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Prevenzione delle infezioni dei cateteri venos

Infezioni batteriche: batteriemia, endotossiemia e seps

2.3 Prevenzione delle infezion

2.3.1 Prevenzione delle infezioni dei cateteri venos

L’infezione batterica del catetere è una complicazione ben riconosciuta e spesso devastante per l’utilizzo del catetere transcutaneo, che necessita di una protratta

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terapia antibiotica e può potenzialmente sfociare in una perdita temporanea o permanente dell’accesso vascolare, batteriemia, endocardite batterica e decesso del paziente (Schwab et al, 1999; Allon, 2003). Negli esseri umani, l’accesso del catetere per emodialisi è un importante fattore di rischio per lo sviluppo di infezioni, la seconda causa più comune di morte nei pazienti in dialisi, e un importante contributo alla morbidità e mortalità associata all’emodialisi (Dasgupta, 2002; Kovalik et al, 2002; Allon, 2003; Allon et al, 2003; Gulati et al, 2003). L’infezione del catetere deve essere sospettata quando il sito di uscita del catetere presenta eritema o è indurito, o quando è presente del pus, se viene rilevato un murmure cardiaco nuovo, se è presente febbre (nei pazienti azotemici è considerata ipertermia una temperatura maggiore di 38,3°C) con nessuna causa evidente, se il paziente mostra “tremori” durante il trattamento di dialisi, o se la temperatura corporea aumenta significativamente dopo l’inizio del trattamento di dialisi (Marr et al, 1997; Schwab et al, 1999; Allon et al, 2003). In queste situazioni, tamponi dal sito di uscita del catetere, le soluzioni di chiusura con l’eparina, o il sangue periferico dovrebbero essere sottoposte a coltura per il rilevamento di batteri aerobi e anaerobi. In medicina umana, uno studio ha documentato la presenza di infezione sul sito di uscita del catetere nel 46% delle dialisi temporanee, associate a batteriemia (Oliver et al, 2000). In questo studio, la probabilità che la batteriemia si verifichi entro 1 giorno con segni clinici di infezione dal sito di uscita è stata dell’1,9% (Oliver et al, 2000). L’incidenza della batteriemia è aumentata al 13,4% al secondo giorno di infezione del sito di uscita, evidenziando la necessità di cura del catetere e di una corretta gestione dei siti di uscita del catetere che appaiono compromessi (Oliver et al, 2000; Nassar et al, 2001).

Se si ottiene una coltura batterica positiva dal sito di uscita ma la coltura del sangue periferico o delle chiusure di eparina sono negative, va iniziata una terapia antibiotica appropriata mentre il catetere rimane in situ (Fischer et al, 2004). Quando la coltura batterica del sangue o delle soluzioni di eparina conferma l’infezione del catetere, va affrontato il quesito se sia il caso o meno di rimuovere il catetere. Marr e colleghi, nel 1997, hanno valutato l’efficacia delle procedure di recupero del catetere di fronte ad una batteriemia e hanno registrato un tasso di fallimento del 68%, anche con una prolungata terapia antibiotica. Idealmente, la rimozione del catetere seguita da terapia antibiotica intensiva e il ritorno a colture ematiche negative dovrebbero precedere la

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sostituzione del catetere per dialisi (Marr et al, 1997; Schwab et al, 1999; Nassar et al, 2001; Kovalik et al, 2002). Purtroppo però la maggior parte degli animali che necessitano di dialisi non vive senza sintomatologia per più di 3-5 giorni senza dialisi, che quindi richiede il ristabilimento dell’accesso vascolare in questo intervallo di tempo (Fischer et al, 2004). Studi sull’uomo hanno esaminato il rapporto costo/efficacia del recupero del catetere infetto, o confronto col trattamento antibiotico lasciando in sede il catetere e sostituendolo tramite guida metallica (Shaffer, 1995; Mokrzycki et al, 2002). La sostituzione del catetere tramite guida metallica fornisce in significativo risparmio economico rispetto ad altre strategie di gestione (Shaffer, 1995; Mokrzycki et al, 2002). Nonostante le alte probabilità di fallimento, il recupero del catetere (o perlomeno il salvataggio del sito di accesso al vaso tramite guida metallica) deve essere seriamente tenuto in considerazione negli animali da compagnia, se l’infezione non sembra mettere a rischio la vita del paziente, perché siti e metodi di accesso vascolare alternativi sono assolutamente limitati (Fisher et al, 2004).

Sono stati proposti diversi protocolli per il trattamento delle infezioni del catetere utilizzando alte concentrazioni di antibiotico con eparina o taurolidina nella soluzione di chiusura del catetere, progettate per distruggere il biofilm luminale che permette la colonizzazione e la persistenza dell’infezione (Fisher et al, 2004). Diversi studi recenti in vitro hanno valutato la stabilità o l’efficacia di diverse soluzioni di chiusura antibiotico/eparina (Vercaigne et al, 2000; Krishnasami et al, 2002). Vercaigne e colleghi, nel 2000, hanno usato gentamicina, cefazolina, ceftazidina o vancomicina alla concentrazione di 10 mg/ml e hanno dimostrato che persisteva una significativa attività antibiotica (≥ 5 mg/ml) nei lumi del catetere dopo incubazione a 37°C per 72 ore. Droste e colleghi, nel 2003, hanno combinato ciprofloxacina, flucloxacillins, linezolide, e una combinazione di teicoplanina-ciprofloxacina con varie concentrazioni di eparina e hanno trovato che usare alte concentrazioni di eparina (3500-10,000 UI/ml) rendeva le soluzioni più stabili. Queste soluzioni hanno mostrato buoni effetti contro patogeni specifici, inclusi enterococchi vancomicina resistenti (linezolide- eparina) e Pseudomonas aeruginosa (ciprofloxacina-eparina) (Droste et al, 2003). Krishnasami et al, nel 2002, hanno registrato un tasso di recupero del catetere del 50%

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in pazienti umani sottoposti a dialisi, grazie a soluzioni di chiusura del catetere combinate antibiotico/eparina e somministrazione di antibiotici sistemici.

