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Catetere venoso centrale (CVC) nel paziente canino: gestione e principali complicazioni

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(1)

A Paco,

nessuna zampa è troppo piccola

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SOMMARIO

ABSTRACT 6

PREMESSA 7

PARTE GENERALE 10

CAPITOLO 1: ACCESSI VASCOLARI PER EMODIALISI 11

1.1 Tipologie di accessi vascolari 14

1.1.1 Accessi vascolari per emodialisi in medicina umana 14 1.1.2 Accessi vascolari per emodialisi in medicina veterinaria 17

1.2 Posizionamento degli accessi vascolari 21

1.2.1 Tecnica di posizionamento per AVF 22

1.2.2 Tecnica di posizionamento per AVG 23

1.2.3 Tecnica di posizionamento per cateteri venosi centrali (CVC) in medicina

umana 24

1.2.4 Tecnica di posizionamento per cateteri venosi centrali (CVC) in medicina

veterinaria 25

1.3 Gestione degli accessi vascolari per emodialisi 29

1.3.1 Linee guida in medicina umana 29

1.3.2 Linee guida in medicina veterinaria 33

1.4 Complicazione degli accessi venosi per emodialisi 37

1.4.1 Complicazioni delle AVF 37

1.4.2 Complicazioni del CVC 40

1.4.2.1 Trombosi 40

1.4.2.2 Stenosi 43

1.4.2.3 Dislocazione 44

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1.5 Rimozione del catetere venoso centrale 47

CAPITOLO 2: INFEZIONI BATTERICHE: BATTERIEMIA, ENDOTOSSIEMIA E SEPSI 54

2.1 Batteri coinvolti nella setticemia 57

2.1.1 Escherichia coli 57

2.1.2 Bordetella bronchiseptica 60

2.2 Batteri coinvolti nelle infezioni del CVC 63

2.2.1 Stafilococchi 68

2.2.2 Enterobacteriaceae 74

2.3 Prevenzione delle infezioni 75

2.3.1 Prevenzione delle infezioni dei cateteri venosi 77

PARTE SPERIMENTALE 82

SCOPO DELLA TESI 83

CAPITOLO 3: MATERIALI E METODI 84

3.1 Protocollo di studio 85

3.1.1 Catetere Venoso Centrale (CVC) 86

3.1.2 Applicazione CVC: Tecnica di Seldinger 88

3.1.3 Controllo giusto posizionamento CVC 91

3.1.4 Pulizia del Catetere Venoso Centrale 93

3.1.5 Chiusura del Catetere Venoso Centrale 96

3.1.6 Rimozione del Catetere Venoso Centrale 99

3.1.7 Metodica della coltura e antibiogramma 101

3.1.8 Analisi statistica 112

RISULTATI 113

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CONCLUSIONI 129

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ABSTRACT

Parole chiave: cane, catetere venoso centrale, infezioni, complicazioni

Introduzione: il catetere venoso centrale (CVC) è utilizzato come accesso vascolare per il trattamento di emodialisi in cani e gatti. L’infezione rappresenta la più invalidante complicazione che può instaurarsi e può mettere a rischio la vita del paziente e l’efficacia del trattamento stesso.

Scopo dello studio: valutare la crescita batterica sui cateteri venosi centrali dei cani sottoposti a trattamento emodialitico e valutare l’incidenza delle complicazioni associate al CVC.

Materiali e metodi: in questo studio sono stati inclusi 18 cani, per un totale di 19 CVC. A tutti i soggetti, il CVC è stato applicato mediante tecnica di Seldinger in sala operatoria, il catetere è stato poi gestito solo dagli operatori che erano a conoscenza del protocollo di pulizia e gestione ed infine, il CVC è stato rimosso tramite tecnica asettica da personale istruito presso la nostra struttura. I cateteri sono stati poi sottoposti ad esame batteriologico ed eventuale antibiogramma.

Risultati: la prevalenza di infezione nella nostra coorte di pazienti è risultata essere del 15,79%. I patogeni coinvolti in tali infezioni sono risultati essere: Klebsiella pneumoniae, Serratia odorifera e una Enterobacteriaceae. Tramite Mann Whitney test non sono state evidenziate differenze significative nel tempo mediano di permanenza del CVC fra i soggetti che presentavano infezione del catetere e quelli che non la presentavano. Inoltre, il test di Fischer non ha evidenziato alcuna differenza statisticamente significativa nel numero di soggetti sopravvissuti o deceduti tra il gruppo che presentava infezione del CVC e il gruppo che non presentava infezione del CVC. Infine, sempre tramite test di Fischer non è stata evidenziata alcuna differenza statisticamente significativa nel numero di soggetti che presentavano un solo antibiotico in terapia o più di un antibiotico, tra il gruppo che presentava infezione del CVC e il gruppo che non la presentava.

Conclusioni: sebbene il presente studio sia rappresentato da una popolazione ristretta, sembra riportare una prevalenza di infezione del CVC da dialisi nel paziente veterinario inferiore a quanto inizialmente ipotizzato e riportato in letteratura umana. La bassa percentuale di infezione emersa rassicura riguardo la validità dei protocolli di antisepsi e di gestione del CVC utilizzati presso la nostra struttura. Sarebbe comunque auspicabile aumentare la casistica per incrementare i pochi dati presenti in letteratura veterinaria.

Keywords: dog, central venous catheter, infections, complications

Introduction: central venous catheter (CVC) is used as vascular access for hemodialysis treatment in dogs and cats. Infection is the most severe complication that can be dangerous for the patient’s life and for treatment’s efficacy.

Aim of the study: evaluate the bacterial growth of central venous catheters (CVC) in dogs treated with hemodialysis and to evaluate the incidence of complications associated with catheter.

Materials and methods: 18 dogs and 19 CVC were included in this study. CVC was applied in all dogs by Seldinger technique in surgery room, the catheter has been cleaned and manage by only qualified staff that used the same protocol for each patient; finally, CVC has been removed by aseptic technique by the same staff. Bacteriological examination and possible antibiotic essay was performed for all catheters. Results: the prevalence of infection in our cohort of patients was 15.79%. The pathogens involved were: Klebsiella pneumoniae, Serratia odorifera and Enterobacteriaceae. Mann Whitney test showed no significant difference in time of CVC permanence between dogs with catheter infection and dogs without infection. Fischer's test showed no statistically significant difference in the number of survivors and not survivors dogs between CVC infection group and not.

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Premessa

L’emodialisi è il trattamento di scelta per i pazienti nefropatici che non rispondono alla terapia medica. In medicina veterinaria, l’insufficienza renale acuta è l’indicazione più comune per il ricorso a questa tecnica terapeutica (Langston, 2011).

I pazienti anurici possono andare incontro a morte generalmente entro 5 giorni se non viene ristabilita un’adeguata produzione urinaria, ma la riparazione del danno renale, se possibile, può richiedere diverso tempo (anche mesi) a seconda del grado e della causa dell’insufficienza renale acuta (Cowgill e Elliot, 2000). L’emodialisi consente quindi all’animale di superare questo gap, sostenendo il paziente e lasciando ai reni il tempo necessario per riparare il danno; essa non determina di per sé la guarigione renale, ma svolge le funzioni escretorie vitali durante la fase di riparazione (Langston, 2003).

Le terapie sostitutive renali extracorporee (Extraxorporeal Renal Replacement Therapies – ERRT) e le tecniche di purificazione ematica costituiscono una realtà in continua espansione nel panorama veterinario mondiale (Lippi, Perondi et al., 2014). I principali fattori che influenzano la prognosi dell’insufficienza renale acuta nel cane includono la reversibilità del danno a carico del rene (che dipende principalmente dalla sua gravità e dalle cause sottostanti), la presenza di patologie concomitanti e di eventuali complicazioni, ed il trattamento medico disponibile (Segev, 2011).

In medicina umana l’emodialisi è usata primariamente per trattare lo stadio finale della malattia renale. Le persone possono essere mantenute in emodialisi cronica per anni mentre aspettano un trapianto renale, o per decenni se il trapianto non è possibile. Generalmente il trapianto è preferibile rispetto all’emodialisi cronica, in quanto sostituisce in modo definitivo il rene danneggiato e la funzionalità renale. Nel cane questa realtà è ancora oggetto di studio. L’emodialisi cronica è un’alternativa in questi casi e nei gatti in cui ci sono chiare controindicazioni al trapianto (in quanto possibile in questa specie). L’obiettivo dell’emodialisi cronica è mantenere una soddisfacente qualità della vita, che dovrebbe avere la precedenza sulla longevità. L’emodialisi cronica dovrebbe essere consigliata quando i sintomi dell’uremia non sono più controllati dalla terapia medica (Langston, 2011).

