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La riforma del diritto societario: il d.lgs n 6 del 2003.

L’UNTREUE TEDESCA: INTRODUZIONE E CENNI PROBLEMATICI.

2. La riforma del diritto societario: il d.lgs n 6 del 2003.

Benché non poche, in sede di riforma dei reati societari, fossero le voci tese al restauro di una dignità dogmatica per il diritto penale, non può rifiutarsi un richiamo agli istituti di diritto civile: il traguardo della completa indipendenza del diritto penale è lontana oltre che sconveniente, specialmente con riguardo ai reati come quelli omissivi, che risentono della loro natura squisitamente normativa.

L’interdipendenza teorica è tanto più forte per la materia societaria, popolata per lo più da artifici giuridici che costituiscono, più che la mera scena del crimine, il presupposto funzionale per la commissione delle figure criminose riconducibili alla categoria.

Non pare dunque inutile ripercorrere, senza pretese di completezza, il nuovo diritto delle società commerciali, dalle cui nuove direttive informanti possono e devono trarsi autorevoli suggestioni anche per gli interpreti della materia penale: il nuovo rapporto tra controllo e gestione, su cui si snoda il problema della corporate governance, trasfigura la responsabilità civile dell’amministratore e, per conseguenza, estende i suoi effetti altresì sull’atteggiarsi della responsabilità penale31.

La riforma del diritto societario avveniva con decreto legislativo n. 6 del 17 gennaio 2003 - in vigore dal 1° gennaio 2004 -, succedendo di un anno alla riforma dei reati societari. L’intervento completava nel diritto commerciale quell’opera di innovazione i cui obiettivi e le cui linee direttive già si erano ampiamente denudate in tema di società quotate, con la introduzione del TUF32

avvenuta con decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.

31 Si veda MONTALENTI P., L’amministrazione sociale dal testo unico alla riforma

del diritto societario, in Giur. comm, 2003, I, p. 424; CALANDRA BUONAURA V., I modelli di amministrazione, cit., pp. 535 e ss.

32 Nonostante non sia intervenuto direttamente sul consiglio di amministrazione,

talune modifiche al collegio sindacale già disegnavano novi contorni per le posizioni di obbligo gravanti sugli amministratori; si pensi all’art. 150, I comma,

In via introduttiva va fatto cenno alla “inversione cronologica” tra riforma di diritto penale delle società e riforma del diritto societario, che ha prodotto un duplice nocumento: da una parte si è richiesto alla disciplina penale una “cieca veggenza” rispetto al successivo mutamento degli istituti civilistici, dall’altra si vincolava la riforma del diritto commerciale, a meno di non voler rinunciare, come pare si è fatto, a praticare un adeguato raccordo sistematico tra le due branche in questione.

Procedendo nell’analisi, novità centrale della riforma è sicuramente il nuovo sistema “tripolare” dei modelli di gestione per cui è possibile optare nella società per azioni.

La scelta dei modelli era intesa nella direzione del rafforzamento di quell’ “ampliamento dell’autonomia statutaria” che figura in prima linea tra le direttive espresse in legge delega per la riforma, assieme alla attenta separazione tra controllo sull’amministrazione e controllo contabile e la predisposizione di un “assetto organizzativo idoneo a promuovere l’efficienza e la correttezza della gestione dell’impresa sociale “33: va notato che una così vasta gamma di opzioni,

già risalente ad espressa previsione della legge delega34, rimane ancora un

unicum fra gli ordinamenti delle democrazie industriali avanzate, e specialmente con riguardo al poco impiegato sistema monistico ha suscitato le perplessità di quella parte della dottrina che in questa ha visto una “operazione monstre non sufficientemente meditata”35.

all’ art. 149, I, lett. c), e all’art. 150, III comma; sul punto si veda MONTALENTI P., L’amministrazione sociale, cit., pp. 424 e 425 che tra gli interventi prodromici alla riforma al vaglio ricorda la Raccomandazione Consob del 20 febbraio 1997, il regolamento Consob 119-71 del 1999, nonché codice di autodisciplina per le società quotate del 1999.

