• Non ci sono risultati.

Batteri coinvolti nelle infezioni del CVC

Infezioni batteriche: batteriemia, endotossiemia e seps

2.2 Batteri coinvolti nelle infezioni del CVC

Anche se non sempre vengono identificate, le fonti più comuni di batteriemia comprendono le infezioni dell’apparato tegumentario, gastrointestinale (comprese le vie biliari), genito-urinario e respiratorio. Si verificano anche infezioni associate alla presenza o applicazione del catetere endovenoso (Decaro et al, 2004; Decaro et al, 2007). La batteriemia può essere una complicazione della nutrizione parenterale, e il catetere deve essere sempre considerato come una potenziale fonte di infezione. L’infezione spesso inizia localmente nella ferita del catetere quando la flora cutanea del paziente invade il tratto durante l’inserimento del catetere. La batteriemia associata al catetere è confermata quando la coltura del catetere e la coltura del sangue riportano la presenza dello stesso microrganismo. Gli organismi che si riscontrano più frequentemente sono gli Stafilococchi. I cateteri devono sempre essere rimossi e messi immediatamente in coltura, se si sospetta batteriemia o tromboflebite (Greene, 2012).

La batteriemia associata al catetere è causata dalla migrazione di batteri dal sito di iniezione al tratto del catetere e lungo la sua superficie esterna fino alla punta intravascolare, che viene così colonizzata (Hughes et al, 1997). La contaminazione del fulcro del catetere può consentire la migrazione all’interno del lume del catetere. Teflon e poliuretano sono più resistenti alla colonizzazione batterica rispetto al polietilene o polivinilcloruro. Alcuni batteri, come gli stafilococchi, possono legarsi tramite fibronectina che si deposita sul catetere. I cateteri venosi periferici hanno un minor rischio di infezione rispetto ai cateteri venosi centrali (Hughes et al, 1997). Cateteri impregnati di clorexidina o sulfadiazina argentea sono resistenti alle infezioni. Durante il posizionamento del catetere devono essere indossati guanti sterili, e la zona deve essere sterile. L’inserimento e la gestione dei cateteri endovenosi da parte di personale inesperto aumenta l’incidenza di batteriemia associata al catetere (Greene, 2012).

Sin dallo sviluppo di plastiche flessibili, i cateteri endovenosi sono stati mantenuti nei pazienti per periodi più lunghi; tuttavia, questo aumenta la possibilità che il sistema di

64

infusione possa essere contaminato. In cani e gatti, per periodi più lunghi, sono utilizzati accessi vascolari impiantabili sottocute (Cahalane et al, 2007); tuttavia, i rischi di contaminazione batterica sono più elevati rispetto alla convenzionale flebotomia giugulare (Morrison et al, 2007; Culp et al, 2010).

In medicina umana, l’uso improprio dei cateteri ha portato ad un’alta incidenza di batteriemie ospedaliere e di alcune infezioni da funghi (Heseltine et al, 2003; Adamantos et al, 2010). Le infezioni associate ai cateteri endovenosi, nella pratica veterinaria, sono probabilmente più comuni di quanto si pensa. In uno studio sui cateteri endovenosi rimossi da cani e gatti in un reparto di terapia intensiva, il 24,5% di questi sono stati trovati contaminati da batteri (Marsh-Ng et al, 2007).

Gli organismi contaminanti generalmente provengono da sostanze contaminate infuse, dalla pelle del paziente, o dal personale sanitario. Anche se raro, bocce di infusione, sacche, o il sistema di somministrazione possono essere contaminati attraverso incrinature prodotte durante il processo di fabbricazione. Quando il sistema di somministrazione viene inserito nella bottiglia, questa manovra consente l’afflusso di aria dell’ambiente esterno quando il vuoto viene rilasciato o quando vengono aggiunti medicamenti: grazie a questo passaggio i microrganismi possono entrare nel sistema di infusione. Organismi possono anche introdursi in corrispondenza del collegamento del sistema di infusione con il fulcro del catetere endovenoso. Sono state utilizzate soluzioni di chiusura antibiotiche per ridurre la frequenza delle infezioni (Allon, 2003). Blocchi antimicrobici sono stati utilizzati per ridurre la frequenza delle infezioni associate. Anche le fiale multi dose, dopo ripetute iniezioni, si possono contaminare (Sabino et al, 2006) e potrebbero rappresentare un’ulteriore fonte di infezione.