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L’emodialisi può essere intermittente (IHD, Intermittent HemoDialysis) o continua (CRRT, Continuous Renal Replacement Therapy). L’IHD è una terapia renale sostitutiva, usata nei pazienti con nefropatia cronica e acuta, caratterizzata da trattamenti intermittenti di breve durata (generalmente 4-5 ore, da 2 a 3 volte la settimana) al contrario della CRRT, indicata principalmente per il trattamento delle lesioni renali acute, in cui il paziente è collegato alla macchina in modo quasi continuo e la riduzione delle sostanze tossiche avviene più dolcemente (Lippi e Guidi, 2013).

L’emodialisi intermittente (IHD) è una modalità di sostituzione renale che viene definita da brevi ed efficienti sedute di emodialisi con l’obiettivo di rimuovere tossine endogene o esogene dal sangue. Le comuni indicazioni per l’IHD includono l’ingestione di farmaci o tossine, danno renale acuto (AKI) o acuto-su-cronico (AKI/CKD), e malattia renale cronica (CKD). Le sedute possono essere eseguite una sola volta, come di solito avviene in caso di ingestione di tossine, o possono essere ripetute ogni giorno o a giorni alterni per diversi giorni o più a lungo, come spesso avviene in caso di danno renale acuto (AKI). Le sedute possono essere pianificate 2 o 3 volte la settimana per la durata della vita del paziente selezionato per CKD. Le sedute vanno tradizionalmente da 1 a 6 ore, ma possono essere anche più lunghe a seconda della stabilità del paziente e dell'efficienza della sessione (Bloom e Labato, 2011).

Il trattamento emodialitico prevede l’aspirazione di sangue dall’animale grazie all’applicazione di un catetere venoso centrale a livello della vena giugulare, il suo successivo passaggio attraverso un filtro dializzatore composto da una membrana semipermeabile che permette la rimozione di tossine uremiche e di altri prodotti di scarto, ed infine la restituzione del sangue depurato al paziente. All’interno del dializzatore, sangue e dialisato sono separati da una membrana semipermeabile che consente il libero passaggio di acqua e molecole di piccole dimensioni (generalmente aventi peso molecolare <500 Da). Le principali forze che regolano il movimento delle molecole attraverso la membrana dialitica sono rappresentate dalla diffusione e dalla convenzione (Lippi e Guidi, 2013). Creando un ciclo continuo di circolazione sanguigna, sebbene, in qualunque momento, solo una porzione del volume sanguigno è fuori dal paziente, l’intero volume sanguigno circola attraverso il dialisato più volte nel corso del trattamento. Alla conclusione del trattamento, il sangue nel circuito generalmente ritorna interamente al paziente (Langston, 2011).

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In medicina veterinaria l’emodialisi viene utilizzata principalmente nel trattamento del danno renale acuto, e dovrebbe essere consigliata in tutti i casi in cui ci sia l’incapacità di risolvere la condizione di iperazotemia con la sola terapia medica, indipendentemente dall’entità della produzione urinaria (Lippi, Perondi et al., 2014).

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PARTE

GENERALE

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Capitolo 1

Accessi Vascolari per Emodialisi

“Accesso” e “Vascolare” sono due parole mediche che significano “un modo per arrivare al sangue”. L’accesso vascolare è un metodo per raggiungere il sangue (Southern California Renal Disease Council, 2002). Allo stesso modo, un accesso venoso è un modo per raggiungere la circolazione venosa.

Ci sono tre tipi di accesso vascolare per l’emodialisi: - Fistola

- Innesto - Catetere

La fistola è l’accesso vascolare più comune nell’uomo, poiché rappresenta il miglior tipo di accesso per le persone. Una fistola è costituita da una vena e un’arteria proprie della persona. Durante l’intervento chirurgico la vena viene collegata ad un’arteria vicina. Dopo che la vena e l’arteria sono state collegate, il forte flusso di sangue dall’arteria viene “deviato” attraverso la vena. Il flusso più forte del sangue, passando attraverso la vena, la ingrandisce.

L’innesto è il secondo tipo di accesso vascolare più comune in medicina umana. Esso è realizzato con un piccolo, morbido tubo costituito da materiale simile alla plastica. Durante la chirurgia, un’estremità del tubo (l’ “innesto” appunto) viene cucita in un’arteria e l’altra estremità viene cucita in una vena.

Il catetere venoso è invece un tubo che viene fatto passare attraverso una vena per finire nella porzione toracica della vena cava o nell’atrio destro del cuore. La parte superiore del catetere resta dalla pelle, mentre la parte inferiore rimane nella vena. È l’accesso vascolare meno comune nell’uomo (Southern California Renal Disease Council, 2002).

Il catetere venoso può essere periferico o centrale, base alla vena che incannula. I cateteri venosi periferici sono posti nella vena basilica, brachiale, o cefalica. I cateteri venosi centrali invece, vengono inseriti nella vena giugulare interna o esterna (Cheung et al, 2009).

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In medicina veterinaria invece, il tipo di accesso vascolare che si utilizza per il trattamento emodialitico è rappresentato dal catetere venoso centrale.

I due tipi di catetere inseriti in posizione centrale possono essere distinti in temporanei e permanenti. I cateteri temporanei sono utilizzati principalmente per l’accesso vascolare a breve termine in pronto soccorso, in sala operatoria, e nell’unità di terapia intensiva. Queste linee sono in genere pensate per una rapida rianimazione o per il monitoraggio della pressione. La durata del catetere va da 5 a 7 giorni, e sono quindi inadeguati per i pazienti che necessitano di un accesso venoso centrale per più di 2 settimane. I cateteri permanenti, come i cateteri Hickman, sono adatti per una permanenza più lunga e riducono l’incidenza di infezione aumentando la distanza tra il punto di ingresso della cute e la venotomia: sono infatti definiti anche come cateteri tunnellizzati. Anche se essi forniscono accesso affidabile a lungo termine, le loro complicazioni includono la trombosi, l’occlusione, e le infezioni. Queste linee sono da preferire in pazienti che necessitano di un accesso venoso frequente e a lungo termine, in particolare per l’infusione di emoderivati (Cheung et al, 2009).

Per quel che riguarda la scelta delle dimensioni del catetere da posizionare si deve tener presente che è preferibile utilizzare il catetere più grande possibile tra quelli permessi dalle dimensioni del paziente. Questo perché il flusso di sangue è direttamente proporzionale al diametro del catetere e inversamente proporzionale alla sua lunghezza. Modifiche minime del diametro del catetere comportano grandi cambiamenti del flusso sulla base dell’equazione di Poiseuille: Qb = k · P · D4/(L · V),

dove Qb è il flusso sanguigno, k è una costante di proporzionalità, P è la variazione di

pressione, D è il diametro luminale, L è la lunghezza del catetere e V è la viscosità del sangue. Un incremento del 19% del diametro raddoppia il flusso di sangue, un aumento del 50% quintuplica il flusso (Depner 2001). Nel trattamento intermittente, il catetere dovrebbe idealmente fornire oltre i 15 ml/min/kg di flusso di sangue; mentre portate di 3-5 ml/min/kg sono adeguate per la CRRT (Langston 2011).

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Produttore Tipologia N° lumi

Diametro (Fr) Lunghezza (cm) Max flusso sangue (ml/min) Quinton PermCath Cuffiato 2 15 45 370 Quinton PermCath Cuffiato 2 15 40 400 Quinton PermCath Cuffiato 2 15 36 410 MedComp Pediatric Cuffiato 2 8 18 120 Hohn Cuffiato 2 7 36 30

Tabella 1 (Tratta da Nephrology and Urology of Small Animals) Varie tipologie di catetere venoso centrale e relative

caratteristiche.

Un accesso vascolare appropriato e ben funzionante è fondamentale per l’erogazione di un flusso di sangue ampio e continuo attraverso il circuito extracorporeo (Lippi e Guidi, 2013). Un catetere per dialisi adeguatamente funzionante consente un trattamento veloce ed efficiente ed una buona gestione del paziente; un catetere mal funzionante frusta il tecnico, il dottore e il paziente (Langston, 2011).

