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Il bene giuridico tutelato.

L’UNTREUE TEDESCA: INTRODUZIONE E CENNI PROBLEMATICI.

5. Il bene giuridico tutelato.

Disquisizione a parte merita l’individuazione del bene giuridico, distintosi sin dalle prime battute della teoria generale del reato come uno dei momenti più qualificanti del processo ermeneutico della norma penale.

Va ricordato come fosse già Bricola, nel suo più famoso scritto93,

abbracciando la concezione di antigiuridicità sostanziale, a ricostruire il reato come “fatto lesivo di un valore costituzionalmente rilevante” che “il legislatore ha il dovere di tutelare penalmente nella sua dimensione costituzionale”.

Concentrando invece l’attenzione sullo speciale ambito dei reati societari, un primo punto da trattare è la transizione, attuata con la più recente riforma, della prospettiva di tutela dal capitale sociale (e le annesse riserve indisponibili) al patrimonio sociale94.

Prima della riforma del 2002 il panorama degli illeciti penali dedicati all’ambito societario offriva una tutela intensa e minuziosa del capitale sociale, e con esso delle riserve indisponibili, in dichiarata funzione di garanzia dei creditori sociali; meno acuta e spesso insufficiente quella invece approntata per il patrimonio sociale nel suo complesso95, da intendersi come l’insieme dei

rapporti giuridici economicamente valutabili e degli elementi patrimoniali facenti capo alla società perché acquisiti nel corso della gestione sociale ovvero a questa devoluti dai soci per la realizzazione dell’oggetto sociale.

Invero, nelle fattispecie che con la sfera di operatività della odierna infedeltà patrimoniale si voleva sostituire, segnatamente i previgenti artt. 2631 (Conflitto di interessi) c.c., 2624 c.c. (Prestiti e garanzie della società) e 2630,

93 Si intende BRICOLA F., Teoria generale del reato, in Nss. Dig. It., vol. XIX, 1973, p.

17, ora anche in Scritti di diritto penale, vol. I, tomo I, Milano, 1997.

94 Cfr. ROSSI A., Premesse ad uno studio sui reati societari, in AA.VV., Reati

societari, a cura di A. Rossi, Torino, 2005, p. 11.

95 Cfr. D’AVIRRO A. –MAZZOTTA G., I reati “d’infedeltà” nelle società commerciali,

comma II (Percezione illecita di compensi o partecipazioni)96, già si individuava

l’oggetto giuridico della norma nel patrimonio sociale inteso come l’interesse degli appartenenti alla compagine sociale “all’ottimizzazione, secondo criteri di economicità della gestione delle proprie risorse patrimoniali”97.

Si è visto però come il decreto legislativo rispondesse alle direttive di concentrazione e semplificazione della tecnica penale, nonché all’esigenza di elevare gli standard di offensività della norma, ribaltando lo stampo fortemente formalistico che improntava le fattispecie previgenti e concentrando l’arcipelago di microilleciti a tutela del capitale98 in dispositivi di più ampio spettro e

focalizzati massimamente sulla tutela del patrimonio sociale99.

Ed il discorso pare valere anche per il reato di infedeltà patrimoniale, come risultante dal riformato articolo 2634 del codice civile: non pare infatti irragionevole dedurre dalla configurazione del reato quale uno di evento, che questo sia posto a tutela del patrimonio sociale; è sul danno a quest’ultimo che trova ultima e concludente conferma quel disvalore espresso, nell’ambito della condotta, dalla situazione di conflitto di interessi e nelle diramazioni del dolo, specifico di profitto (od altro vantaggio) e intenzionale di danno100. Non è di

scarsa utilità ripetere che una tra le linee direttive cui si ispirava la riforma, espressa anche nella relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 61 del 2002, fosse proprio quella della maggiore adesione al principio di offensività, da realizzarsi attraverso la tipizzazione attenta e la precisa selezione delle sole

96 Cfr. MUSCO E., I nuovi reati societari, cit., p. 197; NAPOLEONI V., Prospettive di

riforma in tema di tutela penale del patrimonio sociale contro gli abusi dell’organo gestorio, in Le Società, 2000, p. 203.

