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Palermo MENZIONE D’ONORE

Il ritorno

Era sempre uguale quella spiaggia di sabbia fine a ridosso della piattaforma di assi di legno. I tavolini del bar stavano ancora posizionati a cerchio, come ogni stagione e ogni anno si ripeteva il rito dell’estate e dei turisti e i loro tristi affanni.

Da lì il mare era sempre più azzurro, potevi perderti tra le acque ed annegarci i tuoi pensieri. Potevi esplodere dentro il cristallo traspa-rente e riflettere tutta te stessa annegando fino in fondo all’abisso per cercare un castello inventato.

Eppure i bagnanti sembravano persi nelle loro materiali e banali azioni quotidiane, quasi fosse normale stare lì, come fosse ovvio se-dersi di fronte ad un tale scenario di pura bellezza. Venivano ogni anno per mostrare i loro corpi al sole e cercare riparo dai colpi dell’inverno sceso come una dura accetta sulla loro fragile esistenza.

Erano corpi giovani e freschi pronti a sbocciare alla luce del giorno, corpi maturi e disfatti spesso celati dietro coltri d’abitudini e gesti ripetuti, corpi ingenui, impauriti, spaventati, sicuri di sé, ostentati.

Seduta al suo tavolo Olga vedeva tutto, sola per la prima volta a rice-vere miliardi di sensazioni. I suoi occhi si posavano sui numerosi tu-risti che affollavano la piattaforma quel principio di agosto: una nuo-va ondata di gaudenti nuo-vacanzieri certamente.

Discorsi e conversazioni d’ogni tipo e quel cicaleccio la faceva volar via, verso altre realtà, diverse dalla sua storia di solitudine.

La solita mamma preoccupata per il bagno del figlio, o la coppia di fidanzati che litiga o la nonna che la nipote adolescente non rispetta mentre invano cerca di imporre la propria autorità. Eccoli lì, gli

in-Premio Accademico Internazionale di Letteratura Contemporanea L. A. Seneca – IV edizione 2020

– Mi avevi promesso, niente computer in vacanza, Andrea. Detesto vedere i tuoi occhi dentro lo schermo.

– Dovrei guardare te invece? Non mi hai neanche ringraziato per questa vacanza e per aver annullato il mio meeting a Parigi.

– Ho rinunciato anch’io a qualcosa per venire qui. Lo sai che mi aspettavano a Milano per quella conferenza.

Un bagliore di luce la colpisce. Dando lustro al suo volto. Ha i capel-li lunghi e neri ed un colorito particolarmente palcapel-lido forse anche per i diversi strati di protezione solare spalmati in fretta e furia per non far tardi a colazione e non provocare l’ira di lui.

Aveva voluto quella vacanza intensamente, il loro rapporto non va bene da tempo, l’ultimo tentativo, un ultimo viaggio in barca per riafferrare anni di amore. Lui non sembra così disperato, forse sta tentando di lasciarla andare. Come sarà senza di lui? Oppure è solo la paura di sentirsi sola che la spinge ad afferrarsi sempre più forte a quel tronco che la marea sta portando via?

La nonna sta gridando in lontananza. La nipote non vuole uscire dall’acqua. Molti bagnanti si voltano allarmati.

– Stai in acqua da ore, la mamma arriva nel pomeriggio e dobbiamo rientrare subito.

– Non ho nessuna intenzione di obbedirti, non sei mia madre.

– Non rispondere così a tua nonna, sono qui per te. Lo sai bene quan-to si preoccupi la mamma.

– Meno male che mamma torna più tardi!

– Me ne vado. Per quanto mi riguarda puoi tornare da sola.

– Non me ne frega niente, nonna.

– Vediamo se ritrovi la strada o non sei piuttosto capace di chiamar-mi col telefonino.

Era stanca d’essere offesa da sua nipote. Ma come andar via e la-sciarla lì? Non aveva animo. Avrebbe aspettato ancora un po’.

