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LA CORTE STRAORDINARIA D'ASSISE DELLA SPEZIA E I REATI DI COLLABORAZIONISMO

9. Oreste Marcobello

Tra le pene capitali che non furono eseguite troviamo il caso di Oreste Marcobello.

Marcobello Oreste233

, nacque a Vezzano ligure il 23 settembre 1899, iscritto

al PNF sin dal 1922, aderì al PFR ed il mese successivo entrò a far parte delle Brigate Nere col grado di sergente: si distinse per il suo animo crudele e per assenza di scrupoli tanto da accattivarsi la simpatia del Comandante Garetto che lo volle come autista .

Marcobello venne arrestato a Genova e nei sui confronti vennero sporte molte denunce.

In particolare era accusato di aver arrestato il 28 agosto 1944 nell'istituto di cura del Felettino, gli infermieri Natale Maggiani, Edoardo Mordacci, Stefano Sanguinetti e Arduino Cecchi ed averli condotti nel bosco e uccisi. Sentite le testimonianze di Pennesi e di Eulalia Dragoni si accertò che Marcobello aveva partecipato all'arresto dei quattro giovani e al loro assassinio.

Pennesi dichiarò di essersi trovato personalmente sul luogo quando le BN avevano prelevato i dipendenti.

La signora Dragoni anche lei trovatasi sul luogo dichiarò di avere sentito proprio Marcobello chiedere al tenente Pontecorvo se aveva abbastanza caricatori per freddare gli uomini e di avergliene dato uno per riserva. Ricorda di aver visto Marcobello allontanarsi dal luogo dove erano stati prelevati insieme ai giovani e dopo 10 minuti di aver sentito degli spari.

Il PM e poi la Corte furono concordi nell'attribuire a Marcobello la partecipazione all' omicidio; volendo tralasciare il fatto se abbia o meno sparato i colpi di pistola, circostanza non suffragata da prove, il solo accompagnare le vittime sul posto ravvisa comunque un concorso nel reato di omicidio per cui è sufficiente la traduzione della vittima nel luogo del martirio.

Un'altra imputazione pendeva su di lui ed era quella di aver partecipato al rastrellamento di Vezzano Ligure del 7 dicembre 1944, dove erano stati arrestati Pietro Andreani e Enrico Bucchioni che vennero poi fucilati. Il teste oculare Guglielmo 233Archivio di Stato di Genova Busta 46- vari fascicoli

Ferrari disse che aveva veduto Marcobello, armato di mitra, spingere i due giovani patrioti verso il muro ed lo aveva sentito dire "vai là, la prima scarica sarà la tua"; poco dopo, aveva visto l'imputato allontanarsi senza nessun equivoco nella persona visto che lo conosceva da tempo.

Marcobello era anche imputato di aver ricattato Renato Becconcini estorcendogli la somma di lire novemila col pretesto di eliminare una denuncia fatta da loro stessi per antifascismo e di avergli saccheggiato merce per un valore di alcuni milioni nel suo magazzino sito in via Nazionale. L'imputato si era infatti recato nelle vicinanze per piazzare alcune mitragliatrici, aveva aperto lo stabile e da li, asportato due camion, nafta, benzina, vino.

Ci troviamo quindi nell'ipotesi del saccheggio che esclude il beneficio dell'amnistia.

Tutte e tre le imputazioni dette in precedenza sono escluse dal beneficio dell'amnistia ma Marcobello si macchiò di molti altri crimini che rientrarono però nel decreto. Si tratta di percosse, di requisizione di merci, di maltrattamenti e di rastrellamenti a Follo, Vezzano Ligure, Borghetto, Mulazzo e Valeriano.

Marcobello consumando i crimini di omicidio e di saccheggio di cui è stato imputato si è reso collaboratore col nemico invasore, ha indebolito il movimento partigiano di liberazione ha potenziato la resistenza del nemico.

Si ravvisa la volontà nell’imputato di tradire la causa nazionale e con la sua partecipazione a cinque omicidi gli viene applicata la pena di morte mediante fucilazione alla schiena. Il 25 luglio 1946 il giudice Antonini emette la sentenza.

Avverso la sentenza che lo vedeva condannato alla pena capitale Marcobello ricorse in Cassazione allegando un lungo memoriale nel quale spiegava i motivi per cui non si riteneva colpevole dei reati a lui ascritti.

Per quanto riguardava l’episodio del Felettino dichiarò che si trovava in Via XX Settembre alla Spezia dove vi era la sede della BN spezzina quando apprese la notizia della morte del sottotenente Bergamini all'ospedale del Felettino.

Il comandante Garetto gli chiese di accompagnarlo sul posto e lui in abiti borghesi lo aveva fatto usando l'auto di un amico.

Sempre su segnalazione di Garetto poiché conosceva bene la zona, accompagnò altri militi delle BN a casa di Serchi per accertarsi che fosse in casa; non venne trovato alla sua abitazione. Al suo rientro trovò il comandante seduto in auto ad aspettarlo. Rientrato a casa, solo il giorno dopo seppe che era avvenuta tale uccisione. Per l'imputazione che lo vedeva coinvolto nella fucilazione dei due giovani, ammette di essersi trovato sul luogo per accompagnare il comandante svolgendo come sempre la sua mansione di autista, ma di essersi allontanato subito dopo per far colazione con due amici.

Negò di aver partecipato a rastrellamenti proprio perchè il suo compito era quello di autista e nei casi specifici aveva accompagnato il Comandante, tranne che per il caso di Vezzano che attribuisce ai tedeschi.

Nella maniera più assoluta non ritiene gli debba essere imputato il reato di ricatto e di saccheggio nei confronti di Becconcini. Infatti ebbe l'ordine dal suo addetto al garage di andare con il camion delle BN a ritirare due camion nei magazzini del suddetto, nessun tipo di saccheggio ma una semplice esecuzione di ordini.

La Cassazione, dopo aver analizzato le motivazioni, ritiene inammissibile il ricorso con sentenza del 10 dicembre 1946. A seguito del DP 22 giugno 1946 la pena di morte viene commutata in pena dell'ergastolo. Marcobello presenta altre istanze di revisione del procedimento che vengono rigettate.

Con il DP 9 febbraio 1948 n. 32 e 23 dicembre 1949 n. 930 viene ridotto a 30 anni di reclusione.

A fine '48 Marcobello ricorse nuovamente in Cassazione.

Il 2 dicembre 1949 la Corte trasmette gli atti alla procura generale presso la Corte d'appello di Genova che non ritenne sussistano motivazioni per una revisione della sentenza. Il 12 marzo 1951 la Cassazione rigettò un altro ricorso. Il 3 giugno 1954 il presidente Alfonso Tanas, della Corte d'appello di Genova, dichiarò ridotta a dieci anni di reclusione la pena inflitta a seguito del decreto di clemenza 19 dicembre 1953 n. 922. che stabilisce che l'ergastolo già commutato in reclusione, sia ridotto sino ad un limite minimo di dieci anni; limite non suscettibile di riduzione ulteriore.