Tuttavia, la migrazione che si verifica più frequentemente è quella degli organismi della pelle presso il sito di inserimento del catetere nel tratto cutaneo e la successiva colonizzazione della punta del catetere. I batteri hanno maggiori possibilità di ottenere l’accesso quando la preparazione della pelle, attraverso la disinfezione, è inadeguata prima dell’inserimento del catetere, poiché un importante fattore di rischio per l’infezione è dato dalla densità della microflora batterica al sito di inserimento del catetere. Oltre alla microflora autoctona, i batteri possono essere trasferiti al sito di entrata del catetere tramite la contaminazione batterica da saliva, urine, feci, sangue, o cibo. La prevalenza di infezioni locali aumenta notevolmente quando si utilizzano

65

cateteri endovenosi, ma non CVC, che sono in sede per più di 24-48 ore (Greene, 2012). Per quanto riguarda la pulizia dei siti di entrata del catetere endovenoso, lo iodiopovidone è l’antisettico più usato, anche se la pulizia con alcool al 70% o con la clorexidina gluconato al 2% è uguagliabile (Greene, 2012).

Organismi come gli stafilococchi coagulasi-negativi hanno dimostrato di saper aderire ai cateteri in plastica, e successivamente di replicarsi e produrre infezioni associate al catetere stesso (Culp et al, 2010). Alcuni ricercatori ritengono che i ceppi batterici produttori di biofilm sono più efficienti nella colonizzazione del catetere. I cateteri in sede sviluppano facilmente biofilms contenenti grandi quantità di organismi (Donlan, 2001). Questo strato può rappresentare una barriera fisica alle difese dell’ospite o agli antibatterici. Sono state studiate diverse misure per ridurre la formazione di biofilm, poiché il numero di organismi presenti nella punta del catetere è direttamente correlato al verificarsi della batteriemia. L’aggiunta di soluzioni antimicrobiche alle soluzioni di chiusura di eparina, la tecnica di posizionamento sterile, e l’applicazione locale nei siti di inserzione del catetere di pomate antibatteriche, si è visto essere utile nel ridurre la contaminazione associata al catetere (Donlan, 2001; Crnich, 2004).

Anche cambiare il catetere è importante, perché il biofilm diventa più resistente alla terapia antimicrobica con il tempo. Se nel biofilm sono presenti microrganismi che hanno acquisito resistenza, la possibilità che si trasmettino plasmidi resistenti ad altri organismi colonizzatori può aumentare con il tempo, per tutto il tempo in cui il catetere resta in sede. Risultati di studi in vitro rivelano che cateteri di polivinilecloruro o di polietilene sono meno resistenti all’aderenza di microrganismi rispetto ai cateteri in politetrafluoroetilene (come il teflon), elastomero di silicone o poliuretano (Ashkenazi, 1986).

Con l’intento di prevenire la migrazione batterica lungo la superficie esterna del catetere endovenoso, alcuni cateteri sono stati costruiti con polsini di collagene chelato d’argento o impregnati d’argento (Darouiche, 1999). Questo sistema ha avuto un’efficacia variabile negli esseri umani, mentre gli studi sugli animali non sono stati conclusivi. Al contrario, cateteri che hanno subito una iontoforesi argentea e quelli rivestiti con sulfadiazine-clorexidina argentea, si sono dimostrati efficaci nella prevenzione delle infezioni correlate al catetere per via endovenosa negli studi sugli animali (Darouiche, 1999). Il rivestimento argenteo dei dispositivi medici o creme

66

topiche a base d’argento applicate nel punto di inserimento del catetere possono essere utili nel ridurre i tassi d’infezione; tuttavia, negli esseri umani è stata riportata tossicità sistemica da argento quando si verifica la lisciviazione delle superfici (Greene, 2012).

Per contribuire a ridurre la prevalenza di infezioni del catetere endovenoso, è stato utilizzato il passaggio sotto la pelle del catetere endovenoso stesso prima del sito di penetrazione venoso. Mantenere tali siti in assenza di umidità o di contaminazione è fondamentale per garantirne la sterilità (Do AN, 1999).

