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Topografia della memoria e identità jugoslava nello spazio pubblico belgradesepubblico belgradese

I MMAGINARI " JUGOSLAVI "

III.III Topografia della memoria e identità jugoslava nello spazio pubblico belgradesepubblico belgradese

L'intera Belgrado fu soggetto di una rinnovata politica dell'identità promossa dal nuovo potere "rivoluzionario" immediatamente dopo la fine delle ostilità. Tra gli aspetti principali di questo processo di trasformazione del paesaggio urbano si registrava la promozione di una nuova memoria pubblica che si andava gradualmente imponendo negli spazi della vita quotidiana cittadina attraverso la proliferazione di monumenti, busti, targhe commemorative. I più immediati provvedimenti presi dal partito riguardavano i contenuti commemorativi della toponomastica, un campo in cui l'intervento risultava meno impegnativo dal punto di vista delle risorse materiali. Due tra le principali vie della nuova capitale vennero rinominate già nell'ottobre del 1945, in occasione del primo anniversario della liberazione, facendo posto a nuovi riferimenti ideologici: Via Re Aleksandar Obrenović divenne Boulevard dell'Armata Rossa e Via Šumadija fu cambiata in Boulevard dell'Esercito Jugoslavo89. Solo pochi mesi più tardi, il 20 aprile 1946, vennero presi provvedimenti più sistematici e una decisione del governo cittadino [Izvršni Odbor Narodnog Odbora Belgrada] decretò il cambiamento dei nomi di decine di vie e piazze90. Si trattò dell'atto di apertura di una campagna che vide, nei primi anni di vita del nuovo governo, la produzione della maggiore rottura con il quadro ereditato nel 1944. Avvicinandosi alla fine del 1947, l'amministrazione cittadina constatava come fossero stati assegnati 323 nuovi nomi alle vie di Belgrado, 406 tenendo conto dell'abitato di Zemun. Alla lista era previsto che se ne andassero ad aggiungere altri 25091. La campagna si protrasse con notevole intensità fino al 1949, quando l'uscita dal Cominform impose un ulteriore assestamento delle direttrici dell'ideologia di Stato e quindi anche la correzione dei contenuti commemorativi dello spazio pubblico della capitale. L'importanza politica che veniva conferita all'epoca a queste pratiche identitarie legate alla toponomastica è efficacemente esplicitata dalle parole di un membro della Lega dei combattenti, pronunciate qualche anno dopo nel corso di una riunione:

89 "Odluke o promeni naziva ulica", p.1, IAB, fondo Izvršni Odbor Narodnog Odbora Grada Beograda - Poverništa za kulturu i umetnost, br.4, f.1d.

90 Ibidem pp.1-3; "Spisak izmene naziva ulica u Beogradu", Politika, 14 aprile 1946, p.6.

91 "Izveštaj po pitanju ulica", 22 settembre 1947, IAB, fondo Izvršni Odbor Narodnog Odbora Grada Beograda - Poverništa za kulturu i umetnost, br.4, f.1d.

Partiamo dai monumenti più modesti: i nomi delle vie, delle fabbriche, delle scuole, degli asili, ecc., che portano i nomi di prominenti eroi. Quando qualcuno passeggia per quelle strade, quando lavora in una fabbrica dove si è realizzata l'autogestione dei lavoratori, quando i bambini studiano in una scuola dal nome "Đuro Strugar"92, tutto ricorda qualcosa di grande, qualcosa che vivrà intorno a noi e dentro di noi93.

Come osservato da Maoz Azaryahu il cambiamento dei nomi delle vie viene imposto dalle urgenze di carattere commemorativo ma anche dalle necessità, in una relazione complementare e dialettica, di "decommemorare" e "produrre di oblio"94. Nella Belgrado della seconda metà degli anni Quaranta, all'obiettivo di rimarcare la rottura ideologica con i precedenti sistemi politici si affiancava la necessità di eliminare gli elementi considerati nazionalisti serbi che stridevano con la nuova definizione dello jugoslavismo e non potevano trovare spazio in città. Il quotidiano cittadino Dvadeseti Oktobar [Venti ottobre] spiegava al riguardo: "all'epoca dell'occupazione furono cambiati alcuni nomi, ma i nuovi erano estranei all'idea di fratellanza ed unità dei nostri popoli, in contrasto con quel senso di amore che i belgradesi e tutti i nostri popoli sentivano e sentono verso la nostra città capitale"95. In diretta applicazione di tali principi, ad esempio, una delle principali piazze cittadine – su cui si affacciava la stazione ferroviaria che collegava la città con il resto del paese – vide il proprio nome cambiato da "Piazza serba" a "Piazza della fratellanza e unità".

