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Castrignano Del Capo (LE) SEGNALAZIONE DI MERITO

Se non qui, dove?

Quel giorno di fine settembre mio padre aveva davvero la luna storta. Sapeva che ormai gli rimanevano pochi giorni di quella vita da pescatore, che egli aveva condotto fino all’età di quasi ot-tant’anni. Era ancora intento a sistemare le nasse seduto sulla sco-gliera, vicino alla sua vecchia paranza che aveva chiamato “Libera”, quando mi avvicinai per cercare di fargli ritornare il buon umore.

– Ne hai ancora per molto, papà? – chiesi con finta noncuranza.

– Ne ho finché queste nasse non sono pronte per l’uscita di domani – mi rispose seccamente.

– Ma sei sicuro di voler uscire? Le previsioni portano maltempo per domani… – tentai di opporre timidamente.

– Verrà a piovere per pranzo. E io, per quell’ora, sarò già rientrato da un pezzo – precisò con il broncio.

–Va bene – mi arresi.

– È giusto che tu esca per l’ultima volta con la tua barca – continuai abbozzando un sorriso.

– Se non esco, niente pesca. E se niente pesca, niente pranzo! – mi rimbrottò con gli occhi fissi sulle nasse.

– Sì lo so, papà, è da quando sono piccolo che me lo ripeti. So che per te sarà difficile, almeno per i primi tempi. Ma vedrai che alla fine ti ci abituerai… – provai a tranquillizzarlo.

– La vita di città ha i suoi vantaggi, sai?... Finalmente starai al caldo, in una casa asciutta e confortevole… Non giova tutta questa umidità ai tuoi reumatismi… e poi, saperti qui tutto solo, dopo la morte di mamma… in quella casetta minuscola… ecco… non mi fa stare

Premio Accademico Internazionale di Letteratura Contemporanea L. A. Seneca – IV edizione 2020

– Quella casa minuscola che tanto disprezzi ha ospitato la nostra fa-miglia per almeno vent’anni e vi abbiamo vissuto tutti dignitosamen-te! – mi interruppe stizzito. Poi, moderando il tono della voce, con fare suadente, mi supplicò:

– Lasciami qui, figlio mio. Un pescatore non potrà mai separarsi dal mare. Non può farne senza. Sarebbe come morire anzitempo.

– Papà ne abbiamo già parlato ed è stato già deciso – risposi con to-no fermo.

– Tu verrai a vivere a Bari con me e mia moglie. Non puoi andare avanti così. E, soprattutto, non hai più l’età per fare il pescatore, per abitare da solo in riva al mare…

– Se non qui, Michelangelo, figlio mio, dimmi dove potrei abitare io?! Dove?! – mi interruppe con gli occhi lucidi.

– Con me, in città! Affianco ai tuoi cari – provai a persuaderlo.

Mio padre abbassò lo sguardo, mi voltò le spalle ed iniziò a caricare le nasse sull’imbarcazione senza dire altro.

Era triste. Triste e contrariato. Rammaricato di non essere compreso.

Io sospirai profondamente. Sapevo che per lui sarebbe stato un sacri-ficio enorme venire a vivere a Bari. Ma sapevo anche con non pote-vo più lasciarlo solo lì, in paese e permettergli di andare a pesca in mare aperto in qualsiasi periodo dell’anno. Non era più in grado, con i suoi acciacchi e l’età avanzata, di governare una paranza.

E anche quell’imbarcazione era ormai così malridotta da farmi stare sulle spine ogni volta che prendeva il largo.

“Sarà dura in principio”, pensai, “ma con la buona pazienza e con il nostro affetto si ambienterà ed accetterà la vita in città lontano dal mare, lontano da Libera.”

Il giorno seguente, alle tre del mattino, lo sentii già trafficare in cu-cina. Mi alzai lentamente, curando di non svegliare mia moglie e lo raggiunsi.

Aveva già preparato la borsa con la coperta, la bottiglia dell’acqua e il panino ed aveva indossato la sua scoloritissima giacca a vento blu.

– Sei sicuro che non vuoi un po’ di compagnia? – gli domandai sot-tovoce.

– Potremmo uscire insieme, come ai vecchi tempi – proposi affettuo-samente.

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– No, stai tranquillo, Michelangelo. Quest’ultima uscita la voglio tutta per me. E non state in pensiero. Prometto che al massimo per mezzogiorno sarò di ritorno – mi rassicurò.

–Come vuoi. Divertiti! – gli augurai sull’uscio di casa, assaporando sul volto la brezza settembrina.

– Disse il boia al condannato che fumava la sua ultima sigaretta… – rispose mio padre, mentre slegava le cime di Libera con la maestria di decenni di ininterrotta attività.

Per un po’ la paranza si lasciò trascinare dalla timida corrente mari-na, fino a che non venne inghiottita dal buio, sparendo dalla mia vi-suale. Rimasi in attesa di sentire accendere il motore e dopo rientrai in casa.

Mi risvegliai intorno alle nove, con una strana sensazione di males-sere dentro. Mi affacciai alla finestra e notai all’orizzonte un ammas-so di nuvole nere e minacciose, come un presagio funesto.

Verso le undici del mattino, d’improvviso, venne giù il finimondo:

lampi, tuoni, fulmini… pareva che si fossero aperte le cataratte del cielo, mentre un vento freddo di libeccio faceva ingrossare paurosa-mente il mare.

Provai a chiedere aiuto in paese, ma nessuno degli abitanti ebbe il coraggio di mettersi in mare con quel tempaccio.

– C’è solo da pregare che non succeda nulla di grave – disse Clau-dio, pescatore anch’egli e amico di vecchia data di mio padre.

– Aspettare e pregare.

Di Libera non si seppe più nulla. Il corpo senza vita di papà, invece, venne ritrovato riverso su una spiaggia della costa a tre chilometri a est del paese, due giorni dopo. Accanto a lui, sull’arenile rinvenni questa grossa conchiglia bianca, dalla quale non mi separo mai.

– Ecco perché la tieni sempre sul comodino – rifletté mia figlia acco-rata.

– Non essere triste, piccola mia – le sussurrai con dolcezza.

– Forse, doveva andare proprio così… Ascolta nella conchiglia – la

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– Ma se tendi bene l’orecchio, se presti bene attenzione riuscirai a sentire anche la voce del nonno che dice: Io sono qui. Sono sempre stato vicino al mare. Se non qui, dove?…

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