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Montescaglioso (MT)

iero Didio è nato a Montescaglioso in provincia di Mate-ra nel 1958. È laureato in Economia e Commercio presso l’Università di Bari e svolge la professione di consulente aziendale.

Appassionato di poesia ha pubblicato numerosi libri, tutti con la casa editrice Youcanprint di Tricase (LE).

In particolare: I tuoni di Monte Cupo (Albatros Il Filo di Roma in prima edizione); Magnificat nel 2012; L’ultimo priore nel 2014;

Pensieri e… Parole nel 2016 e Mille chilometri dal mare pubblicato nel 2018.

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Premio Accademico Internazionale di Letteratura Contemporanea L. A. Seneca – IV edizione 2020

MOTIVAZIONE

Storia di lusinghe irrealizzate e, tuttavia, a ben considerare, non di fallimento, d’uno dei tanti disperati senza volto che, inse-guendo l’illusoria chimera di sfuggire alla fatalità di un destino di miseria e di stenti, affidano al mare la propria vita, viaggiando sui barconi della speranza

Un racconto privo di patetismi ovvi e stucchevoli che si propone al lettore con una vicenda esempio di cruda maturità che procede sino in fondo, rigettando la disumanità, sia pure nell’accoglimento ardito della scelta decisionale più dura.

Uno stile letterario pulito, limpido scevro da equilibrismi letterari o inutili sovrastrutture linguistiche che svierebbero dal primario conte-sto emotivo, intenso, struggente doloroso, triste nella sua accreditata verità. L’accento sulle disuguaglianze sociali, le sofferenze degli ul-timi – primi per sostanza – accentua il contenuto intriso di sentimen-to spingendo a soffermarsi all’ombra di quell’ultimo albero, come oasi rigenerante nel deserto che incombe e ingoia la nostra umanità alla deriva.

Sull’intero testo aleggia in maniera prepotente la marcata disatten-zione al mondo intorno sottoscritta da un autore dotato di grande sensibilità.

Premio Accademico Internazionale di Letteratura Contemporanea L. A. Seneca – IV edizione 2020

L’albero

Albero, mostrami la strada.

La mia terra è lontana e lontana è la mia donna.

Albero, mostrami la strada, ma io non tornerò indietro perché qui so-no i miei giorni e qui porterò il mio amore.

In questa terra, nuova e sconosciuta, mi condussero i miei sogni e la mia gioventù; qui arrivai tre mesi fa a bordo di un lercio barcone, fe-tido di salsedine e di morte. Qui sono le mie gambe e le mie braccia, qui i miei passi tracciano solchi nella polvere acre, ma il mio cuore non è con me. La polvere che calpestai da bambino aveva un altro sapore. Qui ho scarpe e calze di lana grezza, ma questa polvere cor-rode i miei piedi.

Sogno ancora il capannone con le grandi finestre e le macchine luci-de luci-della foto che mi mostrarono nella capanna di mio padre: “Cerca-no operai come il pane.” Così mi aveva“Cerca-no detto, e mio padre vendet-te due mucche e tre capre per comprare la mia lusinga annegata tra le fredde onde di un mare disperato. Avevo paura e volevo tornare a ca-sa. Ma la mia illusione era stata pagata a caro prezzo e sbarcai su una spiaggia di cemento. Mi condussero in un recinto triste e spoglio co-me la mia anima straniera.

Il sole della Sicilia era caldo e amichevole e sfiorava la mia pelle ne-ra come una piuma leggene-ra, ma non mi rinfne-rancava.

Albero, mostrami la strada perché vicino alla mia capanna c’era un’acacia e mio padre mi aiutava ad arrampicarmi come un cucciolo di leopardo, ma ora non la vedo più.

Dall’alto dei suoi rami potevo vedere i cespugli spinosi della savana, potevo ascoltare in lontananza il ruggito del leone e lasciavo la mia anima libera di volare in quell’immenso.

Quando scavalcai il recinto la notte era nera e la luna amica si attar-dava oltre quel mare di pece. Camminai a lungo tra strade che non riconoscevo e cani che m’inseguivano, io ero il randagio.

