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LA CORTE STRAORDINARIA D'ASSISE DELLA SPEZIA E I REATI DI COLLABORAZIONISMO

6. La presunzione di responsabilità

L’articolo 1 del DLL 22 aprile 1945 n. 142 istituente le Corti di Assise Straordinarie per i reati di collaborazione con i tedeschi affermava:

Si considera in ogni caso che abbiano collaborato con il tedesco invasore, o che gli abbiano prestato aiuto o assistenza, coloro che hanno rivestito una delle seguenti cariche o svolto una delle seguenti attività, successivamente all’instaurazione della cosiddetta repubblica sociale italiana:

1) ministri o sottosegretari di stato del sedicente governo della repubblica sociale italiana o cariche direttive di carattere nazionale nel partito fascista repubblicano; 2) presidente o membri del tribunale speciale per la difesa dello stato o dei tribunali straordinari istituiti dal predetto governo ove vi abbiano sostenuto la

pubblica accusa; 3) capi di provincia o segretari o commissari federali od altre equivalenti; 4) direttori di giornali politici; 5) ufficiali superiori in formazioni di camicie nere con funzioni politico-militari.

Coloro che, nelle cariche e funzioni sopra elencate, hanno assunto più gravi responsabilità e, in ogni caso, coloro che hanno ricoperto le cariche o esplicato le funzioni indicate nei numeri 1 e 2 del comma precedente sono puniti con le pene stabilite dagli articoli 51 e 54 del codice penale militare di guerra; negli altri casi, si applica l’art. 58 del codice stesso.

Data l’esistenza di questa presunzione di responsabilità i processi avrebbero dovuto avere un solo verdetto, la condanna, ma tuttavia ciò non avvenne almeno nella nostra CAS.

Inizialmente tale articolo fu applicato con il presupposto che chi avesse ricoperto tali incarichi anche senza la veridicità dell’accusa avrebbe dovuto essere considerato come collaborazionista a prescindere dalla volontà dell’imputato al momento dell’attribuzione dell’incarico.

Ma con il passare del tempo questa presunzione venne scemando tanto da arrivare a dire che si doveva escludere quando l’ufficio era stato conferito ma di fatto non esercitato e occorreva la volontaria accettazione della causa.

Ricordiamo il caso di Alberto Vicelli224 tenente colonnello comandante

provinciale della GNR che aveva collaborato con il tedesco invasore fornendo militi per il plotone di esecuzione, formando reparti per i rastrellamenti e per aver partecipato ad una seduta del tribunale provinciale straordinario i primi mesi di febbraio del 45 e ad un’udienza nella quale venivano condannati a morte tre patriotti poi fucilati, Paolo Ferrazzo, Roberto Fusco e Aldo Benvenuto.

Vicelli durante la fase dibattimentale confessò i crimini a lui scritti, ma la Corte andò oltre la confessione che non può essere piena prova a suo carico per il principio che nessuno può assumersi la altrui responsabilità su diritti indisponibili ma nel caso del Vicelli vi sono altri elementi di fatto che li rendevano attendibili: la carica ricoperta, la partecipazione alla GNR, la firma dello stesso sulle segnalazioni di alcuni

nominativi di partigiani e la effettiva partecipazione ai rastrellamenti e al plotone di esecuzione.

Vicelli dopo l’8 settembre aveva fornito piccoli reparti per operazioni di rastrellamento e pur avendo ai suoi ordini 1400 militi ne fornì non più di 30 o 40, non partecipando mai personalmente ai rastrellamenti.

Vicelli non aveva partecipato a plotoni di esecuzione e la sua attività consisteva nel firmare le informazioni che provenivano dall’ufficio investigativo poiché era il capo della provincia che trasmetteva l’ordine di formare il plotone all’ufficiale maggioritario della GNR, l’aiutante in seconda tenente Gabrieli, che passava l’ordine ai reparti che procedevano al sorteggio dei militi.

Infine per quanto riguarda le segnalazioni dei nominativi al Comando delle SS germaniche, Vicelli si limitava a firmare le informazioni da inviare all’Ufficio Politico Investigativo.