Una posizione preminente nella politica commemorativa veniva naturalmente assegnata al ricordo di personaggi che si erano contraddistinti nel corso della Lotta popolare di liberazione. Il nuovo pantheon di eroi espresso dalla capitale, composto in gran parte da comunisti e combattenti partigiani, cominciò a definirsi in città già a partire dal 1946 e venne costantemente implementato negli anni successivi. Se da una parte Belgrado, come ogni altra città del paese, dedicava particolare spazio a coloro che si erano battuti ed erano caduti nel proprio territorio cittadino durante il conflitto – personaggi che quindi assumevano un valore in primo luogo di carattere locale – la capitale si incaricava di onorare nelle proprie vie anche i "prominenti combattenti per la libertà" sacrificatisi nel resto del territorio jugoslavo. Secondo la documentazione prodotta dall'amministrazione belgradese, nel 1962 in città si

92 Dirigente della sezione belgradese del partito originario del Montenegro. Arrestato dalla polizia nel settembre del 1941, pochi mesi dopo l'occupazione della città, venne torturato e quindi fucilato.

93 Intervento di Milosav Bojić, vedi "Proširen plenum Saveza Boraca Srbije", 29 marzo 1957, p.26, AS, fondo Savez boraca narodnooslobodilačkog rata – Glavni Odbor NR Srbije, k.36.

94 AZARYAHU Maoz, "The power of commemorative street names", Environment and Planning D: Society and Space, n.14, 1996, p.317.

contavano 183 vie dedicate ad eroi partigiani e tra di essi risulta piuttosto facile rintracciare molti che non erano serbi, bensì croati, sloveni, macedoni, montenegrini. Alcuni vantavano una biografia che poteva in qualche modo ricollegarli a Belgrado, in quanto vi erano stati attivi politicamente o vi avevano lavorato, ma la maggior parte non aveva avuto nessun legame con la città o, più in generale, con il territorio serbo. Nel "pantheon diffuso" celebrato dalla toponomastica si potevano incontrare sloveni come Franc Rozman-Stane (1946) Anton Tone Tomšič (1946), Ljubomir Ljubo Šercer (1948), Slavko Šlander (1948), Janko Premrl (1949); croati come August Cesarec (1946), Božidar Adžije (1946), Marko Orešković (1946), Ivo Lola Ribar (1946), Slaviša Vajner – detto "Čiča Romanijski" (1946) Otokar Keršovani (1946); Janko Lisjak (1946), Ivan Marković Irac (1948), Franjo Ogulinac Seljo (1948), Vasilij Gaćeša (1949), Vjekoslav Kovač (1951), Jože Vlahović (1953), Franjo Kluz (1954), Josip Šćurla-Mačak (1956), Marija-Marijana Gregoran (1958); macedoni come Hristijan Todorovski Karpoš (1948), Strašo Pindžur (1948) Mirče Acev (1948); montenegrini come Ivan Milutinović (1946) Đuro Strugar (1946) Jelena Ćetković (1946), Krsto Bajić (1948), Zarija Vujošević (1948), Mitar Bakić (1962)96.

Alcune di queste vie, le più significative, non si fregiavano esclusivamente del nome del partigiano commemorato, ma esibivano una targa che riportava una breve biografia e un bassorilievo che rievocava le sembianze del caduto. Le prime indicazioni relative a tale pratica commemorativa, implementata in realtà solo dopo la rottura con l'Unione Sovietica, arrivarono dal dipartimento belgradese dell' AgitProp in occasione dei festeggiamenti per i trent'anni dalla fondazione del Partito comunista jugoslavo nel 1949. In quell'occasione venne richiesta la posa, nelle rispettive vie, delle prime targhe in onore di alcuni dei più rappresentativi eroi della guerra di liberazione: Ivan Milutinović, Ivo Lola Ribar, Marko Orešković e Rade Končar (Fig. 7)97. Negli anni successivi, lo strumento venne impiegato per identificare pubblicamente altre personalità di particolare rilievo, anche se non venne mai impostata una politica complessiva e la pratica rimase sostanzialmente di carattere occasionale. Un esempio può risultare particolarmente significativo per comprendere il

