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I MMAGINARI " JUGOSLAVI "

III.I. Tra Hitler e Stalin, al centro del nuovo Stato

Belgrado, la nostra capitale della Jugoslavia, solo da oggi diviene realmente la capitale di tutti gli Slavi del sud, una città che sarà amata da tutti i popoli della Jugoslavia, una città per cui hanno versato il sangue tutti i figli della Jugoslavia. Da qui, da Belgrado, devono irradiarsi quei principi ispiratori che ci hanno condotti attraverso questi giorni duri: l'idea della fratellanza e dell'unità e l'idea di una grande e più felice Jugoslavia1.

Con tali parole il Maresciallo Tito, celebrò la battaglia che il 20 ottobre del 1944 aveva

1 "Prvi govor Maršala Tita u slobodnom Beogradu", Politika, 28 ottobre 1944, p.1. La citazione venne negli anni seguenti spesso ripresa e sottolineata in pubblicazioni e articoli, cfr. ad esempio ČUBRILOVIĆ Vaso, Istorija Beograda, Belgrado, Srpska akademija nauka i umetnosti, Odeljenje istorijskih nauka, 1974, p.558.

portato alla liberazione di Belgrado dall'occupazione tedesca. La vittoria era stata ottenuta al prezzo di un imponente sforzo militare e di un notevole sacrificio di vite umane. L'Armata Rossa e le brigate dell'Esercito popolare di liberazione jugoslavo, converse sulla città, erano riuscite a sopraffare le forze tedesche solo dopo giorni di combattimenti. Nell'occasione il leader jugoslavo volle enfatizzare il carattere rifondativo dell'evento per la città e i nuovi fondamentali significati simbolici collettivi di cui la capitale doveva farsi carico nello Stato che si andava costruendo. Quelle parole, spesso citate e ripetute nel discorso identitario sulla città successivamente consolidatosi, avrebbero indicato la direzione da prendere rispetto ad uno degli aspetti principali della trasformazione dell'immagine della Belgrado postbellica.

Gli anni dell'occupazione tedesca e del governo fantoccio guidato dal generale Milan Nedić avevano imposto delle trasformazioni significative al paesaggio urbano belgradese. Come era accaduto in molte altre zone occupate in Europa, anche la capitale jugoslava si era trasformata in una vetrina per la propaganda nazionalsocialista, antisemita e antibolscevica, mentre i simboli del potere di Berlino imperversavano in città. Tale "invasione" ideologica era naturalmente recepita in termini molto negativi, tanto che dopo la liberazione e la cacciata delle truppe tedesche, tra le prime preoccupazioni del nuovo potere ci fu la cancellazione radicale dei residui semantici dell'occupazione: dalla sostituzione dei toponimi e delle denominazioni in tedesco, italiano ed ungherese in città, alla generale messa in discussione di quella che veniva considerata una "sistematica germanizzazione di Belgrado"2.

La città, negli anni della Seconda guerra mondiale, era ritornata ad essere la capitale di un territorio "esclusivamente" serbo, seppur ridotto ai confini precedenti alle Guerre balcaniche di inizio secolo. La "Jugoslavia di Versailles", nell'ambito del "nuovo ordine" europeo voluto da Hitler, era stata smantellata e il suo territorio diviso tra le potenze dell'Asse e il nuovo Stato Indipendente di Croazia. In Serbia si era installato un governo collaborazionista, sotto lo stretto controllo dell'amministrazione militare tedesca. Gli occupanti necessitavano di un appoggio interno per poter sfruttare al massimo le risorse, le vie di comunicazione e garantire il controllo politico dello Stato e della sua popolazione3. Da un punto di vista propagandistico si parlava tuttavia di una "nuova Serbia" che guadagnava la propria posizione nella "nuova Europa" che il Nazionalsocialismo stava costruendo, in opposizione alle ambizioni delle

2 Vedi ad esempio la direttiva del 3 gennaio 1945 del Ministero dell'educazione al Narodni Odbor di Belgrado e le sollecitazioni del 30 dicembre 1944 da parte del Comitato popolare del II rejon al Ministero, AS, Fondo Ministarstvo prosvete – Odeljenje za nauku, kulturu i umetnosti, k.1, A 8/45.

