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Le istituzioni ed il "carattere jugoslavo" della vita culturale cittadinacittadina

I MMAGINARI " JUGOSLAVI "

IV.I Le istituzioni ed il "carattere jugoslavo" della vita culturale cittadinacittadina

I cittadini di Belgrado e tutti gli jugoslavi che si trasferivano per lavoro o recavano per svago nella capitale avevano la possibilità di godere di un certo livello di vita culturale, che era andato gradualmente consolidandosi dopo i primi difficili anni del dopoguerra. In quel periodo, diverse istituzioni incrementarono le proprie attività, impreziosendo l'offerta culturale presente nello spazio pubblico cittadino con esposizioni, mostre e spettacoli di vario genere. Parte dei contenuti proposti in tali occasioni partecipavano alla promozione di una

narrazione identitaria jugoslava. Nonostante il rigetto del modello centralista-integralista di epoca monarchica, infatti, non mancarono, fin dai mesi di consolidamento del nuovo sistema di potere, i segnali di una certa volontà politica di rendere in Belgrado il centro culturale del paese. Nel luglio 1946, in occasione della prima importante assemblea plenaria del Comitato per la cultura e l'arte [Komitet za kulturu i umetnost] del governo federale, alla presenza di alcuni dei principali protagonisti della vita culturale del nuovo Stato, emerse una precisa interpretazione delle funzioni che la città capitale doveva assumere in tal senso. In quella sede si decise che Belgrado avrebbe periodicamente ospitato festival artistico-culturali di livello federale, che avrebbero visto la partecipazione di gruppi folcloristici provenienti da tutto il paese, concorsi di gruppi teatrali di tutte le repubbliche e che in città sarebbe stata aperta un'esibizione permanente d'arte jugoslava1. In un sistema de facto fortemente centralizzato come quello del primo decennio di vita della federazione, si delineava quindi per Belgrado un ruolo fondamentalmente integrativo. Secondo le parole di un importante intellettuale dell'epoca, Oskar Davičo, Belgrado era il luogo dove avrebbero potuto concretizzarsi "quei primi contenuti jugoslavi di cui tutti parlano e che tutti vogliamo"2.

Da un punto di vista pratico, tuttavia, le condizioni materiali e infrastrutturali della città, come quelle di tutto il paese, non concedevano spazio a particolari investimenti nella vita culturale. Le difficoltà quotidiane, che rendevano problematico lo stesso approvvigionamento alla città, imponevano un declassamento dei problemi di questo tipo nell'agenda dei lavori. Va tenuto inoltre conto del fatto che nel corso del Secondo conflitto mondiale le istituzioni culturali belgradesi avevano condiviso il tragico destino della città. I bombardamenti, l'occupazione e l'amministrazione di guerra, la dura battaglia per la liberazione, lasciarono musei, teatri, biblioteche in condizioni strutturali molto critiche. A tale situazione si aggiungeva la mancanza di personale qualificato, in quanto i quadri di epoca prebellica erano stati decimati o, in alcuni casi, epurati3.

Fino alla fine degli anni Quaranta la situazione offrì solo limitati segnali di miglioramento. Non esistevano le condizioni per uno stravolgimento del sistema istituzionale cittadino e la struttura del panorama culturale della Belgrado prebellica rimase

1 Alla riunione partecipavano Vladimir Ribnikar, Vlado Mađarić, Marin Franičević, Milovan Đilas, Radovan Zogović, Skender Kulenović, Bojan Stupica, Dore Klemenčić, Blažo Koneski, Jovan Marinović, Aleksandar Vučo, Ivo Andrić, Miroslav Krleža, Čedo Minderović, Đurađ Bošković, Oskar Danon, Josip Horvat, Anton Augustinčić, Boro Jerković e Mehmed Selimović, cfr. "Konferencija plenuma Komiteta za kulturu i umetnost pri vladi FNRJ", 3-4 luglio 1946, AJ, fondo Savet za nauku i kulturu vlade FNRJ, br. fasc. 81, br. opisa 114. 2 Nella stessa intervista l'intellettuale surrealista tuttavia non celava qualche perplessità sulla possibilità che

tale intento si potesse realizzare, vedi "Beograd je...", Beogradske Novine, n.123, 31 dicembre 1954, p.3. 3 MITROVIĆ Momčilo, "Beograd 1944-1950. Neki aspekti društvenog života", cit., pp.96-99.