Premio Accademico Internazionale di Letteratura Contemporanea L. A. Seneca – IV edizione 2020

Com’era dolce il miele che mia madre mescolava al latte di capra e che porgeva alle mie notti di bambino. Mi raccontava le storie della savana, storie di uomini e di animali, di spiriti buoni e di stelle cadu-te tra i sassi del deserto; storie portacadu-te dal vento dell’Est. E i miei oc-chi spalancati per la meraviglia non volevano dormire, ma cadevo tra le sue braccia e lì mi abbandonavo esausto e felice.

La mia donna era bella quando la lasciai. Aveva intessuto i suoi ca-pelli in piccole treccine lucide che scendevano dritte sul suo collo di gazzella. I suoi grandi occhi d’ebano avrebbero voluto entrare nei miei per vedere le cose che io avrei visto, per sorridere alla mia buo-na sorte o per piangere le mie lacrime.

Albero, mostrami la strada perché quando arriverà il mio amore io spazzerò via le spine e i sassi e lei camminerà a piedi scalzi senza fe-rirsi.

La giornata nei campi di pomodori è terminata e qualcuno nella ba-racca sta preparando la solita zuppa maleodorante con la miseria che il padrone ci ha lasciato in una busta di plastica sporca di terra, ma io stasera non mangerò.

La sera mi siedo sotto il mio grande albero, unico fedele amico da quando sono qui, e quando soffia il vento sento le sue parole sussur-rate nella notte.

Guardo le stelle e cerco il riflesso dei suoi occhi, ma la mia donna forse dorme oppure ora è la donna di un altro. Mio cuore, ti sento co-sì distante da non avvertire i tuoi palpiti, come se io vivessi senza il tuo pulsare; a chi hai regalato la mia vita?

Dicono che sono passati sei anni da quando sono arrivato qui e nulla è cambiato. La stessa schifosa zuppa tutte le sere, la stessa solitudine nelle viscere dei miei compagni e la stessa disperazione tinteggiata sui muri di questa baracca. Non riuscirò mai a portare qui la mia donna e ora sono stanco perché ho smarrito la mia speranza. Tutte le notti prego perché non ritorni il sole ad illuminare il mio fallimento, le mie illusioni infrante, la mia dignità calpestata tra le zolle aride di questa terra dura e nera come la mia pelle riarsa, ma domani non sarò nei campi di pomodori e il padrone non cercherà di me.

Mi hanno detto che oltre le colline c’è il mare; d’estate la notte è breve e devo affrettare il mio passo.

Premio Accademico Internazionale di Letteratura Contemporanea L. A. Seneca – IV edizione 2020

Albero, mostrami la strada perché stasera non mi siederò ai tuoi piedi per udire le storie che hai da raccontarmi, il vento le porterà lontano verso orecchie che non sanno ascoltare.

Le onde arrivano ai miei piedi e sento la sabbia che sprofonda sotto il mio passo incerto. La schiuma bianca s’infrange sulle mie gambe secche, ma non ferma i miei pensieri.

Vedo la luna lontana che rimbalza sull’acqua e colpisce i miei denti bianchi mentre cammino verso di lei. Quant’era grande la mia luna in Africa.

L’acqua è calda e invitante e mi richiama con il dolce sussurro della risacca. Domani non sarò nei campi di pomodori.

Potessi camminare sul fondo del mare porterei di nuovo le mie brac-cia a mio padre e i miei occhi a mia madre. Ma domani il mio corpo apparterrà al mare.

Sono stanco. La mia mente è già in quel mare nero che attraversai tempo fa e che ora mi adesca con una promessa di libertà.

Continuo a camminare mentre il mare mi abbraccia e mi avvolge con mille lusinghe suadenti.

Mi volto per un attimo a guardare quello che lascio: disperazione, inutile fatica e umiliazioni. Nel villaggio di mio padre ero un princi-pe, ora lascio le mie catene alle illusioni di chi domani dormirà sul mio cartone.

Sono finalmente libero e cammino di nuovo a testa alta.

Signore, mostrami la strada perché la mia notte è senza stelle.

Premio Accademico Internazionale di Letteratura Contemporanea L. A. Seneca – IV edizione 2020

3O CLASSIFICATO

Belvisi