Organismi della famiglia delle Enterobacteriaceae, quali Klebsiella, Enterobacter e

Serratia, nonché Citrobacter, proliferano rapidamente a temperatura ambiente in

soluzione di destrosio al 5% e possono raggiungere concentrazioni di 105 e 106 microrganismi/ml senza produrre evidente intorbidimento della soluzione. Molti altri comuni contaminanti, come Staphylococcus, Pseudomonas, Escherichia coli, e Proteus, non sopravvivono né proliferano nel destrosio al 5%, anche se la Candida (Saccaromicethes) può crescere molto lentamente. Serratia marcescens è stato riconosciuto come una causa frequente di infezioni dei dispositivi medici nei piccoli animali e nella pratica medica umana (Ostrowsky et al, 2002). Per la preparazione della pelle non devono essere utilizzate soluzioni di cloruro benzalconio, perché queste soluzioni sono in grado di supportare la crescita di S. marcescens e altri microrganismi. In un caso questo microrganismo è stato isolato da batuffoli di cotone imbevuti di alcol utilizzati per la decontaminazione della pelle (Hohenhaus et al, 1997). Pseudomonas può crescere in acqua distillata, in soluzione fisiologica, e anche in iodofori (Goldmann et al, 1993). Candida cresce bene in proteine idrolizzate, mentre Candida e Malassezia proliferano in emulsioni lipidiche (Greene, 2012).

Soluzione di Ringer lattato, soluzione fisiologica, altri fluidi isotonici e la soluzione salina ipertonica sono stati indicati meno frequentemente come fonti di batteriemia nosocomiale rispetto alle soluzioni di destrosio; tuttavia, possono supportare la crescita di diversi organismi. Fluidi per l’iperalimentazione parenterale e altre soluzioni ipertoniche possono invece facilmente sostenere la crescita di Candida. Emoderivati, anche se conservati a temperature di refrigerazione, possono contaminarsi e supportare la crescita di microrganismi che vivono a basse temperature come

67 Pseudomonas (Kennedy et al, 1995) e alcuni coliformi come S. marcescens. La crescita

batterica nel sangue ne causa una leggera colorazione marrone (Greene, 2012).

L’ispezione periodica dei siti dei cateteri permanenti è fondamentale. I segni clinici di infezione correlate al catetere comprendono gonfiore localizzato e calore al sito di inserimento e indurimento venoso. Un problema sta nello stimare l’infezione del catetere. L’infiammazione da sola non è un indicatore per la rimozione del catetere, ma potrebbe aumentare il rischio di infezione successiva, e differenziare l’infiammazione dall’infezione precoce è difficile, è quindi necessario essere molto cauti. Manifestazioni sistemiche di infezione al sito del catetere sono rare ma potenzialmente gravi. La diffusione sistemica dell’infezione è caratterizzata da febbre, ipotensione, tachicardia, segni gastroenterici e del sistema nervoso centrale. L’infezione del catetere in sede deve essere considerata ogniqualvolta ci sia febbre di origine sconosciuta in un paziente cateterizzato. Infezioni gravi associate ad endotossiemia si verificano più probabilmente quando sono coinvolti organismi Gram- negativi e nei pazienti immunodepressi. I segni clinici in questi casi sono shock, collasso, coma e morte (Greene, 2012).

La diagnosi di infezione associata ad infusione endovenosa è spesso fatta quando i segni clinici migliorano improvvisamente dopo aver terminato la fluidoterapia. Tuttavia, poiché la batteriemia può coinvolgere diversi organi, i segni clinici possono persistere anche dopo che l’infusione viene interrotta. Se si sviluppa batteriemia, all’esame emocromocitometrico completo si può trovare leucocitosi, spesso con uno spostamento a sinistra. È consigliata la coltura o la colorazione di Gram delle punte del catetere: un mezzo rapido e pratico per determinare la presenza di infezione. Per effettuare la coltura, dopo la rimozione, il segmento endovenoso o intradermico del catetere viene rotolato su una piastra di agar, o tagliato con forbici sterili e posto in un contenitore sterile a cui viene aggiunta soluzione salina sterile per il trasporto al laboratorio. Le eventuali colonie che crescono vengono successivamente contate. Un conteggio maggiore di 15 unità formanti colonia (ufc) è stato indicato essere associato a reale batteriemia e non a semplice contaminazione del catetere (Goldmann et al, 1993); tuttavia, questo valore è individuale e può essere utilizzato solo come indicazione (Greene, 2012). La positività della coltura della punta del catetere, da sola, non può sempre confermare la presenza di batteriemia. Quando vengono eseguite

