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4. CAPITOLO 4 La costruzione della città: finanziamento e manodopera servile

4.2 La basa manovalanza: una massa eterogenea di sudditi e deportat

Al di là del finanziamento vero e proprio, ottenuto pertanto grazie allo sfruttamento di ogni forma di entrata pecuniaria nelle casse dello stato, dai bottini di guerra ai prestiti da privati, e all’acquisizione dei terreni mediante pratiche discutibilmente regolari, la costruzione di Dūr-Šarrukīn ha implicato lo sfruttamento di un’ingente quantità di manodopera servile e di materie prime. Entrambi i fattori, ragionevolmente più complicati da reperire nel periodo antecedente all’espansione dell’impero assiro, diventano un prerequisito essenziale per l’avviamento di specifici progetti urbanistici a partire dall’inizio del periodo neo-assiro: da allora, la guerra diventa il mezzo per eccellenza per procurare ciò che era necessario ai grandi lavori, non solo in termini di bottini e tributi, ma anche manovalanza e maestranze, così come le materie prime di cui l’Assiria era formalmente priva23.

Lo strumento più efficiente per incrementare la quantità di forza lavoro si rivela la deportazione massiccia di interi gruppi di popolazioni straniere.

La politica delle deportazioni ha inizio in un periodo assai più antico della storia assira e le cospicue testimonianze dirette circa tale pratica sono attestate in Adad-nirari I (1307-1275 a.C.), Salmanassar I (1274- 1245), Tukulti-Ninurta I (1244-1208 a.C.), Tiglatpileser I (1114- 1076 a.C.); nonostante ciò, il carattere intensivo di tale consuetudine è principalmente attestato a partire dalle iscrizioni di Assurnaṣirpal II (883-859 a.C.)24, il quale promuove la

fondazione di un tema ideologico che riflette uno dei ruoli principali dei deportati una volta giunti nel cuore dell’impero: essi, infatti, attraverso il loro lavoro, contribuiscono alla fondazione della capitale assira25. Tale motivo si estinguerà solo con il termine della dinastia

sargonide: in modo particolare, le attestazioni relative a pratiche di deportazione di massa

23 Lackenbacher 1990: 70.

24 UNmeš ki-šit-ti ŠU-ia šá KUR.KURmeš šá a-pe-lu-ši-na-ni šá kursu-ḫi // kurla-qe-e ana si-ḫír-ti-šá urusir-qu ṣá

né-ber-ti ídpu-rat-te kurza-mu-a ana paṭ gim-ri-šá // kurÉ.a-di-ni u kurḫat-te u šá mlu-bar-na kurpa-ti-na-a-a al-qa

ina líl-bi ú-šá-aṣ-bit “Ho portato le genti conquistate di mia mano dai paesi di cui ho ottenuto il dominio, dal

paese di Sūḫu, da tutto il paese di Laqû, dalla città di Sirqu che si trova sul fiume Eufrate, dall’intero paese di Zamua, da Bēt-Adini e dalla terra di Ḫatti, e da Lubarna, il paese di Patinu (e) li ho insediate al suo interno (nella città di Kalhu)” (Asn.II; RIMA 2: 227).

25 Questo motivo ricorre correntemente nelle iscrizioni dei sovrani successivi perché, come afferma M. Rivaroli, esso è profondamente associato con l’esaltazione dell’ideologia imperiale assira (Rivaroli 2004: 200).

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sono per lo più da attribuire ai regni di Tiglatpileser III (744-727 a.C.), ossia il sovrano che ha realmente posto le basi per un’evoluzione di tipo imperiale, Sargon II e Sennacherib26,

mentre i numeri sembrano diminuire per i regni di Esarhaddon e Assurbanipal27.

