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2. CAPITOLO 2 La città nella Mesopotamia antica e la capitale neo-assira

2.2 Città, capitali e fondazioni in periodo neo-assiro

A partire dal IX secolo a.C., i sovrani assiri intraprendono tutta una serie di attività edilizie, programmi architettonici, rinnovamenti urbanistici, restauri e modifiche ambientali uniche nel loro genere. In periodo neo-assiro, infatti, la fondazione di nuovi centri urbani25

e l’ampliamento delle capitali costruite nel passato si delineano come fenomeni particolarmente estesi, tanto che ogni sovrano è deciso a dimostrare il proprio potere attraverso la costruzione – o la ricostruzione – di edifici cittadini; egli è intenzionato a condurre lavori sempre più imponenti e maestosi, innescando, di conseguenza, un processo che invoglia ogni monarca a migliorare le proprie tecniche e superare, nella sua attività di costruttore o restauratore di capitali, le opere realizzate dai suoi predecessori:

“Dans l’Assyrie du Ier mill. av.J-C., chaque souverain devait manifester – et aussi justifier – son autorité et la légitimité de son pouvoir à travers des constructions imposantes”26.

24 Johnson 2014: 4; cfr. Liverani 2001: 303.

25 La costruzione di città di nuova fondazione si delinea come un fenomeno diffuso nello spazio, ma relativamente circoscritto nel tempo delle capitali di nuova fondazione antecedenti al caso di Dūr-Šarrukīn. Si vedano, a questo proposito, la fondazione di Dur-Untash in Elam nel XIII secolo a.C., la costruzione di Dur- Kurigalsu nella Babilonia del XIV secolo a.C. e, nel contesto assiro, la fondazione di Kār-Tukulti-Ninurta I nel tardo XIII secolo a.C.; si riportano, pertanto, le parole di J.C. Margueron, al quale si rimanda per approfondimenti su questo argomento: “La fondation d’une ville ex nihilo per une volonté politique paraît une pratique presque aussi ancienne que l’existence même des cités” (Margueron 1994: 3).

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In un ampio e variegato contesto spazio-temporale come quello della Mesopotamia antica, pur soffermandosi sul più circoscritto periodo neo-assiro, appare problematico procedere a una vera e propria definizione di città capitale che sia equivalente alla concezione moderna e, pertanto, legata alle funzioni che essa rappresenta.

Se la terminologia sumero-accadica inerente all’immaginario urbano non favorisce agevolmente lo studioso moderno nelle sue indagini storico-filologiche, altrettanto impervio è il sentiero verso una definizione di capitale, intesa nell’accezione attuale e convenzionale del termine.

Una proposta di lettura metodologica per circoscrivere l’idea assira di capitale è stata recentemente avanzata da E. Cancik-Kirschbaum, la quale afferma:

“The case of Ashur makes it quite obvious that in Mesopotamia as elsewhere the concept of capital city involves other kinds of ‘landscape’ beyond architectural manifestations such as the ideological, the political, the economic, the sacred, the legal, the administrative landscapes, a plurality of differing layers, some of a more universal character others subject contingent parameters, that contribute to the status of capital city. The multi-layered-concept aims at explicitly integrating the perspective of agency, considering city not only as a material container, a fixed arrangement of spatial manifestations, but seeing it as a complex texture shaped by enacted societal relations, whatever their concrete motivation of legitimation may be”27.

Oltre a ciò, sembra evidente che il fattore connesso all’eccezionalità di un centro urbano sugli altri non sia stato a tutti gli effetti determinante né decisivo, dal momento che l’ultimo periodo di storia dell’Assiria ha dimostrato una parziale sovrapposizione di città importanti sulle quali, per di più, non ha mai smesso si torreggiare Assur con la sua secolare autorevolezza.

