I MMAGINARI " JUGOSLAVI "
II.IV Belgrado e lo jugoslavismo
Il rapporto stretto e contrastato tra la città di Belgrado e le idee jugoslave è di lungo corso. Dopo aver ricoperto il ruolo di capitale di uno Stato nazionale serbo, fu capitale per ottantacinque anni di diverse forme statali chiamate ufficialmente o ufficiosamente "Jugoslavia". Già nel corso del XIX secolo Belgrado entrò occasionalmente in contatto con le dinamiche culturali e politiche dello jugoslavismo. Ciò fu certamente agevolato dalla posizione geografica della città, al centro delle vie di comunicazione dello "spazio etnico" slavo meridionale, ma anche dalla precocità dell'indipendenza serba rispetto a quella dei propri vicini. In principio fu in particolare lo sviluppo del teatro autoctono a favorire le dinamiche culturali che portarono la città a familiarizzare con un contesto slavo-meridionale più ampio. I primi contatti tra i teatri serbi e croati vengono fatti risalire al 1841, quando giunsero a Belgrado, per lavorare in città, tre attori di Zagabria. Soprattutto nel corso degli anni Sessanta, tali occasioni si ripeterono con sempre maggiore frequenza. Gli scambi portarono Belgrado ad ospitare lavori di altri autori slavo meridionali e "dal 1863 nemmeno una stagione teatrale passò senza che attori fossero andati in ospiti dall'altra parte della frontiera"60.
Mentre, da una parte, il consolidamento dello Stato serbo e la definitiva indipendenza dal potere ottomano comportavano una maggiore attenzione nei confronti della capitale serba da parte di coloro che avevano abbracciato ideali di liberazione nazionale in senso slavo-meridionale, solo da inizio Novecento la città cominciò a svolgere un ruolo culturale e politico di vero e proprio centro propagatore delle idee jugoslaviste. Fino a quel momento era stata soprattutto Zagabria, all'interno dell'Impero asburgico, a rappresentare il punto di riferimento per il movimento, anche in virtù della presenza di istituzioni come l'Accademia jugoslava delle scienze e delle arti.Molti studiosi hanno fatto riferimento alla nuova atmosfera culturale "jugoslava" di Belgrado, che trovò le condizioni per maturare dopo il cambio di dinastia del 1904 ed il conseguente maggiore coinvolgimento politico del Regno di Serbia nel ruolo di Piemonte slavo-meridionale.Se buona parte della classe politica al potere, e la stessa dinastia, si distinguevano soprattutto per un orientamento gran-serbo, da un punto di vista culturale ed intellettuale Belgrado divenne il palco centrale del patriottismo jugoslavo61. Nel
60 STOJANOVIĆ Dubravka, Kaldrma i asfalt, cit., pp. 230-231.
1905, ad esempio, venne fondata in città la prima università slavo-meridionale indipendente da influenze straniere. All'interno di essa maturò l'attivismo di gruppi politici come il club studentesco Slovenski Jug [Sud Slavo], guidato da Ljubomir Jovanović-Čupa. Impegnata nella promozione dell'unità tra bulgari, croati, serbi e sloveni, l'associazione organizzava popolari serate di intrattenimento "jugoslave" nel parco di Kalemegdan, allo scopo di sostenere l'ideale unitarista. Il settimanale che diffondeva, intitolato anch'esso Slovenski Jug, divenne la prima pubblicazione projugoslava belgradese di rilievo, contraddistinta da copertine che riportavano slogan come "Slavi del Sud unitevi" e "rivoluzione nelle regioni non liberate!"62.Il crescente ruolo di centro culturale regionale attirò in città anche diversi intellettuali slavo-meridionali dei territori asburgici, che decisero di trasferirsi per lunghi periodi a Belgrado, contribuendo ad arricchirne la vitalità; tra i più noti: lo scultore croato Ivan Meštrović, l'etnografo sloveno, sostenitore dell'integralismo jugoslavo, Niko Županič, il poeta croato Anton Gustav Matoš63. Dubravka Stojanović, nella sua ricostruzione della vita sociale e culturale di Belgrado a cavallo tra il XIX e il XX secolo, ha offerto uno spaccato dei sentimenti jugoslavi presenti nella popolazione della città. In particolare ha sottolineato come, in tale periodo, gli scambi artistici con le altre regioni conobbero un sostanziale aumento, riportando le reazioni positve dell'opinione pubblica belgradese ed il generale entusiasmo in occasione delle visite di attori croati o dell'opera di Zagabria, svoltesi in una "generale atmosfera di enfasi della comunità con gli altri popoli slavo-meridionali"64.