L’esercizio di deportare ingenti masse di popolazioni straniere è motivato da molteplici ragioni di natura differente, tutte atte a potenziare e perfezionare i diversi aspetti che contribuivano alla stabilità dell’impero28, come ripopolare i terreni incolti per renderne

coltivabili quanti più possibili, rimpolpare la servitù domestica in seno alle diverse amministrazioni, smantellare le classi dirigenti dei paesi conquistati “eliminando così quanto di “identitario” era nel loro retaggio linguistico, culturale e religioso (…). In sintesi, il sistema assiro di conquista politico-territoriale degli insiemi statali “nemici” aveva, come uno dei suoi cardini essenziali, la redistribuzione e il miscelamento delle popolazioni vinte entro le vaste terre o le strutture amministrative dell’impero”29.

In relazione alle attività di deportazione attuate da Sargon II, esse sono attestate in un notevole numero di fonti, come il Vecchio Testamento, le iscrizioni reali (principalmente nella sezione annalistica dedicata alla commemorazione delle attività belliche, ma brevemente accennata anche nel resoconto di costruzione), le lettere, la documentazione amministrativa e la produzione figurativa: in generale, l’intera macchina organizzativa strutturata per la costruzione della nuova città affondava le proprie radici nell’ingente numero di bassa manovalanza alimentata da masse umane straniere. È infatti indubbio che un’operazione ciclopica come la costruzione di una nuova capitale poteva essere portata a

26 Vd. Tav. 5, Cap. 10.

27 Uno studio esteso e meticoloso sulla pratica delle deportazioni in periodo neo-assiro è stato svolto da B. Oded 1979, al quale si rimanda per ulteriori riferimenti alle modalità di deportazione, l’origine dei deportati, le finalità di tale pratica e la terminologia ad essa collegata; inoltre, il tema delle deportazioni sotto Sargon II è stato altresì indagato in due contributi di N. Na’aman dedicati specificatamente alle popolazioni deportate da Israele (Na’aman - Zadok 1988; Na’aman 2000). Per approfondimenti più recenti e contenenti una visione complessiva più aggiornata delle fonti di carattere quotidiano e amministrativo, si rimanda a Fales 2001: 73- 75 e Fales 2006.

28 “Positive incentives are less known to us, although these were surely important for the well-being of the empire. The stability of an empire not only depends on people fearing it: its subjects must also be well integrated into the empire and believe in its legitimacy” (Gallagher 1994: 59).

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compimento solo con il contributo di una grande quantità di manodopera a bassissimo costo30.

Oltre a ciò, è essenziale precisare che la manovalanza più modesta non era certamente composta solo da stranieri deportati in madrepatria. Al contrario, la popolazione assira è pienamente inserita nel processo edilizio ed è incaricata di svolgere le mansioni più disparate. Ogni cittadino d’Assiria, inteso come suddito del re (urdu ša šarri), poiché soggetto allo svolgimento di una mansione obbligatoria che viene sintetizzata dalla locuzione “lavoro del re” (dullu31 ša šarri, termine che indica il “lavoro” o “compito” in

ogni sua possibile sfumatura”), è vincolato a prestare non solo il servizio militare, ma anche il suo contributo attivo in circostanze eccezionali richieste dall’autorità centrale. Pertanto, egli è subordinato al lavoro del re mediante un legame implicito e funzionale dal quale può esentarsi solo se la relativa disposizione reale lo consente. Se il “lavoro del re” indica quindi una condizione generica di asservimento funzionale al mantenimento di una stabilità gerarchica strutturata,32 al tempo stesso ogni cittadino è obbligatoriamente chiamato a

sottoporsi a stati di servizio straordinari (ilku)33 e di durata variabile e limitata, sia

nell’eventualità di una leva militare eccezionale, sia in caso di lavori di corvée.

