Bilanciamento tra autonomia collettiva e libertà economiche
6. Un'analisi critica delle sentenze della Corte di giustizia europea
6.2. La discutibile interpretazione della direttiva sul distacco dei lavorator
Nella sentenza Laval assume un ruolo centrale l'efficacia orizzontale attribuita alla direttiva 96/71: viene in pratica riconosciuto al datore di lavoro, nei confronti del quale è stata attuata l'azione collettiva, di invocare le disposizioni della direttiva, non semplicemente per richiedere di disapplicare
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Vedi Carabelli U. ult. op. cit.
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Di bilanciamento "sbilanciato" parla in particolare Ballestrero M.V. in Europa dei mercati e
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una norma statale in contrasto con la direttiva, ma per censurarne l'errato recepimento del sindacato. Questo significa che la direttiva fa sorgere obblighi direttamente in capo ai soggetti privati251.
Innanzitutto ricordiamo che nella sentenza Laval (e successivamente nella sentenza Rüffert) la Corte ha affermato che in base all'art. 3.1 della direttiva il Paese dell'Unione ospitante, secondo le modalità previste da quest'ultima disposizione e dall'art. 3.8, può imporre, in materia di retribuzione, alle imprese transnazionali fornitrici di servizi che distacchino i lavoratori sul proprio territorio, solo i minimi salariali. Di conseguenza, secondo i giudici di Lussemburgo, una trattativa caso per caso prevista dai contratti edili svedesi non poteva essere imposta dal Paese membro ospitante (cioè dalla Svezia) alle imprese stabilite in altri Paesi comunitari, in quanto le retribuzioni che ne scaturiscono non sono minime e nemmeno fissate attraverso le modalità statuite dagli artt. 3.1 e 3.8 della direttiva.
Inoltre nella stessa sentenza (e in quella Rüffert) i giudici di Lussemburgo hanno sancito che l'art. 3.7 va interpretato nel senso che non permette allo Stato ospitante di imporre condizioni di lavoro e di occupazione, ai lavoratori distaccati, più favorevoli di quelle previste dall'art. 3.1, ma solo nel senso che attribuisce il diritto ai lavoratori distaccati di mantenere le eventuali condizioni di lavoro e di occupazione di cui già beneficiano nel proprio Paese membro di origine.
Entrambe le affermazioni della Corte di giustizia europea sarebbero condivise nel caso in cui quest'ultima si riferisse solamente a provvedimenti imposti autoritativamente dai Paesi comunitari. Invece lascia perplessi il fatto che l'organo giudicante comunitario ha fatto riferimento anche all'azione collettiva avente lo scopo di raggiungere un determinato risultato contrattuale in modo volontaristico, cioè in base a un accordo tra le parti senza l'intervento dello stato.
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Vedi Orlandini G., Autonomia collettiva e libertà economiche: alla ricerca dell'equilibrio perduto
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Infatti secondo l'interpretazione della Corte, l'art. 3.1 stabilisce un obbligo per gli Stati membri di imporre regole inerenti alle condizioni minime di lavoro. In realtà questa interpretazione appare errata in quanto questa norma sembra che imponga solo l'obbligo di rendere applicabili ai lavoratori distaccati tutte le condizioni minime che siano previste da provvedimenti di natura pubblica oppure da contratti collettivi o arbitrati ad efficacia generale. Quindi questo significa che nel caso in cui in un Paese membro non siano presenti norme di questo tipo lo Stato non è obbligato a emanare regole ad
hoc per predisporre le tutele minime. Infatti la mancata presenza di queste
regole non determinerebbe una discriminazione tra imprese nazionali e straniere252.
Invece, secondo il ragionamento della Corte, la Svezia ha male assolto l'obbligo dell'art. 3.1 affidando la regolamentazione dei minimi retributivi alla contrattazione collettiva, in particolare a una trattativa caso per caso. Questo concetto oltre a discendere da un'interpretazione errata, appare non in linea con il sistema giuridico svedese, in quanto quest'ultimo si fonda su un sistema di contrattazione libero e volontario tra le parti. Tra l'altro la Svezia non prevede nessun obbligo legale di concludere il contratto e tale obbligo sarebbe indispensabile per affidare ai contratti collettivi ad efficacia generale la definizione delle condizioni di lavoro minime. Quindi per quanto riguarda i minimi salariali la Svezia non ha infranto il diritto comunitario, ma anzi ha rispettato i principi del mercato interno e la direttiva stessa253.
Le medesime considerazioni riguardano anche il caso Rüffert, in quanto nonostante che in esso sia in discussione se una legge, e non un contratto collettivo, sia in contrasto con la direttiva, questa legge, come abbiamo visto, rimandava la determinazione dei trattamenti retributivi al contratto collettivo e
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Carabelli U., Note critiche a margine delle sentenze della Corte di giustizia nei casi Laval e Viking, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, 2008; De Salvia A., Prime osservazioni
sulle sentenze della Corte di giustizia nei casi Viking e Laval, in Argomenti di diritto del lavoro, 2008;
Andreoni A., Sciopero, contratto collettivo e diritti del mercato: la svolta politica della Corte di
giustizia, 2008; Orlandoni G., ult. op. cit., 2008 e Carabelli U., op. cit, 2009.