sostanzialmente invariata. Ciò tuttavia non impedì che, nel processo di definizione delle funzioni culturali della capitale, alcune istituzioni venissero destinate dagli organi ideologici del partito all'assunzione di particolari caratteri rappresentatavi jugoslavi.

Il nuovo governo insediatosi in città mostrò fin da subito un particolare interesse per le sorti dello storico Museo militare posizionato sulla fortezza di Kalemegdan, sopravvissuto alla guerra anche se a prezzo di notevoli rimaneggiamenti4. Ad operazioni belliche non ancora concluse, divenne una delle prime istituzioni cittadine a riprendere la propria attività allo scopo di impegnarsi fin da subito, visto il proprio carattere specialistico, nella codificazione dei significati dell'esperienza bellica. Già nel corso degli ultimi mesi del conflitto le autorità si prodigarono affinché le unità impegnate nel teatro bellico si preoccupassero di raccogliere testimonianze materiali dirette della "grande e vittoriosa" guerra di liberazione. Appena due giorni dopo la resa della Germania nazista, il 10 maggio 1945, venne diramata una direttiva che spiegava:

Tutte le sofferenze e gli orrori a cui siamo sopravvissuti, la dimensione e la forza dello spirito dei nostri popoli e l'eroismo del nostro esercito, oltre ad essere descritti in molti libri e celebrati nelle canzoni, è necessario vengano raccolti anche nelle collezioni del Museo militare affinché la nostre nuove generazioni e gli stranieri comprendano al meglio questa grande epopea a cui i popoli della Jugoslavia oggi sopravvivono con il proprio esercito. Pertanto, si deve immediatamente iniziare a raccogliere materiali per il Museo militare5.

Primo risultato di tale processo di scrittura e riproduzione visuale di una sorta di instant history fu, nel maggio 1946, l'apertura di una prima esposizione permanente dedicata alla Lotta popolare di Liberazione, che esponeva il limitato materiale allora disponibile ma che doveva identificare fin da subito il museo come "una delle più care istituzioni per ogni cittadino della nostra patria"6. Intanto, dopo che nei primi mesi seguiti alla liberazione della città era stato posto sotto il controllo del Ministero dell'Educazione serbo, passò al Ministero federale della difesa "in considerazione del significato di tale museo per tutto il paese e in considerazione del suo valore e della sua specificità per il nostro esercito"7. L'atto trasformò l'istituzione nel primo museo di carattere federale, ufficialmente denominato Museo militare

4 LAŽETIĆ Predrag, "Vojni muzej i Beogradska tvrđava", Vesnik, n. 34, 2007, pp. 95-97.

5 "Uput vojnim jedinicima i narodno oslobodilački odborima za sabiranje objekta za Vojni muzej u Beogradu", 10 maggio 1945, p.1, AS, fondo Ministarstvo prosvete – Odeljenje za nauku, kulturu i umetnosti, br.2. 6 "Otvoren je vojni muzej na Kalemegdanu", Politika, 13 maggio 1946, p.5.

7 Comunicazione del 7 giugno del 1945 del Ministero allo Stato Maggiore, AS, fondo Ministarstvo prosvete – Odeljenje za nauku, kulturu i umetnosti, br.4.

dell'Esercito popolare jugoslavo, espressione politica e culturale di uno dei pilastri del nuovo Stato e della sua coesione. La stessa scelta dei quadri dirigenti rispecchiava la volontà di farne un'istituzione il più possibile "jugoslava" e gli stessi direttori, che si susseguirono in quegli anni, vennero selezionati tra alti ufficiali dell'esercito di diversa provenienza: Jovan Đerković (1946-1947), Branko Šotra (1947-1949), Borivoje Leontić (1949-1950), Petar Morača (1950-1952), Dušan Plenča, (1952-1955), Idriz Čejvan (1955-1976).

