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Rappresentanza sindacale dei lavoratori nei luoghi di lavoro

comunitario e internazionale

2. Rappresentanza e rappresentatività sindacale L'art 39 della Costituzione, oltre ad affermare il divieto di intromissione

2.4. Rappresentanza sindacale dei lavoratori nei luoghi di lavoro

lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda possono realizzare specifiche intese finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività".

Dalla lettura dell'articolo si evince inoltre che esso non disciplina la stipulazione dei contratti nazionali, ma riguarda solo gli accordi aziendali.

2.4. Rappresentanza sindacale dei lavoratori nei luoghi di lavoro

I lavoratori, allo scopo di tutelare i propri interessi, si possono organizzare sia all'interno che all'esterno del luogo di lavoro.

In Italia la storia della rappresentanza dei lavoratori, nei luoghi di lavoro, è piuttosto lunga e complessa, in quanto per circa un secolo si sono succedute molte forme di rappresentanza assai diverse tra loro. Le prime organizzazioni nei luoghi di lavoro furono le Commissioni interne, disciplinate per la prima volta nel 1906 attraverso un accordo tra la Fiom e la fabbrica di automobili Imntala di Torino. Dopo essere state soppresse nel 1925, attraverso il Patto tra la Confindustria e la Confederazione fascista delle corporazioni, sono state di nuovo ricostituite nel 1943 tramite un accordo tra le Confederazioni dei lavoratori dell'industria e la Confederazione degli

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industriali (cosiddetto patto Buozzi-Mazzini). Questo accordo attribuì alle Commissioni interne poteri di contrattazione collettiva a livello aziendale.

Nel 1947, con l'accordo interconfederale stipulato tra CGIL e Confindustria, si ebbe la prima disciplina organica delle Commissioni interne. Fu stabilito che nelle imprese con almeno 40 dipendenti doveva essere eletta almeno una Commissione interna (elezione a suffragio universale a scrutinio segreto). Si votavano liste contrapposte e la ripartizione dei seggi avveniva con il metodo proporzionale. Poteva presentare le liste per le elezioni qualsiasi gruppo (sia indipendente e sia inquadrato sindacalmente).

Le Commissioni svolgevano funzioni propositive, consultive e avevano il compito di controllare preventivamente le motivazioni dei licenziamenti individuali e collettivi. Esse però erano espressamente escluse dalla contrattazione a livello di azienda, in quanto i sindacati temevano di perdere il controllo di questi organismi elettivi, i quali operavano spesso autonomamente e separatamente rispetto alle linee politiche e tattiche dei sindacati. Inoltre la CGIL unitaria non era in grado di affrontare il decentramento della contrattazione.

Nel 1950 gli accordi interconfederali sui licenziamenti tolsero la competenza alle Commissioni in materia di licenziamenti individuali e collettivi.

Nel 1966 fu stipulato l’ultimo accordo relativo alle Commissioni che confermò la loro esclusione dalla competenza contrattuale e attribuì la competenza a stipulare contratti aziendali ai sindacati provinciali.

Le Commissioni interne, anche se non sono mai state disciplinate dalla legge sono esistite fino all’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori.

Nello stesso periodo in cui si svilupparono le Commissioni interne, la CISL tentò di riempire il vuoto di rappresentanza dei lavoratori nelle aziende attraverso la costituzione delle sezioni sindacali aziendali (SAS). La CILS infatti era favorevole, fin dalle sue origini, a creare un sistema contrattuale

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articolato su più livelli e per questo riteneva necessaria la presenza del sindacato in azienda.

Tuttavia le SAS, intese come alternativa alle Commissioni interne, non riuscirono mai a ottenere un potere contrattuale in azienda, il quale rimase ancora nelle mani del sindacato provinciale di categoria.

Nel 1955-56 anche la CGIL iniziò ad adottare le SAS concependole come strutture a cui affidare tutti i compiti del sindacato nell'azienda. Tuttavia, come la CISL, anche la CGIL escluse le SAS dal potere contrattuale.

Alla fine degli anni sessanta le SAS tramontarono definitivamente.

In seguito alle lotte sindacali del 1968-69, emerse un nuovo modello di contrattazione a livello aziendale che assunse una funzione primaria per quanto riguarda la disciplina delle condizioni di impiego della manodopera. Quindi la contrattazione venne decentrata articolandosi all'interno della categoria e specializzandosi per aree produttive e per gruppi omogenei, insiti nell'ambiente di lavoro. Per cui il referente principale dell'azione contrattuale diventò il reparto, la squadra, lo stabilimento, cioè il luogo o l'ambiente di lavoro nel quale si costituisce ed agisce il gruppo omogeneo. Quest'ultimo diventò l'espressione di un interesse collettivo concreto, in quanto circoscritto al gruppo dei lavoratori che ne sono portatori. I lavoratori delegarono un proprio rappresentante chiamato delegato, il quale non doveva necessariamente essere iscritto ad un sindacato esterno.

