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4. Terapia a infrarossi lontani (FIR) per aumentare la pervietà: la terapia FIR è

1.4 Complicazioni degli accessi venosi per emodialisi 1 Complicazioni delle AVF

1.4.2 Complicazioni del CVC

Le complicazioni associate al catetere venoso centrale possono essere molteplici: • Trombosi • Stenosi • Dislocazione • Infezioni • Emorragia • Rottura

1.4.2.1 Trombosi

Nonostante l’impiego di materiali meno trombogenici possibili, i cateteri da emodialisi hanno un alto tasso di trombosi. Le trombosi possono essere intraluminali o extraluminali (Chalhoub et al. 2011).

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Entrambi i ports del catetere devono essere lavati con soluzione fisiologica o soluzione salina eparinizzata dopo ogni utilizzo (approssimativamente 10-12 cc per un catetere di grandi dimensioni, 3-6 cc per i cateteri di calibro inferiore) per prevenire la trombosi intraluminale. Ogni port viene poi riempito con la soluzione di chiusura (eparina, citrato o altro) (Chalhoub et al. 2011). L’impiego di sostanze anticoagulanti ad azione sistemica non ha evidenziato una riduzione significativa del rischio di sviluppo di trombi intraluminali (Beathard 2001).

Una guaina di fibrina può formarsi attorno al catetere entro 24 ore dal posizionamento e questa forma di ostruzione è responsabile del 38-50% dei malfunzionamenti dei cateteri nei pazienti umani (Liangos et al. 2006).

Il trattamento della trombosi deve essere iniziato non appena questa è stata rilevata; eventuali ritardi nel trattamento possono diminuire l’adeguatezza della dialisi e consentire al trombo di ingrandirsi. Segni di una trombosi intraluminale includono un flusso inadeguato di sangue durante la dialisi, ma anche l’impossibilità di aspirare dal catetere. Il primo passo per tentare di evitare questo sta nell’effettuare un energico lavaggio del catetere con soluzione fisiologica. L’eventuale dislocazione del trombo non sembra causare clinicamente rilevanti danni polmonari tromboembolici (Beathard 2001). Se la soluzione fisiologica non è sufficiente a ripristinare il flusso del catetere, può essere somministrato nel lume occluso l’attivatore tissutale del plasminogeno (tPA) (Alteplase, CathFlow, Genentech®). Dopo circa 10 minuti di attesa il tPA viene riaspirato: se il flusso è ancora insufficiente o assente, il tempo di permanenza del tPA può essere prolungato fino a 1-2 ore, intervallandolo con aspirazioni intermittenti. Nel caso in cui il catetere riesca ad essere pulito sufficientemente da garantire un trattamento di dialisi, ma il flusso rimanga comunque subottimale, il tPA può essere lasciato nel lume del catetere fino a 48 ore e rimosso all’inizio del successivo trattamento di dialisi (Lok et al. 2006). Il protocollo con l’attivatore tissutale del plasminogeno è stato testato anche in medicina veterinaria. In uno studio di Langston et al. del 2014 si è evinto come il tPA, per la risoluzione dei trombi formatisi nei cateteri venosi centrali per emodialisi in medicina veterinaria, sia un trattamento efficiente nel riacquistare un flusso di sangue sufficiente ad eseguire un trattamento di dialisi ma gli effetti sono di breve durata, infatti entro una settimana si rende

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necessaria la medesima pulizia o, in alternativa, la sostituzione del catetere (Langston et al, 2014).

In medicina umana, altri metodi per migliorare la funzione di un catetere occluso o parzialmente occluso includono la rottura meccanica del trombo. Per far ciò una guida metallica a J può essere inserita nel catetere per rimuovere un trombo formatosi in corrispondenza della punta. Tale metodica risulta invece, meno efficace nella rimozione di trombi che si sono formati a livello dei port laterali (Chalhoub et al 2011). Per quanto riguarda questo tipo di risoluzione per la formazione dei trombi, non ci sono studi in medicina veterinaria che ne provino l’efficacia.