97 Cfr. BELLACOSA M., Obblighi di fedeltà, cit. p. 103; cfr. anche FOFFANI L.,

Infedeltà patrimoniale e conflitto d’interessi nella gestione d’impresa. Profili penalistici, Milano, 1997 p. 29; Idem, Reati societari, in C. PEDRAZZI –A. ALESSANDRI –L. FOFFANI –S.SEMINARA –G. SPAGNOLO, Manuale di diritto penale dell’impresa, II ed., Bologna, 1999, p. 362; NUVOLONE P., Infedeltà patrimoniale, in Enc. dir., vol. XXI, Milano, 1971, p. 453.

98 Ci si riferisce qui ai previgenti articoli 2622, 2624, 2631, 2620 c. 2, n. 1, del

codice civile.

99 Cfr. D’AVIRRO A. –MAZZOTTA G., I reati “d’infedeltà”, cit., p. 32.

100 Cfr ALDROVANDI P., Art 2634, in AA.VV., I nuovi reati societari, a cura di

A.Lanzi e A. Cadoppi, Padova, 2002, p.133 per cui “ è fin troppo evidente che la fattispecie è volta alla tutela del patrimonio sociale, la cui lesione costituisce l’evento del reato, mentre la situazione conflittuale è il mero presupposto della condotta”.

condotte realmente lesive dei beni giuridici. Ciò considerato non pare un errore logico richiedere che proprio sull’elemento del danno sia misurata la incompatibilità dell’interesse rispetto a quello sociale101 tanto più ove si

consideri come proprio la citata relazione precisasse che la nuova infedeltà patrimoniale rispondeva all’esigenza “di protezione del patrimonio sociale contro gli abusi posti in essere da parte dei titolari dei poteri gestori”102.

Dalle considerazioni ora svolte può dunque concludersi che l’interesse di rango costituzionale assunto ad oggetto privilegiato di tutela dell’art 2634 cc. è il patrimonio sociale103; ancora meglio, l’infedeltà per storia e scopo, al di là di

talune incongruenze della formulazione cui si farà cenno più avanti deve considerarsi la principale figura dei nuovi reati societari a tutela di tale bene104.

In parallelo bisogna poi prendere atto dell’avvenuto affievolimento della tutela del capitale sociale, riconducibile, nella versione riformata del titolo XI del libro V, ai soli articoli 2626 c.c., 2627 c.c. ( che costituisce, si noti, una ipotesi contravvenzionali), 2628 c.c. e più in particolare all’art 2632 c.c. (Formazione fittizia del capitale), che ad oggi rappresenta la principale tutela del bene giuridico in questione. Un tale affievolimento si osserva su di un duplice profilo;

101 Cfr. ACQUAROLI R., Alcune osservazioni sul reato di infedeltà patrimoniale alla

luce del nuovo diritto societario, in AA.VV., La riforma dei reati societari, a cura di C. Piergallini, Milano, 2004, p. 170.