Tra il 1970 e il 1972 i delegati decisero di formare i Consigli di fabbrica, ai quali furono attribuiti poteri di contrattazione nei luoghi di lavoro. Inizialmente si diffusero nel settore industriale e successivamente, attraverso il Patto federativo del 1972 firmato dalle tre grandi confederazioni, si svilupparono anche negli altri settori.

I Consigli di fabbrica erano formati da delegati eletti a scrutinio maggioritario per singolo gruppo omogeneo ed erano composti da iscritti e non iscritti alle tre confederazioni. Tuttavia per assicurare la rappresentanza

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della Federazione delle confederazioni una parte dei seggi fu attribuita a lavoratori iscritti scelti dalle confederazioni come propri rappresentanti.

Dalla seconda metà degli anni '70 i Consigli iniziano ad entrare in crisi a causa della nascita di nuove tipologie contrattuali che fecero perdere importanza alla contrattazione aziendale. Nel 1984 i Consigli di fabbrica decaddero definitivamente a causa della rottura tra le tre confederazioni.

2.5. Le rappresentanze sindacali aziendali e le

rappresentanze sindacali unitarie

Con lo Statuto dei lavoratori si afferma il diritto di presenza del sindacato in fabbrica. In particolare con l’art. 14 si garantisce ai lavoratori il diritto a costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività nei luoghi di lavoro. In questo modo vengono tutelate tutte le forme di organizzazione e di aggregazione sindacale che si possono manifestare nei luoghi di lavoro, quindi non solo quelli in forma associativa ai sensi dell'art. 19, il quale, nel testo originario, stabilisce che, nelle imprese con più di 15 dipendenti, il diritto a costituire le rappresentanze sindacali aziendali (RSA) non spetta a tutti i lavoratori, ma solo a quelli operanti all'interno delle "associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale" (lett. a) o alternativamente alle "associazioni sindacali non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell'unità produttiva" (lett. b).

Il legislatore non regola però le modalità di funzionamento delle RSA, le quali vengono autoregolate dalle organizzazioni sindacali costituenti.

Questo articolo, limitando il diritto di costituire le RSA solo ad alcuni lavoratori (in base alle condizioni delle lett. a e b), ha posto numerosi interrogativi sul fatto che vìoli i principi di uguaglianza e libertà sindacale, ai sensi degli artt. 3 e 39 Cost. A tale riguardo la Corte Costituzionale nel 197476 si è pronunciata a favore della piena legittimità dei criteri selettivi

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dell'art 19. In particolare per quanto concerne la lettera a) ha affermato che "il legislatore ha indicato un criterio valutativo, la cui esistenza può essere verificata in ogni momento"; infatti il criterio fa riferimento a una effettività che può essere sempre raggiunta da ogni confederazione e non a una comparazione fra le confederazioni. In pratica questa disposizione non autorizza nessun sindacato ad escluderne altri. Anche il criterio della lett. b), secondo la Corte, non esclude nessun sindacato, in quanto la firma del CCNL o provinciale non è impedita a nessuno.

Anche in due sentenze successive (n. 334/1988 e n. 30/1990) la Corte riconfermò la legittimità costituzionale dell'art. 19. Tuttavia essa nell'ultima sentenza ha puntualizzato che, considerando la trasformazione e le diversificazioni degli interessi77, i criteri dell'art. 19 stavano diventando sempre più inidonei a rispecchiare l'effettiva rappresentatività dei sindacati. Quindi era necessario, secondo la Corte, stabilire nuove regole per consentire di valutare l'effettiva rappresentatività sulla base del reale consenso dei lavoratori e non più basandosi su presunzioni. In questo modo la Corte mirava a sollecitare il Parlamento a emanare una legge che prevedesse la costituzione delle RSA su base elettiva.

Come abbiamo visto il legislatore non specifica la natura giuridica e la struttura delle RSA. In propositivo la Corte di Cassazione, con la sentenza del 24 gennaio 2008, ha affermato che la struttura della RSA non è definita in modo rigido dall'art 19 e che essa non è un organo del sindacato, ma ha una propria autonoma soggettività giuridica (ai sensi degli artt. 36 e 38 cod. civ.), separata da quella dell'associazione nell'ambito della quale è stata costituita. Questo implica che la RSA è titolare dei diritti e dei poteri attribuitegli dalla legge.

In molti imprese la struttura aperta delle RSA ha permesso, per molto tempo, che i poteri e i diritti attribuiti dalla legge alle RSA, fossero, di fatto, esercitati dai Consigli di Fabbrica. Questi ultimi dal punto di vista giuridico

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potevano essere considerati come una RSA unitaria, costituita nell'ambito delle associazioni aderenti alle tre confederazioni maggiormente rappresentative. Tuttavia questo non impediva che, all'interno dell'azienda, accanto ai Consigli di fabbrica, i lavoratori non aderenti a questi ultimi, potessero costituire delle RSA. Questo implica che non era possibile riconoscere ai Consigli di fabbrica la rappresentanza sindacale esclusiva.