Con trombi extraluminali vengono identificate le formazioni trombotiche che si formano attorno alla punta del catetere, alla parete del vaso o alla parete atriale. Questi trombi possono agire come una valvola a sfera, permettendo l’infusione ma non l’aspirazione del catetere. I trombi nell’atrio destro e nella vena cava craniale vicino al cuore possono essere visualizzati attraverso l’ecocardiografia. I principali fattori di rischio per lo sviluppo di trombosi sono rappresentati da stasi venosa (ipovolemia, ipotensione, immobilizzazione, insufficienza cardiaca congestizia - CHF), ipercoagulabilità e traumi sulla parete del vaso (Liangos et al. 2006). In circa il 50% dei pazienti con catetere in sede per più di 3 settimane si assiste alla formazione di trombi (Chalhoub et al. 2011). Questi possono essere rilevati ecocardiograficamente entro una settimana dal posizionamento del catetere, anche se i problemi di flusso del catetere si manifestano più frequentemente circa 2 settimane più tardi (Chalhoub et al. 2011).

La somministrazione profilattica di aspirina o warfarin riduce il tasso di sviluppo di trombosi del catetere rispetto a quando non viene effettuato nessun trattamento. Tuttavia l’impiego di warfarin è generalmente correlato allo sviluppo di complicanze emorragiche che ne limitano significativamente l’utilizzo nella prevenzione dello sviluppo di trombi connessi al catetere da emodialisi (Willms and Vercaigne, 2008). In pazienti umani in cui venga diagnosticato un piccolo trombo intramurale o un trombo nell’atrio destro, la raccomandazione è di intraprendere una terapia anticoagulante sistemica per circa 6 mesi. Se il trombo è di grandi dimensioni, il catetere deve invece essere rimosso e bisogna iniziare una terapia anticoagulante sistemica con eparina non frazionata o a basso peso molecolare per 5-7 giorni nonché

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warfarin per almeno 1 mese. Infine, se il trombo è di grandi dimensioni e infetto, è raccomandata una trombectomia chirurgica (Liangos et al. 2006). Nei pazienti veterinari un trombo che permane da molto tempo è generalmente destinato ad essere ricoperto da endotelio e tessuto fibroso. La trombectomia risulta ancora non applicata in medicina veterinaria (Chalhoub et al. 2011).

Un’altra tecnica per dissolvere una guaina di fibrina prevede il posizionamento di un catetere femorale che viene fatto avanzare fino alla vena cava craniale. Un laccio viene quindi utilizzato per circondare la guaina di fibrina che si trova intorno al catetere per dialisi e quindi rimuoverlo delicatamente. Questa tecnica non è ancora utilizzata in medicina veterinaria (Chalhoub et al. 2011).

La sostituzione del catetere per mezzo di una guida metallica a J è un metodo semplice ed efficace per trattare le trombosi intraluminali o la formazione di una guaina di fibrina. La guida a J viene inserita all’interno del catetere ostruito. Se si desidera eseguire anche un’angiografia, il catetere viene solo parzialmente rimosso, lasciando la punta nel vaso, e il mezzo di contrasto viene iniettato attraverso il catetere. Se viene rilevata una guaina di fibrina, il vecchio catetere viene rimosso e un catetere a palloncino viene inserito lungo la guida a J. Il palloncino viene poi insufflato per frantumare la guaina di fibrina. Un nuovo catetere viene quindi posizionato utilizzando la guida a J attraverso lo stesso sito di uscita e il tunnel sottocutaneo (se presente) (Langston 2011). Questa tecnica, nata per la medicina umana, viene oggi utilizzata anche in medicina veterinaria.

In medicina umana la distruzione della guaina di fibrina associata a sostituzione del catetere presenta risultati migliori di quelli avuti con la sola sostituzione del catetere (Oliver et al. 2007). Durante la procedura è necessaria una particolare attenzione all’asepsi. Se l’angiografia non viene eseguita, la sostituzione del catetere tramite guida metallica può essere eseguita nell’unità di dialisi (Chalhoub et al. 2011).