102 Cfr BELLACOSA, Obblighi di fedeltà, cit., p. 105.

103 La centralità degli interessi patrimoniali è anche nella storica ricostruzione del

NUVOLONE; Cfr. anche CORVI P., Parte civile e nuovi reati societari, in AA.VV., I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di A., Giarda e S. Seminara, Padova, 2002, p. 719; ROSSI A., Illeciti penali e amministrativi in materia societaria, Milano, 2012, p. 13, che aggiunge in alternativa e “relativamente ai beni posseduti od amministrati per conto di terzi”, la “ricchezza da essa disponibile” e in via parallela “il dovere oggettivo di correttezza, di affidabilità e di fedeltà che non deve portare l’organo gestorio a strumentalizzare l’ufficio per fini privati”; Così anche SANDRELLI G., Artt. 2634 e 2635 c.c., in Codice commentato delle nuove società, Milano, 2004; Contrariamente GIUNTA, Lineamenti di diritto penale dell’economia, II° ed., Torino, 2004, p. 291 il quale ritiene che, in caso di danno ai terzi, chi sopporta il risarcimento è in realtà il patrimonio sociale da ritenersi indirettamente pregiudicato; v. anche FOFFANI L., Le infedeltà, in AA.VV., Il nuovo diritto penale delle società, a cura di A. Alessandri, Milano, 2002, p. p. 356, che individua il bene giuridico dell’art. 2634 c.c. capoverso negli interessi patrimoniali dei terzi.

104 Cfr BELLACOSA, Obblighi di fedeltà, cit., p. 105; MUSCO E., I nuovi reati

societari, cit., p. 93; FONDAROLI D., Introduzione ai delitti di << infedeltà >>, in AA.VV., Reati societari, a cura di A. Rossi, Torino, 2005, p. 393.

da una parte sono state fortemente abbattute le sanzioni (nella maggior parte dei casi previste fino ad un anno) e la loro concreta applicazione resa difficile dal non infrequente impiego di cause estintive del reato (si pensi alla ricostituzione del capitale di cui all’articolo 2627 comma secondo c.c., la ricostituzione del capitale sociale o delle riserve ex articolo 2628, comma terzo c.c., ed il risarcimento del danno ai creditori di cui al secondo comma dell’art. 2629 c.c.). dall’altra una tale tutela del capitale sociale pare essersi più propriamente convertita nella tutela del patrimonio dei creditori, e più nello specifico nella tutela dei diritti di credito alla cui soddisfazione la conservazione del capitale sociale è diretto.

Attenta dottrina ha messo però in luce come la così svigorita difesa approntata dall’ordinamento per il capitale sociale non debba ritenersi svanita nel nulla, ma, a seguito del superamento del manicheismo patrimonio- soci/capitale-creditori cui il panorama dei reati societari ante riforma era improntat105, può dirsi anzi pienamente ricomparsa all’interno di quel

patrimonio sociale che è primo obiettivo di tutela del titolo XI in parola: il patrimonio, oggetto dei riformati illeciti penali societari, è non solo il “corpo” della società che in esso si identifica, ma, insieme, garanzia per i soci (che del patrimonio sono i titolari economici), e soprattutto, per i creditori sociali.

Conseguentemente il reato di infedeltà andrà ritenuto altresì primo protagonista anche nella tutela di quest’ultima categoria di soggetti.

Un secondo punto da trattare può essere il tema della fedeltà.

Non deve confondere la suggestiva rubrica, da ritenersi invece evocativa di un decennale dibattito che teneva, come non di rado avviene nella letteratura giuridica italiana, a primo referente, la parallela esperienza tedesca; a tal riguardo, lo si è studiato106, non ha trattenuto la giurisprudenza costituzionale e

di legittimità dall’esclusione a tutto tondo della qualifica di bene giuridico, anche in oltralpe riservato tradizionalmente in via esclusiva al patrimonio.

105 D’AVIRRO A. –MAZZOTTA G., I reati “d’infedeltà”, cit., p. 36; più in generale sul

rapporto tra patrimonio sociale e capitale sociale cfr, anche AMATI E., Infedeltà patrimoniale in AA.VV., Reati Societari, a cura di A. Rossi, Torino, 2005, p. 402 e ss; FOFFANI L., Le infedeltà, cit. p. 357 e ss.; BELLACOSA, Obblighi di fedeltà, cit., p. 107.

Non di meno in Italia non sono poche le ragioni che suggeriscono per l’esclusione del bene in parola tra quelli presi a mira dalla norma.