Le infezioni associate a cateteri endovenosi possono essere evitate con adeguate precauzioni. Un’adeguata preparazione della cute e l’asepsi nei siti di raccolta sono essenziali. Bisogna lavarsi le mani prima di posizionare un catetere. Deve essere rimossa una grande area di pelo adiacente al sito del catetere effettuando un’attenta tosatura per evitare microabrasioni della pelle. Dovrebbe essere eseguita una delicata pulizia meccanica della pelle con uno iodoforo o con acqua e sapone da 2 a 5 minuti, alternati ad alcool al 70% e tintura di iodio all’1% o 2%, o soluzioni iodofore o, preferibilmente, clorexidinagluconato al 2% (Maki et al, 1991). La clorexidina dovrebbe rimanere a contatto con la pelle per almeno 30 secondi dopo l’ultima applicazione prima di inserire il catetere. Antisettici contenenti iodio sono efficaci contro molti batteri e funghi, ad eccezione delle spore. Preparati con tintura di iodio, migliori degli iodofori per l’applicazione finale, sono spesso troppo irritanti per effettuare un’applicazione ripetuta. Le soluzioni per la preparazione del sito del catetere devono essere conservate in contenitori chiusi per ridurre il rischio di contaminazione. Questi contenitori inoltre, non devono essere ricaricati. Piuttosto, andrebbero gettati quando svuotati. In alternativa, devono essere puliti e sterilizzati in autoclave prima di essere riutilizzati (Greene, 2012).

Per limitarne il movimento, cateteri devono essere saldamente fissati con nastro adesivo. Una piccola quantità di un unguento antibiotico ad ampio spettro, come quelli contenenti iodio organico o neomicinbacitracina-polimixina, deve essere applicata al punto di penetrazione del catetere attraverso la pelle, e il sito dovrebbe essere coperto con una medicazione occlusiva sterile. Se viene usato solo il nastro adesivo, questo deve essere sterile. Devono inoltre essere registrati la data e l’ora di inserimento del catetere. È spesso consigliato che i cateteri vengano rimossi entro 72 ore; tuttavia, questa raccomandazione è in discussione, e ci sono poche informazioni oggettive a sostegno (Greene, 2012). Con i moderni materiali con cui sono costituiti i cateteri, un’adeguata collocazione, e un attento monitoraggio, il cateterismo a lungo termine è sempre più ampiamente accettato. Sconnettere i cateteri endovenosi per il campionamento o per la somministrazione di farmaci dovrebbe essere ridotto al minimo, e quando viene fatto, bisogna avere cura di evitare di contaminare le superfici

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interne. Le mani devono essere lavate o va applicato alcool disinfettante sulla mano, o devono essere indossati guanti monouso prima del contatto con il sito del catetere. I guanti sterili non forniscono benefici aggiuntivi, ma aumentano notevolmente i costi di manutenzione del catetere. La somministrazione integrativa di antibatterici fa ben poco nel prevenire l’infezione associata al catetere endovenoso, ma può aumentare la probabilità di un’infezione resistente agli antibiotici (Greene, 2012).

Quando è richiesta la cateterizzazione endovenosa a lungo termine, devono essere considerati cateteri speciali come il Broviac® o l’Hickman® (Goldmann et al, 1993; Blaiset et al, 1995). Questi cateteri sono progettati per ridurre la migrazione dei batteri verso la porzione impiantato, grazie ad un bracciale incorporato e il passaggio sottocutaneo della porzione prossimale. Questi cateteri sono costituiti da silicone più flessibile e reattivo, che è meno irritante e trombogenico, riducendo la possibilità di infezione. Sfortunatamente, questi cateteri non riescono ad impedire la colonizzazione sulle punte del catetere da parte dei batteri ematogeni, che possono arrivare da siti d’infezione distanti (Greene, 2012).

Quando è richiesto un piccolo volume d’infusione o una lenta velocità di infusione, sono da preferire piccoli flaconi da infusione rispetto a quelli più grandi. Il razionale è che il sistema potrebbe contaminarsi, così il tempo per la moltiplicazione di microrganismi è ridotto al minimo. Si deve controllare la torbidità e il vuoto nei flaconi da infusione, e le sacche per infusione devono essere “spremute” prima dell’uso per rilevare eventuali perdite. Filtri d’infusione da 0,22 μm di diametro sono disponibili per restringere il flusso di microrganismi attraverso il fluido che viene somministrato al paziente; tuttavia, essi non possono impedire il passaggio delle endotossine e fattori piogenici (Greene, 2012).

In medicina umana sono state pubblicate delle linee guida per la prevenzione delle infezioni legate al CVC che vengono revisionate e aggiornate periodicamente, mentre in veterinaria, ad oggi, non è ancora disponibile alcuna pubblicazione ufficiale.

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