiche di cristallizzazione del suo repertorio iconografico.
Epifanio di Salamina, nella Lettera all‘imperatore Teodosio, contesta la legittimità della rappresentazione di Cristo, Pietro e Paolo secondo iconografie che conosceranno ampia fortuna nel corso del Medioevo, ma che per lui sono il frutto dell‟arbitraria invenzione dei pittori:
Rappresentano il Salvatore con i capelli lunghi, e questo per congettura, perché egli è chiamato il Nazareno e i Nazareni portano i capelli lunghi. Sono in errore quelli che cercano di attaccargli degli stereotipi; infatti, il Salvatore beveva vino, mentre i Nazareni non lo bevevano. Allo stesso modo mentono in ciò che rappresentano secondo i loro pensieri. Questi impostori rappresentano il santo apostolo Pietro come un uomo vecchio, con i capelli e la barba tagliata corta; alcuni rappresentano San Paolo come un uomo stempiato, altri come un essere calvo e barbato, e gli altri apostoli con i capelli completamente tagliati297.
In un altro dei suoi scritti iconofobi, il Discorso contro coloro che si applicano a fare, per un rituale idolatra, delle immagini a somiglianza di Cristo, della Madre di Dio e dei martiri, ma anche degli angeli e dei profeti, attacca le immagini dei santi, in particolare ritratti di Pietro,
297 Cfr. Antologia, cit. n. 160.
L‟insieme degli scritti sulle immagini di Epifanio comprende tre testi di maggiore estensione, quali le lettere all‟imperatore Teodosio e a Giovanni di Gerusalemme e il Discorso contro coloro che si applicano a fare, per un rituale idolatra, delle immagini a somiglianza di Cristo, della Madre di Dio e dei martiri, ma anche degli angeli e dei profeti, e due passi più brevi, il Frammento di epistola dogmatica e il Testamento ai suoi concittadini. Cfr: K. Holl, Die Schriften des Epiphanius gegen die Bilderverehrung, 1916; G. Ostrogorskij, Studien zur Geschichte des byzantinisches Bilderstreites, Breslau, 1929, pp. 67-73; P.J. Alexander, The Iconoclastic Council of St. Sophia (815) and Its Definition (Horos), in «Dumbarton Oaks Papers», Vol. 7, 1953, pp. 35-66; H. Hennephof, Textus byzantinos ad iconomachiam pertinentes, Leiden, 1969; H. G. Thummel, Die
bilderfeindlichen Schriften des Epiphanios von Salamis, in «Byzantinoslavica», vol. 47, no2, 1986, pp. 169-188;
Id., Die Frühgeschichte, cit. Karl Holl, editore delle maggiori opere di Epifanio, ha ritenuto gli scritti sulle immagini autentici, e la sua opinione è stata condivisa dalla maggior parte degli studiosi, risultando più convicente delle obiezioni mosse da Ostrogorsky.
Sull‟iconofobia di Epifanio si vedano anche: Sr. M. Ch. Murray, "Le problème de l'iconophobie et les premiers siècles chrétiens", in Nicée II, 787 - 1987 : douze siècles d'images religieuses / edités par F. Boespflug et N. Lossky, Paris, 1987, pp. 39-50; P. Maraval, "Epiphane, 'docteur des iconoclastes' ", in Nicée II,cit., pp. 51-62; S. Bigham, Epiphanius of Salamis, Doctor of Iconoclasm? Deconstruction of a Myth, Othodox Research Institute, 2008.
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Paolo e Giovanni, che il pittore ha realizzato secondo la propria inclinazione e che ha poi preteso di identificare attraverso il nome298.