A partire dalla fine degli anni Quaranta il Museo militare cominciò ad essere messo nella condizione di incrementare le proprie attività e, anche in virtù della propria posizione privilegiata, divenne un punto di riferimento nella vita pubblica e culturale cittadina. L'istituzione era incaricata di adempiere alla necessità di visualizzare la narrazione dell'epopea militare della liberazione per i cittadini belgradesi e, più in generale, per gli jugoslavi in visita alla capitale8. Si sarebbe di conseguenza affermata come uno dei più importanti luoghi di promozione del nuovo patriottismo jugoslavo nel paese. Nel compiere il percorso di assunzione di tale ruolo risultò particolarmente significativa la smisurata esposizione temporanea organizzata nell'ambito dei festeggiamenti per il decennale dell'insurrezione contro gli occupanti del 1941. Per mesi la stampa e gli altri mezzi di comunicazione celebrarono l'esposizione "più grande che Belgrado abbia mai avuto"9. La fortezza cittadina e il parco di Kalemegdan vennero interamente dedicati alla rievocazione degli ambienti, dei personaggi, degli eventi della lotta di liberazione. Nei 50.000 metri coperti dall'esposizione, i visitatori potevano passeggiare tra le ricostruzioni a dimensione naturale delle case-comando, degli ospedali da campo, delle tipografie clandestine, assistere agli spettacoli del teatro partigiano, ammirare armamenti pesanti, aerei e perfino una nave da guerra, che venne nell'occasione issata sulla fortezza (Fig. 19). Nel frattempo "Radio Jugoslavia libera", come negli anni di guerra, diffondeva annunci, rapporti e trasmetteva canzoni partigiane10. Il cuore storico della capitale ospitava quindi la ricostruzione di un'epopea che molti cittadini non avevano vissuto direttamente e che, dopo la rottura con il Cominform, guadagnava definitivamente una posizione egemone nell'immaginario collettivo.

Secondo i dati diffusi in quegli anni, da agosto ad ottobre, la mostra fu visitata da 632.000 persone, senza contare gli studenti e i militari che avevano la possibilità di entrare

8 Vodič - Vojni muzej JNA, Belgrado, Vojni muzej JNA, 1953, p.6.

9 "Park-muzej u Gornjem gradu", Borba, 21 agosto 1951, p.2.

10 Tra le numerose cronache relative all'esposizione pubblicate in quelle settimane sulla stampa vedi "Velika izložba narodnoolsobodilačke borbe, prikazuje razvoj narodne revolucije, borbe i napore za ostvarenje nove zajednice", Politika, 2 settembre 1951, p.3, ĐONOVIĆ Janko, "Slavnim stranica istorije", Borba, 7 ottobre 1951, p.2.

gratuitamente e che spesso erano accompagnati in visite organizzate11. Al di là della peculiarità di un'occasione celebrativa di tale portata, negli anni seguenti, il museo si sarebbe comunque affermato come l'istituzione più visitata del sistema museale cittadino: nel 1953, dei 180.000 ingressi annuali nelle istituzioni belgradesi circa 80.000 si concentravano sul Museo militare, mentre appena la metà apparteneva al secondo museo più visitato, il Museo nazionale12. Nel discorso pubblico venne sempre più rappresentato come un vero e proprio luogo di formazione: "dove vive il passato, una grande scuola dove generazioni impareranno l'amore per la patria e il patriottismo"13. In particolare si enfatizzava come migliaia di cittadini, provenienti da tutto il paese, trovassero nelle mostre del museo la principale attrattiva in occasione delle visite organizzate dalle scuole o dalle organizzazioni di massa jugoslave.