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quindi la valutazione fatta dalla Corte è dipesa dalle caratteristiche di tale contratto. Quest'ultimo ricordiamo che, oltre a non essere di efficacia generale, si estende solo agli appalti pubblici e non a quelli privati. Per questo la legge del Land della Bassa Sassonia è considerata discriminatoria da parte della Corte. Tuttavia, non è chiaro come mai l'organo giudicante europeo affermi questo concetto considerando che il diritto comunitario permette di differenziare, per quanto riguarda i requisiti di partecipazione agli appalti delle imprese, gli appalti pubblici da quelli privati.
Detto questo si evidenzia che, anche se è condivisibile l'interpretazione della Corte sull'art. 3.7 della direttiva, non riteniamo che questa disposizione consideri illegittima l'azione collettiva avente lo scopo di supportare una contrattazione inerente alle medesime materie attivata nel paese di distacco, nel caso cui la contrattazione miri ad ottenere dei miglioramenti rispetto ai minimi previsti in attuazione degli artt. 3.1 e 3.8.
Un altro motivo di perplessità deriva sempre dall'affermazione riguardante la non ammissibilità, in base alla direttiva, della contrattazione salariale ad hoc in quanto non contrattazione sui minimi. Infatti, considerando che in Svezia mancano provvedimenti legislativi e autonomi ad efficacia generale sui minimi salariali, per i lavoratori distaccati, i minimi salariali avrebbero evidentemente coinciso con le condizioni retributive previste dal contratto aziendale. La posizione della Corte mette in evidenza la sua incapacità di cogliere il significato dei sistemi di relazioni sindacali e contrattuali a base volontaristica, dove i livelli di contrattazione ai quali attribuire il ruolo di determinare le condizioni di lavoro vengono decisi liberamente dalle parti.
Infine riguardo all'interpretazione data all'art. 3.10 è corretto ovviamente il fatto che della clausola dell'ordine pubblico possano avvalersi solo i provvedimenti di natura pubblica, ma non appare condivisibile far derivare da questa disposizione l'illegittimità dell'azione collettiva avente il fine di definire le condizioni di lavoro su materie diverse di quelle dell'art. 3.1, in quanto nella
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direttiva non è espresso il concetto che i contratti collettivi non possano prevedere materie diverse da quelli dell'art. 3.1254.
Possiamo quindi dire che l'interpretazione, da parte della Corte, dell'art. 3.10 della direttiva appare restrittiva. Questa restrittività è stata riaffermata in modo ancor più radicale nella sentenza Commissione c. Lussemburgo, in quanto ricordiamo che in quest'ultima è stata richiamata la dichiarazione n.10 del Consiglio e della Commissione effettuata nel momento di adozione della direttiva. La definizione data dalla dichiarazione si avvicina alla nozione di ordine pubblico "internazionale", in base alla quale la deroga per ordine pubblico è ammessa solo qualora la disposizione legislativa si ponga a tutela dei valori fondamentali diffusamente riconosciuti dalla comunità internazionale. In proposito la Commissione aveva affermato che la direttiva 96/71 "fissa un catalogo di norme vincolanti, enumerate all'art. 3 e applicabili ai lavoratori distaccati, al quale gli Stati membri possono aggiungere unicamente disposizioni di ordine pubblico legate al contesto internazionale"255. In questo modo sembra che la Corte di giustizia si voglia surrogare agli Stati membri nello stabilire quali condizioni di lavoro devono essere applicate per tutelare l'ordine pubblico. Da tutto ciò si evince ancora una volta la tendenza dell'organo giudicante europeo di privilegiare le libertà economiche alla tutela dei lavoratori256.
In definitiva possiamo dire che l'interpretazione della direttiva da parte della Corte finisce per negare l'autonomia collettiva, in quanto non riconosce la piena e automatica legittimità dell'azione collettiva che mira ad ottenere la firma di un contratto collettivo che preveda condizioni di lavoro migliori rispetto a quelle fissate dai Paesi membri nelle materie dell'art. 3.1 della direttiva, nonché condizioni di lavoro riguardanti materie diverse da quelle previste da quest'ultima norma.
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Vedi Carabelli U. ult. op. cit.
255
COM (2003) 458 def. 25.7.2003, punto 4.1.1. (ndr. corsivo aggiunto).
256
Vedi Pallini M., La tutela dell'"ordine pubblico sociale" quale limite alla libertà di circolazione dei
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L'illegittimità di queste azioni collettive non permette ai trattamenti dei lavoratori distaccati di superare i livelli minimi precludendo sia di aumentare i salari e di migliorare le condizioni di lavoro e sia gli sforzi sindacali finalizzati a sviluppare politiche che combattano il dumping sociale257.
6.3. Osservazioni sulla legittimità delle azioni collettive sui