33 Così la l. 3 Ottobre 2001, n. 366, di “delega al governo per la riforma del diritto

societario”, all’ art 4, II, lett. a).

34 Ibidem, art. 4, VIII, lett. d).

35 Si veda BUONOCORE V. Le nuove forme di amministrazione nelle società di

capitali non quotate, in Giur. comm., 2003, I, pp. 392 e 395. Si rammenti che ,anche prima della riforma, sostanzialmente tripartita si presentava l’opzione degli assetti amministrativi, ma una tale tripartizione risentiva di una tanto rigido quanto irragionevole manicheismo tra società quotate e non quotate: “la società non quotata si caratterizzata per una disciplina indifferenziata, per la società a ristrettissima compagine sociale sino alle società aperte al mercato dei capitali ancorché non quotate”; così MONTALENTI P., L’amministrazione sociale, cit. p. 428.

Quanto invece maggiormente interessa ai fini della trattazione presente è la realizzata nuova centralità della figura dell’amministratore, i cui poteri e la cui autonomia decisionale escono fortemente rinvigoriti dalla riforma36.

Ciò anche a partire dalla affermazione di principio della competenza esclusiva dell’organo amministrativo sulla gestione di cui all’art 230 bic c.c., in cui è sancito che “la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale37.

La ratio della norma va individuata, da una parte, nell’obiettivo di escludere l’assemblea da scomode interferenze nei poteri gestori, evitando dunque una zona franca di impunità; dall’altra, in essa possono rinvenirsi le tracce di quella denunciata “posizione dottrinale ed imprenditoriale di ideologica avversione nei confronti del rito assembleare e di insofferenza verso il confronto assembleare che hanno caratterizzato il recente dibattito sulla funzione dell’assemblea38.

Parallelamente al ritrovato protagonismo dell’amministratore, si registra infatti una certa compressione delle competenze assembleari; basti pensare come nel sistema dualistico siano riservate al consiglio di sorveglianza i due momenti più “politici” e cruciali dell’attività sociale, segnatamente la nomina degli amministratori e l’approvazione del bilancio sociale.

Il sistema dualistico è però, va detto, una eredità dell’esperienza tedesca, tradizionalmente favorevole a sacrificare i poteri di intervento dei soci nel

36 Cfr. MONTALENTI P., Amministrazione e controllo nella società per azioni:

riflessioni sistematiche e proposte di riforma, in Riv. soc., 2013, p. 45; CALANDRA BUONAURA V., I modelli di amministrazione e controllo nella riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2003, I, p. 537.

37 Il riferimento è qui agli articoli 2410,I comma, 2365, II comma, 2443, III

comma, c.c.

38 V. CALANDRA BUONAURA V., I modelli di amministrazione, cit., p. 539 che

aggiunge come questo rappresenti però una “controtendenza rispetto al TUF che, con lo scopo di favorire l’attivismo degli investitoti istituzionali, ha salvaguardato e , in taluni casi accresciuto il ruolo dell’assemblea, e riveli un’impostazione istituzionalistica che si pone in chiaro contrasto con l’intento programmatico di ampliare gli ambiti dell’autonomia contrattuale”. Il diminuito ruolo dell’assemblea dei soci dimostra poi anche una forte “attenuazione della dipendenza deli amministratori dal socio di controllo”; così MONTALENTI P., Amministrazione e controllo, cit., p. 45 che, inoltre, porta l’esempio degli articoli 2393 bis, 2388, IV co., 2364, I co., 2391 I co., ultima parte, 2497 II e III comma, c.c..

generale interesse di massima ottimizzazione e speditezza della gestione sociale39.