In primo luogo, già sufficiente è da ritenersi il richiamo al patrimonio sociale tra i valori di rango almeno costituzionali che giustificano l’esercizio della forza penale; il patrimonio è infatti oramai un habituè tra gli interessi tutelati: è palpabile, dotato ossia di consistenza empirica e rilevabilità naturalistica, ed assicura un forte ancoraggio con i principi della costituzione107.

In secondo luogo, bisogna distinguere: ove vogliasi intendere fedeltà nel suo contenuto “emozionale”, non può nascondersi come la natura spirituale del bene fedeltà ne comprometterebbe in via irreversibile la “visibilità” nel suo ruolo di bene giuridico108, conducendo così ad un sostanziale naufragio della norma

nel mare magnum dei più disparati abusi giurisprudenziali.

Se invece ci si riferisce alla fedeltà come concetto normativo, questa si manifesta allora, a ben vedere, nell’adempimento di un obbligo il cui contenuto sostanziale sarà il bene giuridico che si deve avere a mira109.

Da ultimo, un siffatto concetto di fedeltà, differentemente dal patrimonio, che trova minuziosa disciplina in tutti i rami dell’ordinamento non da ultimo quello costituzionale, si presenta all’interprete “normativamente nudo”, come “ipostasi etica”, senza una qualsiasi base d’appoggio civilistica di riferimento.

D’altro canto non pare corretto omettere come già nei lavori preparatori numerosi fossero i riferimenti a beni giuridici più “volatili”, da affiancarsi al solido patrimonio, come, in via d’esempio , la “correttezza della amministrazione dell’impresa”110, ovvero la astratta “regolarità del mercato” che secondo la

relazione di accompagnamento rientra nel campo di tutela del diritto penale

107 Cfr. FOFFANI L., Infedeltà patrimoniale e conflitto d’interessi, cit., p. 33 per cui:

il patrimonio sociale è “dotato altresì, ai sensi degli artt. 41 e 42 Cost., di sicura rilevanza costituzionale, sia nel suo aspetto statico (patrimonio sociale come proprietà sociale), sia nella sua dimensione dinamica (patrimonio sociale come strumento per la realizzazione dello scopo sociale, cioè come mezzo per l’esercizio di un’attività economica diretta al conseguimento di un utile patrimoniale); Cfr. anche BELLACOSA, Obblighi di fedeltà, cit., p. 104.

108 Cfr, sempre BELLACOSA, Obblighi di fedeltà, cit., p. 104.

109 Non diversamente avviene nell’ordinamento tedesco, in cui l’affidamento

costituisce appunto l’obbligo di generale cura del patrimonio altrui.

110 Cfr. la relazione del deputato Pecorella, sul D.L. 1137 (poi l.del 366/2001) in

dell’economia. Con ciò si vuole lasciare intendere che il legislatore non pareva del tutto ostile, neanche per il “freddo” ambito societario, ad un arricchimento “spirituale” della tavolozza dei beni giuridici, anche se solo in chiave strumentale rispetto ai patrimoni che compongono l’economia nazionale.

Terminando sul punto, deve così concludersi che se all’ infedeltà non può riconoscersi dignità di bene giuridico, questa delinea però la particolare modalità con cui si realizza l’offesa al patrimonio111, costituendo più propriamente un

elemento strutturale della condotta112.

Dall’individuazione, poi, del patrimonio, come esclusivo oggetto di tutela della infedeltà patrimoniale discendono taluni corollari, che meritano di essere riportati. E’ sulla lesione del patrimonio che andrà valutata la portata offensiva, e dunque la meritevolezza della pena della condotta.

In primo luogo, per quanto attiene la situazione in cui l’atto dispositivo ovvero la delibera deve inserirsi, scilicet il conflitto di interessi, questo consiste, lo si vedrà nel sacrificio un interesse sociale ed uno extrasociale: ora, se tra i termini del conflitto l’interesse sociale è senza dubbio uno “di ordine patrimoniale” alla conservazione del patrimonio e al conseguimento del massimo utile113, il secondo, ossia l’interesse extrasociale per la cui realizzazione

è necessario un sacrificio patrimoniale per la società, dovrà non di meno essere suscettibile di una valutazione economica oggettiva.