96 Tra parentesi si indica l'anno in cui è stata inaugurata la relativa via, cfr. "Redovna sednica komisije za spomenike i ulice: poziv sa materijalom i dnevnim redom, 2 ottobre 1962"; IAB, fondo Skupština Grada Beograda - Gradski sekretariat za obrazovanje i kulturu, br.32, f.15; "Spisak izmene naziva ulica u Beogradu", Politika, 14 aprile 1946, p.6; Ulice i trgovi Beograda, cit.. Un piano originario redatto da Stanka Veselinov nel 1947 ne contava un numero particolarmente ampio, ma diverse denominazioni non furono in realtà mai introdotte, cfr. "Obrazloženje uz predlog za promenu naziva ulica u Beogradu", 1947, pp.1-23, IAB, fondo Izvršni Odbor Narodnog Odbora Grada Beograda - Poverništa za kulturu i umetnost, br.4, f.1d. 97 "Zapisnik sa sastanak Agitprop odeljenja", 28 marzo 1949, p.1, IAB, fondo Gradski Komitet - Savez

significato dell'operazione; la targa commemorativa dedicata da Belgrado a Franc Rozman - Stane, comandante partigiano sloveno proponeva una lettura della sua vicenda che ne enfatizzava l'immagine di eroe per tutti gli jugoslavi:

Via all'Eroe del popolo Franc Rozman-Stane, comandante del quartier generale NOB e PO della Slovenia, uno dei personaggi della nostra rivoluzione popolare che hanno dedicato tutta la propria vita alla lotta armata senza risparmio contro il fascismo, alla lotta per la liberazione della classe operaia presso di noi e nel mondo. La devozione e l'amore verso l'esercito popolare, la decisione e le elevate capacità militari l'hanno fatto entrare nelle fila di quei combattenti che non trovano posto solamente nella storia del popolo sloveno ma nella storia di tutti i nostri popoli, per cui Stane si è battuto, e del cui esempio si insegnerà anche alle future generazioni98.

L'universo jugoslavo presentato dai nomi delle vie, si rafforzava anche attraverso i riferimenti di carattere geografico al territorio del paese. In alcuni casi si trattava di associazioni a luoghi legati a particolari vicende della storia del partito o della resistenza, in altri si trattava di fiumi, montagne, città, paesi della Jugoslavia. Essi andavano ad aggiungersi alle denominazioni che risalivano al periodo pre-bellico e che, nel caso fossero state rimosse negli anni della Serbia collaborazionista, venivano recuperate. Le vie Zagrebaska e Murska, dedicate a Zagabria e al fiume della Slovenia Mura, vennero reintrodotte ad esempio già nel 1946. Da questo punto di vista risulta inoltre interessante notare come fossero in particolare le molte kafane – le osterie tradizionali dove molti belgradesi passavano il proprio tempo libero – a fare riferimento a luoghi di tutto il paese: dalla Makedonija (Macedonia), alla città croata di Zagreb (Zagabria) a quella macedone di Tetovo, alla montagna slovena Triglav, a quella bosniaca di Majevica, a quella montenegrina di Lovćen, all'isola dalmata di Vis (Lissa), fino al fiume Soča (Isonzo)99.

