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Un bilanciamento "sbilanciato"

Bilanciamento tra autonomia collettiva e libertà economiche

6. Un'analisi critica delle sentenze della Corte di giustizia europea

6.1. Un bilanciamento "sbilanciato"

Dopo aver affermato l'efficacia orizzontale degli artt. 49 e 56 TFUE, il passo successivo compiuto dalla Corte di giustizia europea è stato quello di riconoscere come diritto fondamentale il diritto di azione collettiva. Questo riconoscimento si fonda sull'interpretazione dell'art. 153.5 TFUE, il quale ricordiamo che nelle sentenze Viking e Laval è stato considerato come una norma che, nonostante non sia applicabile al diritto di sciopero, non permette a quest'ultimo di essere immune al diritto comunitario.

Questa interpretazione non è molto convincente, in quanto è condivisibile il fatto che ogni Stato dell'Unione debba rispettare il diritto comunitario nell'esercizio delle proprie competenze, ma questo non significa che la Corte possa imporre agli Stati le regole per esercitare tali competenze. Inoltre quando il diritto di sciopero è anche tutelato dalla Costituzione, la Corte nel momento in cui stabilisce le regole per il suo esercizio assume un ruolo che non le spetta, cioè di mediatore di valori costituzionali "interni"240.

Nell'interpretare l'art. 153.5 la Corte ha richiamato, inoltre, per analogia una serie di sentenze241. In realtà in queste ultime si era in presenza di materie che non rientravano nella competenza comunitaria solamente per il

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Villani U., I "controlimiti" nei rapporti tra diritto comunitario e diritto italiano, in Studi in onore

di Vincenzo Starace, vol. II, Editoriale Scientifica Napoli, 2008. In dottrina vedi anche Ingravallo I., La Corte di giustizia tra diritto di sciopero e libertà economiche fondamentali. Quale bilanciamento?,

in Vimercati A., Il conflitto sbilanciato, Bari, 2009.

240

Vedi Ballestrero M.V., ult. op. cit.

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fatto che non erano espressamente devolute alle competenze dell'Unione, in linea con quanto dispone l'art. 5.1 TCE, secondo il quale "la Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente Trattato". Invece la norma 153.5 esclude espressamente il diritto di sciopero tra le materie di competenza comunitaria. Se si considera che l'ordinamento dell'Unione europea non è originario, ma che deriva dall'attribuzione da parte degli Stati membri di competenze e poteri regolativi, sarebbe stato ragionevole ritenere questa esclusione come un mancato conferimento alla Corte di giustizia europea di poteri relativi al bilanciamento tra libertà economiche e diritto di sciopero regolato dagli ordinamenti nazionali. Quindi in questo modo sono solo gli Stati membri che hanno la competenza a bilanciare, attraverso gli equilibri interni previsti dagli ordinamenti nazionali, il diritto di sciopero con tutte le manifestazioni di libertà di iniziativa economica, incluse le libertà economiche fondamentali242.

La Corte inoltre equipara il diritto di sciopero sia a qualsiasi diritto sociale previsto da norme "ordinarie" di tutela del lavoro e sia ai diritti fondamentali della persona (tra cui rientrano le libertà economiche fondamentali). Entrambe le parificazioni sono da ritenersi inadeguate, in quanto lo sciopero, essendo stato riconosciuto come diritto sociale fondamentale, merita una tutela maggiore rispetto agli altri diritti di tutela del lavoro. Inoltre il diritto di sciopero in molti ordinamenti nazionali (tra i quali quello del nostro Paese) viene privilegiato rispetto alle libertà di iniziativa economica, allo scopo di creare un'eguaglianza sostanziale tra le parti del rapporto di lavoro243.

Si evidenzia però che la Corte non fa riferimento a nessuna nozione comunitaria di diritto di azione collettiva che si sovrapponga a quelle degli ordinamenti nazionali. Questo significa che questo diritto si inserisce tra i diritti fondamentali dell'Unione solo se è previsto nell'ordinamento nazionale,

242

Vedi Ballestrero M.V., ult. op. cit. e Carabelli U., Tutele del lavoro, diritto di sciopero e la libertà

di contrattazione collettiva tra identità nazionale e integrazione comunitaria, 2009. E' favorevole

invece alla posizione della Corte sull'interpretazione dell'art. 137.5 Sciarra S., Viking e Laval:

sciopero, contratto collettivo e libertà fondamentali nel mercato europeo, 2008.

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mentre se in quest'ultimo non è presente non si pone nessun problema di bilanciamento con le libertà economiche244.

Inoltre, riconoscendo il diritto di azione collettiva solo a condizione che rispetti il principio di proporzionalità, la Corte subordina i diritti fondamentali alle libertà economiche. In pratica in questo modo il diritto di sciopero può limitare le libertà economiche solo nei limiti in cui lo può fare un qualsiasi atto di diritto pubblico. Questa equiparazione tra azioni collettive e misure pubblicistiche non appare coerente con la natura stessa dell'autonomia privata, in quanto in ogni azione sindacale c'è sempre una determinante variabile di imprevedibilità degli effetti. Invece la Corte con le sentenze vuole predeterminare le azioni collettive come succede per le norme di diritto pubblico. Sostanzialmente affermare che l'azione sindacale non è giustificabile da "ragioni imperative di interesse generale" non è coerente con il ruolo del sindacato, il quale deve tutelare i lavoratori ad esso aderente e non soddisfare, come la legge, un interesse generale245.