Con la caduta dei Consigli di fabbrica, nel 1984, si ritornò alle RSA separate.

Negli anni '90 si assistette a una riforma delle rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. In seguito alle esigenze di riforma evidenziate dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 30/1990, le maggiori confederazioni sindacali si impegnarono a fissare nuove regole sulla rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, e nel 1993 CIGL, CISL, UIL e Confindustria stipularono un accordo interconfederale che prevedeva l'istituzione delle rappresentanze sindacali unitarie (RSU). In particolare è stato stabilito che i sindacati firmatari dell'accordo (o quelli che vi avrebbero aderito successivamente), nelle imprese con più di 15 dipendenti, rinunciassero a costituire RSA in favore delle RSU (cosiddetta clausola di salvaguardia), i cui componenti subentrano ai dirigenti delle RSA nella titolarità di diritti, libertà sindacali e tutele ai sensi del titolo III dello St. lav.

Le RSU sono formate da una parte elettiva e da una associativa. I due terzi sono eletti a suffragio universale e a scrutinio segreto da tutti i lavoratori dell'unità produttiva. I lavoratori eletti non devono necessariamente appartenere ad una sigla sindacale specifica.

Il rimanente terzo è eletto o designato dalle associazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell'unità produttiva.

I componenti durano in carica tre anni, dopo di che decadono automaticamente.

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Le liste elettorali possono essere presentate dalle associazioni sindacali firmatarie dell'accordo del 1993 (o che vi hanno aderito) e del CCNL applicato nell'unità produttiva; oppure dalle associazioni sindacali che abbiano uno statuto e un atto costitutivo, a condizione che accettino espressamente e formalmente la disciplina delle RSU e che la lista sia stata firmata dal almeno il 5% dei lavoratori dipendenti dell'unità produttiva, aventi diritto al voto.

Le associazioni autorizzate a presentare le liste assumono anche l'iniziativa per la costituzione delle RSU, le quali costituiscono un canale unico di rappresentanza in quanto in esse sono presenti sia funzioni di rappresentanza dei lavoratori che le eleggono e sia funzioni sindacali (soprattutto la contrattazione aziendale).

La RSU assume la rappresentanza generale dei lavoratori, in quanto è eletta da tutti i lavoratori presenti in azienda. Proprio per questo motivo è stata oggetto di critica l'attribuzione del terzo dei seggi, in quanto per molti altera il criterio democratico di formazione della RSU perché sostanzialmente porta a favorire in percentuale maggiore le associazioni meno rappresentative tra quelle firmatarie dei contratti collettivi. Tuttavia sia la parte associativa e sia quella elettiva si riuniscono in un unico collegio che prende le decisioni secondo il principio maggioritario e quindi possiamo dire che comunque il mandato elettorale costituisce la fonte di legittimazione del proprio potere di rappresentanza degli interessi dei lavoratori. Si precisa però che la coesistenza tra il vincolo associativo e il mandato elettorale è spesso fonte di difficili problemi interpretativi. In proposito si segnalano alcune sentenze del tribunale di Milano78 che hanno stabilito che nel caso in cui un eletto della RSU aderisca, dopo l'elezione, a un sindacato diverso da quello originario non decade dalla propria funzione poiché la RSU non è una rappresentanza esclusivamente associativa e inoltre l'accordo del 1993 prevede la decadenza solo in caso di dimissioni.

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Secondo l'accordo del '93 la RSU e le competenti strutture territoriali delle associazioni firmatarie del CCNL hanno il diritto di stipulare il contratto collettivo aziendale, con le modalità e nei limiti stabiliti dal contratto collettivo nazionale applicato nell'unità produttiva. Tuttavia l'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 ha tolto la competenza negoziale alle strutture territoriali delle associazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo.

Problemi di coesistenza tra RSA e RSU si pongono quando i sindacati non hanno firmato l'accordo interconfederale (o non vi hanno aderito) e, allo stesso tempo, non siano firmatari del CCNL e abbiano stipulato un contratto aziendale applicato nell'unità produttiva. Il nuovo testo dell'art. 1979 consente a questi sindacati di costituire una RSA. Tuttavia il sistema contrattuale previsto dall'accordo del 1993 stabilisce come unica controparte contrattuale in azienda la RSU, riducendo quindi la RSA a un ruolo marginale. Questo concetto è sostanzialmente ribadito nell'accordo del 2011, il quale attribuisce efficacia generale del contratto collettivo aziendale approvato dalla maggioranza della RSU.