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BAD BANK

4.1 La bad bank.

La definizione di bad bank sottintende l’istituzione di una società, a partecipazione statale o privata, costituita con lo scopo di acquistare, a prezzi ridotti, ampi portafogli di bad assets, ripulendo i bilanci delle banche in difficoltà62.

La costituzione di una bad bank presuppone la netta separazione tra bad e

good assets, poiché i primi vengono trasferiti nell’attivo della nuova società,

mentre i secondi rimangono nell’attivo della società preesistente63.

Può essere definita bad bank, o alternativamente servicer, l’intermediario al quale un soggetto, non necessariamente una banca, su base continuativa e sistematica, cede, generalmente a titolo oneroso e pro soluto, crediti di dubbio realizzo ed altre attività immobilizzate. Compito del cessionario è provvedere al loro ricupero in tempi inferiori, in misura maggiore ed a migliori condizioni di costo rispetto a quanto accadrebbe in ipotesi di mancato trasferimento e quindi di gestione mediante le strutture interne del cedente; in altre parole, l’elemento di novità sta non tanto nell’attività svolta, poiché già esistono numerose società tra

62 COLOMBINI F., CALABRÒ’ A., “Crisi finanziare. Banche e stati”, Utet, 2011, p.99. 63 COLOMBINI F., CALABRÒ’ A., “Crisi finanziare. Banche e stati”, Utet, 2011, p.133-134.

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cui anche quelle di factoring che si occupano di gestione e ricupero crediti, ma nelle modalità operative finalizzate ad una gestione attiva.

La bad bank rappresenta una soluzione per depurare la banca dai bad

assets. Una volta isolati gli assets viene effettuata una scissione azionaria. Può

essere utilizzata la forma di sottoscrizione di azioni privilegiate da parte del governo, oppure quella di azioni ordinarie che possono essere vendute sul mercato. La bad bank deve successivamente liquidare questi titoli attendendo che, una volte migliorate le condizioni del mercato, diminuisca la differenza tra il valore di mercato degli assets e quello nominale.

Sia la bad bank sia la ricapitalizzazione agiscono sul grado di rapporto di

leverage. Nel primo caso si opera sul numeratore, sottraendo dall’attivo i bad assets ed alleggerendolo da attività svalutate, mentre nel secondo si rafforza il

denominatore aumentando il capitale. Tuttavia, con la ricapitalizzazione o sottoscrivendo obbligazioni, lo stato opera come un investitore, godendo di diritti patrimoniali e di gestione ed interferendo con l’operato dei manager.

Fatta una valutazione delle opportunità e dei rischi la banca può esternalizzare la gestione dei crediti non performing, rivolgendosi ad un soggetto indipendente, servicer. L’accordo di mandato, assistito da procura generale che può consentire, oltre allo svolgimento delle azioni legali necessarie, la definizione di accordi, transazioni, piani di rientro e moratorie, e stabilire l’ampiezza dei compiti individuando per importo e categoria i crediti oggetto della gestione64.

Frazionamento del rischio, grado di ricuperabilità del portafoglio, durata degli incarichi, autonomia gestionale sono quindi elementi che determinano le modalità di offerta da parte del servicer.

La fissazione dei limiti di autonomia è un compito complesso, dato che il rapporto tra le due controparti è talvolta conflittuale: il servicer, tipicamente

64 CRIVELLARI D., “Recupero crediti: dal contratto di servicing alla “business-line” bancaria”, Amministrazione & Finanza n.20/1999.

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remunerato a risultato, può avere obiettivi diversi da quelli della banca cedente tendendo a minimizzare i costi di gestione e quindi ad avere un livello di accettabilità della decisione, specie negli stralci; in altri casi, la banca può preferire ricuperi più veloci anche se di importo inferiore, mentre il servicer, che non sostiene costi finanziari ma solo operativi, tende a conseguire risultati migliori anche se con rientri differiti nel tempo.

La struttura tariffaria del contratto di servicing si articola tipicamente su tre elementi:

• commissioni fisse;

• commissioni variabili in funzione del risultato;

• rimborso di oneri vari e spese legali.

La crisi dei mutui subprime, che ha investito il mercato globale, ha fatto emergere, soprattutto dai bilanci degli intermediari, situazioni molto difficili: crediti difficilmente ricuperabili, titoli strutturati il cui valore nominale non corrisponde all’effettivo valore di mercato, difficoltà di collocamento dei nuovi titoli emessi da parte dei veicoli societari e mancanza di liquidità.