Il fatto che Vicelli sia a capo delle GNR non lo fa rientrare nel concetto di volontaria partecipazione agli omicidi che è causa ostativa all’applicazione dell’amnistia e neppure la partecipazione indiretta ad operazioni di rastrellamento o l’essersi trovato a capo della GNR dalla quale il Capo della Provincia prelevava gli uomini per il plotone riveste il concetto di volontarietà che è causa ostativa dell’applicazione dell’amnistia. Per questi motivi si procede all’estinzione di questo capo di imputazione per amnistia. Vicelli veniva anche accusato di aver partecipato, nel mese di febbraio ad una seduta del tribunale nella quale venivano condannati tre partigiani successivamente fucilati.

Dopo una serie di indagini si arrivò alla conclusione che Vicelli non aveva partecipato alla seduta del tribunale che aveva emesso la condanna perché questa si era tenuta il 10 aprile ed era stata presieduta dal Maggiore Siringo.

Tenuto conto dell’equivoco, si procede, poiché Vicelli ha comunque partecipato ad una seduta del Tribunale dove sono morte tre persone e non può disconoscersi la materialità del reato. Tale reato non può godere dell’amnistia per l’assoluta illegittimità della autorità fascista repubblicana e delle sue norme, non possono considerarsi sentenze le pronunce dei tribunali straordinari, ma atti delittuosi parificabili alle esecuzioni sommarie. La Corte non ha ritenuto di poter affermare che

Vicelli abbia avuto coscienza e volontà di concorrere all’uccisione dei tre partigiani e in tale stato di incertezza deve pronunciare sentenza assolutoria di mancanza di prove.

Vicelli veniva descritto dai testimoni come persona mite e per questo rimproverato dal tenente Crem di favorire il movimento partigiano.

Vicelli non appena ricevuto il decreto di nomina cercò in ogni modo di esimersi dalla partecipazione al tribunale, come dalla testimonianza di Canese Mario, ma in ogni modo dovette presiedere al giudizio predetto. In Camera di consiglio, cercò di convincere gli altri giudici di non dare la pena di morte ma non vi riuscì e dopo la sentenza si interessò per far presentare domanda di grazia al Capo della Provincia: domanda che venne purtroppo respinta.

Il giudice Antonini con sentenza del 10 ottobre 1947 dichiarò il non doversi procedere per insufficienza di prove nel caso dell’imputazione relativa alla partecipazione al tribunale.

La presunzione di responsabilità avrebbe dovuto valere anche per i membri del Tribunale Speciale, ma nelle sentenze da me esaminate non ho trovato traccia di condanne per questo motivo.

Qualche volta si arrivava all’assoluzione affermando che il legislatore aveva fatto riferimento al Presidente e ai membri del Tribunale intendendo il collegio giudicante e non chi aveva partecipato effettivamente al tribunale ma nella maggioranza di casi si arriva al non aver commesso il fatto per mancanza di volontarietà.

Vota Luigi225 era imputato di collaborazionismo col nemico invasore punito

ai sensi dell’art. 51CPMG per aver preso parte ad una seduta del Tribunale straordinario provinciale della Spezia che si concluse con la condanna a pena corporale di alcuni uomini giudicati in quell’udienza .

Vota era stato chiamato al telefono dal presidente del tribunale Ughetto per sostituire uno dei giudici che era venuto a mancare.

La sua risposta fu negativa, e la motivò dicendo che non poteva partecipare poiché impegnato in una udienza a Sanremo per la difesa di due carabinieri imputati di

un grave reato. Il giorno del processo, l’avvocato si recò a Sanremo dove difese i suoi assistiti ma uscito dal tribunale venne prelevato da un’auto e portato alla Spezia.

Come si evince dalla testimonianza dell’avvocato Barberia Giorgio, Vota rimase sconcertato dell’accaduto e gli raccontò che col pretesto di essere vice pretore onorario di Sanremo lo avevano costretto a tale partecipazione.

Condotto in prefettura, venne rassicurato dal presidente che non si trattava di una grave imputazione per i giovani che si dovevano giudicare e si poteva arrivare anche all’assoluzione.

L’avvocato venne altre volte chiamato a partecipare alle sedute del tribunale e nominato come giudice effettivo del Tribunale della Spezia, ma si rifiutò sempre. Tra i documenti processuali troviamo anche le numerose lettere che scrisse al Governo e poi alla prefettura di La Spezia e di Imperia che insistevano sulla sua partecipazione.