Il problema della molteplicità dei volti di Cristo e degli Apostoli sembra emergere anche da un bellissimo passo del De Trinitate di Agostino, anche se egli non fa propriamente riferimento ad immagini artistiche:
Quando crediamo a delle realtà corporee di cui abbiamo letto o sentito parlare, ma che non vediamo, è necessario che il nostro animo si rappresenti una qualche immagine dei lineamaenti e delle forme dei corpi, come si presentano a colui che li immagina. Sia che questa immagine non sia vera, sia che invece essa corrisponda alla realtà - cosa che può accadere assai raramente - ciò che importa per noi non è di tener fede ad essa, ma a qualcos'altro di utile, che ci viene suggerito da questa rappresentazione. Ma la nostra fede non si farà prendere da questo, e cioè dal desiderio di conoscere quali sembianze corporee abbiano avuto quegli uomini, ma le importerà soltanto si sapere che per la grazia di Dio essi sono vissuti in tal modo e hanno compiuto quelle azioni che la Scrittura stessa riferisce. Questo è quello che è utile credere, ciò di cui non dobbiamo disperare, ciò che dobbiamo desiderare. E infatti lo stesso volto della carne del Signore varia e viene immaginato in innumerevoli rappresentazioni diverse, e tuttavia era uno solo, qualunque fosse299.
Agostino ammette come esigenza naturale l‟immaginarsi le sembianze fisiche di Cristo e dell‟Apostolo Paolo, e non sembra sdegnarsi per la possibilità che esistano rappresentazioni molto diverse, anche se ritiene che sia compito del cristiano non arrestarsi alle immagini corporee, ma innalzarsi ad un livello superiore, ponendo l‟attenzione sulle azioni compiute dal Figlio di Dio e dagli apostoli, secondo quanto possiamo apprendere dalle Scritture. Questa sembra un‟apertura degna di nota, considerato il fatto che in più luoghi della sua opera emerge un atteggiamento problematico e almeno apparentemente contraddittorio nei confronti delle immagini.
Sotto un altro punto di vista il problema della legittimità delle iconografie suscita tuttavia anche le sue perplessità. Nel De Consensu Evangeliorum, osserva:
Volendo infatti supporre che Cristo avesse scritto qualcosa di simile ai suoi discepoli, pensarono a chi sarebbe stato più verosimile che egli avesse scritto, chi furono cioè le persone a lui più familiarmente unite, sì che fosse conveniente confidar loro quella specie di segreto. E pensarono a Pietro e a Paolo per il fatto, credo, che in più luoghi li vedevano dipinti insieme con lui. Roma infatti celebra con festosa solennità i meriti di Pietro e di Paolo collocando anche nello stesso giorno il ricordo del loro martirio. In tale grossolano errore meritamente incorsero coloro che
298Cfr. Antologia, cit. n. 159; G. Ostrogorskij, Studien, cit., pp. 68-71; P. J. Alexander, The Iconoclastic Council, cit., p. 63; H. Hennephof, Textus byzantinos, cit., pp. 129-136; H. G. Thummel, Die bilderfeindlichen Schriften, cit., pp. 181-183; Id., Die Frühgeschiche, cit., p. 299.44-48.
299 Agostino, De Trinitate, IV, 7, in Antologia, cit. n. 162. Su questo passo cfr. anche G. Dagron, Holy images
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andarono a cercare Cristo e gli Apostoli non nei sacri libri ma nelle pitture murali; e niente di strano se questi autori fantasiosi furono ingannati da autori di pitture300.
Oggetto di biasimo sono qui le rappresentazioni di Cristo fra Pietro e Paolo, verosimilmente secondo l‟iconografia della Traditio Legis, che, proprio nel corso del IV secolo, conosce molteplici attestazioni in generi e materiali diversi, lasciando supporre l‟esistenza di un prototipo illustre, da identificarsi nel perduto mosaico absidale della basilica di San Pietro a Roma301. Fra le molte riprese si possono ricordare la rappresentazione sul coperchio della capsella eburnea di Samagher, considerata fedele replica della Traditio vaticana302; il mosaico dell‟absidiola nord nel Mausoleo di Costantina303
.
300Agostino, De Consensu Evangelistarum, I, 10, 16. Cfr. Antologia, cit. n. 161. Secondo M. Bettetini, Contro le
immagini. Le radici dell‘iconoclastia, Roma-Bari, 2006, pp. 75-76, l‟errore non è dei pittori, che hanno rappresentato insieme Cristo, Pietro e Paolo, come era consueto, ma di coloro che hanno interpretato questa vicinanza in senso letterale e non metaforico.