Gli errori nelle politiche di erogazione del credito, l’assunzione di posizioni rischiose e il materializzarsi di alcuni dei rischi che caratterizzano l’attività bancaria causano una diminuzione del valore delle poste attive tale da erodere il capitale proprio provocando uno stato di insolvenza65.

65 Una banca si definisce insolvente quando l’insieme delle sue attività, liquide ed illiquide, assume un valore inferiore a quello delle passività, sia a breve che a lungo termine, determinando una riduzione dei diritti patrimoniali dei creditori. Una banca si definisce illiquida, invece, quando l’insieme delle sue attività liquide assume un valore inferiore a quello delle passività a breve, facilmente trasformabili in circolante.

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È fondamentale individuare tutti i fattori che incidono sull’indeterminatezza della redditività per ciascuna area d’affari e per l’impresa nel suo insieme, in modo tale da misurarli rigorosamente e fronteggiare adeguatamente le vulnerabilità esterne. Il problema di un’efficace ed efficiente gestione delle cosiddette partite anomale, infatti, si è progressivamente aggravato per effetto di molteplici elementi, oltre che per l’aumento dei volumi dei NPL:

• classificazione dei rischi relativi ai crediti sorvegliati, incagliati, in sofferenza, e degli accantonamenti relativi;

• ritardo nell’individuazione delle posizioni a rischio;

• scarsa efficacia delle azioni di ricupero;

• insufficiente livello di ricupero;

• difficoltà di individuazione dell’ammontare esatto dei titoli strutturati illiquidi;

• difficoltà di individuazione della controparte;

• onerosità ed inefficienza operativa.

Una migliore gestione implica, da un lato, cambiamenti strutturali per incidere sul deterioramento della qualità dell’attivo e, dall’altro, cambiamenti congiunturali in modo da raggiungere gli effetti desiderati nel più breve tempo possibile. È in questo quadro che va considerato l’utilizzo di soluzioni che possano innescare un processo virtuoso di monitoraggio ed una successiva revisione delle procedure utilizzate.

Uno dei fattori che provoca il calo della fiducia nei confronti della banca è costituito dal deterioramento del suo portafoglio crediti: quando gli operatori

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ravvisano che i bad credits sono in aumento rispetto al totale dei prestiti erogati, può manifestarsi una crisi di fiducia determinata dal timore che i prestiti di scarsa qualità diventino inesigibili e quindi che aumenti la presenza di non performing

loans nel portafoglio della banca66.

Negli anni precedenti la crisi la percezione del rischio e la propensione verso di esso si sono modificate in misura significativa: il prolungato periodo di bassi tassi di interesse ha generato una sempre maggiore e sconsiderata elargizione del credito, i premi al rischio nei mercati azionari, obbligazionari, immobiliari e dei titoli di Stato hanno raggiunto, in certi momenti, un minimo storico. Volume e numero delle transazioni finanziarie hanno conosciuto una crescita senza precedenti: la deregolamentazione, l’innovazione finanziaria e la crescente integrazione dei mercati internazionali hanno ampliato la gamma di prodotti offerti e le diverse combinazioni di rischio rendimento.

Dal 1993 al 1999, il tasso di crescita delle sofferenze lorde è stato sempre positivo passando dal 2,5% del 1994 al 12,6% del 2000; i dati aggregati attuali hanno registrato tassi di ingresso in sofferenza annui dell’ordine dell’1%, soprattutto per quanto riguarda i mutui a tasso variabile, ritenuti mediamente più rischiosi. Infatti, tra la fine del 2005 e la metà del 2007, il tasso di interesse dei mutui a tasso variabile è salito dal 3,7% al 5,5%, un aumento in linea con quello dei tassi ufficiali, saliti di due punti; nello stesso periodo il costo dei mutui a tasso fisso è salito dal 5 al 5,9%67. In un’analisi della Banca d’Italia sono stati considerati tutti i nuovi mutui alle famiglie italiane concessi nel periodo 2004- 2006 ed alla fine del 2006: il 3,5 % di questi aveva registrato un ritardo nel pagamento di una o più rate, l’1,2% era stato classificato come incagliato, mentre lo 0,63 % era passato in sofferenza.