Vota è stato definito dai testi come collega stimato, onesto, incapace di agire male, di animo retto. In suo favore testimoniò anche il CLN d’Ospedaletti che aveva ricevuto somme di denaro per assistenza ai congiunti dei patrioti in montagna e per questo ed altri motivi era considerato come un benemerito della Lotta per la Liberazione.

La Corte con sentenza del 28 febbraio 1946 assolse Vota per aver agito in stato di necessità per una costrizione psicologica che emerse tenuto conto della personalità morale e politica del soggetto e della condotta tenutasi anche nel periodo successivo a tale convocazione.

7. L’amnistia

A metà del 1946 erano molti i processi istituiti a carico di collaborazionisti e il DP 22 giugno 1946 n. 4, meglio noto come amnistia Togliatti, svuotò le prigioni e mutò l'orientamento dei successivi processi.

Tale decreto prevedeva il condono o la commutazione della pena per i reati per i quali la legge comminava una pena detentiva fino a 5 anni.

E' concessa amnistia per i delitti di cui agli articolo 3 e 5 del decreto legislativo luogotenenziale 17 luglio 1944, n159, ed all'art.1 del decreto legislativo luogotenenziale 22 aprile 1945, n.152, n.142, e per i reati ad essi connessi ai sensi dell'art.45, n.2, Codice procedura penale, salvo che siano stati compiuti da persone rivestite di elevate funzioni di direzione civile o politica o di comando militare, ovvero siano stati commessi fatti di strage, sevizie particolarmente efferate, omicidio o saccheggio, ovvero i delitti siano stati compiuti a scopo di lucro.

Se i fatti di cui l’imputato era accusato non facevano riferimento ad alcuna di queste condizioni, egli veniva immediatamente rilasciato.

Molto si è discusso sul termine sevizie particolarmente efferate e si arrivò alla conclusione che si avevano quando i dolori e i tormenti cagionati sorpassavano ogni limite di umana sopportazione e dimostravano in chi li procurava non solo crudeltà ma barbarie ed effettiva ferocia. 226

L’applicazione di tale decreto prevedeva che il reato di violenza sessuale venisse amnistiato.

La normativa prevedeva anche che "la pena di morte venisse commutata

in quella dell'ergastolo, salve le eccezioni disposte per l'amnistia dall'articolo 3; la pena dell'ergastolo è commutata in quella della reclusione per trent'anni; le altre pene detentive, se superiori a cinque anni, erano ridotte di un terzo; ma in ogni caso la riduzione non poteva essere inferiore a cinque anni; le pene pecuniarie erano interamente condonate".

Quasi la metà di coloro che ricevettero una sentenza di condanna furono scarcerati per l’emanazione di questo decreto e si ebbe come conseguenza la liberazione e l’immediata integrazione nella società civile e politica di coloro che erano stati condannati o che erano in attesa di giudizio.

Alla Spezia vennero amnistiati dalla Cas 11 imputati ed altri 15 arrivarono allo stesso risultato dopo un ricorso in Cassazione. Infatti tale decreto di amnistia veniva applicato anche ai procedimenti che erano già conclusi e per i quali si aveva una sentenza di condanna.

È il caso di Mario Raeli227, condannato alla pena di anni 6 e 8 mesi di

reclusione per avere nella qualità di milite della guardia nazionale repubblicana partecipato al rastrellamento di Giucano, a Sarzana dove furono commessi atti di violenza contro le persone e la proprietà privata.

Raeli infatti il 4 febbraio insieme ad un gruppo di circa 20 guardie nazionali repubblicane e di una squadra di tedeschi aveva preso parte a questa puntata nella quale vennero prelevati dal paese galline, uova agnelli ed una mucca. Dopo aver bevuto vino non di certo regalato, furono attaccati dalle forze partigiani. La GNR durante quell'operazione subì alcune perdite, il comandante Trafiletti venne ucciso e Raeli stesso ferito.

La tesi difensiva mirava a escludere il preventivo accordo tra le forze tedesche e quelle della Guardia Nazionale, in particolare ponendo attenzione sullo scopo dell'operazione stessa che sarebbe stata quella di pagare il prezzo di una macchina requisita alla signora Fiorellini residente in quel luogo.