68

emocolture in parallelo, gli organismi isolati devono corrispondere a quelli trovati sul catetere. La pseudobatteremia può verificarsi quando il sito del catetere, infetto localmente, semina batteri all’interno del flusso venoso che viene campionato. Devono essere prelevati almeno due o tre campioni di sangue da siti diversi ad intervalli di almeno 10 minuti una volta che il catetere è stato rimosso. Quando si sospetta un’infezione correlata al catetere, la punta del catetere o il sangue dovrebbero essere coltivati e il catetere sospetto deve essere rimosso. L’animale deve inoltre iniziare una terapia antibiotica. La maggior parte delle infezioni possono essere eliminate con una terapia antibiotica effettuata dai 10 ai 14 giorni se viene somministrato l’antibiotico adeguato (Greene, 2012).

Gli agenti eziologici batterici nell’infezione dei cateteri venosi centrali sono dati da una varietà di organismi commensali e saprofiti che si organizzano nel biofilm per colonizzare il catetere. I batteri più comuni sono rappresentati dagli Stafilococchi coagulasi-negativi, e dalle Enterobacteriaceae (Greene, 2012).

2.2.1 Stafilococchi

Gli Stafilococchi rappresentano un genere diversificato di batteri anaerobi facoltativi che appartengono alla famiglia Micrococcaceae. Sono Gram positivi, cocchi catalasi- positivi che tendono a raggrupparsi in grappoli. Essi sono ampiamente distribuiti tra gli animali e sono comuni commensali della pelle e delle mucose. Gli Stafilococchi sono classici patogeni opportunisti, possono essere ritrovati in alta percentuale su individui sani, ma essere anche una causa importante di malattia. Le specie stafilococciche sono divise in due gruppi principali basate sulla produzione dell’enzima coagulasi (Greene, 2012).

Gli Stafilococchi coagulasi-positivi sono il gruppo più virulento e sono più spesso associati a malattia. Le specie coagulasi-positive più importanti in cani e gatti sono date da Staphylococcus pseudointermedius, Staphylococcus aureus e Staphylococcus

schleiferi ssp. coagulans. Precedentemente, si riteneva che Staphylococcus intermedius

fosse il più importante Staphylococcus in cani e gatti, ma è ormai noto che ciò che era precedentemente identificato come S. intermedius è in realtà S. pseudointermedius (Sasaki et al, 2007; Devriese et al, 2009). S. intermedius in realtà è molto raro in cani e gatti (Greene, 2012).

69

Gli Stafilococchi coagulasi-negativi (CoNS - Coagulase-negative staphylococci) sono commensali comuni spesso isolati come contaminanti, ma possono causare malattie. Questo gruppo comprende Staphylococcus epidermidis, Staphylococcus xylosus,

Staphylococcus sciuri, S. schleiferi ssp. schleiferi, e Staphylococcus felis, tra gli altri.

Generalmente, infezioni sostenute da CoNS coinvolgono ospiti immunodepressi e siti che sono stati danneggiati da corpi estranei e da dispositivi invasivi (ad esempio i cateteri endovenosi). Le infezioni primarie non sono comuni, con l’eccezione di S.

schleiferi ssp. schleiferi che causa piodermite e otite, e le infezioni del tratto urinario

sostenute da S. felis (Greene, 2012).