I grandi eventi di carattere jugoslavo organizzati a Belgrado nei primi anni del XX secolo ebbero un impatto considerevole nell'affermare il ruolo della città come centro propagatore dell'idea jugoslava. La prima grande mostra collettiva di arte jugoslava si tenne nel 1904 in occasione dell'incoronazione di Petar Karađorđević. L'evento, richiamando artisti croati, sloveni, bulgari, oltre che serbi, organizzati nell'associazione artistica Lada, venne considerato come il primo vero grande successo nel processo di unificazione culturale degli Slavi meridionali. Ad essa seguirono appuntamenti di carattere variegato, accomunati però dall'intento di incentivare la collaborazione tra le élites intellettuali jugoslave: nel 1905 il primo congresso della Gioventù Jugoslava (jugoslovenska omladina), la conferenza degli scrittori slavo-meridionali e dei medici professionisti slavo-meridionale65. La piena
62 MACKENZIE David, "Ljuba Jovanović-Čupa and the Search for Yugoslav Unity", The International History Review, vol.1, n. 1, 1979, pp. 36-54.
63 Cfr. TRGOVČEVIĆ Ljubinka, South Slav Intellectuals and the Creation of Yugoslavia, in ĐOKIĆ Dejan (a cura di), Yugoslavism, cit., pp. 222–37.
64 STOJANOVIĆ Dubravka, Kaldrma i asfalt, cit., pp.34-35.
indipendenza di Belgrado e la politica della nuova dinastia permisero alla città di catalizzare le energie intellettuali slavo-meridionali già prima della guerra, avvantaggiandosi sensibilmente sui centri di primaria importanza in questo senso, come le sopraccitate Zagabria e Novi Sad.
L'assunzione del ruolo di capitale dello Stato unitario, nel 1918, portò Belgrado – uscita dal conflitto gravata da imponenti danni materiali – verso un nuovo mutamento del contesto geografico-statale di riferimento e di conseguenza del proprio ruolo rappresentativo. La città divenne capitale del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni in quanto sede della monarchia regnante. Nel nuovo Stato si registrava tuttavia la concorrenza degli altri centri urbani, tra cui un'altra città di particolare importanza nella regione come Zagabria. Dal punto di vista delle dimensioni, la città croata era di poco inferiore a Belgrado (prima della guerra il rapporto era 95.000 a 74.000 abitanti66), ma soprattutto era in grado di contrastarne il primato politico, culturale ed economico. Si riproponevano anche nello Stato unitario jugoslavo quelle dinamiche di confronto che avevano accompagnato la formazione di altri Stati moderni europei: basti pensare ai problemi di Madrid con Barcellona o al caso italiano, contraddistinto dalla rivalità tra Torino, Roma e Milano67. Grazie anche alle politiche di centralizzazione nello Stato unitario Belgrado conobbe comunque un periodo di crescita, accompagnato nella prima metà anni Venti dal boom demografico e dai primi processi di urbanizzazione, in un paese fino ad allora sostanzialmente rurale. Certamente non era possibile reggere il confronto con altre capitali europee, come Londra o Parigi, che contavano all'epoca milioni di abitanti. La distanza che separava Belgrado dai propri modelli di riferimento era ulteriormente testimoniata dal fatto che il centro jugoslavo non poteva nemmeno contare su un proprio territorio cittadino di competenza ben definito, che coincidesse con i relativi distretti urbani. La città ottenne un ruolo di maggior rilievo solo dopo il 1929, grazie alla riorganizzazione amministrativa imposta subito dopo la proclamazione della dittatura monarchica: mentre nove nuove provincie, attraversando i confini etnici, dividevano il Regno di Jugoslavia, a Belgrado vennero riconosciuti uno statuto specifico e un'amministrazione propria, "Uprava grada Beograda". In questo modo il territorio cittadino andava a costituire di fatto la decima provincia. All'epoca della dittatura si intensificò contestualmente la spinta politica per la 1996, pp.86-87; STOJANOVIĆ Dubravka, Kaldrma i asfalt, cit., pp.229-235; MILOJKOVIC-ĐURIĆ Jelena, "The Roles of Jovan Skerlić, Steven Mokranjac, and Paja Jovanović in Serbian Cultural History, 1900-1914", Slavic Review, vol. 47, n. 4, 1988, p.690.