Poiché ogni singolo progetto edilizio o opera pubblica è generalmente progettato e iniziato dal sovrano in carica, la necessità di reperire la bassa manovalanza è direttamente gestita

30 Lackenbacher 1990: 71.

31 “Le terme de dullu est extrêmement géneral. Il déborde largement le domaine militaire et désigne, dans toute profession, la tâche qui doit être accomplie. Ce peut être, pour un prêtre, le rituel nécessaire aussi bien que, pour un soldat, les travaux et corvée qu’imposent la vie en garnison ou les obligations d’une campagne: il comporte les transports, les aménagements, les cultures, de même que l’entretien ou l’utilisation des armes et du matériel militaire” (Malbran-Labat 1982: 116). Il termine può essere utilizzato nella sua accezione primaria di “lavoro” (quindi, dullu epēšu, lett. “fare il lavoro”), oppure “can be qualified as necessary, for exemple dullu

ša šarri epāšu” (…) which is used especially in connection with regard to corvée labour such as ilku” (Baker -

Groꞵ 2015: 79).

32 Il concetto di dullu è posto alla base di qualsiasi tipo di relazione fra l’autorità statale e gli ufficiali ad essa sottoposti. Si tratta di una vera e propria “etica del lavoro” (Fales 2001: 119) oppure, utilizzando il termine coniato da N. Postgate, un “ethos of service” : “Whether the duty of each official s perceived as owed to the system, or to an official or officer immediately above him in the system, The reason for fulfilling that duty is a mixture of loyal conscientiousness – perhaps even pride – in fulfilling the assigned role, expectation of reward and improved security in employment, and fear of the consequence of failure” (Postgate 2007: 337; Baker – Groꞵ 2015: 73-90)

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dalle disposizioni reali: in questo modo, il cittadino assiro viene obbligato a prestare il suo servizio straordinario, così come il deportato è vincolato a sottostare alla condizione di servo del re34.

Per mezzo di espressioni ripetitive che solo occasionalmente presentano varianti o supplementi in base alla tipologia di testo (per es., l’iscrizione più estesa definita Display

Inscription riporta una versione lievemente più elaborata del passo), tutte le iscrizioni reali

ratificano che Sargon II, nella costruzione della sua capitale, ha impiegato non solo cittadini assiri, ma anche artigiani e lavoratori dai paesi conquistati35:

Testo 2136

Sfruttamento di manodopera servile e popolazioni deportate all’interno delle iscrizioni reali.

(Annali, linee 424-425; Dis.Insc., Sala XIV 27-28; 50-53; Dis.Inscr. 153-154 e passi paralleli)

i-na u4-me-šu-ma i-na te-ni-še-e-ti na-ki-ri (altra versione: i-na UNmeš KURmeš) ki-šit-ti ŠUII-ia ša daš-šur dAG ù dAMAR.UTU ú-

šak-ni-šu i-šu-ṭu ab-šá-ni i-na GÌRII-ia kurmu-uṣ-ri KUR-i e-le-nu NINAki ki-i ṭè-em DINGIR-ma i-na bi-bil lìb-bi-ia URU DÙ-

uš-ma uruBÀD-m20-GIN az-ku-ra

In quel tempo, mediante (il lavoro del)le genti nemiche / straniere (altra versione: le genti dei paesi) conquistate di mia mano che Assur, Nabû e Marduk avevano sottomesso al mio giogo, ai piedi del monte Muṣri, sopra Ninive, ho costruito una città

34 Alcuni dei più grandi progetti erano probabilmente concepiti anche per trovare lavoro ai numerosi deportati È certo che la costruzione di strade, fortificazioni, canali e palazzi fosse generalmente principiata dal sovrano, e le iscrizioni reali mettono in chiaro che le popolazioni deportate fossero largamente impiegate in questi progetti. Tuttavia, l’ordinario uomo “assiro” poteva essere impiegato per il lavoro del re in alternativa al servizio nell’esercito per soddisfare le sue obbligazioni ilku (Postgate 1987: 266); per una descrizione del sistema lavorativo vigente in periodo neo-assiro, si rimanda a Postgate 1974, 1979 e 1987; Radner 2007. 35 “The inscriptions recounting the capture of Samaria mention that Sargon II conscripted some of the deportees into his army. Concerning the resto of the deportees one of the inscription states: “sittātēšunu ina qereb kurAššur

ušaṣbit”, that is, “the rest of them I caused to take their dwelling in the midst of Assyria”. With regard to the

deportees referred to as “the rest”, another inscription states: “sittūte inūšunu ušaḫiz” = “I allowed the others to exercise their craft”. From these two documents we may deduce that those inhabitants of Samaria who were deported, but not conscripted into the army, continued in Assyria to practice the trades they had practised in their own country, or else were taught new trades for which there was a need in the Assyrian empire” (Oded 1979: 56).