Anche se i CoNS vengono generalmente considerati come un gruppo, è possibile che ci siano differenze tra le specie. Questo si riferisce principalmente a due organismi: S.

schleiferi ssp. schleiferi e S. felis. S. schleiferi ssp. schleiferi è stato individuato come

causa di piodermite e otite (May et al, 2005; Morris et al, 2006; Frank et al, 2009). Uno studio ha anche suggerito il ruolo primario di S. felis nelle infezioni del tratto urinario nei gatti, poiché è stato ritrovato nel 19,8% dei gatti con UTI (Litster et al, 2007). Queste due specie possono quindi essere patogeni primari nelle malattie “di comunità”, a differenza di molti altri CoNS (Greene, 2012).

Le infezioni primarie sostenute da CoNS sono rare. È probabile che si verifichino molte diagnosi falsamente positive, in particolare nelle infezioni della pelle e dei tessuti molli, dovute all’isolamento di CoNS contaminanti. È sensato considerare i CoNS come potenzialmente patogeni e in grado di causare malattia in vari siti del corpo, ma comunque di rilevanza minore rispetto alle specie coagulasi-positive. Il rischio di infezione e la potenzialità di sviluppo in malattia è probabilmente maggiore negli animali ospedalizzati e comunque in quelli immunodepressi (Greene, 2012).

I CoNS si trovano comunemente in cani e gatti sani, insieme a praticamente tutte le altre specie di mammiferi. Nei cani, CoNS sono comunemente isolati dalla pelle, dal naso e dalla cavità orale, dalla faringe, dalla mucosa perineale, dal tratto gastrointestinale, e dalla congiuntiva. S. xylosus, S. epidermidis e S. sciuri sono comunemente isolati da cani clinicamente sani (Adesiyun et al, 1983; Cox, 1988; Stepanovic et al, 2001), ma possono essere ritrovate varie altre specie. La prevalenza di colonizzazione è elevata (Stepanovic et al, 2001), e con uno sforzo adeguato i CoNS potrebbero probabilmente essere ritrovati in uno o più siti dalla maggior parte (se non

70

in tutti) i cani. Nonostante la colonizzazione diffusa, le infezioni sostenute da CoNS sono rare. In medicina umana, i CoNS sono principalmente un problema nei soggetti ospedalizzati, e negli ospedali quasi tutte le infezioni sono originate da S. epidermidis (Archer GL, Climo MW, 2005). Nella comunità umana, le infezioni da CoNS colpiscono generalmente il tratto urinario e sono sostenute da S. saprophyticus (Archer GL, Climo MW, 2005).

Gli Stafilococchi possiedono una vasta gamma di potenziali fattori di virulenza; tuttavia, il ruolo che molti di questi svolgono nello sviluppo reale della malattia è variabile. I fattori di virulenza possono essere considerati sulla base di diverse proprietà generali. Alcuni fattori di virulenza facilitano l’adesione a e la colonizzazione dei tessuti dell’ospite, altri codificano enzimi che vengono poi secreti e tossine che sono responsabili dell’invasione, così come della malattia locale e distante (Greene, 2012).

La fisiopatologia dello sviluppo della malattia è complessa ed è conosciuta solo superficialmente. Si presume sia essenziale l’interazione tra diversi fattori di virulenza, poiché nessun singolo fattore di virulenza ha dimostrato essere sufficiente per stabilire un’infezione (Dunman PM, Projan SJ, 2001).

La capacità di colonizzare siti corporei è un’importante fattore di virulenza, perché permette agli stafilococchi di rimanere sul o nel corpo in attesa di un’opportunità per causare l’infezione, sopratutto quando si sia verificato un insulto sottostante, come ad esempio una rottura delle barriere fisiche o immunologiche del corpo. Sono state identificate un gran numero di adesine di superficie. Le adesine non provocano un danno diretto ai tessuti dell’ospite, ma creano un ambiente favorevole alla persistenza degli stafilococchi. Inoltre, le adesine possono permettere agli stafilococchi di sfuggire al sistema immunitario. Altre proteine di superficie importanti includono i fattori di aggregazione: le proteine leganti la fibronectina, le coagulasi, e le proteine di legame del collagene (Greene, 2012). I diversi enzimi secreti facilitano lo sviluppo e la progressione della malattia locale attraverso la degradazione dei tessuti dell’ospite. Quest’ulteriore danneggiamento delle barriere fisiche permette al batterio di utilizzare tali tessuti come fonte di nutrienti. Analogamente, gli stafilococchi sono in grado di produrre una gamma di tossine che possono aumentare il danno tissutale e l’infezione locale. Varie emolisine sono in grado di lisare gli eritrociti e le altre cellule del corpo. Le