3 Cfr. TOMASEVICH Jozo, War and revolution in Yugoslavia, 1941-1945: occupation and collaboration, Stanford, Stanford university press, 2001, pp.175-185.

plutocrazie occidentali e al giudeo-bolscevismo orientale. L'ideologia di Stato nella Serbia di Nedić faceva quindi riferimento al corporativismo, al ruralismo, alle teorie della razza del nazionalsocialismo, ai quali si accompagnavano una forma estrema di nazionalismo serbo ed un conseguente rigetto assoluto dell'esperienza jugoslava4. Coerentemente con questo sistema ideologico erano state imposte delle politiche di "dejugoslavizzazione" dell'immagine di Belgrado, alle quali si erano accompagnati provvedimenti volti ad una "ri-serbizzazione" dello spazio pubblico della capitale del nuovo stato5. Le prime misure simboliche in questo senso vennero prese appena dopo l'ingresso dell'esercito tedesco a Belgrado, già nel maggio 1941 venne ad esempio annunciato che lo Sport club "Jugoslavija" e Via Jugoslavia avrebbero cambiato nome6. Nell'arco di breve tempo, la quasi totalità dei riferimenti storici, culturali e geografici alla comunità slavo-meridionale furono eliminati dai nomi delle vie: dai protagonisti croati dello jugoslavismo come Franjo Rački e Frano Supilo, a città come Zagabria e Opatija, fino alla montagna slovena del Triglav. Anche i personaggi politici e militari riconducibili agli Alleati (da Woodrow Wilson a George Washington, da Georges Clemenceau a William Ewart Gladstone) lasciarono spazio ad una tradizione più strettamente serba7. Secondo i pochi studi relativi alla vita culturale della Belgrado dell'epoca, l'attività dei teatri e dei musei cittadini, i contenuti culturali promossi dalle esposizioni temporanee, dal cinema e dalla radio, partecipavano alla "rinascita nazionale"; anche se questa doveva rimanere comunque confinata negli spazi fisici e culturali concessi dal sistema di controllo dell'occupante nazionalsocialista8. Necessità politiche imponevano a Belgrado di assumere l'immagine che le competeva all'interno del nuovo sistema ideologico, nonostante questo mantenesse un approccio diffidente, quando non ostile, nei confronti delle realtà urbane9. Stevan Ivanić, medico, intellettuale e commissario del Ministero delle politiche sociali, tra i promotori degli ideali razziali in Serbia, scriveva:

La Belgrado di un tempo, grande e luminosa, ha costruito lo spirito nazionale serbo, essa possiede il nostro spirito nazionale[...]. Belgrado è divenuta la guida spirituale perché in essa quello spirito e

4 MILOSALJEVIĆ Olivera, Potisnuta istina: kolaboracija u Srbiji 1941-1944, Belgrado, Helsinški odbor za ljudska prava u Srbiji, 2006, pp.34-35.

5 L'abitato di Zemun, inglobato nello Stato indipendente di Croazia, subì invece una politica di "croatizzazione" forzata della toponomastica.

6 MILOSALJEVIĆ Olivera, Potisnuta istina: kolaboracija u Srbiji 1941-1944, cit., p.35. 7 Cfr. Ulice i trgovi Beograda, Belgrado, Biblioteka grada Beograda, vol 1-2, 2004-2005.

8 MANOJLOVIĆ-PINTAR Olga, "Kulturni život u Beogradu u vreme nemačke okupacije 1941-1944. u svetlu pisanja beogradske štampe", Godišnjak za društvenu istoriju, n.1, 1994, pp.77-90.

9 Sul tema vedi RISTOVIĆ Milan, "Izopačeni grad u ideologiji srpskih kolaboracionista (1941 – 1945)", Nova srpska politička misao, n.1-4, 2004, pp. 67-81.

quell'anima sono stati costruiti e coltivati dai serbi di tutte le terre serbe[…]. A quei valori della cultura nazionale ha dato di più Belgrado che qualunque altra nostra città, perché la Serbia ha alimentato Belgrado razzialmente, etnicamente e spiritualmente10.