Sentita la testimonianza del comandante Walter, guardie repubblicane e tedesche collaborarono di pieno accordo all'azione per assumere informazioni sui partigiani e che era inverosimile, per le formazioni repubblicane pagare il prezzo delle cose asportate.

In questa fattispecie quindi si può ravvisare il reato di collaborazionismo; gli scopi della missione erano ben noti a Raeli che partecipò con piena coscienza e volontà all'impresa criminosa.

Il difensore puntò la sua difesa sul fatto che essendo un subalterno avrebbe dovuto obbedire agli ordini superiori. La CAS va oltre questo concetto in quanto ritiene discutibile il fatto che si possa applicare l'articolo 40 del cod. militare agli appartenenti alla GNR, in quanto non costituiscono un regolare corpo militare; ma non si ferma qui, pur volendo ammettere la sua applicabilità, per il vincolo di obbedienza gerarchica e per l'efficienza della disciplina militare, al subordinato non è consentito alcun sindacato, ma quando il fatto costituisce manifestamente reato ne deve rispondere anche il subalterno che lo ha eseguito. Nel caso specifico Raeli dotato di

normali capacità intellettive doveva avere la cognizione che si trovava a partecipare al reato di furto.

A Raeli venne applicata la sanzione prevista dall'art 58 CPMG ma concesse le attenuanti generiche di cui all'art.62 bis del CP che riducono la pena di un terzo in considerazione delle circostanze che il colpevole entrò a far parte della GNR in seguito a molestie avvenute nelle Brigate Nere per aver favorito dei partigiani e che partecipò solo all'azione criminosa di Giucano e dopo la guarigione non rientro al Comando della GNR.

Avverso la sentenza del 5 dicembre 1945 si ricorre in Cassazione.

Infine il 23 ottobre 1946 la Suprema Corte dichiarò estinto il reato per amnistia e ordinò la scarcerazione del detenuto se non trattenuto per altra causa.

8. La Cassazione

Il decreto 27 luglio 1944 n. 142 prevedeva la possibilità per l’imputato di impugnare la sentenza della CAS facendo ricorso in Cassazione entro 3 giorni o 10 giorni, se la condanna era la pena capitale, dalla deposizione della sentenza.

I ricorsi venivano presentati da imputati che erano stati condannati in prima istanza per ottenere una riduzione della pena.

Non era solo la condanna a portarli davanti alla Corte perché alcune volte il soggetto ricorreva anche se aveva ottenuto l’assoluzione per insufficienza di prove con la speranza di vedersi assolto con formula piena o per essere riabilitato ai pubblici uffici.

Analizzando i carteggi della Cassazione ho trovato una serie di motivazioni alle quali gli imputati si attaccavano per veder modificata la propria sentenza: mancata motivazione sulla mancata concessione delle attenuanti, mancanza di dolo da parte dell’imputato, sentenza contraddittoria, indizi che non costituiscono prove e incompetenza del giudice per quel reato.

Il ruolo della Cassazione incide sul destino dei processi ai collaborazionisti sulla legittimità, valutando cioè la corretta interpretazione della legge in una precisa circostanza e sui requisiti formali. Al giudice spetta controllare che la sentenza sia passata attraverso l’esame di tutti gli elementi esaminati dal legislatore.

Le sentenze si prestavano effettivamente agli errori, poiché i magistrati applicavano per la prima volta decreti legislativi eccezionali basati sul codice penale militare, per loro meno consueto di quello civile e interpretavano testi di legge tecnicamente assai difettosi. 228

Si ebbero 56 ricorsi in Cassazione, 34 vennero accolti con rinvio ad altra CAS, 16 vennero amnistiati e 6 rigettati.

Grafico 16 – Totale ricorsi

Aldo Angeli229 era minore al momento in cui era stato commesso il fatto.

Con sentenza del 3 maggio '46 l’imputato veniva condannato a 17 anni di reclusione per avere collaborato col tedesco invasore prestandogli aiuto ed assistenza ed in particolare come appartenente alle BN aver partecipato al rastrellamento di Fornola, del 12 febbraio 1945 dove venne ucciso il partigiano Casale: per aver partecipato a rastrellamenti a Borghetto e Pignone; per aver partecipato ad una puntata a Bolano dove nello scontro vennero uccisi due partigiani; per aver proceduto all’arresto di Gino Battistini a Ponzano il 29 marzo 1945 ed infine estorto denaro al bar Tonelli della Spezia.