1.4.2.2 Stenosi

La stenosi venosa centrale si verifica nel 27-38% dei pazienti umani, ma è spesso asintomatica (Liangos et al. 2006). La prevalenza e il significato clinico di tale condizione nei pazienti veterinari risultano ancora sconosciuti, ad eccezione dell’edema facciale, che può essere un segno di stenosi o ostruzione della vena cava

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craniale, e rappresenta un reperto comune nei cani sottoposti ad emodialisi. La stenosi venosa centrale può causare una marcata diminuzione dell’efficienza del trattamento di emodialisi (Chalhoub et al. 2011).

1.4.2.3 Dislocazione

L’involontaria dislocazione del catetere è una complicazione poco frequente. Infatti durante ogni trattamento di dialisi, il circuito extracorporeo è saldamente attaccato ad una cintura posizionata sull’animale o direttamente gestita dall’operatore, in modo che il movimento esuberante del paziente non metta a repentaglio le suture del catetere causando una dislocazione di quest’ultimo (Langston 2011).

1.4.2.4 Infezioni

Le infezioni del catetere costituiscono la complicazione più grave e frequente nel paziente umano (Himmelfarb et al., 2005) e con ogni probabilità sono anche la causa primaria di morbilità nei pazienti veterinari. Il rischio di sviluppare infezioni correlate al catetere può essere ridotto applicando la sterilità durante il posizionamento, usando cateteri per dialisi monouso e monitorando giornalmente, e prima di ogni trattamento dialitico, il sito di entrata del catetere. Al fine di un attento controllo, alcuni centri effettuano di routine la cultura della punta dei catetere da dialisi una volta che questo è stato rimosso (Chalhoub et al. 2011). È noto che una delle principali fonti di batteriemia sviluppata sul catetere negli esseri umani è costituita dal biofilm che si sviluppa abbastanza rapidamente nei lumi dei cateteri venosi centrali. L’instillazione di soluzioni antimicrobiche, come citrato o eparina in combinazione con un antibiotico, può ridurre il rischio di batteriemia (Donlan, 2001).

Nei pazienti umani sottoposti a dialisi, l’infezione è la seconda causa di mortalità, rappresentando il 14% dei decessi (Evers 1995; Tokars et al. 2005; Katneni and Hedayati 2007). Uno studio ha mostrato che l’infezione batterica è responsabile di morbilità e mortalità nei pazienti umani con una frequenza che è del 30% in più rispetto a tutte le altre cause. Inoltre l’infezione dell’accesso vascolare, nel 73% dei casi è responsabile anche della batteriemia (Ponce et al. 2007). I tassi mensili di batteriemia nei pazienti umani sottoposti ad emodialisi sono dello 0.6-1.7%, mentre le

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infezioni dell’accesso vascolare si verificano, mensilmente, nell’ 1.3-7.2% dei pazienti (Tokars et al. 2005). La maggior parte delle infezioni in pazienti umani sottoposti a dialisi sono correlate al catetere (28-33%) (Tokars et al. 2005). In medicina veterinaria non ci sono dati disponibili, ma si stima che il tasso possa essere simile o superiore (Langston, 2011).

Le infezioni associate al catetere comprendono le infezioni che si sviluppano al sito di uscita, le infezioni proprie del catetere, e la batteriemia. Le infezioni del sito di uscita sono caratterizzate da eritema, calore, sclerosi, tumefazione, infiammazione, soluzioni di continuo della cute, raccolta di liquido o di essudato purulento (Tokars et al. 2005). Lo stesso catetere può infettarsi: i batteri possono produrre un biofilm che aderisce alle pareti del catetere così da proteggersi. Le emoculture ottenute prelevando sangue dal catetere posso risultare positive anche se la batteriemia non è presente. Per rilevare la batteriemia, il sangue per la cultura deve essere prelevato da un sito venoso diverso (Langston 2011).