Olga proprio non si ritrova tra questi vacanzieri infelici capaci solo di sprecare il loro tempo. Se potesse parlare e spiegar loro l’importanza del tempo che fugge. A quest’ora lei e suo marito sta-rebbero senz’altro in acqua a rincorrersi sul fondo, unico ambiente capace di unire tutti al di là di ogni possibile divisione.

Premio Accademico Internazionale di Letteratura Contemporanea L. A. Seneca – IV edizione 2020

I colori e i giochi di luce riuscivano ad attrarli al punto da dimenti-carsi del resto del mondo e del trascorrere del tempo. Solo loro alla ricerca dei misteri più nascosti, a immaginare velieri naufragati in fondo al mare o castelli abitati da splendide sirene e magici tritoni.

Sì, la loro vacanza non poteva non svolgersi al mare, ogni anno senza eccezione. Si erano innamorati lì e avevano deciso di tornare ogni anno. Il ritorno sarebbe stata una conferma del loro amore.

Un amore senza figli, senza ricordi da lasciare, senza storie da rac-contare. A volte si sentiva come la protagonista di un racconto, una solitaria principessa imprigionata in un castello. Perché principessa era come lui la faceva sentire nonostante i segni del tempo e lo sguardo che non riusciva ad andare oltre l’orizzonte.

Principessa, sì, perduta in una storia senza tempo e senza spazio, una libellula leggera in cielo. Si sarebbe alzata.

Ancora agitata per la discussione Valentina sentì come una brezza gelida che le passava accanto.

– Hai sentito anche tu questa corrente d’aria?

– Sei pazza? Ci sono trenta gradi all’ombra. Valentina! Dove vai?

Doveva parlare con qualcuno, la sensazione di freddo era troppo for-te per essere ignorata e proveniva da quel tavolo vuoto, vicino il pa-rapetto prospicente il mare.

E fu proprio il barman a dirle che nessuno sedeva mai a quel tavoli-no, anno dopo anno. Era il posto preferito di Olga, una giovane ve-dova, morta annegata dieci anni prima.

Premio Accademico Internazionale di Letteratura Contemporanea

No, non te! È sciocco credere che tu possa tornare: queste cose capi-tano nei films.

Tu non verrai più, eppure, da quando sei andato via, sera dopo sera, sono tornata qui, nella pace di questo silenzio marino, ad aspettare, nella speranza di riuscire a capire perché tu non abbia voluto darmi ascolto.

Volevi un motivo! O meglio, tu dicevi: “Mi serve un motivo, un mo-tivo, anche semplice e riuscirò di nuovo ad andare avanti, riuscirò a risalire la china.”

Nel tuo animo si era installato un tarlo e, senza che te ne rendessi conto, pian piano ha roso la tua fibra. Sei disceso dal piedistallo nel quale gli anni ti avevano posto e ti sei annichilito psicologicamente:

anche il tuo fisico si é rimpicciolito.

Mi chiedevi a cosa ti servisse vivere. Gridavi che, per te, sarebbe sta-to meglio farla finita.

Non avevi voluto figli perché ti avrebbero distratto e io avevo accet-tato, ma mentre ti vedevo in quello stato avrei voluto lacerarti l’anima con una semplice domanda: cosa ti manca? Forse un figlio?

Ti avrei buttato in faccia il mio dolore per aver subìto, perché ti ama-vo, un accordo che non avevo mai veramente accettato. Ma conti-nuavo ad amarti e non volevo turbarti con la domanda se ti mancasse la presenza di un figlio.

Esigevi un tranquillante ma poi volevi il tuo adorato whisky perché pensavi che ti avrebbe dato la carica interiore e fisica che ti mancava.

“Dammi un motivo, e vedrai cosa sarò in grado di realizzare: tornerò a vivere!”

Un motivo? Chiedevo. E ti inquietavi perché non capivo.

Ora lo so, avevi ragione: io non capivo!