Il quadro semantico offerto dal complesso della toponomastica belgradese non si limitava solamente al passato jugoslavo compreso tra il 1941 e il 1945 o alla geografia del paese, ma celebrava un universo di personalità – esponenti della politica, dell'arte, della cultura – appartenenti a tutti i popoli jugoslavi che entravano nel canone ideologico pur non avendo nessun tipo di connessione diretta con l'universo socialista. Nel dopoguerra ritrovarono spazio e dignità a Belgrado denominazioni che erano state istituite all'epoca della monarchia e della

98 Beograd se seća. Spomenici i spomen obeležja Narodnoolobodilačkog rata, Belgrado, Muzej Grada Beograda, 1964, p.60.

99 "Spisak objekata sa kaf.muzikom na teritoriji grada Beograda na pocetku marta 1952 g.", IAB, Izvršni Odbor Narodnog Odbora Grada Beograda - Poverništa za kulturu i umetnost, br.4, f.1d.

politica dello jugoslavismo integrale, rimosse quindi negli anni della Serbia di Nedić. Si trattava soprattutto di personalità della storia croata e slovena, in molti casi legate alla causa jugoslava, come Franjo Rački, Frano Supilo, Petar Preradović, Ivan Mažuranić, Stjepan Radić, Ljudevit Posavski, Vatroslav Lisinski, Davorin Trstenjak, Matija Gubec, e perfino monarchi medioevali come il principe croato Trpimir. Riaffiancandosi alle vie di ispirazione jugoslavista in qualche modo sopravvissute al periodo bellico – ad esempio quella dedicata a Stanko Vraz – andarono a ricomporre buona parte del quadro di riferimenti promosso negli anni Trenta. La politica identitaria sulla città non si ridusse tuttavia solamente a tale pratica di "restituzione", che poteva essere influenzata dalla volontà di "cancellare" l'età collaborazionista e rispondere alla necessità di un ritorno alla consuetudine per i cittadini. I riferimenti storici e culturali jugoslavi vennero invece ulteriormente integrati. Si trattava di personaggi vicini alla tradizione socialista, o che venivano disinvoltamente integrati nel canone, come France Prešeren (1948), Ivan Cankar (1948), Miško Kranjec (1948), Ivan Gradnik (1949), Vladimir Gortan (1949), Vladimir Nazor (1953)100.

Nella stessa fase vennero riadattati secondo simili coordinate ideologiche tutti il luoghi che ricoprivano un significato pubblico nella capitale: vennero sottoposti a revisione le denominazioni di 783 osterie, taverne, pensioni, caffè, di cui solo 109 alla fine dovettero essere cambiati101. Quindi anche le farmacie, le scuole primarie e secondarie, i panifici, le fabbriche, gli istituti pubblici – tutti luoghi che naturalmente avevano un significato nella vita quotidiana dei cittadini – vennero intitolati agli stessi personaggi macedoni, croati, sloveni, ecc, celebrati nelle vie. In tali contesti la dimensione figurativa assumeva maggior rilievo in quanto gli edifici pubblici in molti casi ponevano in onore delle personalità a cui erano intitolati busti e sculture commemorative102.

Il processo radicale di trasformazione si esaurì già con la fine degli anni Quaranta, tuttavia nei nuovi quartieri, la cui costruzione accompagnava costantemente la rapida crescita

100 Cfr. "Redovna sednica komisije za spomenike i ulice: poziv sa materijalom i dnevnim redom, 2 ottobre 1962", IAB, fondo Skupština Grada Beograda - Gradski sekretariat za obrazovanje i kulturu, br.32, f.15; "Spisak izmene naziva ulica u Beogradu", Politika, 14 aprile 1946, p.6; Ulice i trgovi Beograda, cit..

101 "Izveštaj po pitanju ulica", 22 settembre 1947, IAB, fondo Izvršni Odbor Narodnog Odbora Grada Beograda - Poverništa za kulturu i umetnost, br.4, f.1d.

102 Tra gli altri Ivan Mažuranić, Ivan Cankar, France Prešeren, Marko Orešković, Goce Delčev, Đuro Salaj, Boris Kidrič, Ivan Goran Kovačić, Vladimir Nazor, Ivan Gundulić, Stjepan Filipović, Janko Lisjak, Mirce Acev, Josip Slavenski, Vatroslav Lisinski, i fratelli Ribar, cfr."Kulturno-prosvetne ustanove u Beogradu", Godišnjak Muzeja grada Beograda, n.1, 1954, pp.434-439; "Spiskovi spomen-ploča, spomenika, bista, etc. na teritoriji Beograda", 1963, IAB, Gradski komitet – Savez Komunista Srbije - Beograd, k.553, f.3. Per i busti vedi PAVLOVIĆ Antica, Javni spomenici na području grada Beograda, Belgrado, Zavod za zaštitu spomenika kulture grada, 1962.