157 (…)

ba-’u-lat ar-ba-’i li-šá-nu a-ḫi-tu at-me-e la mit-ḫur-ti a-ši-bu-ut KUR-i ù ma-ti ma-la ir-te-’u-u ZÁLAG DINGIRmeš EN gim-ri ša

i-na zi-kir daš-šur EN-ia ina me-zez ši-bir-

ri-ia áš-lu-la pa-a 1-en ú-šá-áš-kin-ma ú- šar-ma-a qé-reb-šú DUMUmeš KUR daš-šur

mu-du-ut i-ni ka-la-ma a-na šu-ḫu-uz ṣi-bit- ti pa-laḫ DINGIR ù LUGAL ak-li šá-pi-

ru-tum ú-ma-’i-ir-šú-nu-ti

su ordine degli dèi e su impulso del mio

libbu e l’ho chiamata Dūr-Šarrukīn.

(…)

Genti della quattro parti (del mondo), di lingua diverse, con modi di parlare divergenti, abitanti di montagna e di pianura, tutti soggetti alla luce degli dèi, signori di ogni cosa, che per ordine di Assur, mio signore, con la potenza del mio scettro, ho deportato, ho unificato in una sola lingua e ho insediato al suo interno. Figli del paese di Assur, profondamente abili nell’insegnare loro il timore di dio e del re, li ho assegnati come scribi e come sovrintendenti.

Il testo ribadisce un habitus ormai consolidato in Assiria a partire da Assurnaṣirpal II: i popoli deportati dalle più disparate parti del mondo (ba’ūlāt arba’i) sono destinati a rivestire una doppia funzione, intesa realmente come una duplice finalità pratica determinata dalla volontà politica del re: costruire la città (ba-ḫu-la-te-ia37 gap-šá-a-te ad-ke-ma al-lu

tup-šik-ku ú-šá-áš-ši “ho raccolto in grande numero i miei sudditi e ho fatto portar loro il

37 Il termine baḫulātu (= ba’ulātu) utilizzato come pluralia tantum, indica in linea generale il concetto di sottoposti, sudditi, popolazione soggetta a controllo centrale. Lo stesso termine (ba-’u-lat ar-ba-’i “popolazioni delle quattro parti (del mondo)”) viene utilizzato nel passo delle iscrizioni reali in cui il sovrano esalta il processo di unificazione culturale e linguistica dal lui attuato a seguito dell’istallazione ufficiale dei popoli nella nuova capitale. Pertanto, questo lemma rappresenta verosimilmente l’intera popolazione assira soggetta alla volontà reale, senza particolari distinzioni di status o etnia, in quanto sono tutti sudditi del re d’Assiria. Oltre a ciò, il CAD specifica che questo termine viene utilizzato nella sola documentazione epigrafica di Sargon II ed Esarhaddon per circoscrivere i soldati e i lavoratori (CAD B, ba’ulātu: 182-184).

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piccone e il cesto”)38 e, in seguito, essere installati come cittadini della medesima città al

fine di popolarla.

Le epigrafi sottolineano inoltre l’enorme divario culturale e linguistico presente tra la gente del paese di Assur (nišē māt Aššur) e i popoli stranieri, rimarcando le differenze qualitative che li contraddistinguono e rinsaldando quel tradizionale rapporto di ostilità culturale che da sempre aveva costituito il pilastro fondante dell’identità comunitaria mesopotamica; si rimarca quindi la differenza tra il cittadino dell’urbe e il forestiero proveniente dalla periferia, secondo una concezione dell’universo per cui lo spazio è, di norma, il fattore precipuo per la definizione delle qualità dell’individuo.

