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LA CORTE STRAORDINARIA D'ASSISE DELLA SPEZIA E I REATI DI COLLABORAZIONISMO

10. La Banda Gallo

Come già accennato in precedenza, solo tre delle dieci condanne alla pena capitale furono eseguite. I tre condannati facevano tutti parte della famigerata “Banda Gallo”234.

Nei fascicoli esaminati nell’archivio di stato di Genova non sono presenti gli atti processuali e le sentenze a carico degli imputati e per la ricostruzione dei fatti ho utilizzato i giornali di quel periodo, “Il tirreno” e l’ “Unità”.

Tutto viene fatto risalire all'omicidio della GNR Ghisfredi compiuto il 13 settembre 1944; a seguito di tale accadimento il capitano della GNR Emilio Battisti incominciò un'inchiesta che diede luogo all'arresto e all'interrogatorio di circa venti persone le quali per sottrarsi alle sevizie, ne denunciarono delle altre.

Questa indagine contribuì a far crescere nelle forze germaniche la convinzione di trovarsi davanti ad una organizzazione patriottica clandestina e i tedeschi affiancarono a Battisti, Aurelio Gallo. Si innescò una serie di arresti a catena con torture di ogni genere.

Gli accusati rinviati a giudizio erano nove, sette uomini e due donne, tutti detenuti nel carcere di Villa Andreini. Il reato più grave era quello che con responsabilità diverse avevano tutti i soggetti giudicati che era concretizzato nell'arresto, nella tortura di 252 persone, sospettate di collaborare con la resistenza, molte della quali vennero deportate in Germania, dove trovarono la morte.

Si trattava del questore Emilio Battisti, di Aurelio Gallo ex autista del vescovo, del brigadiere della Guardia Nazionale Repubblicana Achille Morelli, di Aldo Capitani, di Matteo Guerra, di don Rinaldo Stretti, di Pasquale Rucco agente di custodia, di Rosaria Di Matteo madre di Matteo Guerra, e Anna Guerra sorella gemella di Matteo.

234 Vincenzo Marangione, Tarcisio Trani, Polizia e cittadini nella resistenza – i martiri dimenticati, Luna Editore,

Gli uomini della Banda Gallo erano accusati di “collaborazionismo col tedesco invasore, di sevizie di torture e di uccisioni”, le due donne soltanto di collaborazionismo e delazione.

Il processo durò dal 7 al 14 maggio 1946.

Il Presidente della Corte era Enrico Antonini i cinque giudici popolari erano Anselmo Corsini, Morandi, Dante Toracca, Guglielmo Toracca ed Emilio Zappa.

Il pubblico ministero era l’avvocato Gaetano Squadroni.

Gli avvocati erano tutti difensori d’ ufficio; Romanelli per Pasquale Rucco; Malatesta per Don Rinaldo Stretti; Bellincioni per la famiglia Guerra; Fornelli per Aldo Capitani; Rossi per Achille Morelli; Tinti per Emilio Battisti; l’unico ad essere rappresentato dal difensore di fiducia, Degli Occhi del collegio di Milano era Gallo.

La Cas aveva sede nella palestra della scuola di Via Napoli.

Al pubblico dibattimento assistevano i familiari delle vittime, le vittime stesse e molta gente comune che voleva vedere i carnefici della Banda.

Donne vestite di nero davanti alle belve repubblichine, intitolavano i

giornali di quei giorni mettendo in evidenza quelle presenze femminili, madri, sorelle, mogli e figlie di vittime torturate o deportate nei campi di concentramento235.

Fuori dall’aula molta polizia ma anche molti partigiani che avevano ripreso le armi e facevano servizio d’ordine per quella importante occasione.

Il primo ad essere interrogato fu Battisti, accusato di aver fatto parte delle SS tedesche di aver inflitto sevizie e maltrattamenti per estorcere confessioni e di aver fatto deportare molti prigionieri. Una accusa gravissima pendeva su di lui era quella di aver torturato Fabbricatore. Battisti si dichiarò sempre innocente e se qualche volta aveva ecceduto lo aveva fatto su ordine dei suoi superiori.

A Don Rinaldo Stretti venne imputato di aver rivelato alle autorità nomi e fatti di antifascisti, si difendeva dicendo che i nomi erano noti a tutti e si rivendicava il merito di aver salvato molti sacerdoti.