Si evidenzia poi che l'affidamento al giudice di rinvio della valutazione sull'esistenza dei mezzi diversi dal conflitto che permettano di raggiungere il risultato contrattuale desiderato lasci ampi margine di discrezionalità.

Il bilanciamento affermato dalla Corte finisce con il configurare lo sciopero come ultima ratio per risolvere le controversie collettive. Questo porta a conseguenze per i sindacati nazionali e per i giudici che devono valutare la legittimità delle azioni collettive. In tanti ordinamenti sono previste dalla legge o dai contratti collettivi procedure arbitrali e di conciliazione che impongono vincoli procedurali all'esercizio del diritto di sciopero e quindi in questi casi il principio di ultima ratio è già espresso dal diritto interno, ma possono derivare responsabilità inedite in seguito all'inosservanza delle disposizioni interne. Per esempio una violazione di disposizioni procedurali

244

Vedi Orlandini G., ult. op. cit.

245

Vedi Angiolini V., Laval, Viking, Rüffert e lo spettro di Le Chapelier, 2008 e Vecchio F., Dopo

Viking, Laval e Rüffert: verso una nuova composizione tra libertà economiche europee e diritti sociali fondamentali?, 2010.

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nell'ambito dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, oltre a determinare conseguenze sul piano sanzionatorio previsto dalla legge potrebbe determinare nuove responsabilità per eventuali danni provocati all'impresa nel caso in cui lo sciopero leda la libertà di circolazione di quest'ultima. Invece quando gli ordinamenti nazionali non prevedono disposizioni legislative o contrattuali inerenti all'esercizio di sciopero non è possibile che il diritto comunitario possa imporre il principio di ultima ratio mancando i vincoli procedurali che devono essere rispettati246.

Un altro aspetto importante sancito nelle sentenze Laval e Viking è l'inglobazione dell'azione di collettiva nella contrattazione collettiva. Essa rappresenta una palese forzatura nel caso Viking in quanto l'azione collettiva era finalizzata innanzitutto a impedire che l'impresa cambiasse bandiera e, solo successivamente mirava a spingere la Viking a stipulare un contratto collettivo che conservasse i livelli di occupazione e i trattamenti retributivi previsti dal contratto finlandese247.

In ogni caso comunque sembra esserci una controversia piuttosto evidente nell'orientamento della Corte: mentre un contratto collettivo, stipulato volontariamente dalle parti, che regola condizioni di lavoro e di occupazione è sempre legittimo, un'azione collettiva finalizzata a far stipulare un contratto collettivo sulle medesime materie può essere valutata illegittima in quanto contrastante con le libertà economiche. Secondo il ragionamento della Corte, infatti, "lo sciopero altera la volontarietà delle relazioni contrattuali tra le parti"248. Questa posizione è nettamente in contrasto con la miglior dottrina gius-sindacale europea nei paesi occidentali che si è sviluppata dal secondo dopoguerra, secondo le cui teorie lo sciopero per fini contrattuali non può mai essere ritenuto come un'azione di pressione la cui legittimità debba essere valutata in base alla compatibilità tra le rivendicazioni di miglioramento delle condizioni di lavoro e l'esercizio della

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Vedi Orlandini, G., ult. op. cit.

247

Vedi Ballestrero M.V., ult. op. cit.

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libertà di iniziativa economica. Invece la Corte sostiene che le imprese non debbano subire azioni collettive finalizzate a ottenere risultati contrattuali che limitino eccessivamente le libertà economiche fondamentali; tutto questo a prescindere che agli imprenditori spetti o meno la possibilità di opporsi allo sciopero in modo equivalente, cioè attraverso la serrata. Questo orientamento evidenzia l'atteggiamento ostile della Corte verso il conflitto sindacale.

In base a queste considerazioni viene da chiedersi che tipo di democrazia sindacale ed economica garantistica il diritto comunitario, considerando il fatto che il sistema volontaristico è messo a rischio dall'esercizio del diritto di sciopero per fini contrattuali, i cui contenuti rivendicativi sono assoggettati a un controllo istituzionale. Correlativamente ci si chiede se sia corretto che la libertà di organizzazione sindacale e di contrattazione collettiva possano essere sottoposte a un controllo sui contenuti dell'azione rivendicativa da parte della Corte. Il diritto di associazione rientra nell'art. 153.5 TFUE e quindi questo tipo di controllo sembra un'invadenza comunitaria non giustificata249.

Tutte queste considerazioni hanno spinto più autori a definire il bilanciamento operato dalla Corte di giustizia europea, come bilanciamento "sbilanciato", nel quale emerge una tendenza a favorire i principi economici rispetto ai diritti sociali250.

6.2. La discutibile interpretazione della direttiva sul distacco