In linea con tale ruolo nella politica, la fortezza di Belgrado non venne dedicata esclusivamente alla celebrazione dell'epopea jugoslava nel corso della Seconda guerra mondiale. Nel 1952 le competenze e la conseguente offerta al pubblico del museo vennero ampliate grazie all'istituzione di un nuovo dipartimento dedicato alla "Storia delle guerre dei popoli della Jugoslavia", a partire dall'arrivo dall'arrivo degli Slavi nei Balcani fino alla Prima guerra mondiale. L'apertura della nuova sezione estendeva il ruolo del Museo militare di Belgrado dalla narrazione degli anni della Seconda guerra mondiale alla ricostruzione della complessiva vicenda bellica dei dei popoli jugoslavi nel corso della loro storia. Si completava in questo modo il processo di rinnovamento, appoggiato ad una forte rottura ideologica, rispetto ai significati dell'istituzione in epoca monarchica. Il museo proponeva una nuova lettura complessiva del passato, contrapposta a quella che risaliva al periodo tra le due guerre, quando aveva perso, si denunciava, "ogni legame con la storia militare dei nostri popoli, con le tradizioni popolari, e assunto il ruolo né obiettivo né scientifico di sostenere la falsa aurea di «gloria storica» della dinastia dei Karađorđević e delle sue cricche di generali."14. Allo stesso modo andava reinterpretata radicalmente la funzione rappresentativa in senso jugoslavo, poiché tra le due guerre "nemmeno un passaggio della storia militare della Croazia, della Bosnia, della Slovenia, della Macedonia aveva ottenuto il proprio posto, mentre esisteva una specifica sezione dedicata all'esercito russo zarista"15.

11 "Vojni muzej Jugoslovenske narodne armije", Godišnjak muzeja grada Beograda, n.1, 1954, p.327. 12 "Poznajte li Beograd?", Beogradske Novine, n.104, 20 agosto 1954, p.5.

13 POPOVIĆ Dobrivoje, "Gde je prošlost večito živa", Crvena Zvezda, n.210, 1 maggio 1956, p.3. 14 Vodič - Vojni muzej JNA, cit., p.7.

Il museo "nella patria socialista" aveva vissuto una "piena rigenerazione"16 e si era imposto nell'offerta culturale della città capitale. Tuttavia le strutture di epoca prebellica, due precari edifici di inizio secolo, risultavano insufficienti a soddisfare le necessità pratiche di capienza e portata per le dimensioni che l'istituzione andava assumendo. Per questo motivo già ad inizio anni Cinquanta si cominciò a valutare la possibilità di innalzare un nuovo edificio in grado di ospitare un'esposizione più esaustiva e vasta della storia dei popoli jugoslavi. Coerentemente con il progetto di trasferire il cuore rappresentativo della capitale a Novi Beograd, inizialmente si optò per il trasferimento del museo al di là della Sava. A testimonianza del ruolo che era previsto rivestisse nel panorama semantico urbano, il Museo militare fu la prima istituzione culturale per cui venne lanciato un grande concorso jugoslavo, che nel 1950 sancì la vittoria di un progetto con forti debiti verso l'architettura modernista di Le Corbusier17. Nell'ampio e duraturo dibattito sulla questione, che coinvolse diversi soggetti istituzionali in quegli anni, l'amministrazione del museo finì tuttavia per sostenere la necessità che il museo conservasse il proprio posto a Kalemegdan18. Tale posizione finì per imporsi ed ai cittadini venne spiegato come la scelta fosse stata determinata dalla volontà di preservare il legame tra l'istituzione, i reperti che conservava e la storica fortezza belgradese: "alla fine ha comunque prevalso ll'idea che il Museo militare debba rimane lì dove si trova già da 81 anni. […]. In questo modo il museo del passato bellico e libertario dei nostri popoli si trova nell'ambiente che più gli si addice"19.