della città, si manteneva una certa attenzione al carattere "jugoslavo" della toponomastica. A questo proposito risulta interessante riportare, a titolo di esempio, la proposta relativa alla denominazione delle vie dei nuovi quartieri di Novi Beograd avanzata dal Segretariato per l'educazione e la cultura nel 1961: oltre a personaggi noti a livello internazionale come Gabriel Garcia Lorca e Albert Einstain, si trovavano il rivoluzionario macedone di epoca ottomana Goce Delčev, Oton Župančič, letterato sloveno attivo soprattutto tra le due guerre, Ruđer Bošković, intellettuale e scienziato raguseo del XVIII secolo, Aleksandar Belić, filologo serbo tra i principali sostenitori della codificazione della lingua serbo-croata e quindi il "più grande scienziato jugoslavo" Nikola Tesla103. Ciò ribadiva l'attualità della questione relativa al livello rappresentativo jugoslavo di Belgrado, come ulteriormente precisato dalle parole di un membro della commissione locale che si occupava della questione:

Mi è saltato agli occhi qualcosa di caratteristico. Dall'elenco delle vie si vede che un numero relativamente piccolo porta il nome di meritevoli storici, artisti e personalità della storia degli altri popoli jugoslavi. Belgrado è prima di tutto una città jugoslava e credo che in tal senso sia necessario risolvere anche questa questione104.

Si tratta di una riflessione del 1962 che testimonia come in realtà, diciotto anni dopo la liberazione della città, non si fosse arrivati ad un livello rappresentativo jugoslavo considerato unanimemente soddisfacente. Nel complesso, difficoltà di carattere politico e organizzativo resero necessario diverso tempo perché il sistema cominciasse a funzionare con efficienza. La situazione generale risultava ulteriormente confusa, anche agli occhi dei cittadini, dal fatto che piazze e vie avevano cambiato molto spesso denominazione nel corso dei decenni precedenti105. La struttura urbana cresceva e non sempre i vertici politici cittadini erano in grado di mantenere complessivamente il controllo ideologico su di essa, nonostante si trattasse della capitale dello Stato. Capitava che a livello dei distretti cittadini (opštine) si prendessero iniziative in piena autonomia, fino al punto che le autorità cittadine lamentavano:

[…] noi non sappiamo quando vengono poste le targhe commemorative. Nessuno ci avvisa. Sarebbe necessario informare il Narodni Odbor [Consiglio del popolo] e richiedere il permesso prima della loro posa. E pure le vie sono senza nessun ordine, tanto che esiste una via ad un 103 "Predlog NOO Novi Beograd za davanje naziva ulica na teritoriji Novog Beograda" 1962, IAB, fondo

Skupstina Grada Beograda - Gradski sekretariat za obrazovanje i kulturu, br.32, f.15.

104 "Javna diskusija o nazivama ulica u Beogradu", 8 novembre 1962, pp.41-42, IAB, fondo Skupština Grada Beograda - Gradski sekretariat za obrazovanje i kulturu, br.32, f.15.

qualche cetnico. È facile quelle nelle città più piccole, ma qui a Belgrado anche fare la revisione dei nomi delle vie è più difficile106.

Come si intuisce leggendo il passaggio riportato, nemmeno le politiche della memoria e dell'identità promosse attraverso la posa di targhe commemorative e di monumenti seguivano sempre una prassi rigidamente definita, lineare ed efficace107. In realtà, le conseguenze della burrascosa vicenda storica della città facevano constatare agli osservatori coevi, non senza preoccupazione, che Belgrado era ormai "materialmente priva del proprio passato", di cui non rimanevano tracce visibili, ma solamente testimonianze nei fondi archivistici108.Da un punto di vista politico ciò poteva rappresentare un'occasione particolarmente favorevole per "riscrivere" il paesaggio urbano senzadover fare i conti con ingombranti eredità. Dalla fine della guerra ai primi anni Sessanta, tuttavia, non si realizzarono stravolgimenti radicali né vennero sistematicamente implementati i piani predisposti, ma piuttosto si susseguirono una serie di interventi a cui era assegnato forte valore simbolico e politico.