I popoli conquistati per mano di Sargon II (kišittu qāti)39 hanno origini eterogenee poiché

provengono da diverse parti del mondo conosciuto – difatti manifestano diverse caratteristiche fisionomiche e fisiognomiche – e risiedono in luoghi di liminalità o alterità come il KUR, non appartengono alla categoria civilizzata del cittadino e, soprattutto, comunicano con sistemi linguistici incomprensibili e contraddittori l’uno con l’altro: All’opposto, gli assiri, intesi come cittadini residenti nel paese di Assur, percepiscono loro stessi come un’unità fondata su principi univoci e qualità condivise, ossia come una comunità compatta che tende a riflettere la perfezione e la coesione del cosmo40. In analogia

con l’attitudine di ogni governante della Mesopotamia antica, il sovrano neo-assiro avverte l’esigenza di ristabilire l’unità predeterminata del cosmo adducendo a una serie di attività finalizzate ad assorbire e stabilizzare questa stessa unità e, per questa ragione, adempie alla sua missione di annettere in territorio assiro gli spazi alieni e assorbire le popolazioni

38 Rif. Testo 7, linea 56; supra, § 3.2.1. Un ulteriore sviluppo al tema dei lavoratori che, una volta dotati degli strumenti del lavoro per eccellenza, ovvero il piccone e il cesto per l’argilla, sono da ultimo abilitati a intraprendere la costruzione concreta, è attestato in Sennacherib che, nelle sue iscrizioni, sembra far trapelare la realtà umana e lo sforzo dei sudditi incaricati del trasporto di porte lignee, colossi e blocchi di pietra; inoltre, egli è l’unico a compiacersi di aver ricompensato riccamente coloro che avevano partecipato alla costruzione di un grande canale per favorire l’approvvigionamento idrico di Ninive (Senn.; RINAP 3, 15: v, 55- 65; Lackenbacher 1990: 74).

39 CAD K, kišittu: 452-453. 40 Liverani 1979: 311-312.

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straniere sotto l’egida del dio Assur, contandole al suo interno tra le genti d’Assiria (itti nišē

Aššur manû)41.

Le iscrizioni dei sargonidi descrivono questo concetto dicotomico che si pone alla base della missione reale (o imperiale, come viene definita da M. Liverani)42, affidata dal dio Assur

alla figura de re, attraverso l’opposizione semantica fra unità e diversità, coesione e disorganicità; per cui la diversità etnica, linguistica e spaziale che si delinea come il paradigma identificativo per lo straniero viene contrapposta all’unità assira (pâ išten šakānu Š “li ho posti sotto un unico comando”).

Oltre ad applicare una trasformazione dallo stato di eterogeneità a quello di unità, il re assiro deve addestrare i deportati “alla struttura gerarchica, al lavoro coatto e al timore di dio”43,

così da consentire la loro ascesa non solo allo stato di cittadini dell’impero, ma anche alla condizione unificante di urdāni ša šarri.

D’accordo con tutte queste motivazioni, è fondamentale aggiungere che la nozione di popolazione deportata esposta nel presente studio non vuole essenzialmente riferire all’idea di un raggruppamento umano posto in un convenzionale stato di schiavitù, bensì a gruppi di uomini sradicati dai loro paesi di origine e integrati all’interno dei confini imperiali.

Inoltre, il vocabolario accadico consente raramente di effettuare indagini approfondite sul reale stato di diritto dei singoli cittadini assiri o, in generale, degli individui residenti nel vasto paese di Assur. Questa inevitabile ambiguità è causata da una scelta terminologica che prevede l’utilizzo del termine urdu (ša šarri “suddito del re”, ma convenzionalmente anche “servo, schiavo”)44 per indicare genericamente ogni essere umano sottoposto all’autorità del

41 Fales 2001: 76-80; secondo le ricostruzioni di B. Oded questa espressione si eclissa nelle iscrizioni reali dei successivi sargonidi (Oded 1979: 83): difatti, le iscrizioni reali di Sennacherib sono maggiormente orientate a elencare i nomi delle popolazioni deportate e a sottolinearne il giogo dell’Assiria da lui imposto (Senn.; RINAP 3, 3: 41; Bellino Cylinder).