A questo scopo si utilizzano dei cateteri inseriti nella vena giugulare. Il catetere può essere inserito per via percutanea in anestesia locale sia in cani che gatti leggermente sedati e può essere funzionale per 2-6 settimane. I cateteri temporanei sono vantaggiosi quando il paziente è troppo instabile per poter essere anestetizzato, quando si desidera ottenere un accesso rapido o si prevede di dover effettuare soltanto pochi trattamenti; tuttavia, non assicurano la rapida perfusione ematica necessaria per consentire la massima rimozione di sostanze tossiche in un periodo di trattamento di 4-5 ore (Langston, 2003). Per un trattamento più efficiente o per una terapia di durata superiore a qualche settimana, si deve utilizzare un catetere permanente. Questo viene applicato chirurgicamente con una porzione fatta passare in un tunnel sottocutaneo in modo da ridurre il rischio di batteriemia derivante da infezioni che originano dal punto di uscita sulla cute. Tutti i cateteri destinati

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all’emodialisi vanno manipolati sempre in modo asettico e non devono essere utilizzati per il prelievo di sangue o la somministrazione di fluidi o farmaci. Il loro lume viene riempito di eparina (1000 UI/ml) che viene lasciata in questa sede fra un trattamento e l’altro per impedire l’occlusione del condotto. Nell’uomo, le fistole artero-venose rappresentano il metodo primario di accesso vascolare. Vengono realizzate chirurgicamente mediante anastomosi di un’arteria ad una vena e richiedono 1-2 mesi di endotelizzazione prima di poter essere utilizzate. Benché non siano ancora state utilizzate clinicamente in medicina veterinaria, ne è stato realizzato un modello di successo (Langston, 2003).

1.1 Tipologie di accessi vascolari

1.1.1 Accessi vascolari per emodialisi in medicina umana

Per quel che riguarda la medicina umana, le caratteristiche di un accesso vascolare ideale sono comparabili a quelle della medicina veterinaria; le linee guida KDIGO 2013 asseriscono che le caratteristiche di un accesso vascolare ideale sono le seguenti:

- Facile da assemblare

- Non composto da materiale estraneo - Non trombogenico

- Non deve provocare infezioni - Facile da incannulare

- Essere di lunga durata

- Garantire un buon flusso di sangue

A differenza della medicina umana, in medicina veterinaria non ci sono linee guida che descrivano le caratteristiche ideali di un accesso vascolare.

Ci sono tre principali forme di accesso vascolare utilizzabili per il trattamento dei pazienti in emodialisi. In ordine di preferenza ci sono le fistole artero-venose (AVF), gli innesti artero-venosi (AVG) utilizzanti materiali sintetici o biologici e infine i cateteri tunnellizzati e non tunnellizzati posizionati in una vena centrale. Molti studi hanno dimostrato la superiorità delle AVF rispetto alle altre forme di emodialisi. Le AVF hanno un miglior tasso di pervietà, un buon retaggio dell’accesso, un basso numero di interventi durante l’intera durata del tipo di accesso, un basso tasso di sepsi correlate

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all’accesso, e soprattutto morbosità e mortalità sono molto più basse comparate agli AVG e ai cateteri venosi. Per di più le AVF hanno costi e frequenze di ricovero più basse (The Renal Association 2015).

La fistola artero-venosa o l’innesto costituiscono l’accesso preferenziale nelle persone sottoposte ad emodialisi cronica. Viene creata chirurgicamente un’anastomosi tra un’arteria e una sezione di vena autologa o innesto sintetico (tipicamente PFTE-politetrafluoroetilene). Approssimativamente entro un mese, le cellule endoteliali sulla linea dell’innesto, e le cellule endoteliali del segmento di vena autologa assumono caratteristiche dell’endotelio arterioso invece di venoso. L’accesso può essere poi utilizzato per punture percutanee dei segmenti arteriosi e venosi con grandi aghi di grosso calibro ad ogni trattamento di dialisi. Tra i trattamenti non è necessario l’uso di alcun anticoagulante poiché il sangue fluisce continuamente attraverso l’innesto/fistola. Inoltre poiché è completamente chiuso sotto la pelle, il tasso di infezione è estremamente basso in confronto ai cateteri (Adin et al. 2002). Recentemente è stato sviluppato un modello di fistola AV per l’emodialisi canina, e potrebbe essere considerato un accesso brachio-cefalico per i cani che ricevono dialisi croniche (Adin et al, 2002).

Come in medicina veterinaria, anche in umana il Catetere Venoso Centrale può essere distinto in temporaneo (usato nelle situazioni di emergenza) e permanente: in quest’ultimo caso la sua sede può trovarsi nella vena giugulare interna, nella vena femorale, vena succlavia, vena cava inferiore (inserito attraverso la via translombare o transepatica). Comunque, in medicina umana è poco comune l’uso del Catetere Venoso Centrale e l’accesso vascolare d’elezione è la Fistola Arterovenosa (AVF – Arteriovenous Fistula). L’AVF si preferisce perché, rispetto agli altri accessi vascolari, ha un basso tasso d’infezione e di trombosi, è meno costoso e la sua morbilità complessiva è più bassa (KDIGO 2013).

La AVF è un accesso vascolare permanente ed interno, realizzato tramite un’anastomosi chirurgica, diretta oppure mediante interposizione di un tratto vascolare protesico sintetico o biologico, tra un’arteria e una vena al fine di garantire nel circolo venoso superficiale un flusso ematico adeguato ad una depurazione efficace mediante incannulamento per l’esecuzione del trattamento emodialitico. In questo modo la bassa resistenza offerta dal circolo venoso favorisce il passaggio di una buona

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percentuale del sangue arterioso nella vena, con il conseguente fenomeno dell’arterializzazione della stessa, la quale sottoposta alle elevate pressioni del flusso arterioso, gradualmente si dilata e va incontro ad un progressivo ispessimento dell’intima e della media.

Generalmente la prima AVF viene allestita all’arto superiore non dominante in sede distale, a livello del polso. In questo caso l’anastomosi viene effettuata fra l’arteria radiale e la vena cefalica dell’avambraccio. Successivamente si può optare per la sede prossimale a livello del gomito (Figura 1). Altre sedi utilizzate più raramente sono quella ascellare oppure inguinale. Le fistole nel tempo possono deteriorasi per varie cause e non essere più funzionali. In alcuni casi devono essere create ex-novo in altre sedi, fino ad esaurimento del patrimonio vascolare (Segoloni, 2013).

Figura 1 (Tratta da NephroMeet – Gestione fistola artero-venosa per emodialisi) Anatomia vene braccio e

avambraccio che potrebbero essere utilizzate per un accesso vascolare

Possiamo distinguere le AVF in due gruppi principali: • AVF su vasi nativi

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Le AVF su vasi nativi sono realizzate utilizzando esclusivamente i vasi propri del paziente. L’anastomosi tra arteria e vena può essere realizzata nei seguenti modi:

- Latero-laterale, in cui l’arteria e la vena sono affiancate e collegate fra loro lungo l’asse longitudinale.

- Latero-terminale, in cui la parte terminale della vena viene anastomizzata lateralmente ad un’arteria.

- Termino-terminale, in cui la vena e l’arteria vengono recise e suturate tra loro lungo il diametro trasversale.

Le AVF protesiche sono caratterizzate dall’utilizzo di protesi vascolari sintetiche (nella maggioranza dei casi) o biologiche per la realizzazione del collegamento tra arteria e vena. Questa soluzione diviene necessaria nei casi dove l’esaurimento iatrogeno delle risorse venose native superficiali o la loro congenita assenza rendono impraticabile la creazione di un accesso vascolare tradizionale.

Le protesi possono essere utilizzate:

- come “ponte” per collegare un’arteria ed una vena superficiale, chirurgicamente accostabili con difficoltà. In questo caso sarà la vena nativa ad essere utilizzata per la venipuntura, come in qualsiasi fistola nativa;

- per creare ex-novo un neo-vaso da utilizzarsi direttamente per la venipuntura. In questo caso il tratto protesico viene interposto fra una arteria ed un vaso venoso profondo che pertanto, anche quando arterializzato, non potrebbe essere accessibile per la venipuntura. Il tratto protesico è tunnellizzato nel sottocute così da essere percepito come una vena naturale e come tale diviene l’obbiettivo delle venipunture (Segoloni 2013).

1.1.2 Accessi vascolari per emodialisi in medicina veterinaria

In medicina veterinaria i cateteri venosi centrali sono la forma predominante di accesso vascolare. Bisogna scegliere con molta cura il catetere appropriato, collocarlo e mantenerlo (Langston, 2011).