Il rischio sarebbe quello di mischiare due codici tra di loro incompatibili, un interesse puramente soggettivo a sacrificio di uno oggettivo. L’altro

111 Nella dottrina tedesca: il concetto di Modalitätsangriff; v. retro, cap. II.

112 BELLACOSA, Obblighi di fedeltà, cit., p. 103, NUVOLONE P., Infedeltà

patrimoniale, cit., p. 453; FOFFANI L., Infedeltà patrimoniale e conflitto d’interessi, cit., p. 36; PEDRAZZI C., Gli abusi del patrimonio sociale ad opera degli amministratori, in Riv. it. dir. proc. pen., 1953, p. 577; ad una pari conclusione bisogna, poi, giungere anche per il recentemente riformato articolo 2635 c.c. ad oggi rubricato “Corruzione tra privati”, in cui trova espresso richiamo un “obbligo di fedeltà” la cui violazione qualifica la condotta.

113 PEDRAZZI C., Società commercIali (disciplina penale), in Dig. Pen. , vol. XIII,

Torino, 1993, p. 390; ALDROVANDI P., Art 2634, cit., p. 134 per cui “oggi il carattere patrimoniale dell’interesse sociale trova peraltro una conferma nella struttura della fattispecie in cui il danno patrimoniale costituisce l’evento, sul quale si incentra quindi il momento offensivo della fattispecie”.

vantaggio114 se non è monetario non di meno deve essere suscettibile di

valutazione in termini economici115. Inoltre è l’intenzionalità di danno, che

richiede che l’interesse incompatibile che motiva il compimento o il concorso alla deliberazione dell’atto dispositivo contenga in nuce una diminuzione patrimoniale a carico della società116.

Dalla individuazione del patrimonio quale bene giuridico esclusivo dell’infedeltà si impone poi una lettura “economica” dell’art. 2640 c.c contenente la circostanza attenuante da applicarsi a tutti i “fatti previsti come reato dagli articoli precedenti” tra cui anche l’art. 2634 c.c., consistente nell’aver “cagionato un’offesa di particolare tenuità”. Discusso a tal riguardo il rapporto tra la circostanza attenuante speciale in parola e quella comune 117 ;

dall’interpretazione qui proposta pare però doversi concludere per l’assorbimento in ragione della specialità.

Da ultimo, e con riguardo alla procedibilità a querela, non potrà evitarsi di individuare la persona offesa in “quella a cui riesce riferibile il danno patrimoniale intenzionalmente cagionato dagli autori dell’illecito e, dunque, anche un estraneo alla compagine sociale.

Questo è inevitabile per i casi di cui al comma secondo dell’art. 2634 c.c.. Discusso è invece se possano considerarsi persone offese i creditori sociali: la risposta al quesito non può non essere positiva se si abbraccia la teoria per cui la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale costituisce prima garanzia anche per questa categoria di soggetti: conseguentemente il reato di infedeltà appronterebbe nei loro confronti una tutela diretta e non solo strumentale.

114 Peraltro introdotto dalla riforma innovando il precedente progetto della

commissione Mirone.

115 Diversamente ALDROVANDI P., Art 2634, op. loc. ult. cit., che partendo

dall’inserimento nel dispositivo della forma “altro vantaggio” deduce che il legislatore abbia volito “ chiarire, esplicitamente, la possibilità che l’agente agisca per il perseguimento di un’utilità di carattere non economico”.

116 FOFFANI L., Reati societari, cit., p. 366., che allo stesso modo imposta la

situazione in parola come un “conflitto tra interessi obiettivamente valutabili e riferiti ad entità economicamente valutabili”.

117 Cfr FONDAROLI D., La circostanza attenuante e la misura di sicurezza

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