Secondo tale interpretazione, dopo il 1918 e la fondazione dello Stato jugoslavo la città era diventata "estranea allo spirito della nazione", rendendosi colpevole di aver dimenticato "la storia etnica e razziale del proprio popolo". Era quindi giunto il tempo che muovesse decisi passi verso la necessaria "guarigione"11.

L'evoluzione del conflitto portò invece alla deposizione del regime collaborazionista di Nedić ed all'insediamento a Belgrado del Fronte popolare di liberazione guidato dal Partito comunista. La città prebellica era in parte sparita sotto i bombardamenti e nel corso delle operazioni belliche, che finirono per distruggere o danneggiare quasi il 40% degli edifici della città12. Di fronte al nuovo governo si presentava uno spazio urbano che offriva quindi la possibilità di una profonda riorganizzazione delle proprie direttrici semantiche. La ricostruzione postbellica si poteva tradurre in un'operazione sostanzialmente politica, sfruttando la parziale destrutturazione delle mappe mentali della popolazione e di quel complesso di riferimenti semantici visuali che di fatto costruiscono l'idea di città. Belgrado condivideva la sorte di molti centri urbani dell'Est Europa, le cui distruzioni dovute alle occupazioni e liberazioni rappresentavano il punto di partenza per la rinegoziazione delle immagini cittadine e l'adeguamento ai nuovi contesti politico-ideologici che andavano affermandosi. A Belgrado, nello slancio veicolato dal discorso pubblico post-bellico risultava centrale l'idea che alla costruzione della "nuova immagine" della città dovesse farsi partecipe e protagonista tutta la cittadinanza13, la direzione politica rimaneva tuttavia saldamente le mani nel Partito comunista della Jugoslavia.

Nonostante i chiari riferimenti di Tito e della dirigenza comunista ai significati di Belgrado e della sua liberazione per tutti i popoli jugoslavi, diversi indizi suggeriscono come inizialmente la riappropriazione della città venisse intesa soprattutto come un evento che riguardava solamente la popolazione serba. Come in altri contesti del teatro bellico jugoslavo, il carattere patriottico locale della guerra di liberazione guidata dai comunisti aveva un valore

10 IVANIĆ Stevan Z., "Stari i današnji Beograd", Naša borba, 4 gennaio 1942; riportato in MILOSALJEVIĆ Olivera, cit., pp.200-201.

11 Ivi.

12 MITROVIĆ Momčilo, "Beograd 1944-1950: neki aspekti društvenog života", Istorija 20. veka, 2000, vol. 18, br. 1, p.91-92.

centrale in quanto doveva "competere" con il patriottismo "di facciata" di "traditori" e "collaborazionisti". È interessante notare al riguardo come la lettera inviata dai "cittadini di Belgrado" a Tito il 21 ottobre 1944, e pubblicata dal quotidiano Politika, mantenesse dei toni quasi esclusivamente serbi sia rispetto alla città che alla sua liberazione:

La Belgrado serba [srpski Beograd], capitale della Jugoslavia libera, liberata dall'occupazione fascista grazie agli eroici sforzi dell'intrepido esercito popolare di liberazione, delle intrepide formazioni partigiane jugoslave e della gloriosa Armata rossa, ti invia, come comandante supremo, ardenti saluti, ringraziamenti e ammirazione per averla liberata dai rabbiosi secolari nemici del popolo serbo e vendicato Kragujevac, Kraljevo, Jajince e gli innumervoli altri massacri nel nostro paese14.

La città, d'altra parte, aveva già assunto da un punto di vista istituzionale anche il ruolo di capitale della Repubblica popolare di Serbia, come unità statale federata della "nuova Jugoslavia". Esattamente un anno dopo, già proclamato lo Stato unitario, tale impostazione ritrovò un certo spazio d'espressione nell'ambito dei festeggiamenti per il primo anniversario della liberazione della città. Venne deciso di recuperare nonostante l'anno di ritardo la celebrazione della ricorrenza dei cento anni della fondazione del Museo nazionale, primo museo della storia serba risalente al 1844; un evento che veniva caricato di particolari connotazioni patriottiche serbe15. L'esposizione celebrativa organizzata per i due anniversari congiunti venne dedicata alla "pittura serba del XVIII e XIX secolo" e, come testimoniato dal discorso di inaugurazione, era volta ad integrare idealmente la recente liberazione della città nel Secondo conflitto mondiale nella narrazione storica della lotta per l'affermazione nazionale, culturale e politica16. Belgrado, uscita dal conflitto, tendeva in sostanza a riassumere, per quanto parzialmente, le proprie prerogative di centro di riferimento del popolo serbo.