301 Cfr. F. R. Moretti, "I mosaici perduti di San Pietro in Vaticano di età costantiniana, La Traditio Legis nell‟abside", in M. Andaloro, L‘orizzonte tardo antico, cit., pp. 87-90, con bibliografia precedente. Il mosaico con la Traditio Legis nell‟abside della basilica vaticana è stato tradizionalmente attribuito alla metà del IV secolo, età a cui possono essere assegnate le prime repliche, ma alcune letture più recenti hanno proposto di anticipare la datazione all‟età costantiniana: P. Liverani, Camerae e coperture delle basiliche paleocristiane, in Atti del colloquio internazionale Il Liber Pontificalis e la storia materiale (Roma, 21-22 febbraio 2002), a cura di Herman Geertman in «Mededelingen van het Nederlands Instituut te Rome» D. 60/61 (2001-2002). Assen, 2003, pp. 13-27; P. Liverani, "L'edilizia costantiniana a Roma : il Laterano, il Vaticano, Santa Croce in Gerusalemme", in Costantino il Grande : la civiltà antica al bivio tra Occidente e Oriente, a cura di A. Donati e G. Gentili, Cinisello Balsamo, 2005, pp. 74-81; Id., "L'architettura costantiniana, tra committenza imperiale e contributo delle élites locali", in Konstantin der Grosse : Geschichte, Archäologie, Rezeption, hrsg. im Auftrag der Konstantin-Ausstellungsgesellschaft von Alexander Demandt und Josef Engemann, Trier, 2006, pp. 235- 244; Id., "La Basilica costantiniana di San Pietro in Vaticano", in Petros eni : catalogo della mostra, a cura di M. C. Carlo-Stella, P. Liverani, M. L. Polichetti, Monterotondo, 2006, pp. 141-147.
302 T. Buddensieg, Le coffret en ivoire de Pola, Saint-Pierre et le Latran, in «Cahiers archéologiques», 10, 1959, pp. 157-200; J. Ruysschaert, L'inscription absidale primitive de St.-Pierre, in « Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti», 40, 1967-1968, pp. 171-190; P. Künzles, J. Fink, Das Petrusreliquiar von Samagher, in «Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte», 71, 1976, 1/2; M. Guarducci, La capsella eburnea di Samagher : un cimelio di arte paleocristiana nella storia del tardo impero, in «Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria», n.s., 26, 1978, pp. 189-253; S. de Blaauw, Cultus et decor : liturgia e architettura nella Roma tardoantica e medievale ; Basilica Salvatoris, Sanctae Mariae, Sancti Petri, Ed. riveduta e aggiornata, Città del Vaticano, 1994, p. 459; M. Andaloro, S. Romano, "L'immagine nell'abside", in Arte e iconografia a Roma : da Costantino a Cola di Rienzo, a cura di M. Andaloro, S. Romano, Milano, 2000, pp. 93-132 (in particolare p. 102); D. Longhi, La capsella eburnea di Samagher : iconografia e committenza, Ravenna, 2006
303 S. Piazza, "I Mosaici esistenti e perduti di Santa Costanza, La Traditio Legis nell‟absidiola sud", in M. Andaloro, L‘orizzonte tardo antico, cit., pp. 84-86, con bibliografia precedente.
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Fig. 59, Roma, Mauseoleo di Costantina, Absidiola sud, mosaico con la Traditio Legis
La critica dell‟Ipponate, rivolta ad iconografie che non hanno un preciso corrispondente nel testo biblico e quindi potrebbero ingenerare convinzioni erronee nei fedeli più sprovveduti, coglie un fenomeno in atto al tempo, ovvero l‟affermarsi in modo massiccio di soggetti di carattere teofanico, che, dall‟ambito funerario, e in particolare dalle fronti dei sarcofagi, si diffondono anche nella pittura, sia cimiteriale che monumentale304.