Il materiale ideale per creare un catetere dovrebbe essere flessibile, il meno possibile trombogenico e non irritante per la parete vasale. Poliuretano, polietilene, politetrafluoroetilene (PTFE), silicone e carbotano sono le scelte più adatte a questo scopo. Il polietilene è rigido e si cubita quando viene piegato. Può essere utilizzato per i

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cateteri temporanei, ma non è appropriato per un uso a lungo termine. I cateteri di

poliuretano hanno una certa rigidità a temperatura ambiente, che ne facilita il

posizionamento, ma diventano più morbidi e flessibili a temperatura corporea. L’alcool contenuto nelle pomate antibiotiche inoltre indebolisce questo materiale (Ash, 2007). Per permettere la simultanea rimozione e reintroduzione del sangue, un catetere per dialisi è provvisto di due canali (denominato anche “catetere bilume”). Sebbene il catetere venga collocato in una vena centrale, per convenzione il lume che fornisce l’uscita di sangue dal corpo è generalmente chiamato “porta arteriosa”, mentre il lume che provvede al ritorno del sangue al paziente è indicato come “porta venosa”. Il lume arterioso solitamente è più corto del lume venoso, per impedire l’aspirazione di sangue appena depurato proveniente dall’altro port e quindi dal filtro dializzatore (eccesso di riciclo), che ridurrebbe l’efficacia del trattamento (Figura 2).

Figura 2 (Tratta da Nephrology and Urology of Small Animals) Configurazione delle estremità dei lumi “arterioso” e

“venoso” del catetere.

Come si indica la figura, l’estremità della porta arteriosa, o porta d’immissione, è più corta della porta venosa, o porta di restituzione (a). Se i collegamenti fossero invertiti (b), ci sarebbe una grande percentuale di sangue che verrebbe immediatamente ripresa in circolo dal catetere.

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In alcune situazioni, possono essere posizionati due cateteri a lume singolo per permettere l’ingresso e l’uscita di sangue, anche nello stesso vaso o in vasi distinti (Langston, 2011).

Per quanto riguarda la configurazione dei lumi del catetere, la Figura 3 mostra le configurazioni dei principali cateteri venosi centrali in commercio.

Figura 3 (Tratta da Nephrology and Urology of Small Animals) Configurazione dei comuni cateteri ERRT. Vari tipi di

lume: rotondo (a), a doppia D (b, e) e a C (c, d). sulla destra la configurazione dei canali in sezione.

Di seguito sono riportate le principali caratteristiche delle diverse configurazioni: a. catetere bilume tunnellizzato con entrambi i canali di sezione rotonda;

configurazione detta “a canna di fucile”, ad alto tasso di ricircolo b. catetere bilume tunnellizzato con i canali a doppia D

c. catetere temporaneo non cuffiato non tunnellizzato con porte perimetrali alternate

d. catetere c, ruotato di 90° per mostrare il posizionamento delle aperture multiple

e. catetere a doppia punta

In cateteri con una singola apertura (sia in corrispondenza dell’apice o di un port laterale), come ad esempio il catetere b mostrato in figura 4, l’occlusione, seppur parziale, dovuta a trombosi o ad una guaina di fibrina può ridurre la funzione del

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catetere al punto da renderlo inutilizzabile per un’adeguata dialisi. Il rischio di occlusione completa diminuisce utilizzando porte multiple (catetere c-d).

Se le porte di uscita sono posizionate perimetralmente attorno al catetere (catetere c-d), anche nel caso in cui si verifichi l’aspirazione della parete del vaso su un lato del catetere, il flusso sanguigno può continuare sul lato opposto. Se però le aperture laterali sono strette, il sangue preferirà fluire attraverso la punta, rendendo praticamente inefficienti le aperture laterali. Se, al contrario, le aperture laterali sono invece troppo larghe, possono determinare un indebolimento del catetere ed un aumento della quantità di eparina che diffonde fuori dal catetere tra un trattamento di dialisi e l’altro (Depner, 2001).

Una configurazione a doppia D (cateteri b-e della figura 3) garantisce il maggior volume del lume con la minor superficie di contatto con il sangue per diminuire lo “stress da contatto”, pur mantenendo una modesta circonferenza esterna (Ash 2007). Altre configurazioni sono tuttavia comunemente usate, compresi lumi a sezione rotonda o a forma di C (cateteri a-c-d della figura 3) (Wentling, 2004).

I cateteri per emodialisi si dividono in temporanei (utilizzati al massimo per alcune settimane) e permanenti (necessitanti una tunnelizzazione sottocutanea ed utilizzabili per periodi di tempo prolungati). I cateteri temporanei sono generalmente progettati con la punta affusolata per facilitare il posizionamento percutaneo. I cateteri permanenti possono avere le punte separate, in modo che, all’interno del vaso, le due porzioni si comportino come due cateteri distinti. Avendo le punte separate, le porte laterali possono essere posizionate circonferenzialmente, e la maggiore flessibilità delle punte e del loro movimento ad ogni ciclo cardiaco può aiutare a diminuire la formazione di guaine di fibrina (Depner, 2001).

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21 Figura 4 Catetere Venoso Centrale generalmente usato presso l’Ospedale Didattico Veterinario “Mario Modenato”

I cateteri per emodialisi permanenti hanno un manicotto esterno che viene di solito realizzato in Dacron (Langston, 2011). Il catetere viene posizionato per una parte in una tasca sottocutanea, che separa di diversi centimetri il sito in cui il catetere esce dalla pelle dal sito dove il catetere entra nel vaso. Il manicotto è posizionato in questa tasca sottocutanea e permette ai fibroblasti di aderire, assicurando in tal modo il catetere in posizione e diminuendo la migrazione batterica al vaso. Questi cateteri sono destinati ad essere utilizzati per un massimo di 2 anni e sono generalmente posizionati utilizzando una tecnica chirurgica. Le estremità del catetere sono solitamente smussate, quindi un introduttore è necessario per il posizionamento percutaneo. Idealmente, il catetere dovrebbe essere posizionato in una sala operatoria sotto guida fluoroscopica. I cateteri permanenti possono avere le estremità dei lumi separate, in modo che la porzione endovenosa agisca come 2 cateteri separati inseriti nella stessa vena. Avendo punte separate, le porte laterali possono essere collocate circonferenzialmente su ciascun lume, e la maggiore flessibilità delle punte e il loro movimento ad ogni ciclo cardiaco può aiutare a diminuire la formazione della guaina di fibrina (Chalhoub, Langston, Poeppel, 2011).

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Per quel che riguarda la medicina umana, la regola usata preferenzialmente per la formazione di accessi arterovenosi è quella di iniziare distalmente e poi muoversi in prossimità nell’arto non dominante. Questo comporta diversi vantaggi: in primo luogo diverse complicazioni neurovascolari dovute alla chirurgia sono confinate nell’arto non dominante, in secondo luogo è permesso l’uso dell’arto dominante durante la dialisi (The Renal Association 2015). Iniziare distalmente permette inoltre la possibilità di ricorrere ad una facile conversione ad una fistola più prossimale se il primo tentativo dovesse fallire. Sia pazienti che personale medico dovrebbero ricevere un’adeguata educazione sulla conservazione delle vene nei pazienti con malattia del rene cronica in fase avanzata che probabilmente richiederanno dialisi nel prossimo futuro: in particolare i prelievi dalla vena cefalica dell’arto non dominante dovrebbero essere proibiti e far indossare ai pazienti un braccialetto medico d’allerta potrebbe aiutare a preservare le vene per la creazione futura di accessi vascolari (The Renal Association 2015).

1.2.1 Tecnica di posizionamento per AVF

Il posizionamento di una fistola artero-venosa dovrebbe essere avviato almeno sei mesi prima del trattamento dialitico mentre il posizionamento di un innesto artero-venoso almeno 6 settimane prima del bisogno di dialisi. La sfida del nefrologo è quella di predire accuratamente quando la dialisi sarà necessaria. Per il chirurgo invece la sfida consiste nel costruire un accesso adeguato per la cannulazione durante la dialisi e che abbia sufficiente longevità (The Renal Association 2015).

Riguardo la localizzazione dell’accesso vascolare, la fistola radiocefalica è l’accesso di preferenza, seguito dalla fistola brachio-cefalica, a cui segue la fistola brachio-basilica, ed infine un innesto artero-venoso. La vena giugulare interna destra è il sito preferito per cateteri venosi tunnelizzati. Le vene succlavie dovrebbero invece essere utilizzate solo dopo l’esaurimento di tutti gli altri siti degli arti anteriori (KDOQI 2006).