La diagnosi di batteriemia viene convalidata con l’isolamento dello stesso organismo da colture di sangue prelevato da un sito periferico e dal catetere. Solitamente la batteriemia si instaura in seguito all’incannulamento dell’accesso venoso e risponde bene agli antibiotici (The Renal Association 2015).

I sintomi della batteriemia associata al catetere includono febbre, brividi, nausea, emicrania, ipotensione, leucocitosi. La frequenza della batteriemia correlata al catetere negli esseri umani è di 2-4 episodi al giorno su 1000 pazienti (0,7-1,5 batteriemie all’anno) (Himmelfarb et al. 2005).

La Renal Association, in una review del 2015, afferma che negli ultimi dieci anni sono state adottate differenti strategie per il trattamento della batteriemia associata ad infezione del catetere:

1. Somministrazione di antibiotici per via endovenosa – questa metodica però comporta un alto tasso di insuccesso ed ha inoltre un rischio maggiore di recidive

2. Tempestiva rimozione del catetere – questo comporta l’interruzione dei trattamenti dialitici e, se non è disponibile un accesso permanente, il posizionamento di un catetere temporaneo

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3. Riempire le soluzioni di chiusura del catetere con antibiotico – trattamento di ausilio alla terapia antibiotica sistemica (via endovenosa)

4. Rimozione del catetere e reinserimento di un catetere nuovo attraverso guida metallica

Una review riguardante le opzioni per il recupero dell’accesso vascolare in caso di batteriemia che include 28 studi, mostra come la soluzione di chiusura antibiotica dei ports del catetere associata alla sostituzione dello stesso tramite guida diano risultati migliori nel trattamento della batteriemia rispetto alla sola somministrazione di antibiotici sistemici. È stato evidenziato anche che, quando la batteriemia era sostenuta da Staphilococcus Aureus, la sostituzione del catetere era più efficace nell’eradicare l’infezione se confrontata con la somministrazione endovena di antibiotici o l’utilizzo della soluzione di chiusura antibiotica.

Sulla base di queste osservazioni, The Renal Association suggerisce di trattare la batteriemia associata a catetere per emodialisi tramite sostituzione di questo o con la soluzione di chiusura antibiotica, in aggiunta alla terapia antibiotica sistemica al fine di massimizzare le possibilità di sopprimere la batteriemia.

I batteri più comunemente isolati e associati a batteriemia legata ad infezione del catetere negli esseri umani sono rappresentati da Staphylococcus aureus (26.32%), seguito da Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA - Methicillin- Resistant Staphylococcus Aureus) (21.05%) e Pseudomonas Aeruginosa (5.26%) (Wilson 2010). Nei pazienti veterinari invece, la metà delle culture positive (incluse le emocolture e/o le culture eseguite sulla soluzione di chiusura di eparina) sono incarnate da Staphylococcus spp., e organismi Gram negativi, comprendendo il 32% delle culture risultate positive (dati non pubblicati, Langston 2008).

Le infezioni associate al catetere rappresentano la maggior parte delle infezioni rilevate nei pazienti in dialisi, tuttavia, altri siti dove comunemente sono riscontrate infezioni sono: polmone (25%), tratto urinario (23%), pelle e tessuti molli (9%), altre sedi o sedi sconosciute (15 %) (Tokars et al. 2005). Dati osservazionali riportano che i batteri Gram negativi, principalmente Klebsiella ed Escherichia coli, rappresentano la maggioranza (77%) dei riscontri nelle colture di urina positive dei pazienti veterinari sottoposti a dialisi (Langston 2011).

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Le infezioni correlate alle AVF non sono comuni. Comunque, solitamente si verificano presso l’anastomosi o sul sito di incannulamento. La presenza di aneurisma, trombi infetti o la formazione di ascessi localizzati aumentano il rischio di rottura della fistola ed è richiesto l’intervento chirurgico per salvare la fistola. Comunque, nel caso si instauri un’infezione a questo livello, è suggerito un trattamento antibiotico di 6 settimane (KDOQI 2006).