L‟Homilia I in Lazarum di Asterio di Amasea, rivolta contro l‟uso dei cristiani di indossare abiti riccamente decorati e ricamati, anche con scene evangeliche, squaderna invece sotto i nostri occhi un repertorio di scene cristologiche che erano ormai ampiamente consolidate: I più religiosi fra gli uomini e le donne ricche, avendo letto il Vangelo, lo hanno passato ai tessitori; intendo (che sulle vesti si vedono) il nostro Cristo insieme con tutti i suoi discepoli e ciascuno dei miracoli, nel modo in cui lo si racconta. Puoi infatti vedere le nozze di Cana con le giare dell’acqua, il paralitico che porta il letto sulle spalle, l’uomo cieco guarito con il fango, l’emorroissa che afferra l’orlo della veste di Gesù, la peccatrice che si getta ai piedi di Gesù, Lazzaro che dalla tomba ritorna alla vita. Nel fare questo si considerano religiosi e pensano che stanno indossando vesti che sono gradite a Dio. Se accettassero il mio monito, dovrebbero vendere tutte quelle vesti e onorare piuttosto le immagini viventi di Dio.
Non rappresentare Cristo – gli è bastata, infatti, una sola volta l’umiliazione dell’Incarnazione, che Egli ha assunto volontariamente per noi – ma piuttosto accontentati di portare il Logos incorporeo spiritualmente nell’anima. Non avere il paralitico sulle vesti, ma piuttosto cerca quello che giace fra i malati; non giurare continuamente sull’emorroissa, ma abbi pietà della vedova oppressa; non guardare con sollecitudine la donna peccatrice che si inginocchia davanti al Signore, ma pentiti dei tuoi errori e versa molte lacrime; non dipingere Lazzaro risvegliato dai morti, ma preoccupati di una buona giustificazione per la tua Risurrezione; non portare il cieco sulla veste, ma conforta con benefici colui che è in vita ed è privo della vista; non dipingere le ceste avanzate, ma nutri coloro che hanno fame; non portare sui vestiti le brocche di acqua che (Cristo) riempì (di vino) a Cana di Galilea, ma piuttosto dai da bere a coloro che hanno sete305.
304
F. Bisconti, "I temi", in V. Fiocchi Nicolai, F. Bisconti, D. Mazzoleni, Le catacombe cristiane di Roma : origini, sviluppo, apparati decorativi, documentazione epigrafica, Regensburg, 1998, pp. 129 ss; Id., Introduzione, cit., pp. 50-51; Id, La tematica iconografica sui sarcofagi paleocristiani : per uno sguardo di sintesi, in «Bollettino / Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie», 25, 2006, p. 375-384.
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Gli episodi elencati sono fra i soggetti più comuni dell‟arte paleocristiana, attestati con continuità fin dal III secolo, nella pittura cimiteriale, nei rilievi dei sarcofagi, negli oggetti di uso liturgico e domestico. Sono scene di miracoli ridotte all‟essenziale, ai gesti nei quali si manifesta il potere salvifico e taumaturgico di Gesù, sui quali pure si ferma lo sguardo di Asterio: Cristo che tocca con la virga le hydriae poste ai suoi piedi, spesso abbinate alle ceste della moltiplicazione dei pani306; il paralitico che, ormai risanato, si carica il lettuccio sulle spalle accingendosi ad andare via, secondo l‟ordine del Signore307
; Cristo che guarisce il cieco nato, imponendogli le mani sul capo o stendendo le dita sui suoi occhi308; l‟emorroissa che sfiora un lembo della veste di Gesù309; la donna cananea che si inginocchia ai suoi piedi, invocando la guarigione della figlia indemoniata310; e ancora Cristo che, con la virga
306
La scena è ampiamente attestata nella pittura cimiteriale: ad es. nella catacomba dei SS. Pietro e Marcellino, nel Coemeterium Maius: cfr. A. Nestori, Repertorio topografico, cit., p. 59 n. 62, p. 32 n.3, p. 56 n. 48, p. 35 n. 16; nel sottarco di un arcosolio della catacomba di San Sebastiano, Ex Vigna Chiaraviglio, per cui cfr. F. Bisconti, Nuovi affreschi dal Cimitero dell‘Ex Vigna Chiaraviglio, in «Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti», Vol. 73, Nº 2000-2001, 2001 , pp. 3-42; C. Proverbio, "I Dipinti della Catacomba di San Sebastiano, ex Vigna Chiaraviglio, L‟arcosolio di Primenius et Severa sulla parete ovest della Galleria F12", in M. Andaloro, L‘orizzonte tardo antico e le nuove immagini, cit., pp. 196-199, con bibliografia precedente; nei rilievi dei sarcofagi e in vari oggetti di uso personale e liturgico. Cfr. M. P. Del Moro, "Nozze di Cana", ad vocem, in Temi di iconografia paleocristiana, cit., pp. 232-234.