Tuttavia, a partire dai primi giorni successivi alla liberazione di Belgrado, la topografia della memoria che contraddistingueva il paesaggio urbano di Belgrado ed i relativi significati simbolici subirono una forte influenza dalla connotazione ideologica molto precisa. Nella piazza principale della città, di fronte al monumento ottocentesco al principe Mihailo e all'edificio del Teatro nazionale, pochi giorni dopo la liberazione venne eretto il primo

14 "Oslobođeni Beograd drugu Maršalu Titu", Politika, 28 ottobre 1944, p.3.

15 Lettera del Museo Nazionale al Ministero dell'Educazione, 9 luglio 1945, AS, fondo Ministarstvo Prosvete – Odeljenje za nauku, kulturu i umetnosti, br.4.

monumento della "nuova epoca", dedicato alla memoria dei caduti sovietici nella battaglia di Belgrado (Fig. 2). Un intervento di tale portata nel paesaggio urbano rappresentava tuttavia solo l'apice dell'invasione semantica in corso in città. Dopo la fine degli scontri, infatti, i caduti degli eserciti sovietico e jugoslavo erano stati seppelliti nelle vie e nelle piazze belgradesi; tuttavia la resa visuale della commemorazione nello spazio pubblico risultava molto sbilanciata a favore dei primi. Come evidenziato attentamente da Olga Manojolović-Pintar i numerosi monumenti ai caduti dell'Armata rossa, distribuiti in tutto il territorio cittadino, rappresentarono la massima espressione della sovietizzazione di Belgrado17. Anche se il principale centro celebrativo della "fratellanza" jugoslavo-sovietica sarebbe divenuto Batina – villaggio al confine con l'Ungheria che aveva ospitato uno scontro decisivo contro le forze dell'Asse – Belgrado incarnava nella narrazione ufficiale il luogo in cui i due eserciti avevano combattuto e vinto "fianco a fianco" la prima grande e importante battaglia. Come sottolineato in occasione della sepoltura di alcuni combattenti dell'Armata Rossa:

nelle vie di Belgrado si è mescolato il sangue dei nostri soldati e di quelli sovietici e con esso si è suggellata nel sangue la fratellanza e l'unita dei nostri popoli e di quelli sovietici. Perciò in questo luogo i cittadini di Belgrado promettono di conservare queste tombe come il simbolo della fratellanza e dell'unità dei popoli sovietico e jugoslavi18.

Nel dopoguerra l'intera vita pubblica e culturale belgradese si fece sempre più fortemente influenzare dalla stretta alleanza con Mosca. Manifestazioni sovietiche di diverso tipo assunsero una rilevanza primaria fin dai primi mesi del 1945, a guerra ancora in corso19. Il secondo anniversario del 20 ottobre, nel 1946, raggiunse un grado di sovietizzazione particolarmente marcato, tanto che l'insistenza sulla celebrazione dei liberatori russi e le commemorazione a loro dedicate nei luoghi più importanti del centro, determinarono il quasi totale oscuramento del ruolo degli jugoslavi20.Cisi rivolgeva completamente verso l'Unione Sovietica perfino nel momento in cui si ricordavano i propri caduti: "le madri dei nostri combattenti caduti si raccolgono qui, attorno ai ragazzi di altre madri, come attorno ai propri figli. Molte di esse, che non sanno delle tombe dei propri figli, hanno pianto sinceramente dal

17 MANOJLOVIĆ-PINTAR Olga, "«Široka strana moja rodnaja»", cit., pp.135-137.

18 "Dvanaest sovietskih tankista, palih u borbama za oslobođenje Beograda, sahranjeni su juče na Novom groblju", Politika, 6 giugno 1947, p.5.