Pasquale Rucco si dichiarava innocente e si diceva vittima delle torture inflitte da Gallo.

Rosaria e Anna Guerra venivano accusate di aver fatto arrestare molti abitanti di Migliarina a causa delle loro delazioni ma le due donne si dichiaravano innocenti.

Aurelio Gallo, il più odiato dagli spezzini si difendeva affermando di essere stato un semplice agente delle SS, di non aver mai seviziato ne torturato e di aver dato al massimo qualche schiaffo.

Achille Morelli nel suo interrogatorio respinse l’accusa di seviziatore. Il presidente si rivolse a Capitani che confessò solo di aver partecipato ai rastrellamenti di Migliarina ma di non aver mai torturato nessuno.

Infine la parola andò all’imputato Matteo Guerra che ammise di aver commesso abusi sui dei prigionieri ma solo perchè costretto da Gallo e da Battisti.

Il giorno seguente e per altri cinque giorni davanti alla Cas comparvero un centinaio di testimoni d’accusa che raccontavano con precisione i fatti attribuiti agli imputati. Si parlò di arresti di familiari poi deportati in Germania, di percosse e sevizie ai detenuti per fargli confessare colpe non commesse, di torture, di rastrellamenti. I fatti erano descritti in modo molto dettagliato e mettevano in evidenza la malvagità degli incriminati in particolare di Gallo, Battisti e Morelli.

Il settimo giorno fu il momento piu atteso del processo, il PM richiederà le condanne.

Il Pubblico Ministero aprì la sua requisitoria rivolgendosi al Giudice: “Signor Presidente e signori giudici, non vi è persona, per quanto in basso caduta,

che non presenti qualche lato umano per essere difesa. Questa era la mia convinzione sino all’incontro con queste belve umane”.

Descrisse dettagliatamente le sue convinzione al riguardo di ognuno degli imputati.

Si soffermò in particolare su Gallo lo accusò di aver picchiato a sangue Fabbricatore prima del suicidio di aver commesso tutti i reati a lui contestati con cinismo e di aver tenuta la popolazione cittadina sotto la paura.

Anche per Battisti e per Morelli le parole del PM furono dure e passò in rassegna le testimonianze delle varie torture.

La posizione delle due donne era meno compromettente e Squadroni le illustrò come persone di secondo piano che avevano il compito di indicare gli individui da arrestare.

Aldo Capitani venne definito come “il terrore di Migliarina” poiché arrestava innocenti per il solo gusto di arrestare o per vendetta personale.

Degno compagno di Capitani fu Matteo Guerra che nonostante si sia difeso affermando che arrestavano solo uomini scritti nelle liste fornite dalle SS non viene creduto dal PM.

Ma il PM fu duro anche nei confronti di Don Rinaldo Stretti definendolo miserabile e spregevole per aver tenuto un atteggiamento da persecutore e torturatore.

Unico a non scatenare il dissenso del PM fu Rucco per il quale chiese alla Corte di giudicarlo in maniera benevola.

Si arrivò alla richiesta della condanna a morte per Battisti, Gallo e Morelli. Per Capitani, Matteo Guerra e Don Stretti trenta anni di reclusione.

Per Rucco e Anna Guerra sei anni e otto mesi.

Il 14 maggio fu l’ultimo giorno del processo contro la banda Gallo.

Era la giornata in cui gli avvocati dovranno cercare di difendere uno ad uno gli imputati.

Inizia Luigi Rossi, difensore d’ufficio di Achille Morelli. Nella sua arringa esordì affermando che la difesa era un diritto inviolabile dell’uomo e anche nel caso di questi criminali non si può non concederla. Il suo assistito in particolare aveva partecipato alle torture e alle sevizie ma aveva dimostrato anche alcuni momenti di umanità. Chiede che gli venga riconosciuto le attenuanti generiche e che venga condannato per collaborazione politica anziché militare.

Anche l’ avvocato Tinti difensore d’ufficio di Emilio Battisti fa riferimento al diritto di ciascun uomo alla difesa e per il suo assistito chiede attenuanti generiche perché ha commesso tutti queste efferatezze ma come dipendente diretto delle SS doveva seguire i metodi tedeschi nel campo della polizia giudiziaria.

Per la difesa di Gallo l’avvocato Dagli Occhi chiese la remissione del processo ad altra sede e l’applicazione dell’art 58 che contempla la collaborazione politica.