Occorre altresì considerare i ruoli amministrativo, religioso e residenziale dei singoli centri urbani nel cuore dell’impero assiro: se Assur persiste nel rivestire la funzione di centro religioso e sede dei principali culti inerenti alla figura del dio poliade ab aeternum ad

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aeternum28, al contempo città come Ninive, Kalḫu, Kār-Tukulti-Ninurta e Dūr-Šarrukīn

diventano – invero, alcuni di essi possono solo limitarsi ad ambire alla funzione di capitale effettiva – i luoghi deputati all’amministrazione centrale dello stato, simultaneamente emblemi della sede del governo e della residenza privata del sovrano, ma parimenti muniti di templi e santuari dedicati alle principali divinità del pantheon assiro.

Dacché nella concezione vicino-orientale la città è per l’appunto considerata il centro del mondo civilizzato29, è plausibile ipotizzare che, qualora esistesse il concetto di città capitale,

esso esercitasse un ruolo ancora più rimarchevole sia da un punto di vista cosmico, sia da quello secolare, e che fosse pertanto incardinato all’interno di un sistema di norme cultuali e di direttive empiriche ben definite.

La città in cui di norma risiede il sovrano e dalla quale egli amministra il territorio imperiale è definita dall’espressione āl šarrūti30, ovvero “città regale” o “città della regalità”31:

tuttavia, durante il periodo neo-assiro compaiono diversi insediamenti in cui il re aveva posto il proprio palazzo32, tutti definiti āl šarrūti in rapporto al sito prescelto dal singolo re come

sede fisica della propria regalità. Dunque, sebbene nella produzione accademica il termine “capitale” in riferimento alle città principali di periodo neo-assiro sia una pratica

28 Riguardo al rapporto fra Assur, città intesa come axis mundi che connette il cielo, la terra e gli inferi, e le altre capitali residenziali, percepite come il centro del potere nel mondo, S. Maul asserisce che “Während der Stadt Assur die vertikale Weltenachse vorbehalten blieb, wurde in den Königsresidenzen ein horizontaler Aspekt betont” (Maul 1997: 124 cfr. Novak 2004: 184).

29 “A chance to make use of the pattern of the “city at the center of the world” is given by the foundation of a new capital, designed by will of the sovereign to have the umbilical function” (Liverani 1973: 189).

30 La definizione di “città della regalità”, āl šarrūti o āl bēlūti, è presente nelle iscrizioni reali neo-assire a partire dal regno di Tiglatpileser I (1114-1076 a.C.); conformemente alla redazione della singola iscrizione in prima o terza persona singolare, sono pertanto attestate le forme šarrūtiya / bēlūtiya (anche LUGAL-ti, MAN-

ti oppure EN-ti + -ya) o šarrūtišu / bēlūtišu (anche LUGAL-ti, MAN-ti oppure EN-ti + šu / šú). Ancora più

emblematiche sono le espressioni che definiscono la vera e propria residenza, šubāt šarrūtu / bēlūtu (CAD Š/III, šubtu: 176) o mušab šarrūtu / bēlūtu (CAD M/II, mūšabu: 251), anch’esse normalmente attestate con i suffissi pronominali di prima e terza persona singolare -ya e -šu, formule che definiscono la manifestazione concreta della regalità che, da concetto astratto, si concretizza nella persona del re e, pertanto, nel palazzo del re. Tali locuzioni sono per lo più connesse all’edificio palatino – per es. É.GAL mu-šab LUGAL-ti-ia (TP.III; RINAP 1, 5: 2) – ma sono talvolta utilizzate per perfezionare l’epiteto di città regale, come in URU mu-šab EN-ti-šu (Asb; RINAP 5, 9: iii 68).

31 Ikaeda 1979: 76.

32 Roaf 2013: 346; per un approfondimento sulla pratica ricorrente dei sovrani assiri di costruire palazzi, si rimanda all’introduzione di Barnett 1970: 11-12.