66 LAMPE R. John, Yugoslavia as History, cit., p.145.
67 Per quanto riguarda in particolare il confronto tra Roma e Milano vedi l'interessante lavoro di Francesco BARTOLINI, Rivali d'Italia: Roma e Milano dal Settecento a oggi, Roma, Bari, Laterza, 2006.
modernizzazione della città, che doveva essere in grado di svolgere il ruolo di capitale di un grande Stato europeo. Nel 1934 si decise di allargarne ulteriormente il territorio, arrivando ad inglobare l'abitato di Zemun, posto al di là del fiume Sava. Il significato di tale decisione non era privo di implicazioni di carattere politico: la capitale jugoslava arrivava ad estendersi in tal modo direttamente su quello che era stato fino al 1918 territorio austroungarico68.
Mentre dal punto di vista della politica monarchica esisteva naturalmente l'interesse a rafforzare i significati rappresentativi jugoslavi della città, la vita culturale si sviluppava in parte più autonomamente, influenzata dalla sempre maggiore integrazione nei circuiti culturali europei. Un ambiente cosmopolita e "jugoslavo" che vedeva la partecipazione di molti intellettuali croati e sloveni giunti nella capitale, il più celebre dei quali fu certamente Augustin "Tin" Ujević. La debolezza del processo di nation-building è stata tuttavia messa in luce da chi ha osservato come buona parte dell'élites intellettuale serba, per quanto ben disposta nei confronti della cooperazione culturale con gli altri popoli jugoslavi, non fosse in realtà particolarmente impegnata in favore di una vera e propria integrazione culturale69. La politica culturale statale si fece più decisa in questo senso dopo l'instaurazione della dittatura nel 1929. Proprio quell'anno la capitale ottenne un padiglione artistico, gestito dall'associazione Cvijeta Zuzorić, che contribuì notevolmente alla cifra artistica della vita culturale cittadina. L'iniziativa rientrava nell'ambito del nuovo sistema ideologico ed il padiglione, con la sua attività artistica, avrebbe dovuto diventare uno dei principali luoghi di promozione dello jugoslavismo in città70. Negli stessi anni si registrarono gli sforzi per dotare la città di un museo di arte contemporanea "di cruciale importanza per la formazione della nazione (jugoslava) e per il suo profilo, ma anche per il profilo stesso della città"71. Nel 1933 re Aleksandar donò uno dei palazzi reali del centro per ospitarlo. Si trattava di un museo con una forte vocazione europea, che avrebbe dovuto sostenere, anche per la sua qualità artistica, la piena integrazione del paese nella famiglia delle nazioni del Vecchio continente. Ispirazione diretta per la nuova istituzione era il museo nazionale del Louvre, modello principale per i
68 GAŠIĆ Ranka, "Problemi teritorijalnog širenja Beograda između dva svetska rata", Istorija 20. veka, n.3, 2010, pp.61-66. Per un'analisi dei primi progetti di allargamento della città in direzione di Zemun cfr. BLAGOJEVIĆ Ljiljana, Novi Beograd: osporeni modernizam, Belgrado, Zavod za udžbenike, Arhitektonski fakultet univerziteta, 2007, pp. 48-54.
69 LAMPE John R., Yugoslavia as History, cit., pp.146-149; WACHTEL B. Andrew, Making a nation, breaking a nation, cit., pp.82-83.
70 VUČETIĆ Radina, Evropa na Kalemegdanu: "Cvijeta Zuzorić" i kulturni život Beograda 1918-1941, Belgrado, Institut za noviju istoriju Srbije, 2003, pp.177-192.