La Corte si riunì in camera di consiglio e dopo nemmeno un ora il Presidente Antonini lesse la sentenza.

Emilio Battisti, Aurelio Gallo, Achille Morelli, Aldo Capitani e Matteo Guerra vennero condannati alla pena capitale.

Don Rinaldo stretti a venti anni di reclusione, Pasquale Rucco e Rosaria Di Matteo Guerra a 10 anni ed Anna Guerra a 4 anni.

Il processo si chiuse così tra le grida della folla che insultva e mandava maledizioni ai condannati.

Contro la sentenza si ricorre in Cassazione e per difetto di motivazione si ebbe il rinvio all’Alta Corte D’Assise di Genova.

Il nuovo procedimento confermerà la pena di morte per Gallo, Battisti, Morelli, 30 anni di reclusione per Capitani e Guerra di cui 10 condonati.

Per quanto riguarda Rosaria di Matteo Guerra e la figlia Anna, i loro reati vennero amnistiati dalla Cassazione mentre di Rucco non si hanno notizie ulteriori.

Respinta la domanda di grazia il 5 marzo 1947 nel Forte Bastia di Vezzano Ligure si ebbe la fucilazione dei tre condannati a morte. Il questore di quel periodo Antonino Russo dispose l’assoluta riservatezza per l’esecuzione impedendo la presenza del pubblico ma non quella dei giornalisti. Il plotone di esecuzione era composto da 18 uomini e un sottufficiale. Disposti in due file, divisi in tre gruppi di sei, tre in piedi e tre davanti con ginocchio a terra. Ogni gruppo di sei dovrà sparare mirando alla nuca o alle spalle, sulla sinistra del giustiziando che si ha di fronte. I condannati non morirono immediatamente e ci fu bisogno di due scariche e un colpo di grazia da parte del comandante del plotone.

I cadaveri composti nelle bare vennero trasferiti al cimitero dei boschetti236.

Ma a questo punto davanti al tribunale si riunì una folla minacciosa che chiedeva a gran voce di poter vedere i cadaveri, spostandosi poi al cimitero, dove si radunarono migliaia di attivisti. Ovviamente i magistrati non volevano cedere ma la tensione crebbe al tal punto che, alla fine, fu deciso di disseppellire le bare e di aprirle

per far vedere i cadaveri. In un clima di grande confusione, le bare furono aperte e i cadaveri vennero raggiunti da sputi e colpi237.

CONCLUSIONI

Nel corso degli ultimi vent'anni si è assistito al riemergere in Italia dell'interesse riguardo al periodo della Repubblica Sociale Italiana e in particolar modo alle stragi avvenute sul territorio italiano dal 1943 al 1945.

In linea con questi studi, mi sono posto come obiettivo del mio lavoro, la riflessione sulle forme di repressione, utilizzate dalle forze tedesche e fasciste nella città della Spezia.

La Repubblica di Salò, architettata dai tedeschi che ne permisero l'istituzione, esercitò la violenza non solo sui partigiani ma anche su civili.

Il maggior numero di stragi si ebbero in provincia della Spezia, dopo l'estate del 1944.

Dall'8 settembre sino alla primavera successiva non si ebbero eventi degni di nota e ciò era dovuto al fatto che la nostra città ospitava il comando militare della flotta tedesca e le alte cariche cercavano di garantire l'ordine e sfruttare le risorse nel clima più tranquillo possibile.

Lo scopo dei tedeschi era non solo quello di esercitare il controllo poliziesco, che nel caso spezzino era demandato ai fascisti, ma l'utilizzo delle ricchezze umane e materiali.

Nell'estate del '44 con la costituzione della 33° Brigata "Tulio Bertoni", vennero ad intensificarsi le azioni di stampo fascista che si differenziarono da quelle che coinvolgevano reparti tedeschi e militari dell'esercito repubblicano, per una marcata ideologia politica che si basava non più sull'onore della nazione ma su un onore del partito. In questo momento le azioni erano l'affermazione del fascismo sul nemico partigiano.

Il partigiano veniva visto come uno straniero che doveva essere combattuto per riscattare l'onore che il partito e non più la nazione aveva perso con l'armistizio.

Le azioni, per chi le compie non sono più soltanto repressive ma veri e propri atti di fede cameratesca e mirano all'affermazione della volontà stato.