Angeli, studente del secondo anno di superiori alla scuola tecnico industriale nel giugno 1944 si arruolò nella formazione partigiana Vanni ma nell’espletamento della sua attività diede luogo a molti sospetti.

Dopo lo scioglimento della formazione tornò in famiglia e poco dopo si arruolò nelle BN. Venne condannato a morte dal comando partigiano in contumacia.

Venne arrestato a Parma l’8 ottobre 1945 e tradotto nelle carceri spezzine. Entrando nel merito delle imputazioni non vi è ragione di credere che vi sia stata una diretta ed attiva partecipazione del suddetto né all’omicidio di Casale né al fermo di Battistini.

Si contestava ad Angeli di aver partecipato al rastrellamento di Borghetto Vara dove vi erano state delle vittime oltre all’incendio di baracche; nessun testimone lo aveva visto sul luogo.

Certa era solo la sua partecipazione a Chiamici dove però non ci furono vittime ma solo incendi e pertanto si esclude che abbia potuto uccidere.

La Corte vista la giovane età di Angeli ha ritenuto di dover indagare sulla capacità di intendere e di volere del soggetto, escludendo una perizia che attesti le facoltà intellettive, psichiche e morali convinta della sua inutilità.

Infatti, secondo la CAS, la legge non stabilisce presunzione ne di capacità ne di incapacità ma esige che il minore abbia raggiunto una maturità tale da potergli riconoscere tale capacità.

Nel caso di Angeli questa capacità esiste per la Corte visto che si tratta di un giovane istruito, sveglio, rapido, dotato di una normale autonomia psichica che ha coscientemente posto in essere le azioni delittuose al fine di collaborare col tedesco invasore.

Non vengono concesse neppure le attenuanti generiche, in quanto dalle testimonianze era emerso il fatto che il soggetto aveva una recidiva nella perpetrazione dei delitti ed era malvagio e brutale già al tempo della sua presenza nelle file partigiane.

Durante il procedimento nei suoi confronti non aveva dimostrato di essersi pentito e aveva messo in evidenza che il suo comportamento era dovuto in certi casi dal risentimento privato verso alcune persone.

Alla sentenza della CAS, si ricorse in Cassazione contro la Corte che lo aveva giudicato e contro la sentenza che lo condannava.

La Suprema Corte notò la violazione dell'art. 7 della legge 20 luglio sui minorenni in quanto la CAS doveva dichiarare la propria incompetenza in quanto il soggetto era un minore e rinviare il procedimento al giudice di competenza.

Vero che la Cassazione stabilisce che la legge speciale sulle sanzioni dei delitti fascisti ha preminenza su quella speciale dei minori, circa la competenza del giudizio ma deve pronunciare l’annullamento, con sentenza del 31 ottobre 1947,

perché la CAS non ha proceduto all'accertamento del discernimento con indagini ulteriori per valutare la capacità di intendere e di volere del soggetto minore230.

Nel caso di Carlo Reggiani 231 si chiese l’annullamento della sentenza con

la quale la CAS della Spezia lo condannava alle pena di 6 anni e 6 mesi di reclusione per il reato di collaborazionismo industriale e lo puniva a norma dell’art 58 CPMG.

Antecedentemente all’8 settembre la ditta Durand, esercitava un’impresa che aveva assunto lavori nell’Arsenale della Spezia dove aveva trasportato attrezzi ed altro materiale per un rilevante valore.

Amministratore delegato di tale ditta era Nanei e tra i dipendenti figurava Carlo Reggiani .

Dopo l’armistizio, Nannei lasciò il lavoro perché non intendeva lavorare per i tedeschi e in quell’occasione Reggiani assunse l’incarico di sottrarre ai tedeschi il materiale portato all’interno della base precedentemente dalla ditta Durand.

Recuperato il materiale mentre si accingeva a licenziare gli operai venne minacciato dal tenente tedesco Italinger di non lasciare a casa nessuno e di continuare i lavori pena la deportazione in Germania.

Sicuramente l’attività posta in essere dal Reggiani con le riparazioni delle navi portarono ad un potenziamento della difesa nemica e un corrispondente danno