Si optò quindi per riconvertire a funzioni museali l'edificio appartenuto all'Istituto geografico militare, che si trovava a poche centinai di metri dalla sede del museo. Solamente nel 1961, dopo cinque anni di lavori di restauro e adattamento della struttura, venne inaugurata, alla presenza del maresciallo Tito, la nuova esposizione permanente. Il vasto percorso museale era incentrato sulla storia bellica dei popoli jugoslavi e, a partire dall'arrivo delle tribù slave nei Balcani per arrivare fino alla Guerra popolare di liberazione, ricostruiva a una grande narrazione "convergente" del passato comune. L'inaugurazione, che si svolse alla presenza di alte cariche del governo federale e del partito, culminò con il discorso del generale Otmar Kreačić che sottolineò come il museo avrebbe mostrato "non solo le armi di un tempo, ma anche l'uomo, il combattente che quelle armi ha portato e l'epopea di un popolo

16 "Oružje iz zbirke sinđelića i resavca u Vojnom Muzeju", Crvena Zvezda, 2 novembre 1954, p.8.

17 BLAGOJEVIĆ Ljiljana, Novi Beograd, cit., pp. 221-223; Per la documentazione relativa al progetto vedi AJ, Savet za nauku i kulturu vlade FNRJ, br. fasc. 13, br. opisa 27.

18 LAŽETIĆ Predrag, "Vojni muzej i Beogradska tvrđava", cit., pp.100-103.

che per secoli si è battuto per la libertà, per l'indipendenza e per una vita migliore"20.La riapertura del museo e la scelta di mantenerlo nella sua sede storica parteciparono alla ridefinizione semantica di Kalemegdan ed in qualche modo a quella della stessa Belgrado. Il luogo che più di ogni altro rappresentava la città e la sua storia, non avrebbe dovuto più incarnare il simbolo della tradizione nazionale serba, come era stato nei decenni precedenti, ma trasformarsi in palcoscenico espositivo di una narrazione storico-militare jugoslava dalla durata secolare.

All'altro lato del centro storico, lungo l'asse che ha storicamente rappresentato la spina dorsale di Belgrado – portando dalla fortezza, lungo la via intitolata al Maresciallo Tito fino grande piazza di Dimitrije Tucović – si trovava un altro importante protagonista della vita culturale cittadina di quegli anni. Si trattava del Teatro drammatico jugoslavo [Jugoslovensko Dramsko Pozorište], un'istituzione voluta dal governo federale, organizzata ed inaugurata appena nel 1948. La possibilità di creare nel paese un "teatro jugoslavo" era stata caldeggiata in realtà già nel 1946, nel corso dei lavori di una conferenza che aveva riunito i professionisti del teatro del paese. Il Teatro nazionale della capitale infatti, pur avendo assunto un carattere jugoslavo tra le due guerre, aveva recuperato un orientamento più prettamente "serbo". Nell'occasione, rispetto al ruolo della città, tuttavia si osservava: "Belgrado è comunque la capitale e per noi è necessario un centro dove si pratichi una forma di concorrenza e la messa in campo di tutte le forze, quel centro può e deve essere Belgrado. Qui è necessario mostrare tutte le forze e le migliori qualità del nostro paese"21. Nel frattempo si denunciava il fatto che diversi teatri sparsi in tutto il paese rimanessero troppo "chiusi nel proprio repertorio nazionale". Per quanto riguardava la capitale le due principali istituzioni – il Teatro nazionale ed Teatro drammatico belgradese – nella stagione 1948-1949 non avevano offerto al pubblico nemmeno un'opera slovena o croata, sulle diciannove messe in scena22. Anche per questo motivo il 29 luglio 1947 si giunse all'istituzione da parte del governo federale del Teatro drammatico jugoslavo. Il "primo teatro jugoslavo nella storia dei popoli jugoslavi" era pubblicamente investito del compito di definire un canone teatrale rappresentativo jugoslavo, prodotto dalla "profonda unità organica" delle varie tradizioni presenti nel paese"23.

20 "Predsednik Tito otvorio stalnu muzejsku izložbu ratne istorije naroda Jugoslavije", Borba, 21 ottobre 1961, p.1.

21 "Konferencija pozorižnih stručnjaka", 15-16-17 giugno 1946, citazione p.31, vedi anche pp.16, 43, 45, AJ , Savet za nauku i kulturu vlade FNRJ, br. fasc. 81, br. opisa 114.