Il fascismo punisce per far vedere ai tedeschi che la macchina repressiva funziona e dopo l'inverno del '44, non riesce più a svolgere il compito per il quale si

era costituito cioè mantenere l' ordine e la sicurezza in città, ma si fà promotore di un esasperato apparato repressivo, che mira semplicemente ad affermare una volontà di potenza che in realtà non è più presente.

Tutta la Val di Magra e la Val di Vara furono teatro di numerose rappresaglie e rastrellamenti, che causarono la morte di 158 civili, partigiani e non, e 15 prigionieri di guerra.

Confrontando i dati statistici è emerso una netta prevalenza degli uomini rispetto alle donne ed il 55% di questi aveva un'età compresa tra i 22 e i 40 anni; ma ricordiamo che trovarono la morte, anche, 2 bambini ed una donna di 84 anni.

In provincia della Spezia, il rastrellamenti furono il 60% delle stragi totali, solo il 25% furono le rappresaglie, ma non mancarono l'8% di azioni punitive, il 4% delle ritirate e il 2% di azioni non definite.

L'affermazione della violenza, come emerge dal mio lavoro, trova la sua massima espressione nel reato di tortura, che provoca l'annientamento delle volontà del soggetto.

Prendendo in esame l'Ufficio di Polizia Investigativa della Provincia della Spezia, la cosiddetta Banda Gallo, è emerso che questi organi repressivi ufficiali, di fatto costituivano un apparato autonomo che esercitava le proprie violenze in modo efferato e incurante delle conseguenze.

Anche alla Spezia, il potere degli organi designati alla sicurezza dello Stato non si atteneva ad una regolamentazione ufficiale e legale e ciò portava ad uno spropositato uso della violenza da parte di nuclei, più o meno piccoli, che esercitavano il loro potere in autonomia seminando il terrore in città.

L'organo repressivo mirava a trovare "un" colpevole, non a "punire" il colpevole, infatti vennero accusati, arrestati e torturati presunti collaboratori dei partigiani, che venivano denunciati da delatori, spesso per invidie personali; si instaurò in città un clima di sospetto, che aveva lo scopo semplicemente di punire, non di risolvere il caso.

Vennero costituiti Tribunali Speciali per la Sicurezza Nazionale che emettevano sentenze frettolose e sommarie, per arrivare semplicemente all'esecuzione della condanna.

Procedendo con il lavoro ho puntato l'attenzione sul reato di collaborazionismo e ne è emerso un mondo eterogeneo.

Riprendendo brevemente alcuni dati emersi nel corso dello studio, ho rilevato differenze riguardanti i dati anagrafici e sociali dei soggetti presi in esame.

Si possono far rientrare gli imputati in una fascia di età che va dai 18 ai 50 anni, anche se abbiamo qualche minorenne o ultracinquantenne.

Non tutti avevano militato nel PNF o PFR ma molti si erano arruolati nelle Brigate Nere o nella Guardia Nazionale Repubblicana.

Ho notato che nessun militare appartenente alla X Flottiglia MAS è stato giudicato, nonostante questo corpo fosse considerato dalla popolazione spezzina come il più efferato.

Come ho avuto modo di vedere, leggendo le sentenze conservate nell'Archivio di stato di Genova, le professioni svolte da questi imputati erano varie dal libero professionista, all'imprenditore, all'operaio, all'avvocato.

Senza dubbio, nel periodo della RSI, si verificò un collaborazionismo di Stato; del resto non poteva che essere così visto che Mussolini era debitore dei tedeschi e non poté gestire in modo autonomo il potere.

C'era chi come gli alti ufficiali dell’esercito, gli appartenenti alle BN o i semplici soldati e militi diedero il proprio contributo per il raggiungimento degli obiettivi bellici del nemico invasore, ma anche chi cooperò con gli occupanti mettendo a disposizione il proprio lavoro.

Ma il reato di delazione non poteva mancare, si faceva la spia per compiacere ai tedeschi; per ottenere dei vantaggi economici si denunciavano amici o parenti e come nel caso di Don Emilio Ambrosi con il proprio agire si procurava la morte e la deportazione di molti partigiani e civili.

Come è emerso dal verdetto finale svariate erano le motivazioni che avevano portato a collaborare col nemico invasore. Gli imputati spesso portavano a

loro difesa la costrizione fisica o morale esercitata su di loro dai tedeschi, la paura di essere deportati in Germania o di ritorsioni sulla propria famiglia.