La qualità del debito assume quindi estrema importanza nella stima della fragilità di una struttura finanziaria, attività e passività possono e devono essere

66 COLOMBO E., LOSSANI M., “Le crisi finanziarie internazionali e gli squilibri domestici: la teoria”, p.27, Università statale di Milano Bicocca.

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valutate tanto sul piano della qualità che su quello della quantità. Il modello di

Minsky, ampiamente trattato da Kindleberger68, mette in evidenza come la qualità del debito si deteriori nei periodi di euforia, anche se la quantità di moneta cresce ad un tasso opportuno e controllato. Concentrare l’attenzione solo su quest’ultima, ammesso che questa possa essere determinata con precisione, costituisce un atteggiamento miope.

La valutazione del merito di credito deve derivare da un giusto procedimento atto a giudicare la situazione attuale e prospettica del soggetto nell’ottica di capacità di ripagare il debito nel tempo previsto, oltre alla valutazione delle garanzie. Questa mentalità deve guidare le procedure di erogazione del credito,

screening, monitoraggio e pricing69. Errate valutazioni nell’elargizione del credito degli ultimi anni sono riconducibili infatti ad una qualità e quantità di informazioni non sufficienti e non adeguate riguardo il portafoglio crediti delle banche70.

In questo contesto il rating71 svolge un ruolo centrale sul piano informativo a causa di molteplici fattori:

• la complessità degli strumenti;

l’opacità degli Structured Investment Vehicles, SIV, i quali emettono strumenti non sempre soggetti al rispetto di obblighi informativi;

• l’assistenza che le agenzie prestano ai fini della configurazione dell’operazione.

68

KINDLEBERGER C. P., “Manias, Panics, and Crashes – A History of Financial Crisis”, p. 18-28,

Basic Books, 1989. Storia delle crisi finanziarie, Edizioni Laterza, 1991.

69 PAVARINI E., “L’equilibrio finanziario”, McGraw-Hill, Milano, 2006.

70 LINCIANO L., “La crisi dei mutui subprime: problemi di trasparenza e opzioni di intervento per le

autorità di vigilanza”, Quaderni di finanza della Consob n’62, Settembre 2008.

71 Il rating è considerato una valutazione resa disponibile al pubblico inerente la bontà creditizia di un’attività finanziaria espressa in modo semplice e intuitivo mediante una scala di valori, indicativi del diverso livello di bontà del portafoglio stesso.

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Negli Stati Uniti società specializzate nell’acquisto e nel ricupero di prestiti

non performing sempre più spesso stipulano accordi esclusivi in base ai quali

l’originator si impegna a cedere con continuità tutti i NPL che rispecchiano criteri predefiniti; ciò offre numerosi vantaggi72 perché l’acquirente del pool si assume un flusso di attivi in grado di coprire i costi fissi dell’attività svolta, i NPL sono immediatamente eliminati dal bilancio del cedente, migliorando l’adeguatezza di capitale, la banca cedente, conoscendo meglio le procedure, riduce i rischi di reputazione nei confronti dei debitori legati alle modalità di ricupero del cessionario.

La Commissione dell’Unione Europea negli anni ha presentato molte proposte per cercare di migliorare il sistema finanziario fortemente in crisi73.

Cronologicamente gli interventi proposti sono stati:

• nel 2008 ha presentato un programma il quale prevedeva assistenza da parte degli Stati a sostegno delle banche;

• nel 2010 ha effettuato una proposta per la tutela dei depositi, migliorando i tempi per i rimborsi;

dal 2011 ad oggi si è occupata del tema cross-border crisis.

La BCE svolge quindi direttamente il ruolo di sorveglianza di tutte le più grandi banche dei paesi coinvolti mediante l’uso di autorità di vigilanza nazionali.

72

PORZIO P., “Securitization e crediti in sofferenza”, p.16, Bancaria Editrice, 2001.

73 BOCCUZZI G., “I rapporti tra sistemi di garanzia dei depositanti e autorità di vigilanza

nell’esperienza italiana e internazionale”, Working Paper n. 9, in Collana di Working Papers del Fondo

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La BCE inoltre ha l’obbligo di assicurare la separazione tra le funzioni di politica monetaria e quelle di vigilanza in quanto svolge entrambe le funzioni. Per questo motivo vengono istituiti organi divisionali separati tra loro.

Gli organi competenti sostengono che per ovviare alla crisi, e non permettere che altre attività interne alla banca possano essere contagiate dagli effetti negativi, sia necessario prendere dei provvedimenti e per cui bisogna adottare degli strumenti atti ad arginare tale problema74.