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L‟episodio della guarigione del paralitico fa la sua comparsa molto precocemente, fin dai primordi della pittura cristiana, nella prima metà del III secolo: lo troviamo nella Cappella Greca in Priscilla (cfr. A. Nestori, Repertorio topografico, cit., p. 27, n. 39), nel cubicolo A3 dei Sacramenti nella catacomba di Callisto (A. Nestori, Repertorio topografico, cit., p. 10, n.22; J. Wilpert, Die Malereien, cit., tav. 27.3; nel battistero di Dura Europos (C. H. Kraeling, The excavations at Dura Europos, cit.). È molto comune anche nei sarcofagi, dove il paralitico è spesso accompagnato dalla figura di Cristo e da uno o più discepoli spettatori, come in genere non avviene nella pittura cimiteriale. La maggior parte delle attestazioni conosciute sembrano far riferimento alla guarigione del paralitico di Cafarnao (Mt 9, 1-8; Mc 2, 3; Lc 5, 18-26) piuttosto che al risanamento dello storpio di Gerusalemme presso la probatica piscina (Gv 5,1), episodio rappresentato in una particolare classe di sarcofagi dell‟età teodosiana, i cosiddetti sarcofagi di Bethesda. Cfr. M. Minasi, "Paralitico", ad vocem, in Temi di iconografia paleocristiana, cit., pp. 241-243.
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La scena è attestata nella pittura catacombale: ad es, in Priscilla (A. Nestori, Repertorio topografico, cit., p. 26, n.32) e in SS. Pietro e Marcellino (J. Wilpert, Die Malereien,, cit., tav. 68); e nei sarcofagi. Una variante compositiva largamente attestata nella plastica funeraria, ma non in pittura, mostra Cristo nell‟atto di porre le dita sugli occhi del cieco: così, ad esempio, nel sarcofago di Sabinus e in quello dei Due Fratelli, entrambi al Museo Pio Cristiano. Cfr. C. Ranucci, "Guarigione del cieco", ad vocem, in Temi di iconografia paleocristiana, cit., p. 200.
309 Sulla scena dell‟emorroissa nell‟arte paleocristiana, cfr. paragrafo 2.1.
310 La peccatrice inginocchiata ai piedi del Cristo di cui parla Asterio può, a mio parere, essere identificata con la donna cananea che, secondo il racconto di Mt 15, 21-28, si getta ai piedi di Gesù chiedendogli di risanare la propria figlia, posseduta da un demonio, piuttosto che con altre peccatrici di cui si parla nel Vangelo, ad esempio quella che, in Lc 7, 36-38, si inginocchia davanti al Signore lavandogli i piedi con olio profumato e lacrime. Asterio non fornisce ulteriori dettagli; è possibile tuttavia che chiami la donna peccatrice per indicare il fatto che era pagana; inoltre quello della cananea è un miracolo di guarigione e quindi risulta in accordo con gli altri episodi menzionati. L‟immagine della Cananea viene spesso confusa con quella dell‟emorroissa, presentando una struttura compositiva molto simile; l‟unico elemento che permette di distinguerle con certezza è il gesto di toccare un lembo della veste di Gesù compiuto dall‟emorroissa. È interessante ricordare come una attestazione congiunta dei due episodi, dunque in linea con la testimonianza di Asterio, può essere probabilmente individuata nel sarcofago di Trinquetaille, dove l‟episodio della cananea è rappresentato sul coperchio, mentre la guarigione dell‟emorroissa è visibile nel registro superiore della cassa. Sul sarcofago di Trinquetaille, cfr. J.P. Caillet, H.N. Loose, La vie d' éternité. La sculpture funéraire dans l' antiquité chrétienne, Paris-Gèneve 1990, fig. 10. Sulla distinzione fra l‟emorroissa e la cananea: M. Perraymond, L‘emorroissa e la cananea nell‘arte paleocristiana,
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taumaturgica, tocca la figura di Lazzaro, generalmente rappresentato come una mummia sulla soglia del sepolcro311.
