Le imprese, coinvolte in un ciclo congiunturale negativo, hanno avuto la necessità di una ristrutturazione finanziaria sempre più stringente da una parte e si sono trovate impossibilitate a far fronte agli impegni assunti con il sistema creditizio dall’altra.
In un contesto simile concernente una situazione congiunturale negativa, a seguito della forte concorrenza nel sistema bancario ed al ricorso al mercato dei capitali da parte delle imprese di maggiore dimensione, si è evidenziato il sensibile peggioramento delle attività detenute dalle banche.
Il fenomeno dei non performing loans e l’intensificarsi delle insolvenze hanno innescato un ampio dibattito sulle motivazioni che hanno determinato la rapida crescita degli impieghi rischiosi.
In prima analisi, si può affermare che vi siano:
• fattori strutturali, in tal caso, si pensa che il peggioramento della qualità dei crediti sia riconducibile all’ampliamento repentino delle quote di mercato delle banche, in assenza di un’accurata analisi della solvibilità della clientela affidata. In aggiunta le banche hanno effettuato politiche di impieghi orientate a soddisfare esigenze
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soggettive operando al limite dei criteri tipici di prudenza e vigilanza;
• fattori congiunturali, relativamente a questo aspetto si è ricollegata la crescita dei crediti deteriorati all’agire della congiuntura negativa che ha interessato l’Italia. Una congiuntura negativa comporta una diminuzione dei profitti delle imprese, che si riversano su i bilanci delle banche, in particolare in squilibri nella gestione della tesoreria, influenzando la qualità dei crediti.
A prescindere da quale dei due fattori sia più o meno influente nella crescita dei crediti deteriorati, si può affermare che nella dimensione di questo fenomeno ha avuto un ruolo fondamentale la particolare struttura finanziaria delle imprese italiane ed in particolare:
• l’alta leva finanziaria;
• la bassa mobilità del capitale, il basso sfruttamento dei meccanismi di monitoraggio da parte del mercato dei capitali sulla redditività degli investimenti aziendali;
• la bassa propensione alla quotazione del capitale di rischio e la concentrazione del debito sul breve termine;
• la forte diffusione del pluriaffidamento.
In particolare per l’ultima condizione elencata è bene sapere che vi sono una serie di motivazioni per cui il pluriaffidamento in passato, ma anche oggi, sia molto diffuso.
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Il sistema industriale duale, ossia rappresentato da molte imprese medio- piccole e da un numero esiguo di imprese di grandi dimensioni, è condizione che limita non poco la quotazione del capitale finanziario. Inoltre anche la forte tassazione fiscale gioca un ruolo importante a sfavore delle imprese e le induce ad utilizzare alti livelli di leverage.
Infine una motivazione molto importante riguarda l’asimmetria dimensionale inversa fra prenditore di fondi e prestatore degli stessi. Solitamente il prestatore dovrebbe essere una figura molto più grande rispetto al prenditore di fondi per riuscire a diversificare i rischi.
In Italia invece la banca risultava essere troppo spesso di dimensioni inferiori alle imprese affidate, così quest’ultime ricorrevano ad affidamenti multipli per soddisfare il proprio fabbisogno finanziario. In questa situazione le banche si sono trovate in una condizione di basso potere negoziale, sono state costrette quindi a concedere prestiti a tassi agevolati.
Alla luce di tale situazione i finanziatori, ovvero le banche, hanno avuto difficoltà a segnalare via pricing i rischi di un’eccessiva crescita del leverage delle imprese. Così la presenza di livelli di pluriaffidamento molto elevati ha portato ad una forte esposizione delle banche al ciclo economico.
Nell’ultimo quindicennio quindi le banche hanno pagato per la loro forte esposizione alle fasi economiche il prezzo di una spropositata crescita dei propri crediti deteriorati ed i connessi oneri. In particolare:
• gli oneri connessi al sistema impositivo vigente in passato, ma anche attualmente molto rilevante;
• gli oneri derivanti dal ritardo con cui all’epoca e tuttora si concludono in Italia le procedure esecutive immobiliari, i quali oneri sono valutabili come perdite su crediti ricuperati tramite queste procedure.