La UK Renal Association (2015) raccomanda che i cateteri venosi vengano piazzati solo come ultima risorsa o in situazioni di emergenza, quando gli accessi permanenti non sono più a disposizione per la dialisi (UK Renal Association 2015).

Non ci sono studi randomizzati per comparare i siti per la formazione di AVF ma la buona pratica clinica dovrebbe prevalere e iniziare con l’approccio distale poiché

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incrementa il numero di siti per posizionare l’accesso vascolare nei futuri tentativi. La chiave principale è un approccio multidisciplinare per programmare un posizionamento tempestivo, ed un monitoraggio meticoloso per identificare eventuali complicazioni che potrebbero compromettere la sopravvivenza a lungo termine di un accesso vascolare utilizzabile (Harland, 1994).

Ci sono diverse opzioni artero-venose anastomotiche nell’arto ma le più comuni sono le seguenti:

AVF Tabacchiera: la vena cefalica è anastomizzata all’arteria radiale alla tabacchiera anatomica.

AVF Brescia Cimino: la vena cefalica è anastomizzata all’arteria radiale al polso. AVF brachicefalica: la vena cefalica dell’arto superiore è anastomizzata

all’arteria brachiale nella fossa antecubitale.

AVF di trasposizione brachiobasilica: la vena basilica o la vena mediale cubitale è anastomizzata all’arteria brachiale nella fossa antecubitale. Nella stessa procedura (fase singola) o in una procedura sequenziale (2 fasi), la vena basilica viene immobilizzata per tutta la sua lunghezza in una posizione sottocutanea lontana dal nervo cutaneo mediale dell’avambraccio e dall’arteria brachiale per permettere un’iniezione sicura.

In molte AVF l’anastomosi si costruisce alla fine di una vena al lato della configurazione arteriosa in modo da evitare ipertensione venosa. Il numero delle possibili configurazioni dipende dall’esperienza del chirurgo. Ci sono molte altre opzioni come la trasposizione ulnare-basilica, vena safena e vena femorale ma quest’ultime sono molto meno utilizzate (The Renal Association 2015).

Il tasso di fallimento primario delle AVF ha un alto range, tra il 15 e il 60% (Al-Jaishi, Oliver et al. 2014).

1.2.2 Tecnica di posizionamento per AVG

L’uso degli AVG è aumentato in Europa e negli Stati Uniti (Fluck et al. 2012). Le configurazioni d’innesto più comuni sono:

- AGV ciclico dell’avambraccio: anastomosi dall’arteria brachiale all’innesto e dall’innesto ad una vena della fossa antecubitale, con l’innesto si adotta una configurazione ciclica nell’avambraccio.

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- AVG brachio-ascellare: anastomosi dall’arteria brachiale all’innesto e dall’innesto ad una vena nell’ascella, adottando una configurazione dritta nell’arto superiore per l’innesto.

- AVG femorale-femorale: anastomosi dall’arteria femorale (preferibilmente l’arteria femorale superficiale) all’innesto e dall’innesto alla vena femorale, adottando una configurazione ciclica o dritta per l’innesto nella coscia.

C’è un’infinita varietà di possibili configurazioni utilizzanti gli innesti, tutto ciò che occorre è un’arteria funzionale e una vena che arriva al cuore senza ostruzioni. È possibile usare un innesto o i più recenti innesti ibridi per riconfigurare accessi preesistenti per bypassare segmenti di stenosi di precedenti AVF (The Renal Association, 2015).

Comparato all’AVF, l’AVG protesico non richiede un periodo di maturazione. Tuttavia, a seconda del tipo di innesto, potrebbe essere necessario un periodo dalle 2 alle 3 settimane dopo l’impianto, prima di procedere alla punzione. Questo per garantire che l’innesto si incorpori ai tessuti in modo da evitare ematomi e decannulazioni. Gli innesti protesici hanno anche un tasso di pervietà significativamente basso. Di conseguenza nei soggetti in cui l’innesto artero-venoso è ritenuto essere l’accesso appropriato, il posizionamento dovrebbe essere ritardato ad un momento più prossimo alla data prevista per la dialisi (The Renal Association 2015).

1.2.3 Tecnica di posizionamento per cateteri venosi centrali (CVC) in

medicina umana

Per dialisi immediate, in assenza di una AVF performante, molto centri scelgono i cateteri venosi centrali. Cateteri temporanei, non tunnelizzati, dovrebbero essere evitati a causa dell’alto rischio di sepsi, e le correnti raccomandazioni restringono l’uso di tali cateteri a non più di una settimana, collocati nella giugulare o nella vena femorale (KDOQI 2006). D’altro canto questi cateteri sono accettati come accesso ponte mentre ci si organizza per un accesso più permanente.

Il posizionamento di entrambi i tipi di catetere, tunnelizzati e non, dovrebbe essere eseguito con la guida ecografica per ridurre il rischio di complicazioni legate alla procedura (Rabindranath et al. 2011). La vena giugulare interna destra ha una via

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diretta per l’atrio destro comparabile al lato sinistro ed è raccomandata per l’applicazione del catetere, inoltre questo approccio è associato ad un rischio minore di complicazioni come stenosi venose, infezioni legate al catetere, trombosi e complicazioni perioperatorie. Il posizionamento del catetere nelle vene succlavia, giugulare esterna e femorale dovrebbe essere evitato a causa dell’alto rischio di stenosi venose rispetto alla vena giugulare interna (The Renal Association 2015).

1.2.4 Tecnica di posizionamento per cateteri venosi centrali (CVC) in

medicina veterinaria

In medicina veterinaria non esistono delle vere e proprie linee guida riguardo al posizionamento del catetere venoso centrale. Nella pratica, si usano i protocolli creati per la medicina umana.

I cateteri per il trattamento emodialitico possono essere necessari per settimane: è essenziale quindi riporre rigorosa attenzione alla tecnica asettica durante il posizionamento. Il posizionamento del catetere deve essere effettuato in un ambulatorio pulito con traffico limitato e tutto il personale coinvolto nella procedura deve indossare cuffiette e maschere. Un telo chirurgico grande e guanti sterili sono obbligatori. A causa dell’elasticità del filo guida, è raccomandato l’utilizzo di camici chirurgici per ridurre il rischio di contaminazione del filo guida durante il posizionamento. La sedazione e/o l’uso di anestetico locale può essere necessario in base allo stato clinico del paziente e al suo comportamento (Chalhoub, Langston, Poeppel, 2011).

I cateteri temporanei non tunnelizzati possono essere piazzati in sala operatoria, ma sono frequentemente instillati in una sala ambulatoriale pulita. Questi cateteri di solito sono applicati percutaneamente (o attraverso una piccola incisione della cute) con un filo guida utilizzando la tecnica di Seldinger. I cateteri da emodialisi temporanei sono intesi per dialisi acute di durata di poche settimane.

I cateteri da emodialisi permanenti devono essere piazzati in sala operatoria con una tecnica completamente sterile. Sebbene possono essere impiantati con sedazione e anestesia locale nei pazienti umani, nei pazienti veterinari è pressoché sempre utilizzata l’anestesia generale (Langston 2011).

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Il kit necessario per il posizionamento include: catetere venoso centrale, ago-cannula, filoguida a J, dilatatore, bisturi, tamponi, pinze anatomiche, forbici, pinze emostatiche, bacinella con fisiologica eparinata (Figura 5).

Figura 5 Strumentario per il posizionamento del CVC

Il posizionamento del CVC seguendo la tecnica di Seldinger prevede di tosare una vasta area della regione del collo del paziente, inclusa l’area cervicale dorsale e posizionare quindi l’animale in decubito laterale, tirare le zampe anteriori indietro e posizionare un supporto (una pila di asciugamani di carta) sotto il collo per esporre la vena giugulare. Successivamente si esegue il lavaggio chirurgico della zona ventrale destra del collo utilizzando tamponi imbevuti di clorexidina e si posiziona un telo sterile sulla zona.

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27 Figura 6 Preparazione campo operatorio

Si introduce un ago-cannula all’interno della vena giugulare e, utilizzando la cannula come tunnel, viene inserita la guida metallica a J.