42 Liverani 2017: x. 43 Liverani 2017: 161.

44 La definizione presente nel CAD riporta entrambe le interpretazioni del termine, sia in termini di servitù (1.”slave”), sia in contesto di subordinazione a un’autorità principale (2.”official, servant, subordinate, retainer, follower, subject (of a king), worshipper (of a deity)”) (CAD A/II, ardu (= wardu, bardu, urdu, aradu): 243 ss.); cfr. AHw III, (w)ardu(m)): 1464-1465 (“Sklave, Diener”); il termine è stato parzialmente analizzato da F.Malbran-Labat: “Dans l’emploi du mot, il ne s’agit pas seulament d’une simple marque de déférence, non plus que de l’affirmation d’un rapport “juridique”, ailleurs très exactement et très sciemment évoqué. Le terme,

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re e del dio Assur. Ogni possibilità di cogliere sfumature o distinzioni nello status giuridico del singolo abitante di Assur si rivela pressoché inattuabile, poiché il termine urdu viene utilizzato per delimitare indistintamente tutte le classi di persone non libere, “so that if we wish to make distinctions within this group, we are obliged to coin our own terms”45.

Pertanto, allo stato attuale delle nostre conoscenze, questa entrata lessicale sarebbe, in apparenza, l’indice sommario di una condizione di subalternità, ossia lo stato indistinto di asservimento al re, al dio, a qualsiasi dignitario assiro e, contestualmente, lo status formale di servo (nel significato convenzionale che attualmente accordiamo a questo termine). Da quanto emerge dalle fonti epigrafiche e dalla più generale concezione mesopotamica del creato, il passaggio spazio-temporale dal luogo di origine al luogo di destinazione (Assiria) di un individuo sottoposto a deportazione adduce a un sostanziale cambiamento di stato: egli viene definito ḫubtu (< ḫabātu, “privare, portar via con la forza”), termine altresì utilizzato per indicare l’idea generale di bottino di guerra46 e indice di una totale dissociazione fra

l’essere umano e la funzione che esso ricopre. Questo termine allontana il prigioniero non solo dalla sua condizione di “uomo libero”, ma implicitamente anche di uomo stesso; inoltre, tale processo è verosimilmente comprensibile alla luce della negatività che permeava l’idea di altro/alieno/straniero nel loro modo di concepire la realtà tutta.

Il raggiungimento della mèta avrebbe potuto generare o meno un cambiamento formale di stato giuridico47, sebbene l’autenticità di una simile trasformazione non possa essere a tutti

gli effetti confermata: una volta giunti in Assiria e, pertanto, ridistribuiti nelle loro nuove collocazioni e secondo le loro nuove mansioni, i deportati entravano a far parte della popolazione assira, almeno da un punto di vista puramente lessicografico e ideologico. Nonostante la summenzionata sovrapposizione fra le nozioni di bottino e deportato – in quanto si tratta, a tutti gli effetti, di un prigioniero di guerra – la corrispondenza reale di

ici, a une valeur proprement “politique” et couvre alors un ensemble de notions qui vont du sens de “partisan”, “serviteur” à celui de “fidèle sujet” (Malbran-Labat 1982: 31-40).

45 Postgate 1987: 263.

46 I primi due significati vengono tradotti come “robbery” e “booty, loot”, mentre il secondo fa riferimento alla sfera umana “captive, prisoner of war” (CAD Ḫ, ḫubtu: 215-216).

47 “The transformation from a “deportee” to a “helot” probably did not involve any change in status, although for practical reasons the new arrivals in the central provinces mus have received special treatment and have