71 VUČETIĆ Radina, "Muzej Kneza Pavla u Beogradu izlazak na Evropsku kulturnu scenu", Tokovi istorije, n.1-2, 2004, p.24.
musei pubblici di cui andavano sempre più dotandosi le capitali dell'epoca72.
Alcune opere delle già in fase di progettazione, o in costruzione, nella capitale serba furono inoltre trasformate in senso jugoslavo dopo la guerra. Tra le più importanti ed imponenti nel nuovo paesaggio cittadino il Palazzo del parlamento che, iniziato nel 1907, venne definitivamente completato e formalmente inaugurato solo nel 1936. Con la formazione dello Stato jugoslavo mutarono il ruolo pubblico ed il carattere rappresentativo dell'istituzione e del suo edificio. Le rappresentazioni figurative che ne dovevano ornare la struttura vennero scelte attraverso concorsi tra i migliori artisti jugoslavi. Nell'atrio d'ingresso trovarono posto figure narranti un passato medioevale "jugoslavo" che vedeva protagonisti il re "croato" Tomislav, il principe "sloveno" Kocelj, e il principe "serbo" Lazar. Ad essi si affiancava quindi il Karađorđe, fondatore ottocentesco dell'omonima dinastia regnante73. Coerentemente la facciata principale, in realtà mai completata, avrebbe dovuto essere arricchita da opere scultoree di artisti serbi, croati e sloveni74. Un destino simile contraddistinse la posa del monumento che avrebbe poi mantenuto un ruolo di primo piano nel paesaggio cittadino fino ai giorni nostri, il Pobednik di Meštrović. Progettato quando Belgrado era ancora capitale serba, venne inaugurato decenni dopo come simbolo della nuova Belgrado jugoslava. L'interpretazione della struttura celebrativa implicita nella "memorizzazione" nello spazio pubblico belgradese, infatti, rappresentava l'esempio più chiaro di come il percorso di liberazione nazionale, la riconquista del Kosovo e il mito delle origini basato sulla ricostituzione del regno serbo medievale, vedesse i propri significati ampliati da esclusivamente serbi a jugoslavi75.
Dopo il 1929 in città fecero la propria comparsa alcuni monumenti concepiti e realizzati ex novo con espliciti significati jugoslavi. A partire da un modesto busto dedicato nel 1933 ad Alphonse de Lamartine, per celebrare il centenario del suo soggiorno a Belgrado. L'incisione sul monumento sottolineava apertamente l'ideologia che ne aveva patrocinato la posa: "A Lamartin, profeta dell'unificazione jugoslava"76. Assunse quindi un ruolo di primo piano in questo senso, sia per il valore ideologico, sia per la posizione nel paesaggio belgradese, il monumento al milite ignoto sulla collina dell'Avala. Il progetto del monumento, eretto tra il
72 Ibidem, pp.26-43.
73 POPOVIĆ Marko, "Zdanje Narodne Skupštine. Pravci istraživanja i principi obnove", Nasleđe, n.4, 2002, pp.25-26.
74 GRUJIĆ Vera, "Nerealizovana fasadna skulptura za zgradu Narodne Skupštine", Nasleđe, n.4, 2002, pp. 35-44.
75 BANUŠIĆ Danijela, "Podizanje spomenika pobede na terazijama", cit., pp.193-210. 76 VUJOVIĆ Branko, Beograd u prošlosti i sadašnjosti, Belgrado, Draganić, 1994, p.286.
1934 e il 1938, riprendeva la consuetudine di celebrare la collettività del sacrificio degli eserciti nazionali affermatasi sul continente europeo dopo la Grande Guerra. Re Aleksandar ne assegnò la realizzazione al maggiore scultore jugoslavo in vita, cioè il croato Ivan Meštrović. Dedicato al milite jugoslavo, svolgeva il proprio ruolo rappresentativo integrando le differenze presenti nel paese, incarnate da otto Cariatidi adornate con i costumi tradizionali delle diverse regioni jugoslave. Secondo Aleksandar Ignjatović "la tomba del milite ignoto può essere intesa come l'espressione visuale delle idee del Re, integrando le premesse astratte dello jugoslavismo integrale. Allo scopo di rinforzare l'idea che le vecchie tradizioni etniche non erano più importanti, la Tomba del milite ignoto doveva essere costruita lontano dal centro della ex-capitale serba"77.
Tale constatazione evidenzia quanto la trasformazione dei significati rappresentativi di Belgrado potesse risultare complicata. La consapevolezza delle dinamiche identitarie del periodo intrabellico ricorda come la concezione dello jugoslavismo potesse variare radicalmente a seconda del periodo e degli attori in questione. Più ampie indicazioni in questo senso si evincono per l'appunto dalle ricerche di Ignjatović, che in una sua recente monografia ha affrontato il discorso jugoslavista incarnato nell'architettura tra le due guerre, concentrando buona parte dell'attenzione sul carattere rappresentativo dell'architettura della capitale. Lo jugoslavismo "poteva essere espresso in concreto nelle forme urbane ed architettoniche che pienamente partecipavano al paesaggio urbano della capitale" e, secondo lo studioso, ebbe un notevole impatto nella progettazione di alcuni tra i più significativi luoghi della città come la residenza di Dedinje, il Ministero delle Finanze, l'Ufficio centrale delle poste o il nuovo Ponte sul fiume Sava78. Tuttavia il nuovo immaginario jugoslavo collettivo in città rispecchiava le debolezze della poco organica politica identitaria promossa nel paese e delle sue ambiguità. Se alcuni nuovi monumenti avevano dei chiari significati jugoslavi, buona parte della semantica del paesaggio urbano faceva riferimento alla tradizione politica e culturale serba. Il militarismo serbo, in particolare, manteneva una posizione di rilievo nella celebrazione dei caduti e degli eroi del passato, facendo riferimento soprattutto alle guerre di liberazione ed alla Prima guerra mondiale. Ciò dipendeva dal fatto che le politiche culturali e della memoria nella Jugoslavia monarchica erano condizionate dall'immagine dei serbi come "liberatori", in
77 IGNJATOVIĆ Aleksandar, "From Constructed Memory to Imagined National Tradition. The Tomb of the Unknown Yugoslav Soldier (1934–38)", The Slavonic & East European Review, vol.88, n.4, 2010, p. 629. 78 IGNJATOVIĆ Aleksandar, "Architecture, Urban Development, and the Yugoslavization of Belgrade,
1850-1941", Centropa, vol.9, n.2, 2009, pp. 110-126, la pubblicazione ripropone le riflessioni su Belgrado contenute nel più ampio Id. Jugoslovenstvo u arhitekturi, cit..
quanto "avevano sofferto maggiormente durante la guerra per liberare tutti gli jugoslavi, e furono intitolati a guidare, se non a dominare, il nuovo stato"79. Il programma architettonico che diede la luce a molti edifici pubblici monumentali tra le due guerre a Belgrado non si allontanò per tutti gli anni Venti da quest'impostazione, nonostante le resistenze della maggioranza delle élites croate ed in parte slovene80. In sostanza sembra quindi che, ad eccezione del breve periodo di governo assoluto di Aleksandar e dei progetti patrocinati dal sovrano, Belgrado abbia conosciuto nel complesso solo un modesto e circoscritto allargamento dei propri significati rappresentativi da serbi a jugoslavi. Un'operazione in diversi casi realizzata mantenendo i caratteri del paesaggio urbano definiti in epoca pre-unitaria, ma cercando di tradurne i significati in senso più possibile jugoslavo. Per comprendere, al di là delle poche indicazioni offerte in questa sede, se e quanto la Belgrado dell'epoca riuscisse realmente ad incarnare l'immagine di città capitale di uno stato-nazione jugoslavo, mancano tutt'oggi approfondimenti sufficienti. Il massiccio bombardamento tedesco del 6 aprile 1941, che diede avvio all'invasione della Jugoslavia, rappresentò in ogni caso un significativo momento di cesura per la storia e per l'immagine della città. Nel corso degli anni bellici il palazzo reale ridotto in macerie rimase a testimoniare l'eclissi della monarchia. Alla fine delle ostilità Belgrado assunse nuovamente il ruolo di capitale di uno Stato jugoslavo, ma costruito su basi completamente diverse.
79 ĐOKIĆ Dejan, (Dis)integrating Yugoslavia: King Alexander and Interwar Yugoslavism, in Id., Yugoslavism, cit., p. 151. Corsivo nell'originale.