Figura 7 Inserimento della guida a J attraverso la cannula nella vena giugulare

A questo punto viene tolta la cannula e generalmente questo passaggio comporta una modesta fuoriuscita di sangue. Sfruttando la guida metallica a J si inserisce il dilatatore all’interno della vena, il quale deve essere tenuto in situ per qualche minuto: questo

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passaggio è importante e serve a dilatare l’accesso creato precedentemente sulla giugulare e permettere quindi successivamente l’entrata del CVC che ha dimensioni notevolmente superiori alla cannula.

Figura 8 Inserimento del dilatatore nella vena giugulare

In seguito viene estratto il dilatatore e, sfruttando ancora la guida a J rimasta in posizione, si introduce il CVC.

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Nell’introdurre il catetere, durante il suo avanzamento lungo la vena si deve prestare attenzione all’elettrocardiogramma del paziente per rilevare l’eventuale comparsa di extrasistole che possono verificarsi se il catetere viene posizionato troppo in profondità: in tale situazione deve essere tratto leggermente più in superficie.

Dopo aver posizionato correttamente il CVC, la guida a J può essere estratta. Si passa quindi al lavaggio dei due ports del catetere tramite l’iniezione di soluzione fisiologica eparinata (500 unità in 250 ml di soluzione salina, messi in un recipiente sterile e poi aspirati; possono essere anche prelevati, in maniera sterile, da una boccia, ma il procedimento è più tedioso) per più volte, fin quando il flusso di entrambi i ports risulta adeguato. I due ports vengono quindi chiusi tramite tappini perforabili e il catetere viene suturato alla cute dell’animale tramite le due alette che si trovano alla base dei due ports. Infine, si avvolge il catetere con garza e cotonina sterile per recarsi in radiologia e assicurarsi, tramite radiografia, del corretto posizionamento del CVC.

1.3 Gestione degli accessi vascolari per emodialisi

1.3.1 Linee guida in medicina umana

I principi di gestione degli accessi vascolari sono pressoché equiparabili fra la medicina veterinaria e la medicina umana.

Anche in medicina umana infatti, la gestione postconfezionamento della fistola e in particolare la sua medicazione, è fondamentale per ridurre al minimo il rischio di infezione della fistola stessa.

Essenzialmente, le linee guida emanate da NephroMeet nel 2013, raccomandano di: • Proteggere la ferita con una medicazione sterile per 48 ore dopo l’intervento • Evitare fasciature e medicazioni compressive (circonferenziali), che possono

rallentare o occludere il flusso ematico con rischio di trombosi della AVF • L’area chirurgica deve essere tenuta a temperatura corporea

• Lavarsi le mani attraverso frizionamento con gel idroalcolico prima e dopo aver cambiato la medicazione e ad ogni contatto con la ferita chirurgica

• Utilizzare tecnica sterile per il cambio della medicazione

(Dopo le 48 ore) La medicazione va sostituita al massimo ogni 72 ore o quando appare sporca, bagnata o anche solo parzialmente non adesa. La medicazione va proseguita

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fino a completa guarigione della ferita chirurgica. Secondo le linee guida NICE si raccomanda il mantenimento della prima medicazione sino a 48 ore, senza ulteriori medicazioni in caso di guarigione della ferita per prima intenzione.

Successivamente, il secondo step nella gestione degli accessi vascolari in medicina umana consiste in un accurato monitoraggio. La KDOQI, nelle linee guida pubblicate nel 2013, definisce il monitoraggio come l’esame fisico degli accessi vascolari per determinare se vi sono o meno segni clinici che suggeriscono la presenza di disfunzioni di accesso; se effettuato correttamente, il monitoraggio è in grado di identificare la maggior parte delle disfunzioni di accesso. Una volta evidenziata un’anormalità dell’accesso è obbligatoria un’ulteriore valutazione per permettere una diagnosi perentoria e il trattamento richiesto per prevenire la perdita dell’accesso o un accesso errato (The Renal Association 2015).

Tecniche adeguate per la preparazione della cute e l’incannulamento di un accesso vascolare sono importanti nel controllo delle infezioni, compreso l’uso di tecniche asettiche e il cambio periodico del catetere per la dialisi. I siti di accesso vascolare inoltre devono essere esaminati visivamente, con uno stetoscopio e tramite palpazione. In questo modo una stenosi o un’eventuale infezione che interessano il sito di accesso possono essere rilevati. L’esame fisico andrebbe effettuato mensilmente e da personale qualificato. Innesti e fistole devono essere monitorati periodicamente per valutare eventuali stenosi mediante misurazione quantitativa del flusso all’interno del comparto vascolare, pressioni venose statiche durante la dialisi, ecografia Doopler e/o esame fisico (KDOQI 2006).

L’afflusso di sangue attraverso una AVF aumenta fino al suo massimo in 3-6 settimane: una AVF funzionante dovrebbe essere visibile e palpabile vicino la sua anastomosi. La maturazione e l’idoneità di una AVF possono essere definite attraverso la misurazione del diametro e del flusso sanguigno nella fistola: se il diametro è >5mm e il flusso sanguigno >500ml/min, l’AVF è ritenuta “matura” o “idonea”. La combinazione di questi parametri ha dimostrato il 95% di possibilità di successo delle AVF per dialisi (Campos et al. 2008). È sospettata una stenosi quando c’è una debole pulsazione palpabile alla fine dell’arteria o se alzando l’arto si ha una AVF non funzionante che può arrivare a collassare, o una pulsazione discontinua e un cambiamento del rumore

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caratteristico. Gonfiore e vene collaterali prominenti possono indicare stenosi delle AVF (The Renal Association 2015).

Gli esami fisici svolti dal personale qualificato possono raggiungere un valore predittivo positivo del 70-90% per gli AVG, e il 90% di specificità e il 38% di sensibilità nelle AVF (Coentrao et al. 2011).

L’esame fisico dell’accesso vascolare per determinare se vi siano o meno segni clinici che suggeriscano la presenza di disfunzioni è una componente essenziale nell’analisi del paziente sottoposto a dialisi. L’esame fisico dovrebbe essere considerato di routine ed è svolto durante la fase di maturazione della fistola e, successivamente, durante il suo uso in dialisi. L’osservazione clinica, palpazione e auscultazione sono passi essenziali per il controllo dell’accesso vascolare per cogliere segni di infezione, ematomi, aneurismi e stenosi dell’accesso.

Altre osservazioni oggettive che possono indicare una disfunzione dell’accesso vascolare includono: un calo inspiegabile dell’efficienza dialitica, un prolungato sanguinamento dai siti di inserzione degli aghi, la percentuale di ricircolo, e i cambiamenti delle pressioni dinamiche arteriose e venose misurate a basso flusso di sangue all’inizio di ogni sessione di dialisi (The Renal Association 2015).

Per quel che riguarda invece la necessità di mantenere la pervietà dell’accesso vascolare, sono state studiate diverse strategie per garantirla:

1. Agenti antipiastrinici per prevenire le trombosi nell’accesso vascolare: le

cause più comuni che rendono un accesso difettoso sono stenosi e trombosi. Alcuni studi hanno mostrato che il rischio di insuccesso di AVF è di circa il 15-30% l’anno e due volte più comune in AVG (Da Silva et al. 2003).

2. Anticoagulazione sistemica: Crowther et al pubblico nel 2002 uno studio

sull’uso di basse dosi di warfarin. L’obiettivo principale dello studio erano le trombosi degli innesti ma le prove terminarono a causa di un incremento del numero di eventi di sanguinamento nel gruppo in trattamento. La conclusione fu che il warfarin fu considerato dannoso.

3. Olio di pesce (grassi acidi Omega3): gli acidi grassi Omega3 inibiscono

l’aggregazione delle piastrine, hanno effetti anti-infiammatori e svolgono azioni antiproliferative. Anche in alte dosi gli acidi grassi Omega3 sono ben tollerati, anche se eventi avversi gastrointestinali sono riportati frequentemente. In uno

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studio randomizzato su più centri, comparato ad un trattamento placebo, i pazienti a cui somministrarono olio di pesce (4g/giorno) con i nuovi AVG hanno sviluppato meno trombosi dell’innesto rispetto a quelli a cui hanno dato il placebo (il tasso di pervietà primaria in un anno fu del 75.6% contro il 14.9% dei soggetti con il placebo). Inoltre sono stai effettuati meno interventi per il mantenimento della pervietà (Schmitz et al. 2002).