22 "Repertoar jugoslovenskih pozorišta za sezonu 1948-1949", p.10, AJ, fondo Savet za nauku i kulturu vlade FNRJ, br. fasc. 81, br. opisa 114.

Il compito di organizzare effettivamente l'istituzione, nelle vesti di direttore artistico, venne affidato al regista ed intellettuale sloveno Bojan Stupica. A disposizione venne messa la struttura del vecchio teatro cittadino Manjež che, grazie ad un notevole investimento economico, fu completamente rinnovata, adattata alle nuove esigenze e dotata di una veste architettonica più moderna. All'ingresso, ad enfatizzare in qualche modo il carattere dell'istituzione, venne posta una scultura dello sloveno Boris Kalin, noto artista "il cui lavoro creativo occupava un posto importante nello sviluppo della cultura della Jugoslavia"24, mentre le opere di altri artisti jugoslavi avrebbero dovuto decorare il resto dell'edificio25. Dal punto di vista delle risorse umane invece, l'organico del teatro venne formato selezionando i più importanti attori e professionisti del teatro jugoslavo, provenienti dai maggiori teatri della federazione: da Novi Sad, Spalato, Belgrado, Zagabria, Sarajevo e Rijeka26.

L'inaugurazione del nuovo edificio, il 3 aprile 1948, vide la messa in scena di Kralj Betajnove dello scrittore sloveno Ivan Cankar, della cui morte ricorreva il trentennale. L'evento si svolse alla presenza di alcune tra le più alte cariche dello Stato, come il presidente del Parlamento Ivan Ribar, i vicepresidenti del governo Edvard Kardelj e Jaša Prodanović, i ministri federali Milovan Đilas e Stanoje Simić e per l'esercito Koča Popović e Svetozar Vukmanović Tempo. In occasione della cerimonia di apertura, il direttore amministrativo del nuovo teatro, Eli Finci, uno degli intellettuali belgradesi più influenti del tempo, sottolineò:

[In tutti i teatri sparsi per il paese] vive una particolare tradizione teatrale nazionale, con specifiche caratteristiche e bellezze, aspirazioni ed espressioni. Questa differenza delle culture nazionali, che poggia su un affine e, in generale, profondamente identico nucleo interiore, è una delle caratteristiche importanti di questo teatro. Sviluppare tutta la ricchezza delle peculiari tradizioni teatrali nazionali, ciò che è in loro migliore, vitale e accoglibile, armonizzarle l'una con l'altra, collegarle nella più profonda unità organica e puntare verso più complessi esaltanti compiti, questa è la via che il Teatro drammatico jugoslavo deve percorrere27.

24 SRETENOVIĆ Irena, "Zgrada Jugoslovenskog dramskog pozorišta - od manježa do savremenog teatra" Nasleđe, n.5, 2004, pp.78-81.

25 "Pred otvaranje Jugoslovenskog dramskog pozorišta", Književne Novine, n.5, 16 marzo 1948, p.4.

26 Al momento dell'inaugurazione, nell'aprile del 1948, gli attori del collettivo del nuovo teatro erano: Milan Ajvaz, Branka Andonović, Kapitalina Apostolović, Vera Bebler, Karlo Bulić, Marija Crnobori, Jurica Dijaković, Božidar Drnić, Dejan Dubajić, Aleksandar Đorđević, Mihailo Farkić, Rahela Ferari, Nada Grugurić, Sonja Hlebs, Ivo Jakšić, Ljubiva Janićijević, Ljubica-Carka Jovanović, Đorđe Krstić, Jozo Laurenčić, Drago Makuc, Franjo Malagurski, Jovan Milićević, Žarko Mitrović, Dubravka Perić, Strahinja Petrović, Milan Pinterović, Brako Pleša, Salko Repak, Zoran Ristanović, Nada Riznić, Joža Rutić, Sava Severova, Bert Sotler, Danilo Srećković, Viktor Starčić, Petar Stojanović-Slovenski, Aleksandar Stojković,