Gli eventi bellici, l'occupazione tedesca e la liberazione avevano rappresentato l'ennesima occasione di destrutturazione semantica di Belgrado. Una parte del patrimonio monumentale cittadino venne danneggiato nel corso dell'occupazione, mentre nei mesi immediatamente successivi alla liberazione vennero rimossi i rimanenti monumenti che ricordavano il precedente sistema politico, in particolare quelli che facevano riferimento alla casa regnante dei Karađorđević. Nella maggior parte dei casi non sono disponibili indicazioni precise rispetto alla sorte delle targhe commemorative, dei busti e dei monumenti dedicati a Re Petar ad Aleksandar ed agli altri membri della famiglia reale che scomparvero rapidamente dal paesaggio cittadino in quel tumultuoso periodo109. Ciò che non rispondeva ai nuovi principi ideologici veniva rimosso senza che l'operazione lasciasse traccia nella documentazione ufficiale e senza che la cittadinanza ne fosse informata dagli organi di stampa. La decommemorazione si protrasse per diverso tempo senza un'ordinata pianificazione o l'individuazione di soggetti particolari deputati ad occuparsi del problema. Il monumento dedicato alla principessa Zorka, figlia del re del Montenegro e moglie di re Petar, sopravvisse

106 "Zapisnik", 6 novembre 1958, p.1, IAB, fondo Gradski odbor s.b.nor Beograda, inv. br. 49.

107 Per farsi un'idea rispetto ai processi decisionali all'interno del SBNOR tornano utili BERGHOLZ Max, "Među rodoljubima, kupusom, svinjama i varvarima: spomenici i grobovi NOR 1947 -1965. godine", Godišnjak za društvenu istoriju, n.1-3, 2007; KARGE Heike, "Dalla memoria congelata allo scontro del ricordo", cit..

108 MINIĆ Oliver, "U potrazi za likom Beograda", cit., p.450.

109 Cfr. RAJČEVIĆ Ugleša, Zatirano i zatrto: oskrnavljeni i uništeni srpski spomenici na tlu prethodne Jugoslavije, vol.1, Novi Sad, Prometej, 2001.

sulla fortezza di Kalemegdan almeno fino al 1946, due anni dopo la liberazione, per poi sparire senza lasciare traccia110. Dell'eredità monarchica vennero invece preservati alcuni riferimenti alla dinastia Obrenović, di fatto estintasi dopo il colpo di Stato del 1903 e l'assassinio di re Aleksandar Obrenović. Il più significativo, l'ottocentesco monumento equestre al Principe Mihailo eretto nella piazza centrale della città, venne probabilmente risparmiato in quanto aveva ormai perso il proprio valore politico, dopo quasi quarant'anni di regno della dinastia rivale dei Karađorđević. Ne è conferma indiretta il fatto che l'osteria di fronte al monumento fosse comunemente chiamata dai belgradesi "Al cavallo", escludendo così ogni riferimento a chi sedeva sopra l'animale111. Non mancavano nemmeno le occasioni celebrative che vedevano il monumento al Principe Mihailo completamente occultato dai simboli del nuovo sistema di potere. Si tratta certamente dell'esempio più significativo di come le eredità simboliche dei periodi storici precedenti, per quanto risparmiate, subissero una totale marginalizzazione ed un conseguente disinnesco politico, anche quando occupavano spazi particolarmente importanti nello spazio pubblico cittadino.

Come precedentemente evidenziato, fin dai primi giorni dopo la liberazione della città furono i nuovi monumenti sovietici ad incidere particolarmente sul paesaggio urbano belgradese. Molto più complessa e graduale risultò invece la caratterizzazione semantica successiva e il processo di "riempimento" del vuoto lasciato dalla de-sovietizzazione. Se si esclude un busto dedicato a quello che veniva considerato il primo pensatore socialista dei Balcani, Svetozar Marković, inaugurato nel 1946 all'interno della biblioteca universitaria in occasione del centenario della sua nascita112, nei quasi quattro anni trascorsi tra l'ottobre 1944 e la primavera del 1948 Belgrado vide esclusivamente la posa di monumenti dedicati all'Armata rossa. Un indicativo segnale di inversione di tendenza si registrò nell'aprile del