19 MILIČEVIĆ Nataša, "Stvaranje nove tradicije. Proslave u Srbiji 1944-1950", Tokovi istorije, n.4, 2007, pp.170-171.

20 "Beograđani se sećaju oslobodilaca", Dvadeseti Oktobar, n.98, 20 ottobre 1946, p.14; "Dvogodišnjica oslobođenja Beograda proslavljena je svečanim akademijama u svim reonima", Borba, 21 ottobre 1946, p.3.

cuore di fronte a queste tombe come per i propri ragazzi21.

Al centro delle celebrazioni non si trovavano solo ricorrenze legate al contesto locale, come la liberazione della città, ma anche il calendario sovietico ufficiale che comprendeva ricorrenze come il 22 giugno, data dell'attacco tedesco all'Unione Sovietica, il Giorno dell'Armata Rossa (23 febbraio) e, naturalmente, l'anniversario della Rivoluzione d'ottobre, che nel 1947, in occasione del trentennale, vide una grande mobilitazione in città ed in tutto il paese22. Nelle piazze si organizzavano manifestazioni di massa a cui partecipavano sia i rappresentanti del governo federale jugoslavo, che quelli della repubblica serba e del governo locale, a cui si affiancavano in molti casi le rappresentanze diplomatiche dell'Unione sovietica e delle nuove repubbliche popolari est-europee. Anche la vita culturale in città venne sempre maggiormente influenzata dal potente alleato, come ampiamente testimoniato dalle celebrazioni per il decennale della morte di Maksim Gorkij nel 1946, che Belgrado onorò con concerti e una mostra commemorativa23. La capitale jugoslava era oltretutto sede della Društvo za kulturnu saradnju Jugoslavije sa SSSR-om [Associazione per la collaborazione culturale della Jugoslavia con l'URSS], agenzia di Stato responsabile degli scambi culturali tra i due paesi. Una parte importante delle attività proposte dall'ente si concentrava propriamente negli spazi pubblici della capitale e si traduceva in esposizioni tematiche, serate letterarie, lezioni pubbliche, concerti. Nel centro di Belgrado, sulle Terazije, venne aperta una libreria che offriva testi d'importazione sovietica, mentre diverse mostre celebrative del mondo sovietico sfruttarono spazi storicamente adibiti alla cultura autoctona, come quelli dell'Accademia serba delle scienze e delle arti o del padiglione artistico di Kalemegdan. La città rappresentava uno dei contesti privilegiati dalla propaganda e dalle campagne di sovietizzazione della Jugoslavia e, quantomeno in una prima fase, offrì una resistenza piuttosto morbida di fronte alle ambizioni egemoniche del potente alleato24.

Allo scopo di rafforzare il rapporto tra i due paesi veniva coltivato un forte legame simbolico tra le due capitali, Mosca e Belgrado. Appena pochi mesi dalla fine della guerra, nel novembre 1945, una mostra nel centro della città spiegò ai belgradesi come la città di Mosca

21 "Ne zaboravlja ih ni otađbina ni bratska zemlja za koju su poginuli", Politika, 24 febbraio 1946, p.5.

22 "Zapisnik sa sednica gradskog odbora Narodnog Fronta Beograda", 17 novembre 1947, AS, Fondo Centralni Komitet Savez Komunista Srbije - Komisija za masovne i drustvene organizacije, k.2; "Instrukcije u vezi sa proslavom 30-te godišnjice Oktobarske Revolucije" 13 dicembre 1947, AJ, fondo Centralni Komitet Saveza Komunista Jugoslavije - Ideološka komisija, k.2, VIII, II/ 1-b-49.