Contrappeso di una siffatta manovra è per certo un aumento della responsabilizzazione degli organi amministrativi, effettuatosi da un lato con un ispessimento delle posizioni obbligatorie, dall’altro con la riacquisita nitidezza degli obblighi e doveri che fanno capo agli amministratori

Tra i principi espressi nel decreto di delega40, infatti, all’articolo 8 par. 4,

lett. g), assume ruolo portante nella definizione della nuova amministrazione sociale la disciplina dei “doveri di fedeltà dei componenti dell’organo amministrativo”; tali doveri di fedeltà devono, sempre per la legge delega, esprimersi “in particolare con riferimento alle situazioni di conflitto di interesse”: contro questa eventualità doveva soccorrere la precisazione “che essi sono tenuti ad agire in modo informato”, per il tramite di un generale e virtuoso scambio informativo che assicurasse la trasparenza della gestione specialmente nel caso delle deleghe amministrative (Cfr. art. 4, par. 8, lett.. a)41.

Il decreto delegato, nell’attuazione degli ora richiamati principi, si è rivolto in primo luogo alla riforma dei presupposti dell’azione di responsabilità. In via incidentale si nota che correttamente si è mantenuto invariata la responsabilità dell’amministratore ex artt. 2393 bis e 2394 bis c.c. per gli atti compiuti su espressa autorizzazione della maggioranza dei soci, rimanendo l’azione di responsabilità concessa anche ad una stretta minoranza dei soci42.

39 Sul punto si veda CALANDRA BUONAURA V., I modelli di amministrazione, cit.,

p. 537 e 540. Per assurdo la “copia” italiana del dualistik System appare più radicale dell’originale, nel sistema tedesco, infatti, il paragrafo 119, 2° comma dell’AktG prevede che l’assemblea su richiesta del consiglio si pronunci su questione attinenti alla gestione non prevedendosi autorizzazioni preventive del CdS sulle azioni; ai sensi del § 111, 4° comma, poi, il Vorstand ha facoltà di sottoporre a voto assembleare l’opportunità di determinate operazioni, in caso di mancata approvazione del consiglio di sorveglianza.

40 L. 3 Ottobre 2001, n. 366, in G.U. n. 234 dell’ 8 Ottobre 2001. 41 Cfr. BELLACOSA M., Obblighi di fedeltà, cit., p. 30.

42 Cfr. BUONOCORE V. Le nuove forme di amministrazione nelle società di capitali

Tra i mutati presupposti della responsabilità degli amministratori, di primo rilievo è la nuova natura della diligenza richiesta all’amministrazione43: il

previgente art. 2392 c.c. richiamava la diligenza del mandatario ex art. 1710 c.c.; il retorico ancoraggio alla vetusta diligenza del buon padre di famiglia, ha sollevato le lamentele di chi avvertiva le ristrettezze d’un tale “monolite” dogmatico, incapace di adattarsi alle molteplicità del fenomeno societario; già precedentemente alla riforma si registravano, peraltro, fenomeni distorsivi della giurisprudenza, nel tentativo di riavvicinare la diligenza del mandatario a quella professionale dell’art. 1176, 2° comma: quest’ultima pareva infatti un concetto più “plastico”, ed ossia meglio adattabile alla “maggiore o minore complessità dell’oggetto sociale, alla dimensione dell’impresa e a tutti gli elementi relativi alla natura delle attività esercitate”44.

L’odierno art. 2392, comma I, c.c. ha recepito in pieno le ora citate istanze di rinnovamento, sancendo che “gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze” , dove il richiamo alla natura dell’incarico pare un ovvio riferimento al frequente meccanismo delle deleghe gestorie45.

In conclusione, nell’ordinamento giuridico attuale, deve ritenersi esplicitamente richiamata la diligenza professionale nella valutazione inerente la responsabilità dell’amministratore: la ratio di una scelta siffatta è quella di stimolare la “professionalità” dei vertici gestori, sia in quanto protagonisti del mercato nazionale, sia come garanti dei soci più disinteressati, come è in genere il caso per gli investitori46.

43 Cfr. BUONOCORE V. Le nuove forme di amministrazione, cit., p. 405.

44 Cfr. MONTALENTI P., L’amministrazione sociale, cit. p. 437; BELLACOSA M.,

Obblighi di fedeltà, cit., p. 31.