Lo strumento principale adottato è stato quello di creare un ente ponte usato dalle resolution authorities, il quale è soggetto al rispetto delle norme in materia di intermediario finanziario.

L’ente ponte è un’entità giuridica la cui proprietà è di una pubblica autorità. In pratica la banca che necessita di un piano di salvataggio cede attività, diritti e passività all’ente ponte, l’ammontare del valore complessivo delle passività cedute non deve superare il valore dei diritti e delle attività. Tali enti prendono il nome di bridge bank, creati con lo scopo di vendere l’ente e le sue attività e passività a soggetti privati.

Le bad banks hanno come obiettivo quindi la massimizzazione del valore derivante dalla dismissione delle attività e per tale motivo non è previsto un termine massimo per raggiungere tale obiettivo75.

Quindi per relazionare i due strumenti in merito ad un arco temporale si può sostenere che:

la bridge bank garantisce nel breve periodo la continuità dei servizi e soprattutto il valore degli assets ceduti. È uno strumento che agisce in un arco temporale di breve periodo.

74 CAROZZI A.M., “Strumenti e procedure di risoluzione delle crisi bancarie”, 2003. 75 CAROZZI A.M., “Strumenti e procedure di risoluzione delle crisi bancarie”, 2003.

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la bad bank invece assicura la gestione di tutte le attività deteriorate, o quelle alle quali risulta complicato darne valutazione, con il fine di ricuperarne il valore in un arco temporale di lungo periodo.

Se non venisse usato uno strumento in combinazione con la bad bank quest’ultima sarebbe sottoposta immediatamente ad una procedura di liquidazione. L’uso congiunto di più strumenti permetterebbe invece di salvare tutte le parti sane della banca.

Nella letteratura economica è dibattuta la questione circa l’opportunità che si continuino ad attuare salvataggi di imprese bancarie in stato di dissesto ed il non pieno assoggettamento delle stesse alla disciplina del mercato mediante il fallimento76. Si ritiene che il mancato ricorso al fallimento della banca e la protezione, implicita o esplicita, assicurata mediante strumenti pubblici e privati, siano pratiche dannose e producano inefficienze, in quanto determinano il mantenimento in vita delle banche peggiori ed incentivano fenomeni di moral

hazard da parte del management. Tale peculiarità si manifesta a maggior ragione

nelle crisi bancarie presentando elementi distintivi specifici rispetto a quelle delle altre imprese; gli interessi in gioco che vengono coinvolti non consentono che le avversità possano essere fronteggiate in modo semplice con il fallimento dell’impresa e la sua espulsione dal mercato. In tale contesto l’Autorità di Vigilanza svolge un ruolo di fondamentale rilievo in una posizione di centralità contribuendo a superare le asimmetrie informative esistenti tra i vari soggetti che operano nell’ambito della riallocazione proprietaria delle banche, che costituisce una delle principali modalità di risoluzione delle crisi.

76 BOCCUZZI G., “La crisi dell’impresa bancaria: profili economici e giuridici”, p.14, Giuffrè editore, 2001.

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Il dibattito, apertosi nel mondo finanziario, si è focalizzato sulla scelta tra la ricapitalizzazione e la costituzione di una bad bank, trattandosi di soluzioni che intervengono entrambe sul grado di leva finanziaria77:

• nel primo caso si incide sul denominatore ovvero sul livello di patrimonio: il rischio dei bad assets rimane in capo alla banca che mantiene il precedente livello del costo medio ponderato del capitale, ma tale situazione trova supporto nella più adeguata dimensione dell’equity, il cui specifico costo tende a diminuire quanto più l’aumento di capitale consente di rimborsare i debiti maggiormente onerosi;

• nel secondo caso si opera sul numeratore, eliminando dall’attivo le attività tossiche e fortemente svalutate, compiendo così un’opera di risanamento e di pulizia, in tale evenienza il costo medio ponderato del capitale diminuisce notevolmente e con esso il costo dell’equity.

Per quanto concerne l’immissione di risorse patrimoniali, la quantificazione dei capitali necessari deve assumere come parametro di riferimento minimale il coefficiente di solvibilità, che la banca deve inderogabilmente soddisfare con riferimento, non soltanto al volume ed alla composizione dell’attivo attuale, ma anche all’attività che si intende svolgere e ai rischi che si intendono assumere78.