4. Terapia a infrarossi lontani (FIR) per aumentare la pervietà: la terapia FIR è

stata sviluppata per aumentare la funzione endoteliale nelle arterie coronarie e la funzione cardiaca in pazienti con insufficienza cardiaca (Miyata et al. 2008). Gli agenti antipiastrinici, dal momento che non vi sono controindicazioni, dovrebbero esser presi in considerazione per un periodo di 4-6 mesi dopo la creazione dell’accesso vascolare per ridurre il tasso primario di fallimento dell’accesso stesso. L’olio di pesce potrebbe essere di aiuto nella prevenzione di trombosi degli AVG, sebbene questo sia stato riportato solo da un unico studio. Il warfarin utilizzato come anticoagulante per la prevenzione dell’inefficacia dell’accesso dovrebbe essere evitato, mentre i trattamenti non farmacologici come la FIR sono promettenti terapie coadiuvanti non invasive per aumentare la pervietà nelle AVF, ma servono ulteriori ricerche prima che il loro uso possa essere raccomandato. Altri farmaci indicati per aumentare la pervietà degli accessi vascolari in studi osservazionali includono statina, calcio antagonisti e inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotesina (ACE-inibitori), ma il loro uso non può essere raccomandato finché non saranno condotti studi in larga scala sull’uso di questi farmaci per incrementare la pervietà degli accessi vascolari (The Renal Association 2015).

Infine, fondamentale nella gestione degli accessi vascolari è la sorveglianza. La sorveglianza dell’accesso vascolare è definita come l’assestamento degli accessi vascolari utilizzando strumentazioni specializzate per misurarne la funzione. Le metodiche più comuni di sorveglianza degli accessi sono date dalle misurazioni di portata dell’accesso, in aggiunta a doppia ecografia Doppler, così come la misurazione della pressione statica derivata. La frequenza della sorveglianza delle AVF e degli AVG ha una variabilità considerevole. Alcuni centri svolgono misurazioni di flusso ogni 6 mesi o più frequentemente (3 mesi). Altri centri invece possono solo investigare per la risoluzione dei problemi dell’accesso vascolare (The Renal Association 2015). La

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misurazione del flusso di sangue (Qa) per predire lo sviluppo di una stenosi dell’innesto è stata valutata in diversi studi osservazionali. Finora non c’è riscontro sul fatto che la sorveglianza abbia portato ad una riduzione delle trombosi o un aumento della longevità degli AVG (Casey et al. 2008). In uno studio di controllo randomizzato, Polkinghorne et al. nel 2006 hanno controllato a 137 pazienti in dialisi tramite AVF, misurazioni mensili di Qa. Pazienti con un valore di Qa inferiori a 500ml/min venivano sottoposti a studi angiografici e le stenosi delle AVF avevano una doppia probabilità di essere diagnosticate rispetto al gruppo di controllo. Complessivamente la sorveglianza del Qa seguita da angiografica e angioplastica preventiva ha portato alla riduzione di trombosi nelle AVF, ma tale strategia non ne ha dimostrato un aumento della sopravvivenza nonostante l’intervento.

The Renal Associaion nel 2015 suggerisce che ogni unità sviluppi protocolli locali concordati per il monitoraggio e la sorveglianza degli accessi e il trattamento di stenosi e trombosi associate alla dialisi in modo da mantenere longevo l’accesso vascolare. Gli infermieri addetti agli accessi vascolari giocano un ruolo essenziale nel mantenimento di un programma di sorveglianza e monitoraggio degli accessi stessi.

Mentre è auspicabile che la pervietà debba essere mantenuta con una fistola o un innesto, una valutazione della sorveglianza può indicare che un particolare accesso non è recuperabile. In una tale situazione la pianificazione per il prossimo accesso vascolare deve avvenire in breve tempo per minimizzare il rischio di una dialisi attraverso un catetere venoso centrale (The Renal Association 2015).

1.3.2 Linee guida in medicina veterinaria

In medicina veterinaria non esistono delle linee guida circa la gestione degli accessi venosi utilizzati per i trattamenti di emodialisi. Nella pratica ci si rifà a quanto riportato precedentemente circa la gestione degli accessi vascolari per emodialisi in medicina umana, nonostante si tratti di fistole artero-venose ed innesti anziché di cateteri venosi centrali.

Il catetere da emodialisi deve essere curato solo da personale qualificato al fine di limitare contaminazioni batteriche ed usi impropri. Ad ogni trattamento dialitico il sito di uscita deve essere controllato e pulito con soluzione antisettica. Quando si accede al catetere all’inizio e alla fine di ogni trattamento o in qualsiasi altro momento, i ports

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del catetere dovrebbero ricevere uno scrub asettico di 3-5 minuti. Il tecnico deve indossare guanti sterili e una mascherina sia durante l’ispezione del catetere che durante la sua apertura e chiusura. Quando non utilizzato, il catetere viene fasciato in situ e viene coperto completamente.

Figura 10 Bendaggio CVC con cotonina e vetrap

Nell’intervallo tra i trattamenti, ciascun lume del catetere viene riempito con una soluzione di chiusura anticoagulante, generalmente composta da eparina non frazionata. Di solito viene utilizzata una concentrazione di 500-1000 UI/mL per i gatti, e una concentrazione da 1000 a 5000 UI/mL, per i cani (Chalhoub, Langston, Poeppel, 2011).

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Si deve comunque considerare che una porzione (15% -20%) dell’eparina instillata diffonde dalla punta del catetere (Sungur et al. 2007). Una soluzione di blocco alternativa è il citrato di sodio, ed è stato osservato che, comparata alla soluzione di eparina a 5000 UI/mL, una soluzione di citrato trisodico al 4% ha tassi simili di trombosi del catetere, disfunzioni, e infezioni, con un minor numero di episodi di sanguinamento sistemico grave (Grudzinski et al. 2007;.. MacRae et al. 2008). Concentrazioni più elevate di citrato (> 30%) hanno anche dimostrato proprietà antimicrobiche (Weijmer et al. 2002;.. Weijmer et al. 2005). Alcuni centri di emodialisi veterinaria incorporano abitualmente anche un antibiotico (ad esempio, cefazolina, 10 mg/ml) insieme alla soluzione di eparina. La soluzione eparinata deve essere rimossa prima dell’uso del catetere; tuttavia, a volte il malfunzionamento del catetere lo rende impossibile. Questa condizione è particolarmente problematica quando si utilizza il citrato, in quanto l’iniezione di una alta concentrazione (46,7%) di soluzione di citrato può causare ipocalcemia sintomatica e morte improvvisa (Chalhoub, Langston, Poeppel, 2011). Generalmente, nei pazienti veterinari, viene somministrata per via orale anche l’aspirina come agente antipiastrinico (0,5-2 mg/kg per via orale ogni 24 ore nei cani, ogni 48 ore nei gatti) per diminuire le eventuali trombosi associate al catetere (Chalhoub, Langston, Poeppel, 2011).

I cateteri devono essere monitorati periodicamente per valutarne la funzionalità: questo tipo di monitoraggio permette di prevenire il malfunzionamento e l’occlusione del catetere venoso centrale. La funzionalità del catetere può diminuire nel tempo se trombosi o stenosi avvengono gradualmente, oppure può declinare bruscamente. Un metodo semplice per monitorare la funzionalità del catetere (detta performance del CVC) ad ogni dialisi è quello di registrare la velocità del flusso sangue massima quando la pressione nella cavità dell’arteria (pre-pompata) è -200 mmHg. Una graduale diminuzione della velocità del sangue ad una pressione standardizzata è sintomo di un calo della performance del catetere. La pressione arteriosa, durante il trattamento emodialitico, deve essere mantenuta al di sotto di -200 mmHg, fino a -250 mmHg, poiché ad un valore più basso, la macchina potrebbe indicare un valore sfalsato della velocità, probabilmente superiore al flusso effettivo (Depner 2001).

Un altro fenomeno che indica un calo della performance del catetere, e può inficiare il trattamento dialitico stesso, è la presenza del ricircolo (Poeppel et al, 2011). L’ingresso

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del ricircolo diminuisce l’efficienza del trattamento “diluendo” il sangue che viene aspirato dal paziente con il sangue che è appena tornato dal dializzatore ed ha una bassa concentrazione di soluti uremici (Carson et al, 2005). Un aumento della quantità di ricircolo indica che l’accesso vascolare inizia ad avere un calo di performance: rilevare presto questo parametro aiuta ad intervenire prontamente (Poeppel et al, 2011).