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ampiamente attestata e oramai convenzionalmente riconosciuta, allo stesso tempo non è possibile adeguare la terminologia moderna a un equivalente in lingua accadica, la cui unica e diffusa espressione risiede nella formula “città della regalità”; tale definizione ha di per sé un valore totalizzante, giacché ambisce ad accentrare le funzioni residenziali, politiche e religiose in un unico nucleo urbano33.

Poiché questi uffici tendono sempre a coincidere nella prospettiva urbanistica assira, sembra che non vi sia mai stata realmente l’intenzione di ripartire le funzioni se non in casi eccezionali34.

In definitiva, come afferma J. Reade, è plausibile attribuire la denominazione di capitale al luogo in cui il sovrano risiede fisicamente e ufficialmente:

“At the same time the king was viceroy of the god Ashur and himself embodied the state; so the capital was, in a sense, wherever he happened to be resident”35.

In linea generale, questa conclusione è da considerarsi la più pertinente per il contesto storico e sociale in questione, risultando altresì utile per la definizione di un linguaggio convenzionale e condiviso adatto alla comprensione della realtà urbana di periodo neo- assiro.

33 George 1997: 125; cfr. “The term “capital city” appears often in academic literature concerning ancient Mesopotamia. It can be helpful as shorthand, but there is no satisfactory equivalent in Akkadian. The nearest term is one meaning “city of kinship” i.e. “royal city”, but a single kingdom could include more than one such city at a single time” (Reade 2011: 109).

34 La suddivisione tipologica fra il concetto di città capitale (Hauptstadt) e città residenziale (Residenzstadt), entrambe valutate sulla base delle caratteristiche che le contraddistinguono, viene attuata e discussa da M. Novak 1997 sulla base della delle funzioni, dello sviluppo e della forma delle città vicino-orientali. M. Liverani interviene successivamente sulla questione: “La capitale in linea generale si qualifica come un nucleo originario (nel tempo) e centro del mondo (nello spazio) e che si concretizza al meglio nella presenza del palazzo reale e dell’amministrazione imperiale: dunque al tempo stesso residenza regia (Residenzstadt) e città capitale (Hauptstadt), secondo una distinzione che non mi pare si applichi utilmente all’Assiria, dove le due funzioni sostanzialmente coincidono” (Liverani 2017: 166).

35 Reade 2011: 109; cfr. Nadali 2018: 132, in cui “in realtà, è la presenza del sovrano e della sua residenza ufficiale a decretare la funzione di una città a capitale dell’impero”. Secondo Ö. Harmanşah 2013 è necessario sviluppare una visione di insieme fondata su un ampio arco cronologico per stabilire una definizione di capitale vicino-orientale quanto più attinente alla realtà, analizzando di volta in volta le dinamiche di insediamento e la mobilità umana nel territorio.

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Le città neo-assire comunemente definite capitali, dal momento che risulta impensabile trascurare il loro numero e la loro sovrapposizione anche se per brevi periodi, sono state oggetto di un esteso dibattito antropologico, avviato già agli inizi degli anni ’70, concernente la loro origine non convenzionale: esse vengono pertanto definite “disembedded

capitals”, intese come un’alternativa instabile per gli stati sviluppati alla più comune capitale

ufficiale36.

Se in un primo momento le indagini condotte da R.E. Blenton sulle civiltà mesoamericane vertono in direzione di una suddivisione teorica su base socio-economica fra centri primari e “disembedded capitals”, queste ultime intese come l’esito di una separazione spaziale che si verifica in circostanze critiche – o di necessità statale – fra l’istituzione decisionale di più alto livello e il resto della gerarchia centrale37, gli studi comparativisti di G.R. Willey

confutano tali modelli antropologici applicati al contesto della Mesopotamia antica, tuttavia addentrandosi solo marginalmente al periodo storico in questione38.

A distanza di un ventennio il concetto di “disembedded capitals” viene specificatamente accostato all’ambito neo-assiro per opera di A. Joffe, la cui dissertazione dettagliata puntualizza le motivazioni e le connotazioni distintive che permettono di adattare le città assire a tale modello: questi centri urbani sono l’effetto pragmatico di una situazione di emergenza socio-politica, fondati ex novo da gruppi di rivoluzionari o di riformatori mossi da un sentimento di innovazione destinato a contrastare il governo ufficiale e, contestualmente, creare nuove trame di alleanza, conseguenza di una lacerazione dovuta a un graduale processo di indebolimento statale e, nella maggioranza dei casi attestati, fenomeni con una vita breve ed un epilogo infausto39.

Un aspetto peculiare dell’urbanistica assira tra il IX e il VII secolo a.C. è indiscutibilmente la propensione allo spostamento della capitale, un evento che non si era mai verificato con una tale frequenza da essere percepito come un’anomalia. Benché la reiterata traslazione del centro politico e amministrativo sia un’usanza tipica dei grandi imperi, nel caso assiro questa

36 Joffe 1998: 552. 37 Blanton 1976: 257-258. 38 Willey 1979: 129-131.

39 Pur avendo l’obiettivo di rompere con le relazioni di potere precedenti e preesistenti, affinché risultassero funzionali le disembedded capitals dovevano necessariamente essere re-incorporate nelle loro istituzioni (Joffe 1998: 549-55 e 556-563).

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tendenza si manifesta in varie forme, dalla più convenzionale costruzione di un nuovo palazzo all’interno del medesimo centro abitato, l’occupazione di palazzi dismessi dai predecessori, lo stanziamento delle principali istituzioni ministeriali in centri urbani preesistenti ma dislocati, fino alla più sintomatica nuova fondazione che meglio rappresenta le motivazioni ideologiche di un governante desideroso di emergere e consolidare platealmente la propria autorità sulle quattro parti del mondo (šar kibrāt erbetti)40.

Il trasferimento frequente di capitale costituisce una conseguenza necessaria alle trasformazioni politiche, sociali e geografiche che si verificano contestualmente all’espansione territoriale e alla formazione dell’impero; oltre all’indubbia motivazione pragmatica, la fondazione di una nuova città deve essere osservata attraverso una prospettiva dicotomica, condizionata in parte dall’ancestrale concezione del cosmo, in parte dal progressivo affermarsi di una solida ideologia reale.

In linea di principio, nella Mesopotamia antica l’atto di fondare è percepito come una sequenza di azioni che danno origine a un elemento prima del tutto inesistente e, in quanto tale, è una prerogativa esclusiva degli dèi. Nei contesti mitologici, letterari, rituali e ideologici, azioni come fondare, costruire e creare sono accumunate dall’utilizzo di una lessicografia comune, tanto da validare l’ipotesi che queste attività fossero complessivamente interdipendenti e afferissero alla medesima sfera semantica.

Dal momento che qualsiasi intervento empirico sulla specifica struttura cittadina da parte dell’uomo comporta l’applicazione di una lunga serie di accorgimenti cultuali affinché l’ordine prestabilito non fosse intaccato, né l’opera compiuta del dio venisse negligentemente violata, così la fondazione/creazione ex novo o ex nihilo diventa l’emblematica metafora di un processo fenomenico rischioso e destabilizzante; il solo modo per scongiurare l’eventuale ira della divinità è rispettare tutti i passaggi rituali e, pertanto, assicurarsi di non contravvenire all’ordine cosmico stabilito nel più lontano passato.

Attraverso la fondazione di un nuovo centro urbano, tuttavia, il sovrano assiro tende a peccare di arroganza: i pochi ma sintomatici riferimenti testuali tendono difatti a

40 “Le motivazioni ideali sono meglio espresse nella nuova fondazione, in luogo intatto, che consente di potenziare il motivo del “miglioramento” nel motivo dell’assoluta originalità” (Liverani 2017: 176).

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demonizzare l’operato del “re fondatore” qualora esso operi su terreno vergine e incontaminato41.

In questo senso, il sovrano si rivela come un saggio latore di civiltà e, giacché la tradizione mesopotamica necessita di un nucleo urbano affinché essa si sviluppi appieno, il sovrano stesso ha il potere di esportare la cultura urbana in luoghi che ne sono naturalmente, ma anche intenzionalmente, privi42: fondare si trasforma in un atto che richiama alla cosmogonia

e permette all’elemento civile di appropriarsi del dominio selvaggio della natura, trasformando ciò che prima era periferia e caos, in centro e ordine.

L’evolversi di una solida ideologia reale, parallelamente alla formazione dell’impero, entra in parziale conflitto con la compagine tradizionale, adducendo il sovrano a prediligere una propria soddisfazione personale rispetto alla preoccupazione di contravvenire alle ordinanze divine: il trasferimento del centro amministrativo e politico dell’impero non solo consente al monarca di disporre della propria città e del proprio programma costruttivo come un riflesso della sua concezione di ideologia reale, senza quindi prendere in considerazione l’impostazione predefinita adottata dai suoi predecessori, ma fornisce altresì l’opportunità di

41 Un tragico epilogo accomuna i due “re fondatori” assiri, Tukulti-Ninurta I (1233-1197 a.C.) e Sargon II (721- 705 a.C.), entrambi costruttori di una nuova capitale, entrambi periti in circostanze violente e premature, il primo assassinato dai familiari nel proprio palazzo, il secondo ucciso in battaglia durante una spedizione militare a Tabāl, in Anatolia. Un testo suggestivo che testimonia il clima di tensione spirituale creatosi a seguito della brusca morte di Sargon II è denominato Il peccato di Sargon II e riporta il sentimento di preoccupazione di Sennacherib circa le cause inerenti alla scomparsa del padre in battaglia: ina šu-ta-bu-lum šá ep-še-e-ti DINGIR[meš šá it-ti ŠÀ-bi-ia pal-ḫiš] // uš-tab-ba-lu mi-tu-tu šá mLUGAL-GIN [AD-ia šá ina KUR-na-ki-ri

de-ku-ma] // ina É-šú la qeb-ru a-na ŠÀ-bi-ia ˹im˺-[qut-am-ma ki-a-am aq-bi a-na ra-ma-ni-ia] // um-ma ḫi- ṭu šá mLUGAL-GIN AD-ia ina bi-˹ri˺ [lu-ub-re-e-ma ar-ka-ta] // lu-up-ru-sa-am-ma a-na-ku lu-˹ul˺-[mad x x x x x x x x] // ḫi-ṭu a-na DINGIR iḫ-ṭu-u a-na ik-˹ki˺-[bi-ia lu-uš-kun-ma x x x pu-ti] // u pag-ri it-ti DINGIR

lu-še-e-ṣi “While thus [reverently] pondering [in my heart] over the deeds of the gods, the death of Sargon II,

[my father, who was slain in the enemy country] and who was not interred in his house oc[curred] to my mind, [and I said to myself]: “[Let me investigate] by means of extispicy the sin of Sargon II, my father, let me then find out [the circumstances], le[arn the …]; [let me make] the sin he committed against the god an abom[ination to myself], and with God’s help let me save myself” (SAA 03 033, r.7’-r.13’).

42 L’atto di fondazione – e, quindi, di creazione – attuato dal sovrano assiro, viene equiparato per il suo valore simbolico all’atto di creazione condotto dagli dèi. “L’opera fondatrice del sovrano viene presentata attraverso la sua capacità di modificare la realtà preesistente (…) nel compiere l’atto di fondazione della città, manifesta il suo totale controllo sull’elemento periferico: l’elemento caotico, non assiro, viene dominato e diventa parte dell’ordine costituito” (Rivaroli 2006: 79).

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immortalare il suo nome per mezzo della sua spontanea iniziativa, poiché l’azione di fondare una città è considerato un atto primordiale43.

Sulla base delle iscrizioni che commemorano la costruzione di Dūr-Šarrukīn da parte di Sargon II appare chiaro che l’unico artificio funzionale a superare questa situazione di

impasse, oltre a comprovare una totale purezza rituale all’interno della quale l’intero

processo viene svolto, sia il richiamo puntuale alle principali entità extraumane implicate nel processo mitico di costruzione44: il rinvio a Enki/Ea e a tutte le divinità connesse alla sua

figura e alle attività artigianali, come Ninagal, Kulla e Mušdamma, così come il rimando alla figura di Adapa, uno dei sette saggi, sono solo una minima parte di un complesso pantheon di entità tutelari chiamate a sovrintendere e legittimare i lavori di costruzione.

Gli dèi vengono pertanto coinvolti direttamente nella costruzione e nel destino del nuovo complesso urbano. In questo modo, con la benevolenza di tutti gli dèi afferenti alla tradizione sumero-accadica, babilonese e assira, il re costruttore è autorizzato a elevare il proprio status a re fondatore, appressandosi difatti allo stadio più alto dell’azione creatrice. Pertanto, l’avallo da parte della divinità è un fattore propedeutico affinché il re stesso possa intervenire liberamente sul cosmo “in una posizione privilegiata rispetto a una lunga serie di eroi fondatori”45.

Una volta definita la cornice storico-ideologica all’interno della quale il monarca assiro è indotto ad agire prudentemente, è opportuno identificare i caratteri più marcatamente assiri derivanti dalle graduali trasformazioni politiche e sociali in atto tra il IX e il VII secolo a.C. Come già attestato per la storia della Mesopotamia antica a partire dal regno di Akkad (2350-2150 ca. a.C.), la fondazione di nuove città è un atto inscindibilmente legato

43 Cancik-Kirschbaum 2011: 72.

44 “Sul piano mitologico, per “giustificare e dare legittimo fondamento all’appropriazione di questo spazio, nonché al nuovo ordine sociale, economico e religioso che implica il nuovo tipo di vita ai “cittadini” non resta che sancire per la città un’origine divina: la città dovrà quindi farsi “sacra” per potersi contrapporre a quanto le circonda e risolvere così almeno in parte l’ambiguità di cui essa è insieme origine e conseguenza. In altri termini, ci si rivolge direttamente agli dèi nelle sorti della città, li si lega al territorio cittadino, li si fa abitare, mangiare, dormire, vestire nel tempio, cuore pulsante dell’agglomerato urbano. Saranno i loro proprietari, i curatori, i difensori della città e sarà loro precipuo interesse vegliare sulle sorti e sul benessere del loro possedimento e del re vicario sulla terra” (Xella 2011: 8).

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all’attività bellica, all’espansione territoriale, all’accessibilità verso nuovi territori e nuove fonti di approvvigionamento di materie prime46 e alla stabilizzazione economica.

Lo schema delle iscrizioni reali riproduce e conferma questo solido rapporto di causa-effetto tra le gesta militari e le imprese edilizie, per cui il trionfo delle prime è cagione dell’adempimento delle seconde: secondo tale paradigma, con l’aumentare del prestigio in campo militare e dell’autoaffermazione in ambito regionale – o mondiale, se intendiamo la proiezione totalitaria e totalizzante dell’impulso imperialista neo-assiro – si verifica un conseguente incremento delle attività di costruzione, sia in ambito urbano sia in opere pubbliche extraurbane, e un proporzionale accrescimento delle dimensioni urbiche, anche in termini di imponenza delle strutture architettoniche.

In questo contesto di incessante processo di evoluzione, fondare una nuova capitale si dimostra un atto di chiara strategia politica che adduce a trasformazioni ambientali coerenti, redistribuzioni di insediamenti, riorganizzazioni territoriali e, consequenzialmente, alla realizzazione di ulteriori infrastrutture centrali e periferiche atte a migliorare le condizioni