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In quest’ottica la forte domanda di capitale di debito ha alimentato in Italia una struttura del mercato in totale squilibrio, gli aspetti più evidenti sono risultati essere la dispersione degli affidamenti e l’underpricing sui prestiti. Tale analisi mette in realtà in evidenza che la condizione che limita il mercato italiano è dovuta alla bassa efficienza allocativa del credito. Le banche infatti sono responsabili della non capacità di segnalare con prezzi efficienti, ossia tassi d’interesse, la qualità dei prenditori e dunque di allocare il risparmio.
Sicuramente il tessuto imprenditoriale italiano, composto da un numero maggiore di imprese piccole rispetto agli altri paesi, è una tesi condivisa da molti, lo stesso dicasi per il persistente squilibrio dell’allocazione del credito tra Nord e Sud dell’Italia. Sebbene queste variabili contribuiscano in maniera non trascurabile a spiegare le ragioni strutturali dell’elevato rapporto fra impieghi ed insolvenze, è utile analizzare un’ulteriore aspetto, ossia di come incidano sulla qualità degli attivi i comportamenti delle banche.
Due condizioni che favoriscono l’insorgenza di comportamenti non ottimali sono l’assenza di condizioni concorrenziali nel mercato del lavoro ed in quello dei capitali.
Con riferimento al primo si evidenzia come un mercato del lavoro efficiente disincentiverebbe comportamenti non ottimizzanti in quanto i manager avrebbero interesse a difendere la propria reputazione per evitare di essere discriminati in futuro; quanto al mercato dei capitali è evidente come un suo buon funzionamento garantisca condizioni di efficienza gestionale ottimali.
Sulla base di queste considerazioni si può affermare che una proprietà non eccessivamente frazionata assieme ad un efficiente mercato dei capitali può costituire un importante fattore di disciplina sul comportamento dei manager.
Al contrario una proprietà a capitale prevalentemente pubblico associata a mercati dei capitali non operosi favorisce l’insorgenza di comportamenti non ottimali.
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Una volta chiarite le condizioni che rendono possibile l’insorgenza di comportamenti anomali da parte dei manager si può spiegare come tali comportamenti si traducano in un deterioramento della qualità dell’attivo dell’impresa bancaria mediante due ipotesi:
• il perseguimento di dimensioni più ampie di quelle coerenti con la massimizzazione dei profitti implica una politica del credito accomodante e quindi l’accettazione di livelli di rischio superiori a quelli ottimali;
• il prevalere di comportamenti sub-ottimali, del tutto plausibili nel mercato italiano, comportano una minore efficienza complessiva delle banche e quindi anche una minore capacità delle stesse a discriminare i crediti di buona qualità da quelli di cattiva qualità.
Pertanto se si guarda alla realtà italiana, caratterizzata da un mercato dei capitali ancora in fase di consolidamento e da un mercato del lavoro particolarmente condizionato dalla trascorsa proprietà pubblica delle principali banche, si vede con tutta evidenza come il problema delle inefficienze gestionali dei manager sia del tutto attuale e dunque, in linea teorica, la cattiva qualità dei prestiti può essere l’esito di più che plausibili inefficienze manageriali oltre che di avverse condizioni ambientali21.
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Si tralascia la questione della concorrenza nel mercato dell’output sia perché i mercati bancari sono tutti caratterizzati da un certo grado di monopolio, sia perché se tutte le banche presenti in un certo mercato si caratterizzano per comportamenti di expense preference, la concorrenza non rappresenta più un fattore di prevenzione di tali comportamenti.
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1.5 Il peso dei crediti deteriorati per le banche e la scarsa qualità degli