71

proteasi permettono di attaccarsi agli anticorpi, svolgendo un ruolo di protezione contro le defensine dei neutrofili ed i peptidi microbicidi delle piastrine, contribuendo alla distruzione delle proteine dei tessuti, e potenziando l’invasione (Hermans et al, 2004). Ialuronidasi e lisato ialuronato possono contribuire alla virulenza mediante la digestione dell’acido ialuronico presente nel tessuto connettivo, promuovendo così la degradazione dei tessuti (Hermans et al, 2004). La lipasi ha un effetto negativo sulla funzione immunitaria dell’ospite e può aiutare il batterio a raccogliere le sostanze nutritive dall’ambiente locale (Hermans et al, 2004). L’α-tossina è una potente tossina di membrana in grado di danneggiare le cellule locali. Le leucocidine danneggiano invece i leucociti e le membrane lipidiche (Greene, 2012).

La maggior parte di questi fattori di virulenza sono correlati ad una malattia clinicamente evidente che si manifesta al sito di infezione, ad esempio un’infezione della ferita o un pioderma. In alcune situazioni, gli stafilococchi possono scatenare malattie “lontane” attraverso la produzione di determinate tossine. Un esempio caratteristico è l’intossicazione alimentare negli esseri umani tramite l’ingestione di enterotossine preformate presenti nel cibo che non viene conservato correttamente (Jones et al, 2002; Much et al, 2009). Negli stafilococchi, la produzione di enterotossine è mediata da diversi geni, molti dei quali si possono trovare negli S. aureus e S.

pseudointermedius isolati nel cane (Adesiyun et al, 1983; Hirooka et al, 1988; Edwards

et al, 1997; Becker et al, 2001). La malattia mediata dall’enterotossina stafilococcica non si verifica in cani e gatti, ma non c’è ragione di credere che gli animali domestici siano intrinsecamente resistenti agli effetti delle enterotossine stafilococciche. Al contrario, cani e gatti con diarrea è meno probabile che abbiano subito l’esposizione a prodotti alimentari contaminati (Greene, 2012).

Un altro aspetto importante della virulenza è la capacità di formare biofilm. Il biofilm è dato da reti di polisaccaridi extracellulari che aiutano i batteri a sfuggire agli effetti degli antimicrobici e del sistema immunitario. Il biofilm può essere rilevante sopratutto per le infezioni delle protesi e dei dispositivi invasivi (ad esempio, cateteri endovenosi). La formazione di biofilm è stata dimostrata per vari stafilococchi, tra cui S.

pseudointermedius e S. aureus (Futagawa-Saito et al, 2006; Alandejani et al, 2009).

Anche se non è uno specifico fattore di virulenza, la capacità degli stafilococchi di acquisire resistenza agli antimicrobici è una componente in grado di svolgere un ruolo

72

importante nell’instaurarsi della malattia. Gli Stafilococchi hanno un’impressionante capacità di acquisire fattori di resistenza e di mutare e diventare resistenti durante il trattamento antibiotico. Le preoccupazioni per la resistenza antimicrobica sono cresciute dalla comparsa degli stafilococchi meticillino-resistenti (MRS – methicillin- resistant staphylococci) (Weese JS, van Duijkeren E, 2010). Gli MRS sono resistenti a tutte le β-lattamasi (penicilline, cefalosporine, carbapenemi) grazie alla produzione di una proteina capace di legare la penicillina. La produzione di questa proteina è mediata dal gene mecA (Weese JS, van Duijkeren E, 2010). Sebbene la resistenza alla meticillina comprenda solo la resistenza alle β-lattamasi, e alcuni MRS sono effettivamente resistenti solo alle β-lattamasi, molti MRS sono invece resistenti ad una vasta gamma di antibiotici (Greene, 2012). La resistenza alla meticillina è comunemente presente anche nei CoNS; tuttavia, quest’aspetto è clinicamente meno preoccupante perché, se resistenti o meno, i CoNS sono comunque meno patogene