45 Sul punto confronta MONTALENTI P., Amministrazione e controllo, cit., pp. 46 e

47, per cui la perizia non è richiesta nella diligenza dell’art. 2391 c.c., ma bisogna interrogarsi sulla convenienza di escluderla atteso che il giudizio sui profili di responsabilità segue comunque le linee di un business judgement rule per cui questa “potrà sorgere ove sia ravvisabile l’elemento soggettivo dell’illecito, contrattuale o extracontrattuale, e cioè il dolo o la colpa, ma non gli si potrà imputare il risultato negativo della gestione se non nel caso di operazioni assolutamente irrazionali”.

In secondo luogo alla soppressione della culpa in vigilando47 si è affiancato

un ispessimento delle posizioni obbligatorie48: tanto mediante una puntuale

mappatura dei poteri-doveri degli organi delegati (consigliere delegato e comitato esecutivo) 49, quanto con la corrispondente individuazione dei doveri-

poteri dei consiglieri deleganti50.

La diffusione della responsabilità dopo la riforma rimane limitata al solo caso del mancato impedimento dei danni: stabilisce infatti il già citato articolo 2392 che sono solidalmente responsabili gli amministratori che, “essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose”.

L’efficacia di una tale restrizione non può peraltro prescindere dalla parallela previsione, all’art. 2381, 6° comma, c.c., di un obbligo generale di agire in modo informato che assurge a “paradigma generale di comportamento del buon amministratore” e che “anche dalla legge delega si svela come il contenuto essenziale del suo dovere di fedeltà nei confronti della società” 51,. Ci si è mossi

in particolare nella direzione di una forte procedimentalizzazione dei flussi informativi52 che si svela al suo massimo nel caso del conferimento di deleghe

amministrative: a ciascun amministratore è infatti data facoltà di “chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società” (art 2381, 6° comma, c.c.).

47 Si è infatti sostituito il previgente art. 2392, 2° comma c.c. che prevedeva che

“in ogni caso gli amministratori sono solidalmente responsabili se non hanno vigilato sul generale andamento della gestione o se, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose”; cfr. BELLACOSA M., Obblighi di fedeltà, cit., pp. 32 e 33

48 A partire dai compiti del presidente del consiglio di amministrazione che per la

prima volta trovano espressa previsione nel nuovo articolo 2381 c.c., da cui appunto si evince che “il compito principale del presidente del consiglio è proprio quello di assicurare il contributo di tutto il consiglio alla gestione della società”; così BONELLI F., L’amministrazione delle spa nella riforma, in Giur. comm., 2003, II, pp. 706 e ss.

49 Si vedano i commi 1° n. 5); 3° e 4° dell’art. 2381 c.c..

50 Si vedano i commi 2°, 3°, e 4° dell’art. 2381 c.c.; cfr. BONELLI F.,

L’amministrazione delle spa , cit., p. 706.

51 Cfr. MONTALENTI P., L’amministrazione sociale, cit. p. 436

52 Cfr. MONTALENTI P., Amministrazione e controllo, cit., p. 44; il riferimento è

Da ultimo, tra le più rilevanti innovazioni della riforma va certo richiamata la nuova disciplina del conflitto di interessi, sul quale però si effettua un rimando al capitolo successivo53.

Si noti però come gli obblighi informativi e le situazioni di conflittualità degli interessi si intreccino tra di loro: la disciplina civilistica, più che rivolgersi alla repressione delle indebite intromissioni di interessi extrasociali nella attività gestoria, ha preferito coltivare la trasparenza della gestione, come mezzo preventivo contro le ipotesi di conflitto: l’obbligo di “universale” disclosure gravante sull’amministratore in riferimento ad ogni tipo di interesse, ed il conseguente obbligo di adeguata motivazione delle deliberazioni circa le operazioni sociali “macchiate” dall’interesse dell’amministratore dimostrano infatti “il ruolo centrale che il legislatore del 2003 ha inteso assegnare all’informazione e alla trasparenza sia come canone dell’agire del buon amministratore sia come strumento di “tracciabilità” dei comportamenti anche al fine della ricostruzione dei profili di responsabilità”54.

53 V. infra, cap. VI, par. 2.

3. Storia del dettato normativo: dal decreto EUROSIM alla Commissione

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