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Il problema classico nella gestione dei rischi bancari è di raggiungere un grado di leva finanziaria ottimale che consenta un’adeguata remunerazione del capitale senza incorrere in pericoli di insolvenza. Il livello ottimale di leva dipende da numerosi fattori quali, ad esempio, la rischiosità dell’ambiente in cui la banca opera ed il grado di protezione offerto dalle banche centrali, con riferimento ai rischi sistemici. 78

L’intera regolamentazione prudenziale di vigilanza ruota attorno al concetto e alle dimensioni del patrimonio, in termini di adeguatezza, che non significa misura ottimale, ma un livello minimale al di sotto del quale la banca non potrebbe operare, allo scopo di ridurre le probabilità che si verifichino insolvenze.

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La bad bank sul piano economico ha una migliore capacità di svolgere i propri compiti in forza di una sua attitudine a rivelarsi organismo o, più precisamente, intermediario finanziario specializzato79.

In generale la scelta di costituire organismi specializzati nell’attività di gestione e ricupero dei bad assets nasce sempre dall’esigenza di risanare una banca che ha manifestato uno stato di crisi più o meno grave. L’idea è quella di razionalizzare ed accentrare la gestione di un servizio che altrimenti verrebbe gestito in maniera frammentaria con risultati e costi disomogenei.

Tuttavia nel contratto di outsourcing si devono considerare obiettivi, costi, comportamenti e responsabilità, tutti elementi che possono mettere cedente e bad

bank su posizioni talvolta non coincidenti, anche perché il trasferimento di

risorse al cessionario comporta una ridefinizione organizzativa e commerciale: il rischio è che la scelta possa essere determinata da motivazioni contingenti, ad esempio esuberi del personale, piuttosto che da reali motivazioni di efficienza, le quali richiedono invece un’attenta valutazione delle risorse effettivamente disponibili e della loro qualità80.

La costituzione di una bad bank è pertanto solo un aspetto di un piano di risanamento più articolato e complesso poiché in molti casi gli iter legislativi dei piani di salvataggio adottati dalle autorità di vigilanza si sono rivelati lunghi e controversi e le perdite subite dalla bad bank sono state ripianate dalle banche cedenti, ovvero, in un modo o nell’altro, dallo Stato81. Ciò significa che ai costi del fallimento molto spesso si preferiscono i costi delle perdite degli organismi specializzati.

Il verificarsi di uno stato di crisi e la ricerca della soluzione più idonea rappresentano insieme dei momenti traumatici che investono la proprietà, gli organi aziendali, i dipendenti ed i vari soggetti che all’esterno hanno rapporti con

79 DACREMA P., “Alcuni profili teorici e pratici del bad banking”, p.26, Newfin Working Paper, 1999. 80 PORZIO C., “Securitization e crediti in sofferenza”, pp.20-21, Bancaria Editrice, 2001.

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la banca. Nei suoi aspetti operativi la fase di gestione della crisi è estremamente complessa in quanto ogni soluzione teoricamente percorribile presenta controindicazioni per qualche soggetto. Si tratta pertanto di organizzare livelli decisionali, strutture e procedure che abbiano il compito specifico di fronteggiare la situazione di emergenza venutasi a determinare. Non sempre tuttavia all’interno della banca sono disponibili le professionalità necessarie per svolgere le analisi, per disegnare il piano di interventi e per realizzarlo. Occorrerà allora far ricorso a soggetti qualificati opportunamente affiancati dai più idonei elementi della struttura.

Quello delle cosiddette bad bank82 è un fenomeno nato in questi ultimi

anni, che ha coinvolto i maggiori gruppi bancari italiani e internazionali, ma è tornato in voga soprattutto recentemente con il progetto del piano Paulson, proposto negli Stati Uniti il 19 settembre 2008 contro la crisi finanziaria, il quale prevedeva, inizialmente, che lo Stato acquistasse i titoli tossici detenuti dalle banche. Il compito della bad bank è quello di alleggerire le banche da attività tossiche e difficili da smaltire, nonché dalle perdite derivanti da quest’ultime, in modo tale da lasciare la banca originaria libera di funzionare regolarmente. Si tratta in sostanza della suddivisione in due parti di una banca: la good bank, che si occuperà di tutte le parti sane dell’attività di credito, la bad bank che comprenderà tutte le attività cosiddette tossiche. Dal punto di vista operativo i

bad assets verranno isolati nella situazione patrimoniale di quest’ultima e