In questa fronte di sarcofago ne vediamo raccolti alcuni: le guarigioni del paralitico e del cieco nato, il miracolo di Cana, la Resurrezione di Lazzaro, l‟emorroissa:
Fig. 60, Musei Vaticani, Museo Pio Cristiano, Sarcofago a fregio continuo con scene bibliche (inv. 31556)
Thomas Mathews ha sottolineato con forza l‟importanza che le rappresentazioni dei miracoli avevano in età paleocristiana. La diffusione capillare e l‟insistita ripetizione, anche in uno stesso contesto, di queste immagini, attesta la fede che il popolo cristiano nutriva nei confronti dei poteri taumaturgici di Cristo. Le immagini terapeutiche rispondevano ad una profonda invocazione di aiuto da parte dei fedeli; e nel fare ciò si ponevano in concorrenza con l‟immaginario dei maghi, guaritori, e salvatori della Tarda Antichità. Secondo Mathews le rappresentazioni dei miracoli cristologici sono “le battaglie di una guerra in corso contro la magia non cristiana”; esse si fanno portavoce di un sorprendente messaggio, e cioè “che Cristo il mago aveva sbaragliato tutti i maghi dei pagani”. La straordinaria forza e novità di queste immagini consisteva proprio nel fatto che esse mostravano Gesù nell‟atto di guarire e compiere miracoli. Curiosamente, la tradizione pagana non aveva immagini da contrapporre a cit; in generale sull‟iconografia della cananea: M. Perraymond, "Cananea", ad vocem, in Temi di iconografia paleocristiana, cit., pp. 140-141.
311 Anche la resurrezione di Lazzaro appare molto precocemente nell‟arte paleocristiana, presentando fin da subito lo schema canonico mantenuto anche in seguito. È uno degli episodi più diffusi nella pittura catacombale: nel III secolo lo si incontra nella Catacomba di Pretestato (A. Nestori, Repertorio topografico, cit., p. 91, n.3; J. Wilpert, Le pitture, cit., tav. 19) e nei cubicoli dei Sacramenti A2 e A6 in Callisto (A. Nestori, Repertorio topografico, cit., p. 106 n.21, p. 107 n.25; J. Wilpert, Le pitture, cit.,tavv. 39, 1; 46, 2); nel IV nelle catacombe di Domitilla (A. Nestori, Repertorio topografico, cit., p. 132 n. 75, p. 128 n. 50, p. 132 n.77; J. Wilpert, Le pitture, cit., tavv. 198, 248, 239) e dei SS. Pietro e Marcellino (A. Nestori, Repertorio topografico, cit., p. 56 n. 46, p. 62 n. 69; J. Wilpert, Die Malereien, cit., tavv. 159; 45,1). Il tema è molto comune anche nella scultura dei sarcofagi. Cfr. M. Guj, "Lazzaro", ad vocem, in Temi di iconografia paleocristiana, cit., pp. 201-203.
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queste, per quanto in essa fossero radicate le pratiche magiche e le credenze superstiziose. Nè Asclepio, dio guaritore per eccellenza, nè gli altri maghi, taumaturghi o soteres della Tarda Antichità venivano mostrati, nell‟arte pagana, mentre compivano guarigioni miracolose312
. Tali raffigurazioni, dunque, incontravano largo favore nel popolo. Ma che tipo di reazione suscitavano nei Padri? Gli esponenti delle gerarchie ecclesiastiche condividevano o meno l‟entusiasmo dei fedeli al riguardo?
In questo brano Asterio sembra biasimare le immagini cristiane. La condanna sembra avere una motivazione teologica: l‟immagine non può rappresentare Cristo nella pienezza della sua gloria divina, ma solo nella sua forma corporea, e in questo modo rinnova per Lui l‟umiliazione dell‟Incarnazione, che Egli ha ormai superato. Poichè una vera immagine di Cristo è impossibile, è preferibile portare un‟immagine incorporea del Logos nell‟anima313. Ma Asterio è, a mio parere, un autore che non può essere in alcun modo sospettato di tendenze iconofobe. L‟ekphrasis del martirio di S. Eufemia, opera del vescovo di Amasea, è,