Con le linee del circuito sanguigno extracorporeo attaccate nella normale configurazione, il ricircolo è solitamente minore del 5%, ma invertendo sulle connessioni in modo che il sangue venga aspirato dalla porta distale (“venosa”) la quota di ricircolo cresce fino al 13-24%. Se il tasso di flusso sanguigno che può essere raggiunto in questa configurazione invertita è maggiore del tasso di flusso sanguigno nella configurazione normale, l’incremento del flusso compensa maggiormente la riduzione dell’efficienza (Carson et al. 2005). Durante il trattamento emodialitico iniziale, quando l’efficienza è volutamente limitata per diminuire le complicazioni, le linee di sangue possono essere invertite per creare il ricircolo (Langston 2011).

L’accesso di ricircolo può essere misurato con varie tecniche, ognuna delle quali cerca in qualche modo di alterare il sangue nella linea venosa e quindi rilevare la presenza di sangue alterato nel sangue della linea arteriosa. Alcune modifiche includono la diluizione con soluzione salina (rilevata dalla trasmissione di luce o di ultrasuoni, con l’ecografia), il cambiamento di temperatura (raffreddamento) o di conduttività (aggiungendo soluzioni saline ipertoniche), ed emoconcentrazione (tramite ultrafiltrazione) (Sherman and Kapoian 2008). La metodica che sfrutta la diluizione è la più accurata per determinare l’accesso di ricircolo (Transonic Systems, Inc., Ithaca, NY). L’iniezione di un bolo di soluzione fisiologica nel canale venoso diluirà il sangue, che sarà rilevato da un sensore ad ultrasuoni situato sul canale venoso. In caso di ricircolo, il sangue entrante nel canale arterioso sarà anch’esso diluito, in misura minore, e misurato da un sensore ad ultrasuoni sulla linea arteriosa. La percentuale di sangue in ricircolo viene poi calcolata dalla macchina. Monitorando l’emoglobina (i.e., Critline III TQA, Hemametrics) si può rilevare l’accesso di ricircolo attraverso iniezioni di soluzione fisiologica prima nella linea venosa, seguita poi da un’iniezione di soluzione fisiologica in quella arteriosa, ma la misura del ricircolo è meno accurata se comparata alla tecnica ad ultrasuoni (Lopot et al. 2003). Alcune macchine da dialisi hanno incorporata

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una tecnologia per la misurazione automatica, che utilizza cambiamenti nel dialisato in sostituzione alle iniezioni di sostanze direttamente nella linee di sangue, ed includono l’utilizzo del cambiamento di temperatura o di conduttività. Queste misurazioni possono esser effettuate ripetutamente durante il trattamento di dialisi (Langston 2011).

1.4 Complicazioni degli accessi venosi per emodialisi

1.4.1 Complicazioni delle AVF

Nel 2013, la NephroMeet ha stilato un elenco delle complicazioni che si possono presentare dopo il confezionamento della AVF

- Sanguinamento: bisogna rilevare segni di eventuale sanguinamento al ritorno dal trattamento emodialitico (una volta che la medicazione è pulita).

Se la medicazione risulta impregnata di sangue monitorare il sanguinamento e circoscrivere la macchia tramite un pennarello per valutare la progressione. Rilevare e monitorare i segni vitali del paziente.

Se il sanguinamento è copioso allertare il personale medico e procedere al posizionamento di un accesso venoso in una vena con buona portata.

Concordare con il medico provvedimenti quali l’esecuzione di prelievi ematici in emergenza per valutare/confrontare l’anemia del paziente.

Esecuzione di manovre di tamponamento arterioso (es. con ausilio di sfigmomanometro posizionato a monte della AVF), disposizione di intervento chirurgico in urgenza per risolvere l’emorragia

- Ematoma: l’ematoma è una complicanza locale che, non solo costituisce un ostacolo temporaneo ad un’agevole utilizzazione dell’accesso vascolare, ma ne configura sovente un fattore negativo per la sopravvivenza a lungo termine. In caso di ematoma infiltrante a carico di una fistola nativa o protesica è sconsigliata la venipuntura finché la tumefazione ed il gonfiore non si riducono. - Ritardo di maturazione: il problema più importante delle fistole di recente

creazione risiede nell’incapacità di sviluppare un flusso sufficiente a supportare la dialisi o di dilatarsi in modo da consentire un’agevole incannulazione.

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La mancata maturazione si riferisce convenzionalmente ai casi in cui la AVF non riesce ad essere utilizzata o si chiude entro 3 mesi dal primo utilizzo.

- Sindrome da furto: il furto ematico è comune a tutte le anastomosi artero-venose e decorre il più delle volte in maniera asintomatica. Consiste in una ipoperfusione ematica delle zone vascolarizzate dall’arteria e situate a valle dell’anastomosi. Quando il fenomeno diventa eccessivo, in mancanza di meccanismi di compenso, si ha una sindrome da furto, caratterizzata da ischemia delle zone ipoperfuse.

Spesso la sintomatologia inizia già nelle ore o nei giorni successivi all’intervento; può tendere ad aggravarsi durante la seduta emodialitica, soprattutto in condizione di ipotensione. Tale sindrome, che si verifica prevalentemente nelle AVF prossimali, è favorita da alcuni fattori di rischio quali: l’ampiezza dell’arteriotomia, il diabete mellito, le vasculopatie periferiche e l’età avanzata.

Si divide in 4 stadi in rapporto alla sintomatologia:

I stadio: pallore e mano fredda;

II stadio: dolore intermittente durante la dialisi; III stadio: dolore ischemico a riposo;

IV stadio: ulcerazione e necrosi.

Nel I e II stadio è opportuno mantenere un atteggiamento di vigile attesa, nel III e IV si deve aumentare la pressione di perfusione distale.

- Aneurisma, pseudo-aneurisma e seroma: l’aneurisma è costituito da una dilatazione della parete vasale, della vena arterializzata o di una protesi biologica, e può essere del tutto pervio o occupato da trombi parietali. Lo sfiancamento della parete coincide in molti casi con aree circoscritte dei tegumenti cutanei sovrastanti il vaso utilizzato, nelle quali si può osservare una concentrazione di venipunture. Ogni venipuntura comporta la genesi di una cicatrice di tessuto fibroso.

Lo pseudo-aneurisma è distinguibile da un aneurisma in quanto non comprimibile all’esame obiettivo ed è la conseguenza di una venipuntura che ha creato un ematoma in comunicazione con il lume vasale. In conseguenza di questa comunicazione l’ematoma continuamente alimentato, come

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dimostrabile all’ecodoppler, anziché stabilizzarsi, può crescere di volume a velocità variabile, con il rischio di rottura. Va assolutamente evitata l’infissione degli aghi in sedi pseudo-aneurismatiche.

Il seroma corrisponde ad una raccolta sierosa periprotesica può simulare uno pseudo-aneurisma.

- Stenosi: una gran parte di episodi trombotici avviene per la presenza di una stenosi che si forma nel sito di puntura, a livello dell’anastomosi, o, nelle AVF protesiche, a livello dell’anastomosi venosa per una reazione tissutale del vaso venoso nei confronti del flusso pulsante al quale è sottoposto, con conseguente iperplasia miointimale e riduzione del lume.

- Trombosi: è la più frequente complicanza che si verifica negli accessi vascolari. - Sindrome da ipertensione venosa o del braccio grosso: è rappresentata da

edema dell’arto successivo al confezionamento di una fistola prossimale in presenza di ostruzione dei tronchi venosi centrali. In questo caso la fistola comporta la rapida comparsa di un edema di tutto l’arto. L’edema, che può estendersi fino alle estremità delle dita che possono presentare lesioni ulcerative, si accentua con l’incremento di peso inter-dialitico ed è ingravescente.

La patogenesi di tale stenosi è nella maggior parte dei casi data da pregresso cateterismo venoso centrale per dialisi (CVC succlavio/giugulare), ovvero di linee centrali in area critica o oncologica. Un’altra causa di stenosi venosa centrale è l’impianto di pace-maker.

Tale sindrome richiede la chiusura chirurgica della AVF per ottenere la risoluzione del quadro a meno che la risoluzione dell’ostruzione non sia possibile grazie all’angio-radiologo.

- Infezione: l’infezione peri-operatoria è un evento raro, mentre è più frequente come complicanza degli incannulamenti con gli aghi-fistola. È più frequente l’infezione della protesi, rispetto alle fistole native.

È necessaria l’immediata terapia antibiotica che tenga conto della sensibilità dei germi locali e/o sulla base di un antibiogramma mirato effettuato su emocoltura o su coltura di eventuali secrezioni purulente.

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