23 Dvadeseti Oktobar, n.81, 21 giugno 1946, p.7; cfr. MILIČEVIĆ Nataša, "Stvaranje nove tradicije", cit., pp.171-172.

24 MILORADOVIĆ Goran, Lepota pod nadzorom: sovjetski kulturni uticaji u Jugoslaviji: 1945-1955, Belgrado, Institut za savremenu istoriju, 2012, pp. 190-214.

rappresentasse il "simbolo della nuova vita" e come tutti gli jugoslavi la percepissero come "la propria enorme, potente, vasta città senza fine"25. Il rapporto di "fratellanza" tra le due città risultava inevitabilmente sbilanciato: non si trattava solamente del riconoscimento di un modello ["costruiremo Belgrado in modo che diventi come Mosca" si cantava negli anni della ricostruzione della città] ma si intendeva promuovere una forma di affezione da parte dei cittadini jugoslavi nei confronti della capitale sovietica. Il 6 settembre del 1947, Belgrado celebrò l'ottocentesimo anniversario della fondazione di Mosca con un evento centrale al Teatro nazionale, mentre celebrazioni correlate si tennero in tutti i distretti cittadini, nelle fabbriche e nelle diversi istituzioni. Il legame storico di Belgrado con Mosca venne così sentenziato in quell'occasione da Veljko Petrović: "Belgrado oggi più felice ed orgogliosa di ogni altra città al mondo saluta Mosca, la propria grande e saggia sorella da cui ha finora imparato e da cui imparerà anche da ora in avanti". La Mosca di Stalin era un punto di riferimento culturale e politico per tutti i popoli, ma si definiva una particolare continuità con i popoli slavi "più giovani", di cui era stata la guida nel corso di tutta la sua storia26.

Il rapporto tra l'URSS ed i paesi dell'orbita sovietica veniva quindi rafforzato anche attraverso l'esaltazione dei legami etnici presenti all'interno del mondo slavo. Francis Conte definisce il fenomeno "neoslavismo stalinista", riaffermatosi e rafforzatosi nel corso del secondo conflitto mondiale, sotto la pressione del drang nach osten tedesco27. Ed infatti l'Armata rossa veniva all'epoca esaltata più come "esercito di tutti i popoli slavi" che come il braccio armato del proletariato internazionale28. Dopo la guerra tale sistema di legami assunse degli importanti significati a supporto della politica sovietica nei confronti dei paese dell'Europa centrale ed orientale. Anche in Jugoslavia le nuove alleanze venivano legittimate e rafforzate attraverso una narrazione identitaria panslavista che proclamava la "fratellanza dei popoli slavi" e che poteva essere abbracciata anche da quelle porzioni di popolazione che erano estranee agli ideali comunisti29. La storica "madre Russia", diventava quindi protettrice degli jugoslavi anche nel socialismo reale30. Belgrado divenne nel giugno del 1946 sede del

25 "Kako Beograd gleda Moskvu", Politika, 19 novembre 1945, p.8.

26 PETROVIĆ Veljko, "Čast i slava Moskvi", MASLARIĆ Božidar, "Osamstogodišnjica Moskve", Dvadeseti Oktobar, n.145, 5 settembre 1947, p.1.

27 CONTE Francis, Gli Slavi. Le civiltà dell'Europa centrale e orientale, Torino, Einaudi, 1991, pp.550-560 [ed. originale: Les Slaves. Aux origines des civilisations d'Europe, Paris, Editions Albin Michel, 1986].

28 Vedi i festeggiamenti per l'anniversario della fondazione dell'Armata rossa, "Preko 100.000 ljudi učestovalo je u jućerašnjim manifestacijama po ulicama Beograda i na mitingu kod Kneževog spomenika", Borba, 24 febbraio 1945, p.1.

29 LILLY Carol, Power And Persuasion: Ideology And Rhetoric In Communist Yugoslavia, 1944-1953, Boulder, CO, Westview Press, 2001, pp. 83-84.

Comitato panslavo e centro delle attività culturali del movimento, nel dicembre dello stesso anno fu quindi eletta ad ospitare il primo congresso panslavo postbellico e le delegazioni provenienti da Unione Sovietica, Cecoslovacchia, Polonia, Bulgaria. Tra le motivazioni che giustificavano la scelta vi era anche il fatto che in Jugoslavia si trovano "cinque dei dodici popoli slavi"31. Il nuovo sistema di alleanze veniva quindi consolidato attraverso una legittimazione storica, come sottolineato in occasione di una visita di Stato polacca in città: