I MMAGINARI " JUGOSLAVI "
I.V Socialismo e nazionalismo: iI PCJ e la questione nazionale in Jugoslavia in Jugoslavia
Il Partito comunista della Jugoslavia venne fondato e si formò da un punto di vista organizzativo ed ideologico negli anni della Jugoslavia monarchica, maturando in tale contesto le posizioni che ne avrebbero costituito l’architrave ideologica anche dopo la Seconda guerra mondiale. Costituito nel 1919 dalle anime massimaliste delle diverse formazioni socialiste jugoslave, conobbe anni piuttosto turbolenti nel periodo intrabellico e difficoltà che influirono direttamente sull'evoluzione della sua linea politica. In tale contesto la questione nazionale, nonostante non rappresentasse inizialmente un aspetto di primo piano del programma del partito, divenne uno dei temi di maggiore discussione nei due decenni che precedettero la prese del potere in Jugoslavia.
Approfondire i termini in cui il PCJ si relazionò all'idea jugoslava, in che modo la rielaborò e ne divenne sostenitore, non è un'operazione priva di difficoltà. Da una parte, il carattere illegale che contraddistinse l'attività del PCJ per gran parte del periodo intrabellico ha lasciato ai ricercatori una documentazione parziale. Se si escludono alcune importanti lacune documentarie, tuttavia il materiale a disposizione degli studiosi rimane piuttosto significativo88. La mancanza di seri approfondimenti storiografici sulla questione sembra dipendere più che altro dal grado di politicizzazione di cui in molti casi ha risentito (e tuttora risente) il rapporto con quell'esperienza. La storiografia di epoca socialista non è mai stata nella condizione di dissociarsi in maniera sostanziale dalla narrazione apologetica delle vicende del partito: mentre nei confronti di alcune questioni il graduale rilassamento ideologico del regime jugoslavo concesse agli studiosi maggiori spazi d'azione, inevitabilmente le biografie del partito e dei suoi protagonisti rimasero protette da una rigida ortodossia. Nel contesto della transizione politica degli anni Novanta, come è facile intuire, le storiografie di impronta nazionalista rivolsero quindi la propria attenzione ad altre tematiche89. Allo studioso che voglia approfondire oggi tali questioni rimangono quindi pochi punti di
88 Per un'ampia e aggiornata rassegna sulle fonti disponibili per lo studio della vicenda del PCJ negli anni intrabellici cfr. LEŠNIK Avgust, "The Development of the Communist Movement in Yugoslavia during the Comintern Period", The International Newsletter of Communist Studies Online, vol.11, n.18, 2005.
89 Fanno eccezione pochi lavori, mossi tuttavia soprattutto da un revisionismo radicale ed in parte militante, cfr. ad esempio NIKOLIĆ Kosta, "Prelaz sa jugoslovenstva na nacionalni separatizam – uslov opstanka KPJ (1921-1928)", Istorija 20. veka, vol. 11, n.1-2, 1993.
riferimento bibliografici di carattere scientifico, in buona parte sensibilmente datati90.
Originariamente, nel corso del Diciannovesimo secolo, le formazioni di ispirazione marxista nei Balcani non prestarono particolare interesse alla questione nazionale. Il movimento socialista, che nelle terre asburgiche slavo-meridonali mosse in realtà passi rilevanti solo nei primi anni Novanta, fu contraddistinto in principio da una forte declinazione sindacalista e poco interessato a questioni politiche più ampie. Quello nazionale, in particolare, era considerato un problema esclusivamente borghese, mentre in termini generali si sosteneva la massima cooperazione tra i lavoratori al di là delle diverse appartenenze etniche. La situazione non mutò nemmeno con la fondazione dei primi partiti di ispirazione socialista, come la Socijalna demokratska stranka Hrvatske i Slavonije (Partito socialdemocratico di Croazia e Slavonia 1894) e la Jugoslovenska socijal-demokratska stranka in Slovenia (Partito socialdemocratico jugoslavo – 1896). Piuttosto deboli nella dimensione militante, mantennero per anni totale distacco dalle dinamiche della democrazia borghese, con l'unica eccezione dell'impegno per l'ottenimento del diritto di voto91.
I partiti di orientamento socialista in tutta Europa si ispiravano ai principi dell'internazionalismo della tradizione marxista, incarnati da un punto di vista politico dalla Seconda internazionale e, dopo la Rivoluzione d'ottobre, dall'Internazionale Comunista. Tuttavia l'inconciliabilità teorica tra nazionalismo e socialismo, intesi come visioni ideologiche contraddittorie, non era destinata a durare, messa in discussione dalla pratica politica quotidiana. Già nel corso dei primi decenni del XX secolo l'austromarxismo di Otto Bauer e Karl Renner avrebbe intrapreso un primo percorso di revisione dei rapporti tra rivendicazioni nazionali e sociali. Non molto tempo dopo, i problemi legati all'autodeterminazione dei popoli avrebbero trovato sempre maggiore rilevanza anche nella Russia sovietica. In epoca staliniana la questione nazionale sarebbe stata trattata in maniera sempre più disinvolta: dall'attuazione della politica della korenizacija alla promozione del patriottismo sovietico russocentrico92.
La situazione mutò infatti anche nel contesto slavo-meridionale e l'importanza della questione nazionale finì per dover essere soppesata anche dai partiti di ispirazione marxista.
90 Il testo di riferimento, anche se certamente datato e non privo di problematicità, rimane ĐILAS Aleska, The Contested Country, cit.. Risultano utili anche SHOUP Paul, Communism and the Yugoslav National Question, New York, Columbia University Press, 1968; BANAC Ivo, With Stalin against Tito: cominformist splits in Yugoslav communism, Ithaca, Cornell university press, 1988.
91 ĐILAS Aleska, The Contested Country, cit., pp. 39-41.
92 Cfr. KEMP Walter, Nationalism and communism in Eastern Europe and the Soviet Union: a basic contradiction?, Basingstoke New York, Palgrave Macmillan, 1999.
L’idea jugoslava trovò sempre maggiore legittimità anche in quest’area politica ed ad inizio Novecento cominciarono ad aumentare i contatti tra i diversi movimenti socialisti nella regione. Furono in particolare i socialisti croati e sloveni a sostenere che il riconoscimento di una nazione jugoslava avrebbe potuto rappresentare un contributo al successo del socialismo nelle terre degli Slavi del sud. D'altra parte, la partecipazione al processo di costruzione di una lingua e una cultura comuni nasceva dalla convinzione che l'unità jugoslava potesse essere promossa dal basso, dalla classe operaia e dal socialismo. La Seconda internazionale aveva nel frattempo cominciato a sostenere apertamente la prospettiva di una federazione Balcanica, per la costituzione della quale dovevano impegnarsi i socialisti balcanici, slavo meridionali e non (rumeni, greci, ecc.). Si manifestava un'ulteriore spinta alla collaborazione, motivata in questo caso non da qualche forma di "slavismo" ma dagli ideali democratici e socialisti, in opposizione ai disegni della Grandi Potenze e per la costruzione di un'Europa dei popoli93. All'interno di tali più ampie dinamiche politiche, il pensiero socialdemocratico è stato di recente giustamente rivalutato per il suo contributo "forse decisivo per l'affermazione dello jugoslavismo"94. A Lubiana nel 1909, il congresso dei partiti socialisti slavo-meridionali confermò definitivamente tale impostazione generale. Non mancarono naturalmente tra i partecipanti divergenze rispetto ai caratteri e alle modalità dell'eventuale unificazione, attribuibili tuttavia più a differenze di natura ideologica e politica che a contrapposizioni di carattere etnico o nazionale95.
Tali significative convergenze e la fondazione del Partito Comunista nel 1919 non garantirono tuttavia negli anni successivi una soluzione definitiva della questione nazionale a sinistra. La situazione era complicata dalle difficoltà strutturali ed organizzative che le formazioni comuniste stavano conoscendo in Jugoslavia, e più in generale in Europa, negli anni Venti e Trenta. Dopo un notevole successo in occasione delle prime elezioni alla costituente, occasione in cui si affermò come il quarto partito del paese con il 12,34% dei consensi96, il PCJ fu costretto alla clandestinità, già nel 1921, dalla Legge sulla protezione della pubblica sicurezza e dell'ordine dello Stato che mise il partito fuorilegge. L’apparato venne fortemente rimaneggiato dal conseguente crollo degli effettivi e secondo una stima
93 Uno studio classico in materia rimane STAVRIANOS Leften Stavros, Balkan Federation: A History of the Movement toward Balkan Unity in Modern Times, Northhampton Mass, Smith College Studies in History, 1944.
94 IVETIĆ Egidio, Jugoslavia sognata, cit., p.147. 95 ĐILAS Aleska, The Contested Country, cit., pp.44-48. 96 BANAC Ivo, With Stalin against Tito, cit., p.50.
l'organizzazione passò in pochi anni da 65.000 ad un migliaio di militanti97. L'instaurazione della dittatura di re Aleksandar accentuò ulteriormente la repressione, determinando un sostanziale azzeramento dell’attività politica, mentre la leadership del partito si ritrovò all’estero, completamente disconnessa dal paese. Problemi organizzativi, quadri sparpagliati, contrasti interni, forte repressione e diradamento delle file determinarono sostanziali difficoltà a mantenere una linea ideologica decisa. Inoltre, l'ingerenza di Mosca si fece sempre maggiore e la leadership del partito jugoslavo pagò un prezzo particolarmente alto in occasione delle purghe staliniane. Solo verso la metà degli anni Trenta il PCJ cominciò a riorganizzarsi, conoscendo una ripresa di vigore sostenuta dal superamento di vecchi schematismi ideologici, da un certo ricambio ai vertici, dalla restaurazione delle gerarchie e delle catene di comando, dall'ingresso di nuovi membri. Dopo gli anni della guerra di Spagna al vertice del partito venne quindi designato un militante proveniente dalla regione dello Zagorje di nome Josip Broz. Sotto la sua guida e quella della nuova classe dirigente il PCJ si rafforzò negli anni che precedettero il Secondo conflitto mondiale, pur rimanendo inevitabilmente un attore marginale nella vita politica della Jugoslavia monarchica.
Un'insicura e mutevole definizione dei termini di considerazione della questione nazionale jugoslava, condizionata anche dagli sviluppi del socialismo internazionale, accompagnò la tormentata vicenda del PCJ tra le due guerre98. Nei primi anni di vita il partito si assestò su posizioni di riconoscimento della nazione jugoslava e di accettazione dell'idea del troimeni narod, sostenendo il principio unitarista e il modello centralistico dello stato99. Tali convinzioni si discostavano dalle prese di posizione assunte dal Comintern, che considerava la Jugoslavia prodotto degli interessi delle potenze capitaliste. Tuttavia, l'influenza dell'Internazionale Comunista nei primi anni Venti non poteva che essere molto limitata e il PCJ fu nella condizione di impostare una politica nazionale sostanzialmente autonoma. Se da una parte si trattava di un aspetto marginale nel programma ideologico del partito, dall'altra può essere interessante ricordare come diversi militanti comunisti avessero inaugurato il proprio attivismo politico nelle fila della gioventù jugoslavista e di come, in alcuni casi, nei
97 LEŠNIK Avgust, "The Development of the Communist Movement in Yugoslavia during the Comintern Period", cit., p. 46, nota 78.
98 Nella descrizione del percorso del PCJ intrabellico rispetto alla questione nazionale vengono individuate diverse fasi, scandite dai congressi del partito, Cfr. RAMET Sabrina Petra, Nationalism and federalism in Yugoslavia, 1962-1991, Indianapolis, Indiana University Press, 1992, pp.44-50.
99 Tali posizioni vennero confermate al Congresso di Vukovar del 1920, quando obiettivo dichiarato venne definita la creazione di una Jugoslavia sovietica centralizzata ed eventualmente parte di una futura Federazione di repubbliche sovietiche balcanico-danubiane, ĐILAS Aleska, The Contested Country, cit., pp.62-63.
quadri del partito venisse sottinteso il connubio ideologico tra i diritti di carattere nazionale (jugoslavo) e quelli di tipo sociale100.
Quella che secondo Paul Shoup nel complesso va intesa come una "politica di distacco" dalla disputa nazionale in Jugoslavia101, durò comunque solamente fino al 1923. In seguito la questione venne ripresa come materia di dibattito nell'ambito del duro confronto tra le linee politiche delle diverse fazioni interne che contraddistinse e indebolì l'attività del partito per diversi anni. L'ala destra o moderata mantenne rispetto alla questione nazionale un approccio unitarista mentre l’ala sinistra si orientò maggiormente verso il modello multinazionale sovietico e il riconoscimento delle diverse nazionalità jugoslave. Mentre la prima sosteneva che "aprire" la questione nazionale avrebbe frammentato il fronte dei lavoratori, la seconda si allineava a Mosca considerando al contrario opportuno sfruttare il problema nazionale per al contrario favorire la spinta rivoluzionaria della popolazione. Nel 1925 una risoluzione del Comintern arrivò a rivendicare la necessità di creare delle repubbliche separate per Croazia, Slovenia e Macedonia. La situazione era tale che, ha registrato Shoup, "gli annunci sulla questione nazionale fluttuavano avanti ed indietro, ora rivelando la forza di una fazione, ora quella di un'altra, e più spesso un non facile compromesso tra le due"102. Con il tempo la sinistra prevalse ed il periodo tra il 1928 e il 1934 venne contraddistinto da un definitivo rigetto dell’idea jugoslava, tanto che il Quarto congresso del partito (1928) sancì l'obiettivo della dissoluzione dello Stato unitario, definito come una "creatura imperialista" in mano alla borghesia serba. Diversi studiosi considerano decisivi l'influenza e l'intervento del Comintern nell'evoluzione della politica nazionale del partito in questo senso103. Tuttavia è evidente che anche tra i comunisti jugoslavi non mancarono coloro che pensarono di sfruttare la questione nazionale a fini rivoluzionari, spingendo il partito ad avere rapporti anche con movimenti nazionalisti particolaristi come l'IMRO macedone e gli Ustascia croati.
Il concretizzarsi delle minaccia fascista in Europa e l'affermazione della politica dei fronti popolari mutarono l'atteggiamento del Comintern anche rispetto alla questione jugoslava. Il biennio 1934-1935 portò alla repentina rivalutazione dell'unità jugoslava ed all'accantonamento della prospettiva di smembramento dello Stato, tanto che "dopo il gennaio 1937 lo slogan dell'autodeterminazione scomparì completamente dai proclami del partito sulla
100 Ibidem, pp.61-62.
101 SHOUP Paul, Communism and the Yugoslav National Question, cit., pp. 21-22. 102 Ibidem, p.24.
103 ĐILAS Aleska, The Contested Country, cit., pp.55-58,86; LEŠNIK Avgust, "The Development of the Communist Movement in Yugoslavia during the Comintern Period", cit., pp. 50-53. Decisamente più scettico BANAC Ivo, With Stalin against Tito, cit., p.55.
questione nazionale"104. Il PCJ si assestò quindi nuovamente su posizioni jugoslaviste, anche se di tipo "organico": da una parte riconosceva il diritto all’autodeterminazione nazionale dei popoli della Jugoslavia, che venivano quindi singolarmente riconosciuti come nazioni, al contempo tuttavia si confermava la necessità di mantenere in vita uno Stato unitario, di tipo socialista. In questa fase si andarono gradualmente definendo le basi ideologiche di quella organizzazione statale federale che sarebbe stata imposta al paese dopo la Seconda guerra mondiale. I sentimenti pro-jugoslavi nel partito erano naturalmente un prodotto del modo di pensare comunista, nel complesso prodotto della strategia rivoluzionaria e in gran parte distanti dalle tradizioni politiche che vedevano la Jugoslavia come l'obiettivo della lotta degli Slavi del Sud per l'unità. Le dispute interne, sia sulla questione nazionale che su altri temi, naturalmente non si esaurirono in questa fase e nemmeno con l'avvento al potere di Tito105. Testimonianza ne fu la creazione, nel 1937, del Partito comunista sloveno e del Partito comunista croato all'interno di quello jugoslavo. Tuttavia vennero certamente ridotte a livelli di intensità minori rispetto al periodo precedente. Purtroppo tuttora non è disponibile un lavoro scientifico che indaghi approfonditamente questa fase – la genesi e la morfologia di questo particolare nuovo jugoslavismo comunista prebellico – e che possa chiarire quali fossero le idee di nazione e di comunità jugoslava nella formulazione ideologica dell'epoca, prima che l'esperienza partigiana garantisse indiscussa legittimità patriottica al Partito106.
In molti casi è stato evidenziato il peso complessivo dei contrasti nazionali all'interno del partito già negli anni prebellici. Si è fatto riferimento in tal senso alla sostanziale adesione dei comunisti serbi, in particolare di Marković, ad una visione egemonica gran-serba della Jugoslavia, a discapito degli altri popoli107. Alcuni storici serbi hanno invece cercato di porre l'accento sul ruolo degli altri nazionalismi particolaristi all'interno del partito – in particolare croato e sloveno – in relazione alla maturazione delle convinzioni separatiste anti-jugoslave108. Da una parte è possibile verificare quanto la soluzione della questione nazionale potesse in determinati momenti rappresentare materia di discussione e che approcci e soluzioni proposte potessero essere diversificati e mutevoli. Dall'altra appare evidente come il
104 SHOUP Paul, Communism and the Yugoslav national question, cit., p.40. 105 Ibidem, pp.54-55.
106 Qualche preliminare indicazione in questo senso è stata fornita da un recente contributo di Drago Roksandić, che ha sottolineato l'insistenza sulla fratellanza tra i popoli jugoslavi soprattutto come importante mezzo di difesa dell'indipendenza e delle libertà nazionali degli stessi, vedi ROKSANDIĆ Drago, Bratstvo i jedinstvo u političkom govoru jugoslovenskih komunista 1919.-1945. godine, in MANOJLOVIĆ-PINTAR Olga (a cura di) Tito – viđenja i tumačenja, Belgrado, Institut za noviju istoriju Srbije – Arhiv Jugoslavije, 2011, pp.33-38. 107 Cfr. SHOUP Paul, Communism and the Yugoslav national question, cit., pp. 37-38.
Partito comunista convivesse con le stesse dinamiche di identità concorrenti che contraddistinguevano più in generale lo spazio jugoslavo dell'epoca. Non si può, tuttavia, nemmeno mancare di constatare come il partito rimanesse di fatto unito, con una politica unitaria e una partecipazione complessivamente "jugoslava", incarnata da attivisti sparsi in tutto paese. In questo senso Aleksa Đilas ha sottolineato come "l'anti-jugoslavismo non divenne mai un sentimento dominante o una causa passionalmente sentita e di grande importanza per il partito, perfino quando ne costituì la politica ufficiale"109. Per quanto assolutamente non generalizzabile, poiché legata a casi e contesti specifici, l'esperienza personale dei singoli militanti poteva offrire interessanti riscontri. Una testimonianza in questo senso si ritrova, ad esempio, nelle parole di Dragi Stamenković, "eroe del popolo" e dirigente del partito in epoca postbellica: "prima della guerra lavoravo con il compagno Božićević e non sapevo fosse croato, nessuno poneva quella domanda e non c'era nemmeno la necessità che venisse posta"110.
109 ĐILAS Aleska, The Contested Country, cit., p.102.
110 Si tratta con tutta probabilità di Ivan Božićević, originario di Križ nella Croazia centrale, anch'egli membro del partito a partire dagli anni Trenta, attivo nel movimento di resistenza e dirigente nella Jugoslavia socialista. La citazione si ritrova nelle trascrizioni di una conferenza della sezione belgradese della Lega dei comunisti del 1964, cfr. "IX Gradska partijska konferencija–materijli", 10-11 settembre 1964, p.70/2, IAB, fondo Gradski Komitet - Savez Komunista Srbije - Beograd, k.181.