Non mancava chi si faceva scudo di aver eseguito ordini dati da superiori ai quali non si poteva rifiutare.

Alcuni imputati spiegarono i propri atti di obbedienza alla RSI e di collaborazione con i tedeschi come occasione per cogliere opportunità di arricchimento, carriera e prestigio sociale o pretesto per risolvere contenziosi personali.

Non ho trovato casi in cui l'imputato ha motivato il proprio comportamento collaborativo come risultato della volontà di non tradire la causa fascista.

Importante nel mio lavoro è stata l'analisi dell'organo che aveva il compito di giudicare gli imputati di collaborazionismo; la Corte Straordinaria d'Assise aveva questa responsabilità.

Nel corso dei due anni di attività, dei 97 imputati, 53 furono dichiarati colpevoli e 40 assolti o amnistiati.

Da una attenta analisi ho constatato che la CAS spezzina ha applicato alla lettera i decreti legislativi luogotenenziali emessi per giudicare il reato di collaborazionismo ed ha applicato su indicazione degli stessi, articoli decisamente più rigidi del codice penale militare di guerra che prevedevano anche la pena di morte per i reati più gravi, facendo ricorso alla legislazione ordinaria solo per l'applicazione delle attenuanti o delle aggravanti.

La CAS ha tenuto un comportamento severo nei primi mesi del suo lavoro ma più tollerante negli anni successivi. Questa permissività era dovuta all'adeguamento del presidente della Corte alle sentenze emesse dalla Corte di Cassazione.

La suprema Corte era composta integralmente da un ceto giudiziario formatosi, se non altro per motivi di età, sotto il regime e comunque lontano dall’esperienza della barbarie nazifascista. I Giudici di legittimità, infatti, annullano, la grande maggioranza delle decisioni impugnate, rimettendo gli imputati, in caso di Cassazione con rinvio, avanti a Corti lontane dai luoghi ove vennero commessi i delitti

e quindi meno sensibili da un punto di vista emotivo alle vicende personali dei soggetti interessati ed agli umori della piazza.

Infatti dobbiamo ricordare che dai dati statistici è emerso che dei 53 imputati condannati 39 lo furono negli 1945- 46 e solo 14 nel 1947- 48.

Diverso fu proprio il modo di giudicare per lo stesso reato.

Ad esempio si arrivò a due sentenze decisamente opposte pur avendo lo stesso capo di imputazione che nella fattispecie era quello di aver partecipato ad una seduta del Tribunale Straordinario Provinciale.

Nella prima sentenza emessa il 6 luglio 1945 a danno di Cleto Ferrari si arrivò alla condanna a trent'anni di reclusione, mentre il 23 luglio 1947 nel caso di Fernando Siringo si arrivò all'assoluzione per non aver commesso il fatto.

Ma anche nel caso di imputati minorenni si ebbero sentenze diverse negli anni. Nei 1945 e 1946 i due minori, Anna Guerra e Aldo Angeli furono condannati la prima a quattro anni di reclusione e il secondo a diciassette anni dopo aver accertato una capacità di intendere e di volere adeguata all'età anagrafica e non durante un a perizia tecnica.

Diverso fu il caso dei due imputati minorenni che furono giudicati nel 1947, Luciano Mammana e Lauro Leoni, per loro non ci fu la sentenza di condanna ma il rinvio al Tribunale dei Minori di Genova.

Gli imputati appartenevano ad ogni classe sociale e non bastava aver militato nelle BN o nella GNR per essere condannati.

L’analisi dei dati raccolti ha mostrato che furono le azioni violente, commesse sia a danno di civili sia a danno di partigiani, ad ottenere la più alta percentuale di condannati ed ad essere punite con le pene più dure. Giudici e magistrati penalizzarono gli imputati accusati di soprusi e torture più che chi rese possibile e consolidò il dominio dei tedeschi sul territorio italiano mediante l’espletamento di incarichi politici, la concessione di aiuti economici o altri comportamenti non violenti. Ricordiamo che le uniche tre condanne alla pena capitale eseguite furono quelle emesse nei confronti della suddetta Banda Gallo.

La punizione dei delitti che riguardavano le persone fisiche erano acclamate a gran voce dal popolo che come abbiamo visto partecipava al processo nelle aule del